Diritto

La mediazione tributaria

di Mariella Orlando

Sulla scia delle scelte operate in ambito civilistico il legislatore ha introdotto una procedura conciliativa obbligatoria anche con riferimento alla materia tributaria: nella specie, si tratta dell’art. 39, comma 9, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111) che ha inserito nel d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario), l’art. 17-bis, denominato “Il reclamo e la mediazione”. Tale disposizione ha previsto, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti dell’Agenzia delle entrate, notificati a decorrere dal 1 aprile 2012, un rimedio da esperire in via preliminare (c.d. reclamo) ogni qualvolta si intenda presentare un ricorso (comma 1), pena l’inammissibilità dello stesso.

Secondo l’Agenzia delle entrate[1], si tratterebbe di uno strumento deflattivo del contenzioso, con il quale si prevede la presentazione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso, nel senso che con essa il contribuente chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella successiva (ma eventuale) fase giurisdizionale[2].

Inoltre, è in facoltà del contribuente inserire nell’istanza una proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa (comma 7).

A sua volta, la Direzione (provinciale o regionale) che ha emanato l’atto, ove non intenda accogliere il reclamo volto al suo annullamento totale o parziale, formula d’ufficio una proposta di mediazione (comma 8). Tuttavia, in caso di mancata conclusione positiva della fase amministrativa di mediazione, il reclamo produce gli stessi effetti del ricorso (comma 9): in altri termini, detta disposizione considera l’azione giudiziaria già esercitata, richiedendo al contribuente, per l’attivazione del contenzioso, esclusivamente l’ordinario onere della costituzione in giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale[3].

Tramite tale istituto[4] è possibile definire la controversia, totalmente o parzialmente, prima della conclusione del procedimento di primo grado, con un eventuale riduzione delle sanzioni irrogate in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima.

Di recente la Commissione tributaria provinciale di Perugia[5] (sulla scia di quanto disposto nel 2012 sulla mediazione civile) ha sollevato la questione di legittimità costituzione sulla mediazione tributaria, disciplinato dall’art. 17 bis del D. Lgs. n. 546 del 1992. Ciò in quanto l’organo deputato a gestire l’eventuale fase di mediazione è pur sempre appartenente all’Agenzia delle Entrate e, quindi, privo del requisito della terzietà. Si tratti, difatti, di funzionari di uffici appartenenti all’amministrazione finanziaria, che non sono estranei al rapporto. Conseguentemente, anche se è vero che non si tratta degli stessi soggetti che fisicamente hanno formato l’atto impositivo, in ogni caso il vaglio della proposta del contribuente è affidata allo stesso soggetto in senso lato e all’Ufficio che è destinato ad essere contraddittore nell’eventuale fase contenziosa.

Viene rilevato –inoltre -che la presentazione del reclamo si sostanzia in una condizione di ammissibilità del ricorso che, in caso di mancata presentazione dell’istanza, va a precludere qualsiasi attività giudiziale, con la conseguente violazione dell’art. 24, primo comma,  Cost., secondo il quale “tutti possono agire in giudizio in difesa dei propri diritti e interessi legittimi”; violazione del dogma della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., nonché del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.

Oltretutto, sempre ad avviso dei giudici perugini, è ravvisabile una forte incongruenza tra i termini previsti in merito a detto istituto e quanto disposto in materia di accertamento esecutivo dall’art. 29, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, secondo il quale “le attività di riscossione relative agli tti emessi a partire dal 1 ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, sono potenziate mediante le seguenti disposizioni: l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’art. 15 del decreto del Presidente  della Repubblica  n. 602 del 1973”. Ciò in quanto, nell’attesa dell’esito del reclamo o mediazione, di fatto il contribuente è costretto a pagare, poiché l’accertamento diventa definitivo.

In tale fase amministrativa, il contribuente non gode neanche di tutela cautelare posto che il contenzioso non è ancora pendente. Inoltre, sempre secondo i giudici perugini, vi è l’incostituzionalità  per violazione art. 3 Cost. , nella misura in cui l’art. 17 bis ne limita l’applicazione alle controversie di valore non superiore a ventimila euro, relativi ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate e non anche a quelli provenienti da altri Enti impositori. Ciò comporta che i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi si trovano ad avere maggiore tutela giuridica rispetto ai contribuenti cui pervengono atti dall’amministrazione finanziaria che devono attenersi all’iter procedurale previsto dalla norma di cui si dubita della costituzionalità[6].

