Diritto

Il fondato pericolo per la riscossione

di Serena Galeazzi

Il Legislatore ha da sempre mostrato un’attenzione particolare al problema dell’effettiva riscossione delle maggiori somme accertate, fornendo agli Uffici una serie di strumenti atti a raggiungere tale obiettivo.

Tra tutti, quelli che incidono in maniera più rilevante sul patrimonio del contribuente, sono senza dubbio le misure cautelari ex art. 22 del D.Lgs. n. 472/97, quali l’ipoteca ed il sequestro conservativo, ed il titolo esecutivo straordinario delineato dall’art. 29, comma 1, lett. c) del D.L. n. 78/2010 (che ha sostituito il ruolo straordinario ex art. 15-bis del D.P.R. n. 602/73); per tale ragione, la loro adozione è subordinata alla presenza del c.d. periculum in mora, ovvero di un fondato pericolo per la riscossione.

Il concetto di periculum richiede la ricorrenza di una pluralità di elementi atti a ritenere reale il rischio di comportamenti tesi a sottrarre i beni ad eventuali azioni esecutive da parte dell’Agente della Riscossione (C.M. n. 4/E del 15 febbraio 2010 e N.M. n. 2011/141776 del 30 settembre 2011). Si tratta, quindi, di un pericolo che, sebbene supportato anche da elementi di carattere indiziario, deve necessariamente configurarsi come attuale e non solo potenziale (CTP di Lecce, sent. n. 58 del 10 febbraio 2011).

Certamente la consistenza del patrimonio del contribuente e le sue caratteristiche qualitative rappresentano indici importanti per il buon esito della riscossione, ma il solo elemento “statico” della sproporzione tra la consistenza patrimoniale e l’entità del credito erariale da tutelare, non è sufficiente a configurare il periculum in mora che deve essere valutato, anche, in funzione dell’ulteriore elemento “dinamico” rappresentato dal comportamento del debitore, qualora teso a depauperare il suo patrimonio (CTP di Macerata, sent. nr. 17 e 18 del 3 gennaio 2012).

Ricade sull’Ufficio l’onere di dimostrare che il contribuente abbia posto in essere, o sia in procinto di porre in essere, successivamente all’attività di controllo o alla notifica degli avvisi di accertamento, una serie di attività (mutamento della residenza, separazione personale dal coniuge, atto di divisione di immobili, cessione di partecipazioni societarie, accensione di un mutuo, ecc …) idonee ad integrare un comportamento complessivamente rivolto alla sostanziale elusione dell’eventuale obbligo di corresponsione del quantum debeatur (CTR di Roma, sent. n. 715 del 12 dicembre 2011).

Altro aspetto attiene la motivazione alla base del periculum in mora.

L’art. 7 della L. n. 212/2000, stabilisce che gli atti dell’Amministrazione finanziaria debbano essere motivati in ossequio alle previsioni dell’art. 3 della L. n. 241/1990, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che ne hanno determinato l’emanazione. La funzione della motivazione di un atto amministrativo è quella di garantire e tutelare il pieno esercizio del diritto di difesa del destinatario, per cui il contribuente e, successivamente, il giudice, devono avere la possibilità di riscontrare la sussistenza del “fondato pericolo per la riscossione”.

Diversamente rispetto a quanto previsto per l’adozione delle misure cautelari ex art. 22 del D.Lgs. 472/97, l’Amministrazione finanziaria non ritiene necessario esplicitare le ragioni alla base della formazione di un titolo esecutivo straordinario.

Contrariamente alla posizione assunta dalle Entrate, la giurisprudenza pronunciatasi in merito alla legittimità del “ruolo straordinario”, ritiene che anche il titolo esecutivo debba indicare espressamente il presupposto che abilita l’ufficio alla riscossione immediata ed integrale di tutte le somme contenute nell’avviso, in deroga alla procedura di riscossione frazionata in pendenza di accertamenti non definitivi (CTP di Treviso, sent. n. 61 del 15 settembre 2008 e CTP di Ancona, sent. n. 264 del 7 settembre 2011).

Non può essere ritenuta sufficiente una motivazione laconica, carente o di mero stile (basata, ad esempio, solamente sull’entità delle maggiori imposte oggetto di accertamento e sulla gravità delle violazioni accertate o, addirittura, sulla loro rilevanza penale) applicabile, per la sua genericità, ad una serie indeterminata di situazioni senza alcun riferimento al caso concreto.

In definitiva, non riferendosi ad un qualsiasi pericolo per le ragioni dell’Erario, bensì ad un “fondato” pericolo, tale carattere di fondatezza può essere desunto solo da un’idonea, specifica e puntuale motivazione che tenga conto dell’integrità patrimoniale e del diritto del contribuente di avere contezza circa le ragioni alla base della pretesa avanzata nei suoi confronti.

 

In tema di accertamento esecutivo, il comma 1, lett. c) dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010 prevede che, in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, decorsi 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, il valore integrale delle somme in esso indicate possa essere affidata in carico all’Agente della Riscossione, anche prima dei termini previsti per il pagamento. A ciò si aggiunga la mancata operatività della sospensione legale della procedura esecutiva prevista dal comma 1, lett. b) del D.L. n. 78/2010.

Per cui, da un lato, l’ufficio è legittimato ad affidare il carico straordinario all’Agente della Riscossione dopo 60 giorni dalla notifica dell’avviso, senza attendere gli ulteriori 30 giorni e, dall’altro, l’Agente della Riscossione può iniziare la procedura esecutiva prima del decorso degli ulteriori 180 giorni (sospensione ope legis) dall’affidamento.

Tale scansione temporale, oltre ad incidere in maniera rilevante sul patrimonio del contribuente, crea problemi di coordinamento con altri istituti previsti dal Legislatore, quali l’accertamento con adesione, la sospensione giudiziale ed il reclamo.

Per giunta, merita riflessione l’ipotesi di disconoscimento giudiziale della sussistenza dei presupposti del fondato pericolo per la riscossione. In effetti, con l’atto impo-esattivo, a differenza del pregresso sistema di riscossione fondato sul ruolo, l’avviso di accertamento costituisce anche titolo esecutivo e precetto; ne consegue che i vizi che attengono il titolo esecutivo possono essere fatti valere solo in relazione all’atto impositivo. Per cui, la declaratoria di nullità del titolo potrebbe travolgere la validità dell’intero avviso.