Diritto

La crisi delle altre imprese

(di Paolo Ceresa)

In una fase storica del tutto particolare in cui la crisi economica insieme a quella sociale, politica e culturale, lungi da caratterizzare un semplice ciclo tende invece a perpetuarsi nel tempo, occorre che le imprese abbiano ben presenti le soluzioni contabili e fiscali da adottare in caso di crisi delle imprese loro clienti.

Prima di cercare di districarsi tra normativa civilistica, fiscale e fallimentare, valga un semplice esempio a chiarire il danno che subisce un creditore che non riesca a incassare il suo credito.

Fatto pari a € 100 l’importo del credito ed € 22 quello della relativa Iva, assunta come ipotesi plausibile un’imposizione diretta del 35% (ad esempio a titolo di Irpef), con le dovute semplificazioni del caso, si può stimare come il mancato incasso di 100 euro comporti per l’impresa creditrice un immediato impegno finanziario pari all’ esborso di € 22 di Iva da versare nel mese o trimestre successivo alla emissione della fattura attiva non incassata, ed un secondo impegno finanziario in termini di imposte   dirette pagate pari ad € 35. L’operazione commerciale, prescindendo dagli esborsi sostenuti dal creditore in termini di costi variabili e fissi per fornire il servizio o la merce al cliente, concludendosi con un insolvenza irreversibile del debitore, comporta un sbilancio finanziario, sotto le ipotesi di cui sopra, di euro 57.

Nella sostanza l’imprenditore-creditore che all’inizio della sua operazione commerciale si prefiggeva un incasso finanziario di € 122 si trova invece ad esborsare a breve 57 euro con un evidente stravolgimento del suo budjet finanziario iniziale, con un gap stimabile di € 179 pari ad € 122 non incassati e 57 euro anticipati al fisco.

Da qui deriva l’attenzione che le imprese, in una situazione di crisi generale sempre più dilagante, devono porre a tutti i rimedi fiscali per ridurre l’impatto della crisi delle altre imprese e in particolare delle imprese sottoposte a procedure concorsuali, sulla propria struttura finanziaria ed economica .

A tal fine occorre tener distinti i rimedi che il nostro sistema giuridico prevede in tema di imposte indirette da quelli previsti ai fini della imposizione diretta.

A)Imposte indirette: Iva

Per le imprese che non adottano il regime fiscale cosiddetto per cassa è possibile recuperare l’importo dell’Iva con l’emissione di una semplice nota di credito.

Ma quando e per quale importo la normativa fiscale consente all’imprenditore di recuperare le somme sborsate per l’iva versata sulle fatture emesse e non incassate dall’impresa fallita?

In soccorso corre l’art. 26 del Dpr 633/72 prevedendo  che la nota di credito possa essere emessa “nel caso di mancato pagamento in tutto in parte a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose”.

L’espressione letterale della norma consente di affermare che il documento fiscale di rettifica può essere emesso per la parte di credito non riscossa che può anche coincidere con il totale della fattura emessa.

Se da un punto di vista quantitativo il problema sembra essere risolto, va subito precisato che la quantificazione della parte di credito rimasta infruttuosa non può che derivare dall’andamento della procedura concorsuale e quindi da comunicazioni ufficiali della procedura.

Tali comunicazioni non possono che essere quelle che derivano dall’art. 119 o 117 della L.F., ovvero rispettivamente dal decreto di chiusura della procedura per mancanza di attivo da ripartire e dal decreto di esecutività del piano di riparto finale.

A ben vedere, poiché l’Amministrazione finanziaria ammette l’emissione della nota di credito solo nel momento in cui si ha la sicurezza definitiva della irrecuperabilità di una parte o della totalità del credito, l’emissione della nota di credito non può che avvenire

  1. alla scadenza del termine per proporre osservazioni al decreto di esecutività del riparto finale (art 110 L.F.).
  2. dalla scadenza del termine per il reclamo del decreto di chiusura del fallimento per insufficienza di attivo prima della formulazione dello stato passivo (art. 102 L. F.)

Analogamente, nel caso delle altre procedure concorsuali si può ritenere che il momento rilevante dal quale poter emettere le note di credito sia:

  1. nella Liquidazione coatta amministrativa, dall’approvazione del bilancio finale della liquidazione (art. 213);
  2. nel Concordato fallimentare, dalla definitività del decreto di omologazione (art. 130 e 131);
  3. nel Concordato preventivo, dalla data di chiusura del concordato.
  4. nell’Amministrazione straordinaria il creditore non ha diritto all’emissione delle note di variazione perché la procedura ha come scopo la continuazione e il risanamento dell’impresa e non il soddisfacimento dei creditori . Si tratta infatti di una procedura di natura non liquidatoria.
  5. negli accordi di ristrutturazioni, poiché non sono considerati una procedura concorsuale, la recuperabilità dell’iva del creditore che aderisce agli accordi può avvenire sulla base della previsione del punto 3) dell’art. 26 ovvero per “sopravvenuto accordo tra le parti”.

Oltre al momento rilevante per l’emissione del documento occorre individuare qual è il momento ultimo entro il quale provvedere ad emettere la nota per evitare di perdere la recuperabilità dell’Iva versata.

A tal proposito le ipotesi sopra rappresentate con i numeri da 1. a 4. richiedono per il combinato disposto degli art. 26 e 19 che le note di variazione in diminuzione dell’Iva debbano essere emesse, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione.

L’ipotesi prevista al punto 5) richiede invece che la nota sia emessa entro un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria. Se il sopravvenuto accordo di ristrutturazione del debito (o meglio l’omologa dell’accordo) avviene oltre l’anno il creditore aderente all’accordo perderà la recuperabilità dell’Iva sulla parte di credito non soddisfatta.

