Economia

Le conseguenze del terrorismo sull’economia internazionale

(di Sabrina Polato)

Secondo quanto riportato dal Global Terrorism Database, la più esaustiva ed affidabile banca dati in materia di terrorismo amministrata dalla University of Maryland, negli ultimi 20 anni si sono verificati nel mondo non meno di dieci attentati al giorno che hanno provocato la morte di oltre 165.000 persone ed il ferimento di circa 280.000 persone. Le aree più colpite sono il Medio Oriente ed il Nord Africa, mentre in Europa si sono verificati circa il 6% degli attacchi terroristici su scala globale. Tra questi, si ricorda:

Madrid:           11 marzo 2004

Londra:               7 luglio 2005

Bruxelles:       24 maggio 2014

Parigi:             7 gennaio 2015

Parigi:       13 novembre 2015

Bruxelles:         22 marzo 2016

Al di là della crudeltà e delle numerose vittime inermi che questi vili attacchi hanno provocato, si vuole in questa sede sottolineare come tali tragici eventi abbiano avuto e continuino ad avere importanti conseguenze anche a livello economico, non solo per gli Stati colpiti direttamente dagli attacchi, ma per tutta l’economia internazionale, al punto da dover parlare di una vera e propria “Economia della Paura”.[1]

Uno dei principali obiettivi dei terroristi è infatti quello di causare danni permanenti, o comunque molto gravi, nelle economie delle aree interessate dagli attacchi terroristici. Le maggiori conseguenze di un attacco, in termini economici, possono essere così riassunte:

  1. Rafforzamento del comparto militare e delle misure di sicurezza. Come istintiva e naturale risposta ad un assalto, lo Stato colpito si organizza con il potenziamento del proprio apparato militare, al fine di trasmettere ai propri cittadini un senso di protezione e di fiducia. Ovviamente, implementare maggiori e migliori misure di sicurezza significa, internamente, dover per forza di cose sottrarre risorse al welfare e ad altri settori più produttivi, con conseguente peggioramento delle condizioni di vita generali.
  1. Inasprimento dei controlli nella movimentazione di merci e persone. Se internamente un attacco provoca danni all’Economia di un Paese per i maggiori costi di sicurezza, esternamente gli effetti possono essere ancora più gravi, in quanto un Paese attaccato è notoriamente un Paese più chiuso, sia a livello di flussi di persone, sia a livello di flussi di merci. Le minori importazioni colpiscono i Paesi partner commerciali da un lato, le minori esportazioni penalizzano la produzione interna dall’altro.
  1. Riduzione del flusso turistico e del traffico aereo. Turismo e trasporti sono i due settori maggiormente colpiti nel periodo immediatamente successivo a quello di un attacco, dal momento che subiscono l’effetto paura del turista che rinuncia a recarsi presso quella località, spostando le proprie preferenze di vacanza su una meta considerata più tranquilla. L’effetto sull’Economia di un Paese, soprattutto se fortemente dipendente dal turismo e dal suo indotto, può essere davvero devastante, con perdite di reddito e di occupazione.
  1. Minori investimenti pubblici e minori consumi privati. Lo Stato, dovendo investire molto nel settore della sicurezza, riduce notevolmente gli investimenti strutturali destinati al Paese (infrastrutture, strade, ospedali, immobili, etc..). Questo provoca un effetto “a catena”: meno investimenti, meno appalti, meno occupazione, meno consumi privati. I cittadini sono portati più o meno inconsciamente dal clima di incertezza e paura innescato dall’attacco terroristico a risparmiare di più e, quindi, ad investire e consumare di meno in attesa di tempi migliori.

 

Note

[1] “The Fear Economy” – definizione coniata nel 2013 da Paul Krugman – Premio Nobel per l’Economia 2008 e columnist del New York Times.