Economia

Andragogia: come insegnare agli adulti con efficacia

di Ivana Colombo

1. Quando l’adulto impara

Probabilmente è abbastanza comprensibile per tutti cosa si intende, perlomeno in linea generale, con il termine pedagogia, usato comunemente per indicare le pratiche di insegnamento ai bambini. Per molto tempo si sono tratti dalla pedagogia anche i criteri per l’insegnamento agli adulti, ma un adulto apprende meglio e di più quando ha un ruolo attivo nel processo di apprendimento, quando è responsabilizzato rispetto ai risultati e può vedere un collegamento fra le informazioni e la propria esperienza.

L’adulto ha modalità d’apprendimento radicalmente diverse rispetto ai ragazzi, il suo cervello non è più abituato all’insegnamento tipico della scuola, ma sono presenti differenze anche di tipo psicologico.

II bambino quando arriva all’età scolastica è poco fornito di conoscenze, è alla continua ricerca di informazioni e nozioni, essendo per lui praticamente tutto nuovo, mentre l’adulto ha un vissuto individuale consistente, possiede una formazione scolastica alle spalle in genere già strutturata ed è alla ricerca di informazioni selezionate, di un apprendimento mirato.

L’esperienza personale del bambino è limitata, mentre l’esperienza dell’adulto è superiore sia a quella del bambino, sia alla conoscenza che riceverà in aula. La motivazione del bambino ad imparare è in genere legata al voto e al conseguente consenso dei genitori, si fida di quanto dicono gli adulti adattandosi in modo passivo ai loro insegnamenti con una certa facilità, quella dell’adulto è più articolata, critica e maggiormente legata all’interesse personale e al vantaggio che potrà trarre da quanto appreso, sia come persona sia come lavoratore, qualunque sia il livello di appartenenza e provenienza.

Infine il bambino ha maggiore dipendenza verso l’insegnante rispetto all’adulto che ha ormai maturato una propria autonomia, l’adulto paragona e distingue secondo la pratica e l’esperienza ciò che impara.

Un formatore esperto con una classe di adulti utilizzerà un metodo formativo più orientato ad esperienze pratiche e al mondo del lavoro; spesso può risultare difficile stabilire il livello e i contenuti di un corso a causa dell’eterogeneità dei partecipanti, pur provenienti magari da una medesima posizione lavorativa, nel caso ad esempio dei corsi di aggiornamento aziendale organizzati ad hoc all’interno delle aziende.

2. Fare formazione

La formazione è un’attività educativa, il suo obiettivo è la promozione, la diffusione, e l’aggiornamento del sapere. Durante tutto il secolo scorso, nell’epoca dell’impresa fordista, le carriere erano disegnate in modo lineare e risultava relativamente semplice capire quale tipo di formazione fosse necessaria per conseguirle o progredirle, il problema era se mai avere i mezzi a disposizione. Dopo la necessaria formazione iniziale, la carriera prevedeva un lavoro continuativo, spesso in una sola azienda e la formazione successiva si acquisiva principalmente on the job, per meriti o capacità acquisite sul campo.

Una carriera di tipo verticale, dalla base verso l’alto, per delineare la quale le imprese sono arrivate in alcuni casi a formarsi direttamente i collaboratori pur di averli quanto più adatti alle loro esigenze aziendali interne; un’epoca che porta alla mente un’immagine, non priva di una certa tenerezza, di adulti alle prese con libri e quaderni alle civiche scuole serali, corsi organizzati fin da subito dopo la II guerra mondiale in risposta a queste esigenze di scolarizzazione (1-2), miglioramento delle qualifiche o ascesa sociale.

Nell’impresa centralizzata, caratterizzata dalla cosiddetta carriera burocatica, un certo successo hanno incontrato le Liste di capacità, o elenchi di abilità operative stilate da Mintzberg (3), in tema di descrizione dei comportamenti di lavoro attesi a seconda del tipo di carriera, utili in seconda analisi anche per categorizzare le tipologie di insegnamento.

