Economia

La Procreazione Medicalmente Assistita di Tipo Eterologo: un diritto a carico del servizio sanitario pubblico?

(di Federico Pennestrì)

ABSTRACT

    La Sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale ha riposto il tema della fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo al centro del dibattito etico, politico e sanitario italiano. Il tema può essere sviluppato su tre livelli. Un primo livello, legato ad una dimensione morale e individuale, concerne la liceità della prestazione medica stessa: è giusto ricorrere alla fecondazione eterologa? I livelli successivi, invece, sono legati ad una dimensione politica e pubblica. Il secondo concerne l’autorizzazione ad erogare la prestazione da parte dei centri in grado di farlo: si può fare la fecondazione eterologa? Il terzo concerne infine il diritto (o meno) da parte dei cittadini di fruire della prestazione a carico del servizio sanitario nazionale, vale a dire in regime universale e (almeno parzialmente) gratuito: si deve fare l’eterologa?

    Gli attori politici e istituzionali chiamati a prendere posizione hanno espresso pareri divergenti, in particolare per quanto riguarda il terzo livello, relativo alle modalità di finanziamento della prestazione. Nel Gennaio 2015 il Ministero della Salute ha inserito la fecondazione eterologa nella Bozza dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, vale a dire le prestazioni che il servizio sanitario nazionale deve garantire a tutti i cittadini. Al momento in cui scriviamo, la bozza deve ancora passare al vaglio della Conferenza Permanente per i Rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome.

    In attesa di tali sviluppi, sosteniamo che gran parte della controversia etica e politica sulla fecondazione eterologa sia dovuta ad una confusione fra diversi livelli, motivo per cui riteniamo utile farvi luce da molteplici punti di vista: la sua evoluzione giuridica, le sue implicazioni economiche e la sua rilevanza in termini di diritto alla salute. Lo scopo che ci prefissiamo è di fornire al lettore gli strumenti necessari ad orientarsi in modo più chiaro e deciso all’interno di un tema di grande attualità e significato in rapporto alle ambizioni del welfare italiano.

La fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Tre livelli.

   La fecondazione medicalmente assistita consiste in un insieme di tecniche atte a sostituire artificialmente parte del processo riproduttivo naturale, in modo tale da garantire che l’ovulo venga fecondato da parte dello spermatozoo. Distinguiamo due forme di fecondazione medicalmente assistita.

   La procreazione medicalmente assistita di tipo omologo (d’ora in poi PMA omologa) consente a coppie capaci di concepire di unire i rispettivi gameti e portare a termine la gravidanza, laddove questa sia complicata da patologie reversibili di vario genere. Nel caso della PMA omologa le due persone che producono i gameti (i genitori biologici) sono le stesse che intendono ottenere il bambino che nascerà dalla loro unione (che chiamiamo genitori affettivi).

   La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (d’ora in poi PMA eterologa) consente invece a coppie incapaci di concepire di ovviare alla mancanza di uno o entrambi i gameti ricorrendo alla donazione da parte di una persona esterna (1). La prestazione si rivolge a diverse categorie di potenziali pazienti: persone affette da sterilità, ovvero da patologie che impediscono loro di concepire in modo permanente (nel loro caso servirà ottenere il gamete corrispondente al sesso del partner sterile: lo spermatozoo se ad essere sterile è il maschio, l’ovocita se è la femmina); persone single o vedove, che mancano del gamete del partner (nel loro caso servirà ottenere il gamete corrispondente al sesso del partner assente); coppie omosessuali, in cui entrambi i componenti dispongono dello stesso gamete (nel loro caso servirà ottenere il gamete corrispondente al sesso diverso da quello della coppia: lo spermatozoo se si tratta di omosessuali femmine, l’ovocita se si tratta di omosessuali maschi)(2). Nel caso della PMA eterologa, perciò, almeno un genitore biologico non corrisponde al genitore affettivo dello stesso sesso (3).

   Entrambe le tecniche possono avvenire in vivo o in vitro. Avvengono in vivo quando il gamete maschile viene prelevato e inserito nel grembo materno, affinché fecondi il gamete femminile presente al suo interno. Avvengono in vitro, invece, quando entrambi i gameti vengono prelevati e uniti artificialmente in provetta, per essere successivamente impiantati in fase embrionale all’interno del grembo materno (4). La scelta dell’una o dell’altra tecnica dipende da circostanze di cui non discuteremo. Basti per ora sottolineare che la seconda tecnica, a causa della maggiore complessità, incide maggiormente sul costo della prestazione medica.