L’impostazione citata non rende, nei fatti, rapido il recupero dell’iva per le fatture emesse nei confronti di clienti assoggettati a procedure concorsuali; a fronte di ragionevoli stime che può compiere il creditore anche con l’ausilio delle informazioni provenienti dal curatore, non è possibile anticipare l’emissione delle note di variazione Iva prima dei momenti citati senza incorrere in contestazioni da parte del Fisco.

Rimane comunque ferma la certezza che l’iva sul credito non incassato, pur con le tempistiche sopra viste, può essere recuperata totalmente dal creditore, a condizione che quest’ultimo abbia provveduto all’insinuazione allo stato passivo per poter dimostrare al Fisco che malgrado l’ammissione del credito questo è rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto.

In particolare posizione si troverà il creditore di una procedura concorsuale che venga chiusa per insufficienza di attivo, prima della discussione dello stato passivo (cfr. punto B di cui sopra); in tal caso il creditore non potrà far valere di fronte al Fisco la decorrenza dei termini per le osservazioni al decreto di esecutività del piano di riparto, ma dovrà dimostrare, non avendo a disposizione un provvedimento che dimostri l’ammissione alla procedura, di aver effettuato la prestazione o la cessione di beni al fallito e quindi dovrà provare, nella sostanza, l’esistenza del proprio credito.

Dal punto di vista del presupposto soggettivo pertanto assume cruciale importanza, innanzi tutto, l’insinuazione del creditore allo stato passivo; ma occorre domandarsi, da tale punto di vista, quali conseguenze comportino situazioni soggettive particolari quali

  1. la cessione del credito
  2. crediti derivanti da azione revocatoria

Nel primo caso la facoltà di emettere la nota di credito rimane, in base al dettato dell’art. 26 2° comma, comunque in capo al cedente del bene o fornitore del servizio.

Nel caso indicato al punto B, il creditore che venga colpito da revocatoria (ordinaria o fallimentare), non incidendo questa sull’operazione originaria, potrà emettere nota di variazione in diminuzione per il recupero dell’Iva sulla parte del credito rimasto insoddisfatto solo se avrà provveduto alla presentazione della domanda di insinuazione al passivo per le somme restituite alla procedura concorsuale.

In definitiva, i 22 euro del nostro esempio iniziale risultano essere interamente recuperabili, rispettando le condizioni citate, per lo sfortunato creditore.

B) Imposte dirette: Irpef / Ires

Ai fini della recuperabilità delle imposte dirette per il tramite della deduzione delle perdite sui crediti non recuperabili verso debitori insolventi, occorre fare riferimento alla normativa contenuta nell’art. 101 5° c. del Tuir.

Con tale articolo viene statuito un naturale automatismo di deduzione delle perdite sui crediti relativi a nominativi assoggettati a procedure concorsuali.

Tale preziosa previsione normativa si contrappone a quella sempre prevista nel medesimo articolo che pone invece a carico del creditore l’onere di provare l’esistenza di elementi certi e precisi per la deducibilità delle analoghe perdite realizzatesi verso debitori non assoggettati a procedure concorsuali.

Tale automatismo che pertanto opera ex lege, fino all’ano 2011 era applicabile sola alle seguenti procedure concorsuali:

  • Fallimento
  • Liquidazione coatta Amministrativa
  • Concordato preventivo
  • Amministrazione straordinaria

Per effetto del D.L. 83/2012 la deducibilità è ammessa già dall’anno 2012 anche in caso di omologazione di un accordo con il proprio debitore di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis del RD. 267/42.

Il passo in avanti conseguito con il D.L. 83/2012 andrebbe però completato con una previsione espressa dell’Agenzia delle Entrate che renda applicabile l’automatismo della deduzione anche ai creditori non aderenti agli accordi per i quali non è chiara la loro esenzione dall’onere della prova degli elementi certi e precisi di cui all’art. 101 5° c. Tuir.

Non consentirebbero invece l’applicazione della deduzione ex lege dell’automatismo citato i piani attestati di risanamento non essendo sottoposti al vaglio né di una maggioranza di creditori né a controlli dell’autorità giudiziaria.

Ma come deve essere valutata la perdita dei crediti e in base a quale documentazione?

Dall’articolo 101 non si desumono infatti principi da seguire nella determinazione delle perdite deducibili e pertanto non resta che rifarsi ad una circolare dell’Agenzia delle Entrate del 01/08/2013 n. 26   che ritiene applicabile il cosiddetto principio di derivazione dal bilancio in base al quale sono deducibili, in prima analisi, le perdite purché imputate a conto economico.

La stessa circolare precisa però anche che la valutazione e quantificazione deve avvenire attraverso un processo conforme ai principi contabili adottati dall’impresa e in particolare che la congruità della valutazione può essere dimostrata da tutti i documenti di natura contabile e finanziaria provenienti da un organo della procedura come ad esempio:

  • l’inventario redatto dal curatore ex art. 87 L.F.;
  • il piano redatto ex art. 160 L.F. nel concordato preentivo;
  • la relazione sulla situazione patrimoniale redatta dal commissario nella liquidazione coatta amministrativa.

Se la normativa sopra riassunta sembra essere sufficiente chiara per il creditore che vede sottoposto a procedura concorsuale un suo cliente, occorre anche chiedersi quali siano i comportamenti e le misure da assumere nel caso in cui il debitore insolvente non sia soggetto a procedure concorsuali e quindi quando non scatta l’automatismo della deducibilità ex lege.

La normativa, altrettanto articolata e recentemente modificata a favore dei creditori dalla legge dei stabilità 2014 (L. 147/2013), richiede necessariamente un approfondimento a parte che verrà affrontato con una successiva analisi.