Oggi la formazione non si limita più alla preparazione iniziale, sconfina nell’ambito professionale e durante tutta la carriera lavorativa.

3. Il metodo dei casi

Le teorizzazioni, costituite da dialoghi e da esemplificazioni, spesso basate su metafore, lasciano largo spazio anche gli approcci tipici della “didattica attiva”, basati quindi sulla soluzione dei problemi attraverso esperienze pratiche. Il metodo consiste nell’affrontare le questioni mediante il dialogo, definendo il modo chiaro il problema e facendo proporre agli allievi le possibili soluzioni, quello che le scienze manageriali chiamano oggi problem solving. Alla soluzione del problema si arriva attivando lo spirito d’iniziativa dei partecipanti che apprendono le nozioni attraverso un sistema basato sulla continua analisi del lavoro in corso d’opera, guidati in modo più o meno consapevole dai metodi illustrati dai docenti.

Punto di passaggio dall’accademismo all’attivismo (4) è stato l’inserimento dell’apprendimento attraverso l’analisi e la discussione di situazioni concrete (anche se in realtà costruite appositamente per facilitare l’apprendimento), volto a conseguire un sapere ottenuto per elaborazione, rispetto al classico insegnamento trasmesso per concetti.

In un’ottica del genere è risultato alla fine insufficiente parlare di “corso” e insegnare agli adulti ha assunto nel corso del tempo una valenza più ampia; i fermenti in ambito formativo, provenienti dalle diverse correnti di pensiero, hanno dato origine a un vivace dibattito anche in Italia nel corso di tutti gli anni ’80 e attraverso una serie di passaggi logici basati principalmente sull’osservazione dei risultati reali ottenuti applicando i vari metodi formativi, si è giunti alla fine degli anni ‘90 all’elaborazione di una nuova teoria.

4. La teoria andragogica

Si deve a Malcom Knowles, (5) professore di Harvard e tra i più noti studiosi nel campo dell’apprendimento adulto lo sviluppo della teoria andragogica (6) in contrapposizione a quella pedagogica.

Con il suo Modello Andragogico, Knowles definisce i sei punti chiave dell’apprendimento degli adulti:

• Il bisogno di conoscere: gli adulti sentono l’esigenza di sapere perché sia necessario apprendere qualcosa prima d’intraprendere l’apprendimento stesso.

• Il concetto di sé: gli adulti si percepiscono come persone responsabili delle loro decisioni, della loro vita e possiedono un profondo bisogno psicologico di essere considerati e trattati dagli altri come persone capaci di gestirsi autonomamente.

• Il ruolo dell’esperienza: gli adulti entrano in attività di formazione con una loro esperienza di studio e di lavoro.

• La disponibilità ad apprendere: gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che hanno bisogno di sapere e di saper fare per far fronte alle situazioni della loro vita.

• L’orientamento verso l’apprendimento: più che verso le materie, l’orientamento degli adulti è focalizzato sulla vita reale.

• La motivazione: le motivazioni più potenti dell’adulto sono le pressioni interne.

Una successiva evoluzione del pensiero dell’autore (7), lo ha condotto dall’iniziale contrapporre alla pedagogia (l’arte di insegnare ai bambini) l’andragogia (l’arte di insegnare agli adulti), a sviluppare una visione dell’insegnamento che è una combinazione delle due forme e segue l’essere umano nel suo sviluppo, ricordando che in fondo si diventa adulti senza mai perdere completamente le caratteristiche del bambino.

5. Il rapporto col docente, manipolazione, affascinazione, emulazione

L’insegnamento dovrà a questo punto necessariamente passare attraverso un approccio tipico della pedagogia ad uno tipico dell’andragogia, secondo l’età e soprattutto l’atteggiamento più o meno maturo dell’allievo. Per migliorare il processo di apprendimento dell’adulto, rendendolo maggiormente efficace, si sono resi necessari nuovi metodi di insegnamento, nuovi programmi, “nuovi” insegnanti e formatori, in grado di individuare e valutare le capacità e gli obiettivi dei discenti, sintonizzando su di essi il processo di insegnamento, facendo attenzione a non forzare la selezione dei concetti.

Tali metodologie sono in realtà una combinazione di procedure per meglio coinvolgere l’adulto che impara, aiutandolo ad acquisire attivamente (più che ricevere passivamente) informazioni ed abilità cognitive. Sono “allievi” già formati in altri campi, occorre tenere presente che dietro la richiesta di formazione può esserci un avanzamento di posizione, una crescita professionale, un adeguamento delle mansioni che prepara a capire quale futuro professionale si desidera, è necessario conseguire o a cui è possibile aspirare, in base al periodo di vita, età, posizione attuale o futura.

Un insieme di fattori che condiziona le strategie di apprendimento dell’adulto e le sue aspirazioni, considerando inoltre che sono ancora poche le persone che svolgono un lavoro che veramente li appassiona, un fatto che alla lunga può portare a scontento e frustrazione, quando non addirittura generare stress.

La rivoluzione informatica ha reso tutto più veloce, dando origine soprattutto all’esigenza di essere sempre aggiornati, formati in modo continuativo, tanto che alcune professioni prevedono corsi di aggiornamento professionale delle categorie e il conseguimento di appositi crediti detti appunto “formativi”, ad integrare l’adeguatezza della formazione cosiddetta iniziale delle persone (7), che sia conseguita attraverso educazione formale o informale; la motivazione è la conseguenza di questo integrarsi, fare fronte alla competizione sempre più agguerrita, legata in alcuni casi alla paura di perdere il lavoro e alla derivante  necessità di conservarlo.

 Nuove concezioni di insegnamento e dei loro legami con le nuove esigenze della società, che impone agli adulti di lavorare in situazioni sempre nuove o di cambiare più frequentemente lavoro nell’arco di una carriera, considerando infine che secondo gli esperti l’apprendimento è migliore se il metodo esce dalla norma, pur rimanendo coerente con la carriera professionale, ma che sappia soprattutto permettere all’individuo di emanciparsi.

Nel tentativo di elaborare una teoria generale della formazione gli stessi esperti si sono resi conto che non è così facile fissarne i parametri in modo definitivo. Risulta più realistico prendere atto che oggi, nell’era dell’azienda “orizzontale” o della carriera multipla, ha più senso parlare di formazione continua, puntando preferibilmente a sviluppare negli individui il self development, la capacità di applicare il cambiamento.

Un formatore capace distingue bene queste differenze e saprà regolarsi a seconda del target che si trova di fronte nel gestire l’aula, tenendo sempre ben presente il concetto di “formazione permanente” che rappresenta ormai una necessità ed uno standard in tutto il mondo industrializzato, un mondo in continuo e sempre più rapido cambiamento.

Note

(1)    Duccio D. (1980), Alfabetizzazione degli adulti e classe operaia, Milano, Franco Angeli. Duccio Demetrio, filosofo dell’educazione all’Università degli studi di Milano-Bicocca, è da sempre attento osservatore della condizione adulta e dei suoi problemi esistenziali. Ha fondato e dirige la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e la Società di Pedagogia e Didattica della Scrittura. Tra le sue ultime pubblicazioni: (2009), L’educazione non è finita), Milano, Franco Angeli.

(2)     << […] Le 150 ore sono un istituto contrattuale, ottenuto per la prima volta nell’autunno 1973 dai sindacati metalmeccanici, che garantisce ai singoli lavoratori un monte-ore individuale triennale per il diritto allo studio retribuito (appunto 150 nel settore meccanico e metallurgico, ma variabile in più o meno, a seconda dei contratti). Questo diritto è retribuito dall’impresa e l’utilizzo del monte-ore totale può essere scaglionato su più anni (di norma tre), ma anche concentrato in un anno solo. Esso è programmato collettivamente dal sindacato, nel corso degli anni ’70, primi ’80, all’interno di una negoziazione con l’azienda (per garantirne la continuità produttiva). La gestione delle modalità di usufrutto di questo diritto (dove, come, con chi) e dei suoi contenuti culturali è a libera disposizione dei lavoratori, fatte salve le quote temporali e quantitative di accesso contrattate collettivamente con l’azienda. Negli anni ’70 la proposta e l’offerta didattica sono soprattutto collegate all’iniziativa delle organizzazioni sindacali, ma anche di alcuni enti regionali e degli enti locali. Questo istituto viene ottenuto, a partire dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore metalmeccanico nel 1973, da tutti i maggiori comparti economici, in primo luogo industriali, fra il 1974 e il 1975 [Pagnoncelli 1977, pp. 90-98]. Dopo, negli anni seguenti, coinvolgerà anche il settore dei servizi pubblici e privati e la pubblica amministrazione […]>>. Causarano P. (marzo 2007), Lavorare, studiare, lottare: fonti sull’esperienza delle “150 ore” negli anni ’70, Dipartimento Scienze dell’educazione e dei processi culturali e formativi – Università degli Studi di Firenze, www.historied.netn. 1.

(3)    Mintzberg H. (1978), The nature of Managerial Work, New York, Mc Graw Hill.

(4)    << […] i) accademismo significa distanza (rilevante ed eccessiva) tra docente e allievo, rigidità della relazione pedagogica, difficoltà a realizzare progetti educativi intensive (seminari o corsi di più giornate consecutive e full-time), “comunicazione ad una via”, impossibilità di ottimizzare su tempi dilatati l’apprendimento, freddezza, impersonalità, astrattezza, ecc.; ii) attivismo significa coinvolgimento diretto dell’allievo, riferimento al gruppo, imparare facendo esercizi, sperimentando, risolvendo problemi, alternanza di momenti di apprendimento, costruzione progressiva, finalizzata e guidata dell’apprendimento, “comunicazione a due vie”, discussione e confronto, vivacità, responsabilizzazione, concretezza, etc.>>, Quaglino G. P. (1985), Fare formazione, pp. 126, Bologna, Il Mulino.

(5)     Malcolm Knowles, (1913-1997), laureato all’Università di Harvard e Fondatore dell’Adult Education Association, è stato Professore di Educazione degli Adulti alla North Carolina State University. Esperto di fama mondiale, in questo campo può essere considerato tra i più noti studiosi dell’apprendimento adulto.

(6)     Andragogico era l’approccio dell’ermeneutica greca, quello utilizzato da Aristotele, Demostene, Cicerone e dagli altri filosofi che, nell’insegnamento, utilizzavano dei sistemi didattici basati sul dialogo e sulle esperienze pratiche, non potendo contare sull’ausilio di libri di testo o sulla possibilità di far prendere appunti ai loro studenti.

(7)     Knowles M. (2008), Quando l’adulto impara. Andragogia e sviluppo della persona, Franco Angeli, Milano (9ª edizione, nuova edizione), prefazione a cura di Maurizio Castagna. Castagna, laureato in Economia all’Università Cattolica e in Psicologia a Padova, dal 1972 si occupa di formazione e sviluppo delle risorse umane, prima all’interno di grandi aziende, poi come consulente. Da più di vent’anni si interessa specificatamente di formazione dei formatori, suoi i volumi Progettare la formazione (1988), e La lezione nella formazione degli adulti  (1998), editi entrambi da Franco Angeli.

(8)    << […]  Fatto salvo il legame apprendimento/cambiamento, occorrerebbe infatti quantomeno precisare che i soggetti cambiano in tanto in quanto apprendono, mentre le organizzazioni apprendono in quanto cambiano; che il vero problema per i soggetti è essere disposti a cambiare mentre per le organizzazioni è di essere disposte ad apprendere; che per i soggetti il legame apprendimento cambiamento è fattuale, mentre per le organizzazioni il legame cambiamento/apprendimento  è solo possibile>>, Quaglino G. P., Fare formazione, cit., pp. 22-23.