   La PMA eterologa, coinvolgendo nel processo riproduttivo almeno una persona esterna alla coppia, il cd. genitore biologico, suscita oggi più della PMA omologa rilevanti interrogativi dal punto di vista etico, politico e sanitario. Dal punto di vista etico, ci si chiede se la prestazione sia moralmente lecita. Dal punto di vista sanitario, si valuta la sua rilevanza in termini del miglioramento di salute che è in grado di arrecare. Il decisore politico, infine, stabilisce se la prestazione possa essere erogata dal sistema sanitario nazionale ed eventualmente chi debba finanziarla (il sistema stesso o il cittadino)(5). Il dibattito sulla PMA eterologa è particolarmente complesso proprio perché avviene su più livelli. Per chiarire le ragioni che lo animano e di conseguenza orientare la propria posizione, può essere utile svilupparlo su tre in particolare.

   Un primo livello è di carattere etico, e verte sull’opinione individuale circa la legittimità della prestazione da un punto di vista morale. La domanda, a questo livello, è: è giusto ricorrere alla PMA eterologa? I livelli successivi sono invece legati a scelte pubbliche. Al secondo si discute l’erogabilità della prestazione: si può fare la PMA eterologa? A questo livello è chiaro come incida la scelta etica che lo precede, tuttavia ci interessa in questa sede sottolineare la sua rilevanza a livello pubblico: i centri attrezzati ad erogare la prestazione sono autorizzati a farlo? Al terzo livello, infine, si discute se la prestazione debba essere erogata a carico del sistema sanitario nazionale, in funzione del diritto alla salute che questo è chiamato a garantire in base all’art. 32 della Costituzione: si deve fare la PMA eterologa?

   L’obiettivo di questo contributo è distinguere i tre livelli del discorso per meglio comprendere lo stato attuale della vicenda, alla luce degli sviluppi che lo hanno preceduto e soprattutto delle implicazioni che essa svolge in relazione agli obiettivi e alla sostenibilità del welfare sanitario pubblico. Nei prossimi paragrafi approfondiremo ciascuno dei tre livelli. Ci soffermeremo sul primo – è giusto? – limitandoci a descrivere le principali posizioni che animano il dibattito, nella misura in cui queste ci aiutano a comprendere i passi successivi. Risponderemo al secondo – si può? – ricostruendo la vicenda dal punto di vista giuridico. Apriremo degli spunti di riflessione al terzo – si deve? – facendo il punto sulla situazione italiana attuale.

PMA eterologa. È giusto farla?

   Non vogliamo in questa sede esprimere la nostra posizione sulla moralità della pratica. Come anticipato ci limitiamo dunque a descrivere brevemente, e semplificare, le posizioni che costituiscono il dibattito al primo livello, nella misura in cui queste ci aiutano a procedere a livelli successivi.

   Poste queste premesse, distinguiamo tre posizioni principali. Una favorevole alla pratica, una contraria, una moralmente indifferente. Chi è favorevole tende ad esserlo in virtù del diritto alla salute che essa è chiamata a garantire. Questo sia in senso strettamente biomedico, in riferimento alla patologia che si intende superare (la sterilità, appunto), sia in senso psicosociale, in riferimento alle conseguenze che tale patologia può arrecare all’equilibrio complessivo della coppia e dei suoi componenti. La salute riproduttiva, da questo punto di vista, è considerata parte integrante del diritto alla genitorialità e della libertà di autodeterminazione, specialmente in forza delle pressioni sociali e culturali che paiono incidere sulla percezione dell’incapacità di riprodursi (6). Ciò assume particolare pertinenza alla luce della concezione olistica della salute promulgata nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza di malattia o infermità”. In questo quadro, la PMA eterologa permette di superare tutte le difficoltà connesse all’impedimento naturale di avere un figlio, preservando contemporaneamente la stabilità della coppia. Vedremo nel paragrafo successivo come queste ragioni abbiano inciso nella Sentenza della Corte Costituzionale Italiana che ha difeso l’erogabilità della prestazione.

   Chi è contrario alla pratica, invece, tende ad appellarsi all’indisponibilità della vita umana alla manipolazione per mezzo di tecniche artificiali. Da questo punto di vista, le riserve nei confronti della PMA eterologa sono molteplici: essa viola la naturalezza della riproduzione e l’intimità dell’atto sessuale, che sono integrati se non addirittura sostituiti da fredde procedure mediche, meccaniche e spersonalizzanti; viola la natura della genitorialità, nella misura in cui subentra un terzo incomodo, il donatore, che trasmette i propri geni al bambino pur consapevole che non sarà lui ad accoglierlo e presumibilmente a crescerlo fin dalla nascita; mette a rischio la stabilità della famiglia, qualora il genitore non biologico che è stato sostituito nel processo di riproduzione senta il figlio meno suo; mette a rischio la stabilità della famiglia anche in un secondo senso, qualora il bambino voglia conoscere il proprio genitore biologico, identificando eventualmente lui come “vero” genitore; viceversa, mette a rischio la salute psicologica del bambino stesso qualora questo cresca consapevole di non poterlo (7); viola il modello tradizionale di famiglia, allargandolo a coppie omosessuali i cui effetti sulla crescita del bambino possono essere destabilizzanti; riduce il donatore a uno strumento, vale a dire colui che partecipa al processo medico alla stregua di qualsiasi altro dispositivo utile alla fecondazione.

   Da questo punto di vista la PMA eterologa non preserva l’equilibrio della coppia, ma lo mette in crisi. Per quanto riguarda poi l’aspetto strettamente biologico della salute riproduttiva, vale a dire la sterilità, la PMA eterologa non cura la patologia, ma la aggira. La prestazione infatti non guarisce dalla sterilità, ma individua un’alternativa all’incapacità di concepire attraverso il ricorso al terzo (o quarto) genitore, quello biologico (8). Infine, per completezza, le resistenze nei confronti della PMA eterologa si appellano non di meno alle conseguenze che la creazione di embrioni in vitro può implicare in termini di strumentalizzazione della vita umana (9).

   Una terza posizione è quella di chi non attribuisce particolare significato morale alla prestazione, verso il quale è indifferente, ma presta attenzione alla sua dimensione economica e pubblica, specialmente in relazione all’incidenza sui costi del sistema sanitario nazionale. La posizione di queste persone, che chiamiamo moralmente indifferenti, sarà più comprensibile quando giungeremo al terzo livello del nostro percorso.

PMA eterologa. Si può fare?

   La Legge 40 del 19 Febbraio 2014 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” ha regolamentato l’accesso alle tecniche di supporto alla riproduzione ponendo fine a una situazione poco chiara. “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita […] qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità. […] Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è […] comunque circoscritto ai casi di sterilità o infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico” (art. 1, art. 4 c. 1).

   L’articolo 12 comma 2 definisce il profilo della coppia che può accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, i cui componenti devono essere entrambi vivi, maggiorenni, eterosessuali e coniugati o conviventi. Da queste tecniche, tuttavia, è perentoriamente esclusa la PMA eterologa: “È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” (art. 4 c. 3).

   Il divieto di ricorrere a tale prestazione, unitamente alla mancanza di argomentazioni in suo supporto, ha reso la Legge 40 oggetto di numerose critiche, giunte a sintesi dieci anni dopo, il 9 Aprile 2014, con la Sentenza 162 della Corte Costituzionale, che lo ha dichiarato illegittimo. La Sentenza ha richiamato gran parte delle ragioni che abbiamo sollevato al paragrafo precedente, sia per avallarle, sia per confutarle. Le ripercorriamo brevemente. Il divieto contenuto nella Legge 40 viola l’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare: impedire il ricorso alla prestazione lede il diritto all’identità e all’autodeterminazione della coppia in ordine alla sua genitorialità; il divieto viola gli artt. 2, 29 e 31 della Costituzione Italiana, legati al diritto fondamentale della coppia di formare una famiglia ed avere dei figli; viola gli artt. 3 e 32 della stessa Costituzione, non tutelando l’integrità fisica e psichica della coppia stessa; nega insomma ogni riferimento ai diritti fondamentali alla salute e all’autodeterminazione.

   La Sentenza prosegue prendendo in considerazione alcune delle obiezioni rilevanti avanzate da coloro che sono contrari all’erogazione della prestazione: la frattura fra genitorialità biologica e affettiva avviene già nel caso dell’adozione, che è pur tuttavia consolidato, accettato e regolamentato; l’eventuale instabilità psicologica del nascituro, legata alla conoscenza di un solo genitore biologico, è di importanza inferiore rispetto alla violazione del suo diritto di venire alla vita; tale instabilità è peraltro scientificamente indimostrata, come sottolineano diversi studi, fra cui quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

   Secondo la Corte esistono altre ragioni, di carattere epidemiologico e socio-sanitario, per cui è opportuno autorizzare la PMA eterologa: in primo luogo la crescente diffusione di fenomeni di sterilità maschile e femminile nelle società occidentali; in secondo luogo la necessità di contrastare i fenomeni di turismo procreativo verso paesi in cui la prestazione è accessibile ma ad una qualità inferiore e potenzialmente nociva. La Legge 40 conterrebbe infine una contraddizione interna: a parità di sostegno alla procreazione come forma di garanzia del diritto alla salute riproduttiva e all’autodeterminazione, non è argomentato perché sia ammessa la PMA omologa e non la PMA eterologa. Il divieto in questo senso non solo è irrazionale, ma produce altresì una forma di discriminazione nei confronti delle coppie affette dalla patologia più grave: le coppie che intendono accedere alla PMA eterologa, la cui patologia, diversamente da quelle che intendono accedere alla PMA omologa, è irreversibile, devono infatti recarsi all’estero, facendosi carico delle spese legate ai trasporti e alla prestazione. Poste queste premesse, la Sentenza stabilisce che l’accesso alla PMA eterologa è rivolto esclusivamente a pazienti di cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assoluta e documentata da atto medico, in continuità con i requisiti definiti dalla Legge 40 in relazione alla PMA omologa.

   Per concludere, la Sentenza 162 liberalizza di principio la PMA eterologa, confermando il profilo di chi può accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita e ponendo fine alle discriminazioni di natura patologica ed economica imputate alla Legge 40. La PMA eterologa si può fare. Di fatto, però, la Sentenza non ci dice se e come l’eterologa si debba fare. Vale a dire, dal nostro punto di vista, quali siano le tariffe della prestazione e in che misura queste vadano a carico del cittadino che intende accedervi.

PMA eterologa. Si deve fare?

   Per comprendere meglio quale domanda ci poniamo chiedendoci se la PMA eterologa si debba fare è utile porre alcune semplici ma utili premesse. Il Sistema Sanitario Nazionale offre un servizio universale e gratuito finanziato dalla fiscalità generale. Attraverso la tassazione dei cittadini, esso è chiamato a garantire la protezione del diritto alla salute, per come espresso dall’art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Concretamente, il Sistema si impegna a prendere in carico tale diritto definendo i Livelli Essenziali di Assistenza (d’ora in poi LEA), vale a dire il nucleo fondamentale di prestazioni che attraverso la mediazione del Servizio Sanitario Regionale devono essere erogate a tutti i cittadini, a titolo gratuito oppure dietro pagamento di una quota di compartecipazione (il ticket sanitario). Lo Stato decide quali siano i LEA e delega il loro adempimento alle Regioni, consentendo loro di erogare a proprio carico eventuali prestazioni aggiuntive. I LEA definiscono quali prestazioni sono erogate dal sistema sanitario in regime gratuito, quali sono parzialmente a carico del cittadino, e quali sono interamente a carico di quest’ultimo. Esempi di prestazioni parzialmente a carico del cittadino sono l’assistenza odontoiatrica e la maggior parte degli esami diagnostici, mentre la chirurgia estetica non conseguente ad incidenti e la circoncisione rituale maschile sono esempi di prestazioni interamente a carico del cittadino.

   Alla luce di queste premesse torniamo ora PMA eterologa, e chiediamoci se la prestazione, una volta autorizzata dalla Sentenza 162, debba essere erogata a carico del sistema – la PMA eterologa si può e si deve fare – oppure se essa sia erogata dal sistema, ma a carico del cittadino – la PMA eterologa si può ma non si deve fare (10). Alla presa di posizione della Corte Costituzionale non ha fatto seguito, almeno in modo immediato, la decisione nazionale circa l’inserimento o meno della prestazione nei LEA: questa discontinuità ha creato un vuoto normativo tale per cui la PMA eterologa si può fare ma non è chiaro a carico di chi e a quali costi. In attesa della decisione del legislatore nazionale, che nonostante gli auspici non ha espresso alcun riferimento all’interno del Patto della Salute 2014-2016, il 4 Settembre 2014 si è riunita la Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, con lo scopo di concordare le modalità transitorie di erogazione della prestazione.

   Il costo calcolato va dai 1.500 ai 4.000 € a seconda della tecnica adottata (in vivo, in vitro con donazione di seme, in vitro con donazione di ovocita), comprensivo di spese per i farmaci e da erogarsi in setting di assistenza ambulatoriale; per quanto riguarda il soggetto finanziatore, invece, tutte le Regioni salvo la Lombardia e quelle impossibilitate (11) hanno convenuto di farsi carico della prestazione, alcune interamente, altre previa compartecipazione economica di diversa entità. In attesa di ricevere determinazioni da parte del governo nazionale sull’inserimento della PMA eterologa nei LEA, Regione Lombardia ha deciso tramite apposita delibera di attribuire l’intero costo al cittadino, anche nel caso che questo fruisca della prestazione in altre regioni. Alla luce del nostro ragionamento, in Regione Lombardia la PMA eterologa si può fare ma non si deve: il cittadino lombardo che si reca presso un centro lombardo autorizzato ad erogare la prestazione ha il diritto di fruirne, tuttavia deve interamente caricarsi dei costi della stessa (12).

   La decisione della Lombardia ha presto suscitato obiezioni provenienti da diverse parti. Il 10 Aprile 2015 il Consiglio di Stato ha bocciato la delibera regionale, mentre il 28 Ottobre 2015 il Tar di Milano ha accolto il ricorso dell’associazione S.O.S. Infertilità dichiarando illegittima la medesima decisione. Le principali obiezioni rivolte alla Lombardia sono state le seguenti: in primo luogo non si capisce perché la regione eroghi regolarmente a proprio carico la PMA omologa e non la PMA eterologa, trattandosi entrambe di prestazioni volte a preservare la salute riproduttiva. L’idea è che una volta che si accetti di farlo ricorrendo alla medicina, non è chiaro perché si ammetta una prestazione e non un’altra. In secondo luogo gli elevati costi della PMA eterologa, in particolare relativamente alla fecondazione in vitro con donazione di ovocita, fanno sì che chi abbia limitate risorse economiche non possa accedere alla prestazione, subendo rispetto ai cittadini che possono permetterselo una discriminazione incompatibile con l’universalità del sistema sanitario pubblico. Da questo punto di vista, nulla è cambiato per il cittadino lombardo rispetto a prima che la Confederazione prendesse posizione: essendo egli costretto a pagare interamente la prestazione, o si recherà all’estero, incorrendo verosimilmente in costi maggiori se non, per come supposto dalla Sentenza 162, in una inferiore qualità assistenziale, oppure resterà con il proprio desiderio di genitorialità insoddisfatto, con le conseguenze negative che, sempre restando alla Sentenza 162, la frustrazione di tale desiderio porta all’equilibrio psico-sociale dell’individuo13.

   Ad ogni modo, finché la prestazione non rientra nei LEA, la Regione è tecnicamente libera di scegliere a chi attribuirne il costo. Il 28 Gennaio 2015 il Ministero della Salute ha firmato la bozza per il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in cui verranno approvati i nuovi LEA. La PMA eterologa, in continuità con le decisioni transitorie anticipate dalla Conferenza delle Regioni, è stata inserita nei LEA legati alla specialista ambulatoriale, mentre all’art. 49 si fa riferimento alla libertà, da parte delle regioni, di fissare il ticket di compartecipazione. Nel momento in cui la bozza verrà confermata dalla Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome avremo completato il nostro itinerario: per aiutare il paziente sterile la PMA eterologa è giusto farla, si può fare e si deve fare(14).

PMA eterologa, salute, sostenibilità del sistema.

   L’iter che ha portato all’inserimento della PMA eterologa nei LEA ha di fatto affermato, almeno dal punto di vista legislativo, l’opinione favorevole nei suoi confronti. È da questo punto di vista che va compreso il modo in cui abbiamo concluso il nostro itinerario: l’eterologa è giusta nella misura in cui si deciso che si può fare, e a breve, presumibilmente, si dovrà fare ovunque (15). Ancora una volta, specifichiamo che esiste un dovere di erogare la PMA eterologa a carico del sistema sanitario nazionale nella misura in cui consideriamo tal prestazione funzionale a preservare il diritto alla salute del cittadino. Per stabilire se questo abbia diritto ad usufruire della prestazione è necessario dunque comprendere, precedentemente, quale concezione della salute debba essere presa in carico da parte del sistema. Porsi questa domanda è di importanza fondamentale, perché un sistema sanitario assorbe risorse proporzionate alla concezione della salute che è chiamato a garantire. Più questa sarà sensibile alla molteplicità degli elementi che costituiscono la complessità umana, più sarà impegnativo per il sistema sanitario farsene carico, considerato in particolare che, nella logica di un servizio come quello italiano, l’aumento della domanda di salute porterà ad una maggiore pressione fiscale nei confronti della popolazione.

   È a questo livello che dovrebbe acquisire chiarezza la posizione di colui che abbiamo chiamato il moralmente indifferente, per il quale la PMA eterologa non ha tanto rilevanza da un punto di vista etico, quanto più alla luce del suo impatto economico sul sistema pubblico. Ed è a questo livello che si aprono due possibilità. Se riteniamo che il sistema debba farsi carico di una concezione olistica della salute, lo abbiamo visto, esso dovrà farsi carico delle prestazioni in grado di arrecare benefici anche in termini psicosociali, e dunque, secondo le ragioni che hanno animato la Sentenza 162 della Corte Costituzionale, anche della PMA eterologa. Se invece riteniamo che il sistema debba farsi carico di una concezione della salute più ridotta, come potrebbe essere quella biomedica tradizionale (16), esso dovrà farsi carico di un nucleo ristretto di prestazioni, poniamo quelle che curano il semplice danno biologico, e lasciare il resto – pur erogandolo – a spese del cittadino.

   Il trade-off fra le due posizioni, che assumiamo per semplicità come paradigmatiche e opposte, è fra la sostenibilità economica del sistema e l’ampiezza del diritto alla salute che è chiamato a garantire. Una concezione olistica è sicuramente sensibile alla complessità dell’essere umano, ma deve fare i conti con l’impatto economico provocato dalla cd. medicalizzazione della vita umana: vale a dire il ricorso (spesso inappropriato) alla medicina per curare forme di fragilità precedentemente supportate da altri profili assistenziali (affettivi, relazionali, psicologici, spirituali).

   Al

momento dell’attuale congiuntura economico-finanziaria sorge spontaneo chiedersi quanto il nostro welfare, stretto nella morsa dell’evoluzione della domanda di salute e della contemporanea riduzione delle risorse destinate a soddisfarla (17), sia in grado di farsi carico di una concezione profonda come quella olistica. Numerose prestazioni utili a preservare o incrementare la salute da un punto di vista olistico sono infatti escluse dai Livelli Essenziali di Assistenza, pur essendo regolarmente erogate interamente a carico del paziente. E verosimilmente aumenteranno (18). Ne sono esempio la chirurgia estetica non conseguente ad incidenti, che migliorando il proprio aspetto favorisce l’autostima personale aprendo a nuove opportunità sociali, affettive e lavorative; la circoncisione rituale maschile, che è espressione di appartenenza ad un culto che costituisce parte integrante della propria libertà di autodeterminazione; la vaccinazione per i viaggi all’estero, con i molteplici effetti positivi da questi generati (il rilassamento psicofisico provocato dalle vacanze, le opportunità dischiuse dai trasferimenti di lavoro, il compimento della natura itinerante del viaggiatore); gran parte della medicina cd. alternativa, che si prende cura della nostra salute in modo diverso da quello ufficiale; la massofisioterapia, che produce notevoli benefici in termini di benessere fisico e mentale (si pensi allo stato di rilassamento indotto da un massaggio).

   Attenzione: le prestazioni elencate non sono vietate; esse vengono infatti regolarmente erogate dal sistema pubblico. Semplicemente, sono poste a carico del cittadino (questo è il genere di equivoci che ci auguriamo di aver contribuito a chiarire) Per esprimerci nel linguaggio che ci è consueto, le prestazioni elencate si possono fare ma non si devono. Che cosa ha la PMA eterologa di diverso rispetto a queste prestazioni? Quali maggiori benefici è in grado di arrecare, tali da giustificare – diversamente dalle stesse – il suo finanziamento in regime pubblico? La risposta che sorge immediata, intuitivamente, è che la nascita di un figlio rappresenta un beneficio ben più alto rispetto a quelli prodotti dalle prestazioni elencate, non solo in termini di salute riproduttiva e psicosociale, ma anche in riferimento al valore intrinseco della vita stessa. È possibile controbattere, a questa obiezione, che se il desiderio di genitorialità è così forte da incidere in modo determinante sul proprio piano di vita e sulla propria salute psicofisica, la cifra richiesta per accedere alla PMA eterologa pare spendibile. Nel caso di coppie in difficoltà economiche tanto gravi da non riuscire a farsene carico, affinché non vengano discriminate nulla vieta di pianificare strategie di agevolazione o esenzione a loro vantaggio, che avrebbero il duplice beneficio da una parte di soddisfare il loro desiderio di genitorialità (per loro la PMA eterologa si può e si deve fare), dall’altra di ridurre il consumo di risorse a carico del sistema sanitario nazionale (e dunque dei cittadini che versano le tasse), ottenuto grazie all’induzione delle coppie economicamente meno precarie a farsi carico di spese che appaiono tutto sommato abbordabili, a maggior ragione data l’eccezionalità dell’evento (si parla, lo ricordiamo, di una fascia compresa fra i 1.500 e i 4.000 €).

   Non solo: in un momento in cui diverse prestazioni mediche precedentemente coperte dal servizio pubblico vengono poste interamente a carico dei cittadini, allo scopo di disincentivare i consumi cd. Inappropriati (19), non appare prioritario aggiungerne di nuove, come la PMA eterologa, alla lista delle prime. Viceversa, parrebbe forse più coerente includere la prestazione nella lista delle seconde, affinché vengano parimenti disincentivati i potenziali fenomeni di consumismo riproduttivo derivanti da una interpretazione perversa della concezione olistica della salute, specialmente in termini di medicalizzazione della vita umana. Il fenomeno, inquietante, è inteso come la possibilità di ottenere un figlio artificialmente, al prezzo più basso possibile (se non gratis), ed eventualmente anche secondo il gusto personale (20).

   Effetti collaterali come quello appena accennato sono secondari se comparati alla gioia arrecata da una prestazione che consente a coppie in difficoltà di avere un figlio e crescerlo come se fosse proprio. Tuttavia, posto che nulla vieta l’erogazione della stessa, riteniamo che tali effetti debbano essere ponderati da una prospettiva sistematica e possibilmente prevenuti, affinché non venga a crearsi un nuovo fenomeno di pendio scivoloso che, al di là del suo significato etico, il sistema sanitario nazionale non pare oggi in grado di sostenere.

Note

(1) In alcuni casi è possibile che la coppia manchi di entrambi i gameti, e dunque debba ricorrere a due donatori esterni. Si veda in proposito la nota successiva.

(2) Un esempio per ciascuna categoria di persone può semplificare il quadro. Nel primo caso, Marco e Paola sono una coppia eterosessuale che desidera avere un figlio. Poniamo che Marco sia sterile perché affetto da azoospermia, ovvero mancanza di spermatozoi nel liquido seminale: perché il loro desiderio possa essere soddisfatto, occorrerà fecondare gli ovuli di Paola con gli spermatozoi appartenenti a un donatore maschio esterno alla coppia. Poniamo al contrario che Paola sia in menopausa precoce: perché il medesimo desiderio possa essere soddisfatto, occorrerà far sì che gli spermatozoi di Marco fecondino gli ovuli di una donatrice femmina esterna alla coppia. In caso estremo, poniamo contemporaneamente che Marco sia sterile e Paola in menopausa precoce: essi dovranno a ricorrere a due donatori, uno maschio e una femmina, per ottenere sia gli spermatozoi che gli ovociti, far sì che i primi fecondino i secondi e poi crescere il figlio che nascerà dalla loro unione. Nel secondo caso, Martina è una donna single fertile, che desidera fortemente essere madre ma non riesce a trovare un partner: si rivolgerà ad una banca del seme perché gli spermatozoi di un donatore possano fecondare i suoi ovuli. Nel terzo caso, Giovanni e Pietro sono una coppia omosessuale maschile che desidera avere un figlio. Essendo entrambi dotati di spermatozoi, dovranno ricorrere ad una donatrice esterna per ottenere gli ovociti che uno dei due feconderà. Lo stesso varrebbe, al contrario, per Eleonora e Stefania, coppia omosessuale femminile, che
dovrà ricorrere ad una banca del seme per ottenere gli spermatozoi da cui una delle due sarà fecondata.
(3) Salvo il caso della coppia omosessuale, in cui il genitore biologico sarà del sesso diverso rispetto a quello dei componenti della coppia.

(4) La fecondazione in vivo è detta I.U.I (Inseminazione Intra Uterina, tradotto dall’originale inglese Intra Uterine Insemination), la fecondazione in vitro è detta invece F.I.V.E.T. (Fertilizzazione in Vitro con Trasferimento Embrionale, dall’inglese In Vitro Fertilization and Embryo Transfer). Nel 1978 nacque in Inghilterra la prima bambina concepita in provetta, Louise Brown.
(5) L’espressione “sistema sanitario” si riferisce in generale all’insieme degli attori che interagiscono nella gestione e nell’erogazione delle cure, a prescindere dalle caratteristiche strutturali e organizzative specifiche. L’espressione “servizio sanitario” si riferisce invece ad un sistema con caratteristiche specifiche, che sono quelle riconducibili ai cd. modelli Beveridge, in cui l’erogatore pubblico garantisce cure universali e gratuite finanziandosi attraverso la fiscalità generale. Trattandosi il sistema sanitario italiano di un servizio sanitario nel senso appena spiegato, e riferendoci in questa sede sempre al sistema italiano, useremo per semplicità l’una e l’altra espressione in modo equivalente.

(6) Accenni alla frustrazione, alla vergogna e al senso di castigo associati all’incapacità di riprodursi si rintracciano fin nella mitologia greca e nella Bibbia; si pensi al mito di Edipo, che muove dall’afflizione di Laio per la mancanza di un erede, e al disonore di Elisabetta, considerata sterile fino alla sorpresa gravidanza in età avanzata (Luca 1, 24-25).

(7) Il paradosso è legato alla protezione dell’anonimato del donatore, che da una parte viene istituita proprio in garanzia della stabilità della famiglia, dall’altra crea il problema del figlio che conosce un solo genitore biologico.

(8) Segnalo in proposito l’approfondimento contenuto in R. Ferrigato, Il Terzo Incomodo. Critica della fecondazione eterologa, San Paolo, Milano 2015 (devo all’autore l’espressione “terzo incomodo”).
(9) Per un quadro complessivo delle critiche riportate, nonché per approfondire le implicazioni della FMA eterologa in termini di sfruttamento degli embrioni, rimando a S. F. Magni, Bioetica, Carocci, Roma 2011.

(10) A scanso di equivoci, precisiamo che si intende “non si deve” nel senso che non è necessario, non nel senso che è vietato.

(11) Le Regioni legate ai Piani di Rientro a causa dei propri disavanzi di gestione non possono permettersi di aggiungere l’erogazione di una prestazione rispetto a quelle previste dai LEA che già non riescono a sostenere.

(12) In virtù degli accordi interregionali per la mobilità sanitaria, il sistema sanitario della regione a cui appartiene il cittadino è tenuto a rimborsare il costo della prestazione sostenuto dal sistema sanitario della regione in cui il cittadino ha usufruito della prestazione.

Facciamo un esempio. Mario Rossi, cittadino lombardo, fruisce della PMA eterologa in Toscana. La prestazione, trattasi di fecondazione eterologa con ovociti da donatrice, costa al sistema sanitario toscano 4000 €, di cui 3400 a proprio carico e 600 a carico di Mario Rossi sotto forma di compartecipazione o ticket. Regione Lombardia è debitrice nei confronti della Toscana dei 3400 € da questa spesi per erogare la PMA a Mario Rossi. Trattandosi tuttavia di una prestazione di cui Regione Lombardia, esplicitamente, non si fa carico, Mario Rossi dovrà rimborsare di tasca sua, alla stessa Lombardia, i 3400 € che questa deve alla Toscana.

(13) Il caso dell’accesso del cittadino lombardo alla PMA eterologa è un esempio del fenomeno di razionamento implicito cd. “postcode lottery”, per cui un cittadino avrà differente accesso o meno ad una prestazione in base al luogo in cui è residente.

(14) Almeno per il profilo del paziente espresso precedentemente espresso: sono dunque esclusi dall’accesso alla prestazione le persone minorenni, vedove, single e omosessuali. È inoltre necessario che la donna ricevente sia in età potenzialmente fertile, indicata al momento in cui scrivo a 43 anni.

(15) Dunque, tecnicamente, anche in Regione Lombardia, per il qual caso particolare assisteremo agli sviluppi.
(16) Secondo la definizione riportata da N. Daniels, da un punto di vista biomedico tradizionale la salute è assenza di malattia fisica o mentale, laddove questa è intesa come la “deviazione dal normale funzionamento della specie dovuta a danni genetici e biologici (cellulari, tissutali, organici e agli apparati), avente conseguenze dall’innocuo al fatale”. V. N. Daniels, Just Health. Meeting Health Needs Fairly, Cambridge University Press, New York 2008.

(17) Come testimoniato dall’ormai pluriennale trend negativo della spesa sanitaria pubblica e privata, sia in rapporto al Prodotto Interno Lordo, sia pro-capite, dal 2011 al 2013 (è prevista una stabilizzazione se non un lieve aumento nel 2014, ma su cifre comunque inferiori rispetto al 2010). Dati consultabili sul Rapporto Osservasalute 2015 e sul database dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico al seguente link http://stats.oecd.org/index.aspx?DataSetCode=HEALTH_STAT e Osservasalute 2015.

(18) Proprio in virtù del trade-off fra diritto alla salute e sostenibilità del sistema.

(19) Il cd. “Decreto Appropriatezza” (Decreto Ministeriale del 9 Dicembre 2015, recante norme in merito alle “Condizioni dierogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale”) ha trasferito 203 prestazioni dalla lista di quelle erogate a carico del servizio sanitario alla lista di quelle per cui è richiesto l’intero pagamento a carico del cittadino, salvo esenzioni legate a patologie specifiche.

Lo scopo del Decreto è ridurre i fenomeni di spreco riconducibili al consumo di prestazioni mediche non necessarie o sproporzionate rispetto ai bisogni (inappropriate), delle quali si è a lungo abusato “in virtù” della loro erogabilità in regime gratuito (o previa compartecipazione). Un
esempio significativo è dato dall’abuso della diagnostica ambulatoriale, i cui effetti nocivi in termini sia di salute del paziente che di consumismo sanitario sono discussi in G. Bert, A. Gardini, S. Quadrino, Slow medicine, Sperling & Kupfer, Milano 2013, cap. 5: “Alla ricerca della malattia. Il percorso della diagnosi fra limiti ed eccessi”, pp. 99-138.

(20) Ci riferiamo alla possibilità, nel caso della PMA in vitro, di conoscere tramite diagnosi genetica pre-impianto i tratti genetici del nascituro (e potenzialmente, di conseguenza, selezionare quali embrioni impiantare in base alle proprie preferenze). Affinché si scongiuri il timore della deriva eugenetica che ne può derivare, la diagnosi genetica pre-impianto in Italia è consentita solo per conoscere le eventuali malformazioni e patologie genetiche (e dunque non altre informazioni come i tratti somatici).

Bibliografia e sitografia
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 Conferenza Permanente per i rapporti fra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, “Patto per la salute 2014-2016”
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 Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Sentenza 162 del 9 Aprile 2014
 Decreto Ministeriale del 9.12.2015, “Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale”.
 Giunta Regione Lombardia, Seduta 79 del 12 Settembre 2014
 Giunta Regione Lombardia, Seduta 88 del 7 Novembre 2014
 Legge 40/2004 del 19.2.2004
 Regione Lombardia, D.G.R. N. X/2344 del 12.9.2014
 Regione Lombardia, L.R. N. 23 del 15.8.2015: “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo”