Fisco Diritto tributario

La questione sul termine dilatorio dell'avviso di accertamento

di Mariella Orlando

L’art. 12, comma 7, Legge n. 212 del 2000 prevede che il contribuente possa, dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, entro sessanta giorni, comunicare osservazioni e richieste. Per consentire l’effettiva applicazione della norma, il legislatore prescrive all’Ufficio fiscale di esaminare le osservazioni e le richieste prodotte dal contribuente, con l’obbligo di sospendere l’emanazione dell’atto impositivo per sessanta giorni, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Lo Statuto del contribuente offre, al soggetto sottoposto a verifica, un congruo termine per vagliare l’operato degli ispettori, garantendo un termine di sessanta giorni, durante i quali può esprimere le sue controdeduzioni, evidenziando aspetti non presi in considerazione integralmente o in misura sufficiente.

Ciò comporta che l’emissione dell’accertamento prima del decorso dei sessanti giorni può rappresentare, prima che una violazione della norma e di un termine, una violazione ancor più grave del principio dell’affidamento e della buona fede da parte dell’ufficio, una certificazione dell’assenza dello spirito collaborativo che deve imperniare il rapporto tra le parti.

Nel corso degli anni la giurisprudenza di merito, con più sentenze, ha espresso tesi contrapposte, a volte annullando l’accertamento anticipato, altre, invece, respingendo la richiesta di declaratoria d’invalidità. Solo di recente si è pronunciata la Corte di Cassazione a sezioni Unite stabilendo così i requisiti per  avviso di accertamento anticipato.

Osservazioni e critiche

L’esame della giurisprudenza di merito  fa sorgere qualche dubbio sia nelle ipotesi in cui le Commissioni tributarie hanno accolto la domanda del contribuente sia in caso contrario. Sarebbe opportuno capire il motivo per cui il legislatore ha previsto tale divieto, e solo in funzione di ciò valutare la validità dell’accertamento. La disposizione è preordinata alla rispetto del principio di cooperazione tra le parti, tutelando chi tra i due soggetti rischia di vedere precluso il suo diritto di partecipazione al procedimento. E’ proprio la cooperazione tra amministrazione e contribuente che giustifica, quindi, la previsione del termine di sessanta giorni e il divieto d’emanazione, durante tale periodo, dell’avviso di accertamento. In quest’ottica deve esser valutata la vexata questio.

Nel verificare la legittimità dell’accertamento anticipato si deve, pertanto, valutare se lo stesso abbia o meno consentito la cooperazione del contribuente al procedimento amministrativo, la quale può sussistere anche in assenza delle memorie presentate dopo la chiusura delle operazioni.

In secondo luogo, rilevato che di fatto sia mancato il rapporto di collaborazione e sia stato impedito al contribuente di partecipare al procedimento amministrativo, nel rispetto dell’art. 21 octies della legge 241/90, occorre verificare se la mancata partecipazione abbia determinato un esito diverso dell’atto in concreto adottato.

In sede giurisprudenziale, colui che sostiene la nullità dell’accertamento deve, quindi, dimostrare: che è stata impedita la partecipazione della parte al procedimento amministrativo e che attraverso quella partecipazione l’atto avrebbe avuto diversi esiti  ( su tale questione la recente sentenza della Cassazione ha disposto una diversa interpretazione).

La collaborazione e la partecipazione del contribuente non solo devono essere assicurate nei sessanta giorni alla chiusura della verifica, ma devono essere garantite durante tutte le operazioni di controllo. Ove si evince dai processi verbali una fattiva partecipazione del soggetto sottoposto al controllo, ove si permetta al contribuente di esprimere proprie specifiche controdeduzioni al termine delle operazioni appare improbabile che si possa invocare la nullità dell’accertamento anticipato, sostenendo che sia stata impedita la cooperazione tra amministrazione e contribuente.

Di pari opinione è la sentenza della Corte di Cassazione n. 453 del 10 gennaio 2013, ove la Corte ha avuto occasione di sottolineare come la  norma che prevede la comparizione personale del contribuente (art. 32, 1 comma, n.2), allo scopo di favorire il dialogo tra le parti, in vista di un chiarimento tra le reciproche posizioni, capace di escludere l’instaurazione del contenzioso, in base a quei canoni di lealtà, correttezza e collaborazione, che sono necessariamente implicati quando siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria (Corte Cost 25 luglio 2000 n. 351)[1].

A conclusioni diverse, probabilmente, si dovrebbe giungere ove il contribuente contesti elementi di calcolo sui quali non ha potuto avere effettiva possibilità di cooperare durante le operazioni di controllo. La soluzione più corretta appare sicuramente quella strettamente rapportata alla singola fattispecie.

L’accertamento anticipato

L’art. 12, comma 7, Legge n. 212 del 2000 consente l’emissione dell’accertamento anticipato allorchè vi siano casi d’urgenza motivata e particolare.

In primo luogo l’urgenza deve essere motivato; gli uffici , allorché decidano di non attendere il decorso del termine dei sessanta giorni e di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento fondato sull’esame del procedimento verbale di contestazione, devono specificare nell’atto le ragioni di questa loro scelta. Inoltre l’urgenza deve essere legata ai caratteri specifici del caso accertato.

Se l’agenzia delle entrate o la guardia di finanza dovesse decidere di controllare il periodo d’imposta in scadenza, in assenza di motivi particolari, i giudici potrebbero sostenere che il ritardo nello svolgimento dell’attività non può pregiudicare il legittimo interesse del contribuente a partecipare all’emissione dell’accertamento, con proprie osservazioni o richieste successive alla notifica del processo verbale di contestazione.

Una recente sentenza della Cassazione  a Sezioni Unite  n.. 20769 dell’11 settembre del 2013 si è soffermata nesso tra urgenza e imminenza del decorso del termine di decadenza del potere di accertamento. In particolare ha stabilito che è la scadenza del termine di decadenza è di per sé motivo di urgenza. La controversia, infatti, per quanto qui di interesse, era volta a stabilire la legittimità di un avviso di accertamento notificato in data 27 dicembre, senza rispettare il termine dilatorio di cui allo Statuto del contribuente.
L’Amministrazione motivava l’emissione dell’accertamento anticipato con l’esigenza di evitare la decadenza del potere di accertamento. Per il contribuente, invece, il semplice fatto che al 31 dicembre sarebbe spirato il termine utile per la notifica dell’avviso di accertamento non poteva integrare un caso “di particolare e motivata urgenza” tale da consentire di giustificare il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsti dall’art. 12 dello Statuto.

Investita della questione, la Cassazione ha sentenziato che l’esigenza di evitare la decadenza del potere di accertamento “ben può giustificare la notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso del predetto termine di cui all’articolo 12, comma 7, legge 212/2000”, in quanto “si iscrive all’esigenza di carattere pubblicistico, connessa all’efficiente esercizio della potestà amministrativa nel fondamentale settore delle entrate tributarie (art. 97 Cost)”.

A tali conclusioni la Cassazione era già giunta in un obiter dictum della sentenza n. 11944 del 13 luglio 2012, con la quale, in relazione a una analoga controversia scaturente da un avviso di accertamento emesso a fine anno senza il rispetto del termine dilatorio, aveva affermato “l’esigenza di provvedere senza ritardo risulta in re ipsa dal fatto che era in scadenza, come dedotto dalla contro ricorrente, il termine di decadenza di cui al Dpr 633 del 1972, articolo 57″.

La pronuncia delle Sezioni Unite

Sulla questione dell’avviso di accertamento di cui  all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 la recente pronuncia della Corte di Cassazione a sezioni Unite  n. 18184 del 2013 ha finalmente risolto  un contrasto giurisprudenziale sull’inosservanza dei termini dilatori di sessanta giorni.

In particolare nel caso di specie la società contribuente impugnava l’avviso di accertamento in quanto emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di contestazione.

I giudici delle prime cure accoglievano il ricorso, rilevando che l’avviso di accertamento era stato notificato dopo soli venticinque giorni dalla redazione del processo verbale di contestazione e che non era stata in alcun modo indicata “la particolare e motivata urgenza” che avrebbe potuto giustificare la notifica dell’atto impugnato prima della scadenza del suindicato termine previsto dall’art. 12 della legge 212 del 2000.

In grado di appello, il giudice concludeva che l’emissione dell’atto impositivo – quale è l’avviso di accertamento – prima del decorso di sessanta giorni dalla fine delle operazioni ispettive rappresentano una palese violazione dei diritti del contribuente a difendersi, privando il contribuente di un grado di valutazione  delle sue ragioni ,senza che ne ricorrano validi motivi.

Giunta la questione innanzi alla Corte di Cassazione, i giudici hanno dovuto stabilire se l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei  cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della propria attività, dalla copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanziale priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo ad eccezioni di casi di “particolare e motivata urgenza”, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso.

Il Collegio ha ritenuto di adottare la seconda soluzione, per le ragione  e le precisazioni che seguono.

Innanzitutto, l’art 12 assume un particolare rilievo in quanto inserita all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, il cui art. 1 stabilisce- al comma 1 – che “le disposizione della presente legge, in attuazione degli articoli 3,23,53,e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, tuttavia alla specifica “ clausola rafforzativa” di autoliquidazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come principi generali dell’ordinamento tributario non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributario” e si riferisce evidentemente a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario.

Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto e delle finalità perseguite.

La norma dispone un principio concreto di cooperazione tra amministrazione e contribuente attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà , l’atto impositivo non può essere emanato. Tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla eventuale emissione del provvedimento e cioè del contraddittorio procedimentale.

Quest’ultimo  ha assunto – sia in dottrina che in giurisprudenza- un valore sempre maggiore, quale strumento diretto  non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore.

In ambito giurisprudenziale si ricordano le seguenti pronunce:

a) la sentenza del 2008 della Corte di Giustizia dell’Unione Europa –causa C-349/07 (Sopropè) – con la quale, sia pure in materia di tributi doganali, è stato valorizzato il principio della partecipazione del contribuente, il quale deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva;

b) la sentenza della Corte di Cassazione ,Sez. Un. n. 26635 del 2009 con la quale, in materia di accertamenti standardizzati, è stato affermato che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale ed imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa”;

c) la sentenza della Corte di Cassazione n. 28049 del 2009 nella quale, con riguardo alla norma che prevede l’invio di un questionario al contribuente sottoposto ad accertamento (art. 32, comma1, n. 4 d.P.R. n. 600 del 1973), si afferma l’obbiettivo di favorire il dialogo tra fisco e contribuente – rapporto che deve essere incentrato sulla lealtà, correttezza e collaborazione – così da evitare procedure contenziose;

d) la sentenza della Corte di Cassazione, sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16999, la quale ha disposto che  l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal verbale di chiusura delle operazioni ispettive, «salvo casi di particolare e motivata urgenza». Ciò implica la sanzione di nullità dell’avviso di accertamento emesso in violazione del termine dilatorio e in assenza di motivazione sull’urgenza che ne ha determinato l’adozione, e ciò anche nel caso che il contribuente abbia già presentato osservazioni prima dello spirare del termine previsto dalla predetta norma, posto che ai sensi di tale disposizione solo con lo spirare di detto termine si consuma la sua facoltà di esporre osservazioni e richieste all’Ufficio impositore.

e) la sentenza della Corte di Cassazione n. 453 del 2013, la quale ha ritenuto che l’omissione di avvertimento  da parte del fisco comportano l’inutilizzabilità e l’inoperabilità in sede amministrativa e contenziosa di dati e notizie non addotti.

Le considerazioni sin qui svolte hanno consentito ai giudici della Corte di giungere ad una prima conclusione: l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dal comma 7 dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previso dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni ossia di attivare il contraddittorio procedimentale.

Altra questione è la possibilità di deroga alla norma per i “ casi di particolare e motivata urgenza” : ossia risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus. Ciò comporta che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del tempo de quo e privo dell’enunciazione dei motivi d’urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del temine.

Nel caso di specie il giudice di merito ha accertato che nell’emanazione dell’atto impugnato non è stata sorretta da valido motivo di urgenza, per tale ragione la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.


[1][1] In tale contesto, il legislatore ha sanzionato con la preclusione dell’inutizzabilità la condotta del contribuente che si sottrae al dialogo con l’amministrazione, ponendo il divieto di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale preclusione è determinata dal fatto che l’inadempimento del contribuente finisce con l’impedire all’amministrazione di eseguire un accertamento analitico. La norma va intesa rigorosamente, senza che possano acquistare rilievo le motivazioni e, dunque, l’atteggiamento psicologico del contribuente. Il canone di lealtà, d’altronde, rinviene espressione nello statuto del contribuente, il cui articolo 10 prescrive che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede, del quale è specifica manifestazione, tra l’altro, l’obbligo dell’amministrazione di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un eredito  ovvero l’irrogazione di una sanzione. Nel caso di tale sentenza, emerge della stessa narrativa della sentenza impugnata che l’avvertimento non vi è stato; per conseguenza, non si è realizzata la sequenza del subprocedimento innescato dall’invio del questionario. E non essendo integrata la fattispecie prevista dalla norma, non trova applicazione la sanzione al ricorrere di tale ipotesi correlata, ossia l’inutilizzabilità in sede amministrativa e la conseguente preclusione processuale.