In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità o meno dell’istituto del reclamo/mediazione di cui all’art. 17 bis,  analizziamo i requisiti  e le caratteriste –anche sulla base delle circolari n. 9/E del 19 marzo 2012 e n. 33/E del 3 agosto 2012 – della mediazione tributaria ad oggi ancora in vigore.

Ambito di applicazione.

La mediazione tributaria è istituto diverso dalla mediazione disciplinata dal decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28[7] (cd. mediazione civile) , che opera relativamente alla “conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili” (articolo 2 del medesimo D.Lgs. n. 28 del 2010).

In ambito tributario, la mediazione è prevista dall’articolo 17- bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti…”.

Il legislatore ha, quindi, individuato, sulla base di specifici criteri, una tipologia di controversie, in relazione alle quali il ricorso deve essere preceduto da una fase preliminare di carattere amministrativo.

Nella specie, i criteri individuati dalla norma attengono:

1) alla tipologia di atto impugnato;

2) alla parte resistente nell’eventuale giudizio;

3)  al valore della controversia.

La contestuale sussistenza dei requisiti sopra indicati impone a chi intenda proporre ricorso di esperire preventivamente e obbligatoriamente la procedura di mediazione.

Come più ampiamente si osserverà in seguito, la norma stabilisce una stretta connessione tra la proposizione del ricorso e l’istanza di mediazione, per effetto della quale è necessaria una sostanziale coincidenza tra quest’ultima e il contenuto del ricorso, così come individuato dagli articoli 18 e seguenti del D.Lgs. n. 546 del 1992.

1)      Tipologia atto impugnato[8].

Sono oggetto di mediazione, in particolare, le controversie relative a:

– avviso di accertamento del tributo;

– avviso di liquidazione del tributo;

– provvedimento che irroga le sanzioni;

– ruolo;

– rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e

interessi o altri accessori non dovuti;

– diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione

agevolata di rapporti tributari;

– ogni altro atto per il quale la legge prevede l’autonoma impugnabilità.

Devono invece ritenersi esclusi [9] dalla fase di mediazione tributaria i ricorsi con cui si impugnano gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, in quanto tali atti, anche se emessi dagli Uffici Provinciali – Territorio dell’Agenzia e previsti dall’articolo 19, comma 1, lettera f), del suddetto decreto legislativo, sono caratterizzati da un “valore” non determinabile ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 3.

Si ricorda, infatti, che, il citato comma 3 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, prevede che il valore delle controversie alle quali si applica la mediazione “… è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12” del medesimo decreto legislativo.

Per valore, dunque, deve intendersi “l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.

Al riguardo, vanno pertanto ribaditi i chiarimenti forniti della circolare 19 marzo 2012, n. 9/E, ove si sottolinea che “poiché l’art. 17-bis richiede che la controversia sia contraddistinta da un valore espressamente individuato, restano escluse dalla fase di mediazione le fattispecie di valore indeterminabile”.

Sul tema, si evidenzia anche che la circolare del Dipartimento delle Finanze n. 1/DF del 21 settembre 2011 – in tema di introduzione del contributo unificato nel processo tributario – ha precisato che “le controversie inerenti le operazioni catastali … si configurano di valore indeterminabile”. Di contro, il contribuente deve esperire la fase della mediazione qualora oggetto di contestazione sia non solo la rendita attribuita, ma anche il tributo liquidato e/o i relativi accessori ovvero le sanzioni irrogate con il medesimo atto.

Si pensi, a titolo esemplificativo, al ricorso con il quale il contribuente impugna l’atto di attribuzione della rendita presunta di cui all’articolo 19, comma 10, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, al fine di contestare i correlati tributi speciali catastali, relativi accessori e sanzioni. Non possono formare oggetto di mediazione tributaria, invece, i ricorsi con cui, con l’impugnazione dell’avviso di liquidazione o di accertamento emesso dal Comune, si contesti anche la rendita catastale. Relativamente alle contestazioni in ordine ai tributi richiesti dall’Ente Locale, infatti, difetta il requisito della riconducibilità dell’atto impositivo alle attività dell’Agenzia delle Entrate. Per quanto riguarda le contestazioni in merito alla rendita, le stesse, come detto, si configurano come di valore indeterminabile e dunque alle stesse non trova comunque applicazione l’istituto in esame.

2)      Parte resistente nell’eventuale giudizio.

Il comma 1 dell’art. 17 bis del D. Lgs. n. 546 del 1992 trova applicazione limitatamente alle controversie concernenti atti emessi dall’Agenzia delle entrate. Di conseguenza, tra i requisiti posti dalla norma in commento vi è la legittimazione processuale passiva dell’Agenzia delle entrate nell’eventuale, successivo processo.

Ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992, “il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”.

In caso di atti suscettibili di reclamo emanati dall’Ufficio Provinciale- Territorio, l’istanza deve essere notificata a quest’ultimo.

Infatti, dato il nesso che sussiste tra l’articolo 17-bis e il ricorso giurisdizionale, nel procedimento in esame deve ritenersi applicabile, sebbene non espressamente richiamato, l’articolo 10 del D.Lgs. n. 546 del 1992 ove dispone che è parte nel processo tributario (e quindi competente a ricevere l’istanza di mediazione) “l’ufficio … che ha emanato l’atto impugnato”.

Al fine della trattazione delle istanze, le “strutture diverse ed autonome” da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili sono individuate nell’ambito delle strutture di staff, alle dirette dipendenze del Direttore dell’Ufficio Provinciale-Territorio[10].

3)      Valore della controversia.

Il nuovo istituto trova applicazione con riferimento alle controversie di  valore non superiore a ventimila euro. Ai sensi del comma 3 dell’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, il valore della controversia “è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 12”.

Nella specie il secondo periodo del predetto articolo 12, comma 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992 dispone che “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato: in caso di controversie  relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.

Da ciò deriva che:

-Qualora un atto si riferisce a più tributi il valore deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contribuente;

-In presenza di impugnazione cumulativa avverso una pluralità di atti, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo oggetto dell’istanza di mediazione e la contestazione formulata dal contribuente, richiesto dall’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, impone di individuare il valore della lite con riferimento a ciascun atto impugnato con ricorso cumulativo.

Relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore della controversia va invece determinato tenendo conto dell’importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori.

Nel caso in cui l’istanza di rimborso riguardi più periodi d’imposta, occorre fare riferimento al singolo rapporto tributario sottostante al singolo periodo d’imposta. Pertanto, in tali ipotesi il valore della lite è dato dall’importo del tributo richiesto a rimborso per singolo periodo di imposta.

Ad esempio, se con una determinata istanza si richiede il rimborso di tributi afferenti a più periodi d’imposta e per uno solo di essi l’importo richiesto a rimborso non supera i ventimila euro, per quest’ultimo il contribuente deve presentare istanza di mediazione prima della eventuale instaurazione del giudizio.

 

Procedura.

Con l’istanza  proposta ai sensi dell’art. 17 bis in commento, il contribuente – oltre a sottoporre in via preventiva alla competente struttura dell’Agenzia delle Entrate i motivi per i quali intende chiedere al Giudice tributario l’annullamento, totale o parziale, dell’atto – può anche formulare una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

Inoltre, in tema di oppugnabilità del rifiuto tacito alla restituzione di tributi, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che se il rifiuto tacito (decorso i novanta giorni dalla proposizione dell`istanza di rimborso) si è già formato alla data del 1° aprile 2012, l`impugnazione del silenzio rifiuto segue il vecchio rito ovvero deve essere impugnata direttamente avanti la commissione tributaria provinciale; se invece i novanta giorni dall`istanza scadono dopo il 1° aprile, si applica il nuovo rito e dunque si dovrà far riferimento alla procedura di reclamo prevista dall’art. 17 bis.

Il nuovo istituto produce due effetti:

-Da una parte, svolge una funzione pre- processuale di “chiamata in giudizio dell’agenzia “;

-Dall’altra, avvia una fase amministrativa nel corso della quale il contribuente e la stessa Agenzia delle entrate possono giungere ad una rideterminazione della pretesa tributari ovvero dell’importo chiesto a rimborso.

E’ evidente che gli elementi di fatto e diritto nell’istanza proposti dal contribuente nei confronti dell’Agenzia delle entrate devono coincidere con i motivi di impugnazione proposti nel ricorso.

E’ in ragione di tale coincidenza che, a seguito dell’inutile decorso della fase di mediazione, l’istanza può produrre gli effetti del ricorso giurisdizionale.

Ciò comporta che:

-I motivi esposti nell’istanza devono coincidere integralmente con quelli del ricorso, a pena di inammissibilità;

-Il ricorso depositato nella segreteria della Commissione tributari provinciale deve essere conforme a quello consegnato o spedito alla Direzione con l’istanza di mediazione, a pena di inammissibilità dello stesso.

Tanto premesso, per individuare il contenuto dell’istanza, occorre fare riferimento ai commi 6 e 7 dell’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992,  ove si prevede che al procedimento  in esame si applicano le disposizioni disciplinanti il ricorso di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto compatibili, e che l’istanza introduttiva dello stesso “può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa”.

Effetti

La produzione del reclamo sospende i termini per ricorrere alla Commissione Tributaria Provinciale:

  • per novanta giorni in caso di mancata risposta della Direzione interpellata;
  • fino alla comunicazione del rifiuto espresso di accoglimento dell`istanza;
  • fino alla comunicazione dell`accoglimento parziale dell`istanza.

Il reclamo non e` soggetto a bollo e va notificato alla Direzione Provinciale o Regionale competente nelle modalità previste per il ricorso, completo di copie dell`atto impugnato e dei documenti da produrre alla Commissione Tributaria Provinciale in caso di mediazione infruttuosa; con istanza motivata inclusa nel reclamo, contenente la rideterminazione della pretesa tributaria, il contribuente può` altresì proporre la mediazione della lite.

Riprendendo le ipotesi sopra esposte, il reclamo notificato alla amministrazione finanziaria produce gli effetti del ricorso se:

  • decorsi novanta giorni l`istanza di reclamo non e` stata accolta o non si e` conclusa la mediazione;
  • l`agenzia delle entrate respinge espressamente il reclamo o lo accoglie solo parzialmente.

Dal momento sopra individuato, riprendono a decorrere i termini per la costituzione in giudizio davanti alla Commissione Tributaria Provinciale; in quella sede, all`atto del deposito del fascicolo di parte andrà allegato il pagamento del contributo unificato.

La mediazione.

Accertata l’ammissibilità dell’istanza e verificata l’impossibilità di procedere ad un annullamento dell’atto impugnato, l’Ufficio valuta attentamente la sussistenza dei seguenti presupposti per la mediazione, individuati dall’art. 17 bis:

–          incertezza delle questioni controverse;

–          grado di sostenibilità della pretesa;

–          principio di economicità dell’azione amministrativa.[11]

Se sussistono i presupposti per l`accoglimento integrale della proposta del contribuente, l`ufficio può invitare il medesimo a sottoscrivere il relativo accordo. In mancanza, la mediazione può essere proposta dall`ufficio o quest`ultimo può invitare il contribuente al contraddittorio. Nel caso in cui la mediazione venga raggiunta, le sanzioni sono applicabili nella misura del 40% dell`irrogabile  (e comunque in misura non inferiore al 40% del minimo edittale). Raggiunto l`accordo con la sottoscrizione delle parti, si applicano per il pagamento le disposizioni previste in tema di conciliazione giudiziale (pagamento entro venti giorni dell`intero o della prima rata).  In particolare,l’accordo di mediazione costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto ovvero per l’iscrizione a ruolo, in applicazione del comma 3 dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

A seguito del perfezionamento della mediazione, la pretesa tributaria viene definitivamente rideterminata nella misura fissata dall’accordo di mediazione e il rapporto giuridico tributario, sottostante l’atto impugnato, si intende definito e non ulteriormente contestabile. In altri termini, con il versamento di tutte le somme dovute, la pretesa tributaria risulta integralmente soddisfatta.

Nelle ipotesi di versamento rateale, l’atto originariamente impugnato perde efficacia a seguito del pagamento della prima rata. A fronte del mancato pagamento di una delle rate successive, l’Ufficio procede alla riscossione delle somme dovute, sulla base del titolo esecutivo rappresentato dall’accordo di mediazione.

In considerazione della definizione del rapporto tributario, intervenuta per effetto del perfezionamento della mediazione, la cartella di pagamento, emessa in caso di mancato versamento di una delle rate successive alla prima, può essere impugnata solo per vizi propri. A seguito del perfezionamento, la mediazione non è impugnabile in quanto viene meno l’interesse ad agire in giudizio: l’eventuale ricorso sarebbe inammissibile. In assenza del versamento integrale delle somme dovute, la mediazione non si perfeziona e l’atto originario, avverso il quale il contribuente ha proposto l’istanza, continua a proporre effetti. Conseguentemente, il contribuente può decidere di:

–          agire in giudizio ex art. 22 del D. Lgs. n. 546 del 1992;

–          desistere dal contenzioso: in tal caso, decorso il termine di cui all’art. 22 del D. Lgs. n. 546 del 1992, l’atto oggetto di istanza diviene definitivo e l’ufficio procede alla conseguente riscossione.

Invece, in assenza dei presupposti per l’annullamento dell’atto o per la conclusione della mediazione, l’ufficio comunica al contribuente il provvedimento di diniego, dove sono esposte le ragioni di fatto e diritto su cui si fonda la pretesa tributaria e sono descritte le attività svolte nel corso del procedimento di mediazione, pertanto il contribuente potrà agire giudizialmente innanzi alla Commissione tributaria provinciale competente.

 


[1] Così Agenzia entrate, Direzione Centrale Affari Legali, Circ. 9/E, 19 marzo 2012, in http://www.finanze.gov.it/export/download/novita2012/cir9e_del_19.03.12.pdf.

[2] M. BASILAVECCHIA, Dal reclamo al processo, in Corriere tributario, 2012.

[3] G. MARINI, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, in Corriere tributario, 2012,

[4] La deflazione del contenzioso – che costituisce un obiettivo primario per l’Agenzia delle entrate (cfr. circolare n. 22/E del 26 maggio 2011) – viene in tal caso perseguita in fase amministrativa, prima della eventuale instaurazione del giudizio. Proprio per tale motivo, la procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il “rinvio” ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie. Considerata la ratio della normativa in esame, che “introduce un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia delle entrate”, la mediazione tributaria rende difficilmente giustificabile l’instaurazione del contenzioso in presenza di istanze fondate e concretamente mediabili. E’, quindi, presumibile, oltre che fortemente auspicabile, che gli esiti della nuova attività amministrativa possano offrire rilevanti contributi al fine sia di diminuire il numero dei giudizi tributari instaurati sia di contribuire a sviluppare la tax compliance.

[5] Anche la CTP di Campobasso, sez XII, ordinanza n. 17.4.2013 n. 75 ha rimesso gli atti alla Consulta per violazione degli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 Cost.

[6] Villani M., Mediazione tributaria: in attesa della Consulta auspicabile intervento legislativo, da www.altalex.it del 10.5.2013.

[7] Il D.Lgs. n. 28 del 2010 riguarda “Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”.

[8] Il comma 1 dell’articolo 17-bis del D. Lgs. n. 546 del 1992 dispone l’applicazione del nuovo istituto alle controversie aventi ad oggetto gli “atti emessi dall’Agenzia delle entrate”. Il successivo comma 6 stabilisce che “Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12, 18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili”. Dal combinato disposto delle norme sopra citate emerge che il contribuente deve esperire la fase amministrativa ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati dall’articolo 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle entrate, e il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro.

[9] Non sono, invece, oggetto di mediazione le controversie concernenti gli altri atti elencati dall’articolo 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, i quali, pur essendo impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, non sono emessi dall’Agenzia delle entrate e, di norma, non sono riconducibili all’attività della stessa.

Si tratta, più precisamente, dei seguenti atti:

– cartella di pagamento

– avviso di mora di cui alla lett. e) dell’articolo 19, comma 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992; peraltro, tale atto è stato soppresso e sostituito dall’avviso di intimazione di cui all’articolo 50, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;

– iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del DPR n. 602 del 1973, prevista dalla lett. e-bis) del medesimo articolo 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992;

– fermo di beni mobili registrati, di cui all’articolo 86 del DPR n. 602 del 1973, elencato sub lett. e-ter)

dell’articolo 19, comma 1;

– atti relativi alle operazioni catastali, indicate nell’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Resta inteso, tuttavia, che, nel caso in cui eccepisca la mancata notifica di un atto presupposto riconducibile all’attività dell’Agenzia delle entrate, il contribuente è comunque obbligato a presentare preliminarmente l’istanza di mediazione.

Il comma 1 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 trova applicazione limitatamente alle controversie concernenti atti emessi dall’Agenzia delle entrate.

Di conseguenza, tra i requisiti posti dalla norma in commento vi è la legittimazione processuale passiva dell’Agenzia delle entrate nell’eventuale, successivo processo.

Al riguardo occorre precisare quanto segue, con particolare riferimento alle controversie relative agli atti emessi dall’Agente della riscossione, quale, ad esempio, la cartella di pagamento che, come ricordato nei precedenti punti, di norma non rientra tra gli atti per i quali l’articolo 17-bis prevede la fase di mediazione:

a) se il contribuente solleva contestazioni attinenti esclusivamente a vizi propri della cartella di pagamento – quali, ad esempio, le eccezioni relative alla ritualità della notifica – la controversia non può essere oggetto di

mediazione;

b) nel caso in cui impugni la cartella di pagamento sollevando vizi riconducibili solo all’attività dell’Agenzia delle entrate e la relativa controversia sia di valore non superiore a ventimila euro, il contribuente deve preventivamente esperire il procedimento di mediazione;

c) qualora il contribuente, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, formuli eccezioni relative sia all’attività svolta dall’Agenzia sia a quella dell’Agente della riscossione, si possono verificare le seguenti ipotesi:

c.1) Il contribuente notifica il ricorso solo all’Agente della riscossione

In questo caso, l’Agente della riscossione ha l’onere di chiamare in causa l’Agenzia delle entrate, considerato che, ai sensi dell’articolo 39 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite“. Intervenendo in giudizio, la Direzione  eccepisce, limitatamente alle contestazioni sollevate in relazione all’attività dell’Agenzia, l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 546del 1992, in base al quale “La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”. In subordine, la stessa Direzione si difende nel merito, mentre l’Agente della riscossione svolge la propria difesa per quanto concerne i vizi propri della cartella di pagamento, riconducibili quindi alla propria attività, non operando rispetto a questi la previsione di inammissibilità di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992;

c.2) Il contribuente avvia la fase di mediazione nei confronti dell’Agenzia, senza notificare il ricorso all’Agente della riscossione.

In tale ipotesi, trova applicazione l’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione alle contestazioni riguardanti l’Agenzia delle entrate. In ipotesi di mancata conclusione favorevole della mediazione, il contribuente potrà valutare l’eventuale prosecuzione del contenzioso, mediante la costituzione in giudizio nei termini individuati dal combinato disposto dell’articolo 17-bis, comma 9, e dell’articolo 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992;

c.3) Il contribuente notifica il ricorso all’Agente della riscossione e contestualmente avvia la fase di mediazione con l’Agenzia delle entrate.

Anche in tal caso trova applicazione il procedimento di cui all’articolo 17- bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. Si ricorda, infine, che l’articolo 17-bis non trova applicazione né con riferimento alle controversie aventi ad oggetto atti di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con l’ordinamento comunitario né a quelle inerenti alle relative cartelle di pagamento, emesse per la riscossione delle somme dovute, anche se negli eventuali giudizi dovessero essere sollevati vizi attinenti all’iscrizione a ruolo e, come tali, riconducibili all’attività dell’Agenzia delle entrate.

In proposito si ribadisce che “il termine “atto volto al recupero” si intende riferito a tutti gli atti o provvedimenti emessi al fine del recupero di un aiuto di Stato dichiarato illegittimo, comprendendovi, quindi, anche gli atti tipici della fase di riscossione rientranti nella giurisdizione delle Commissioni tributarie” (circolare n. 42/E del 29 aprile 2008).

[10] Circolare Agenzia delle Entrate n. 49/T del 28 dicembre 2012.

[11] Ai sensi dell’art. 1, comma 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 “l’attività amministrativa è retta da criteri di economicità, di efficienza, di imparzialità di pubblicità e di trasparenza”. Il principio di economicità va inteso non solo come necessità di ottimizzazione economica delle risorse, ma altresì come ottimizzazione dei procedimenti, vale a dire come impegno a non gravare il procedimento amministrativo di oneri inutili e dispendiosi, cercando di realizzare una rapida ed efficiente conclusione della propria attività amministrativa, nel rispetto degli altri principio di legalità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza.