Diritto

Le disposizioni anti-elusive specifiche nella disciplina dell’IRES

di Paolo Antonio Iacopino

1. Introduzione

Le imposte rappresentano una delle voci di entrata del bilancio dello Stato e garantiscono, attraverso la spesa pubblica, l’erogazione dei servizi ai cittadini. Il legislatore, a tutela degli interessi erariali, ha introdotto, nella disciplina sostanziale dei singoli tributi, delle disposizioni specifiche che hanno la funzione di evitare l’erosione del numero dei contribuenti e della base imponibile. L’analisi di queste norme di tutela degli interessi dello Stato offre interessanti spunti di riflessione e permette di comprendere la ratio della disciplina positiva dell’imposizione.

In questo breve intervento ci limiteremo ad esaminare la sola imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRES).

Per affrontare l’argomento è però necessario fare un breve cenno alla disciplina generale dell’imposizione delle persone giuridiche.

I principi generali dell’IRES si evincono dall’analisi dell’art. 72 del DPR 917/86 (TUIR), secondo il quale “il presupposto dell’imposta sul reddito delle società è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”.

Semplificando il contenuto della disposizione ricaviamo che l’IRES deve essere assolta dai soggetti passivi, indicati nell’art. 73 TUIR, che posseggono una delle categorie di reddito previste nell’art. 6 dello stesso decreto, tra le quali troviamo il reddito d’impresa.

Il possesso del reddito d’impresa è declinato dal principio della competenza giuridica, con il quale il legislatore detta i criteri di imputazione temporale dei ricavi imponibili e dei costi deducibili, dalla cui differenza viene determinata la base imponibile del tributo.

Secondo questo principio i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, sempre che siano certi e determinabili. Quando un componente positivo o negativo non è certo e determinabile concorrerà a formare il reddito nell’esercizio in cui si verificheranno le condizioni previste dal legislatore (art. 109, comma 1, TUIR). La norma nello specifico stabilisce che la cessione e, simmetricamente, l’acquisto di un bene rileva ai fini impositivi quando il cessionario acquista il possesso dello stesso (consegna o spedizione), mentre la prestazione e, analogamente, l’acquisto di un servizio è rilevante quando la prestazione è conclusa. Regole specifiche sono previste per i beni immobili, per i servizi continuativi ecc. ma questo particolare aspetto non è oggetto del presente intervento.

La previsione di regole comuni per la tassazione e la deduzione nello stesso esercizio dello stesso fatto economico permette una migliore gestione delle entrate tributarie, dato che la deduzione del costo (minori entrate per l’Erario) sarà compensata dalla tassazione del relativo ricavo (maggiori entrate per l’Erario). Questa simmetria non è perfetta, in quanto il legislatore ha previsto delle eccezioni finalizzate ad incrementare le entrate tributarie o ad agevolare determinate attività o operazioni. Il primo obiettivo viene conseguito differendo la deduzione di un costo. Pensiamo, ad esempio, alla deduzione in diciottesimi (18°) delle svalutazioni dei crediti operate dalle banche, ex art. 106 comma 3 TUIR. Il secondo obiettivo, al contrario, è ottenuto differendo la tassazione di un componente positivo di reddito o prevedendo un’aliquota agevolata. Pensiamo alla tassazione forfetaria per alcune imprese marittime (c.d. tonnage tax – art. 155 e ss. TUIR) o alla tassazione in quinti per alcuni tipi di plusvalenze (art. 86, comma 4, TUIR).

La catena deduzione – tassazione  prevista dal principio di competenza si conclude con l’imposizione definitiva del ricavo nel momento in cui alla cessione imponibile non segue la simmetrica deduzione del costo. Questo capita quando il bene ceduto o il servizio prestato vengono acquistati da un soggetto che operando al di fuori del regime d’impresa non può dedursi i relativi costi. È opportuno precisare che anche nella circolazione dei beni e servizi tra soggetti d’impresa il rapporto deduzione-tassazione non è la regola assoluta. L’eccezione più importante si deve al principio dell’inerenza, con il quale il legislatore vieta all’impresa la deduzione dei costi che non sono funzionali al conseguimento di ricavi imponibili. La ratio sta nel fatto di impedire la deduzione di costi che non permettono il conseguimento di ricavi che concorrono alla tassazione.

Questo breve excursus permette di comprendere il contesto in cui si collocano le disposizioni introdotte dal legislatore nell’IRES finalizzate al contrasto di specifici fenomeni che possono determinare una contrazione del numero dei soggetti passivi d’imposta (presupposto soggettivo) e della base imponibile (presupposto oggettivo).

2. Disposizioni a tutela del presupposto soggettivo dell’imposta

Il legislatore nell’art. 73 del TUIR, e più precisamente nei commi 3 e 5-bis, ha introdotto delle disposizioni che hanno la funzione di limitare il fenomeno della estero-vestizione. Nel primo periodo del comma 3 è declinato il principio della residenza delle persone giuridiche (comma 3 primo periodo), mentre nel secondo periodo dello stesso comma e nel comma 5-bis sono state introdotte delle presunzioni sulla residenza dei trust e delle persone giuridiche.

Altre disposizioni da esaminare sono quelle previste in materia di imprese estere controllate (art. 167 TUIR) e collegate (art. 168 TUIR). Con queste ultime norme viene contrastato il fenomeno conosciuto come tax deferreal, ovvero l’indeterminato differimento della tassazione sugli utili realizzati dalla società estera, che se distribuiti sconterebbero in capo alla controllante la tassazione ordinaria.

2.1 residenza delle persone giuridiche

L’art. 73, comma 3 (primo periodo), DPR 917/86 dispone che “Ai fini delle imposte sui redditi si  considerano  residenti  le società e gli enti che per la maggior parte del periodo  di  imposta hanno la sede legale  o  la  sede  dell’amministrazione  o  l’oggetto principale  nel  territorio  dello  Stato”.

Secondo questa disposizione le società e gli enti elencati nei primi due commi dell’art. 73 TUIR sono soggetti passivi ai fini del tributo se per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) hanno la sede legale, la sede dell’amministrazione o l’oggetto sociale nel territorio dello stato. La previsione di tre criteri alternativi, di cui uno formale (la sede legale) e due sostanziali (la sede dell’amministrazione e l’oggetto sociale), per stabilire la residenza dei soggetti passivi IRES permette all’Amministrazione Finanziaria di verificare la soggettività passiva all’imposta da parte dei contribuenti a prescindere dal luogo della registrazione formale. Se, invece, il legislatore avesse individuato la sede legale come unico criterio per stabilire la residenza fiscale dei soggetti IRES i contribuenti avrebbero avuto maggiore certezza, a discapito, però, degli interessi erariali. Infatti, in quel caso per evitare l’assolvimento dell’imposta Italiana sarebbe bastato istituire la sede legale all’estero continuando a svolgere o a gestire, usufruendo dei beni e dei servizi pubblici, l’attività economica nel territorio dello Stato.

La definizione così ampia del concetto di residenza oltre a dettare le regole di applicazione del tributo ha, anche, una funzione chiaramente antielusiva, che permette di contrastare il fenomeno della estero-vestizione delle società.

D’altra parte, però, la previsione di più criteri per stabilire la residenza delle persone giuridiche può generare fenomeni di doppia imposizione giuridica. Pensiamo ad un contribuente che ha la sede legale in Francia e l’oggetto principale dell’attività in Italia. Per via della sede legale dovrà dichiarare il reddito in Francia e per via del conseguimento dell’oggetto sociale nel territorio dello Stato sarà soggetto a imposizione anche in Italia. Generalmente la soluzione dei casi di doppia imposizione è demandata alle convenzioni internazionali. Nel caso dell’esempio la soluzione si deve al paragrafo 4.3 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia. Secondo questa ultima disposizione se un contribuente è considerato residente di entrambi gli stati contraenti (Italia e Francia) si ritiene che esso sia residente dello stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva, nell’esempio l’Italia.

2.2 presunzioni di esterovestizione

Il legislatore accanto alla definizione per così dire a maglie larghe del concetto di residenza ha introdotto all’interno dell’art. 73 TUIR delle presunzioni di residenza relative ai trust ed alle persone giuridiche, che contrastano specifici fenomeni di esterovestizione.

L’art. 73, comma 3 secondo periodo, dispone che i trust istituiti in un paese o territorio black-list si considerano, salvo prova contraria, residenti se uno dei beneficiari risiede nel territorio dello stato Italiano. La stessa disposizione prevede, stavolta con presunzione assoluta, che si considerano residenti nel territorio dello stato i trust residenti in paesi black list se un contribuente Italiano, successivamente alla loro costituzione, effettui in loro favore un’attribuzione che comporti il trasferimento della proprietà di un immobile o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari.

Relativamente alle persone giuridiche l’art. 73, comma 5-bis, TUIR dispone che le società estere che controllano direttamente, ex art. 2359 primo comma codice civile, una società residente si considerano, salvo prova contraria, a loro volta residenti nel territorio dello stato se, in alternativa

  • sono controllati anche indirettamente, ex art. 2359 primo comma codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello stato. Ai fini del controllo rileva a situazione alla fine dell’esercizio;
  • il consiglio di amministrazione o l’organo equivalente è composto in maggioranza da soggetti residenti in Italia.

2.3 disposizioni in materia di imprese estere controllate e collegate

L’art. 167 TUIR (imprese estere controllate) prevede che il residente deve dichiarare per trasparenza il reddito dell’impresa, società o altro ente controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o interposta persona un’impresa, se localizzati in uno degli stati c.d. black list individuati dal Decreto Ministeriale del 21 novembre 2001. Si ha il controllo quando il residente partecipa al capitale sociale del soggetto estero in misura pari o superiore al 50,1%, esercita nell’assemblea con il proprio voto un’influenza dominante o controlla il non residente mediante vincoli contrattuali.

La presunzione introdotta dal legislatore, in quanto relativa, può essere superata se viene dimostrato che il soggetto black-list svolge un effettiva attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento o che dalle partecipazioni non si consegue l’effetto di localizzare il reddito in Stati a bassa fiscalità.

La prima esimente è soddisfatta quando si dimostra che la società estera è effettivamente radicata nello Stato a bassa fiscalità e che la presenza in quello Stato non abbia la sola finalità di ridurre la tassazione dei redditi prodotti. Invece, con la seconda esimente bisogna dimostrare che i redditi conseguiti dall’impresa estera sono prodotti e tassati in misura non inferiore al 75%  in Stati che non godono di un regime di tassazione privilegiata.

In reddito della CFC da tassare per trasparenza è rideterminato secondo le norme del reddito d’impresa domestico ed è assoggettato, in proporzione alla quota di possesso, a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente, che comunque non può essere inferiore al 27%. Gli eventuali utili distribuiti dagli stessi soggetti non concorrono alla formazione del reddito dei residenti fino all’ammontare dell’imponibile assoggettato separatamente a tassazione. Inoltre, per evitare fenomeni di doppia imposizione dall’imposta dovuta sono ammesse in deduzione le eventuali imposte definitive pagate all’estero dalla CFC.

A partire dall’anno d’imposta 2010 nel testo dell’art. 167 è stato introdotto il comma 8-bis che estende la tassazione per trasparenza anche alle controllate residenti in paesi white list  se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: sono assoggettate ad un’aliquota fiscale inferiore a più della metà di quella nazionale e più del 50% dei proventi derivano dalla detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o concessione di diritti immateriali, nonché dalla prestazione di servizi infragruppo (le c.d. passive income).

Con l’art. 168 il legislatore ha esteso la stessa disciplina alle società estere collegate. Condizione di applicazione dell’istituto è che il residente detenga, direttamente o indirettamente una partecipazione non inferiore al 20% agli utili di un impresa, società o altro ente residente o localizzato in uno degli Stati o territori indicati nel Decreto Ministeriale del 21 novembre 2001. La percentuale di controllo è ridotta al 10% in caso di partecipazione in società quotate. Il reddito della collegata da tassare in Italia è determinato dal maggiore tra l’utile prima delle imposte risultante dal bilancio della partecipata e il valore induttivamente determinato sulla base di alcuni coefficienti applicati all’attivo patrimoniale, che sono: 1% sul valore dei beni indicati nell’art.85, il 4% sul valore delle immobilizzazioni immobiliari ed il 15% sul valore delle altre immobilizzazioni.

3. Disposizioni a tutela del presupposto oggettivo dell’imposta

Il legislatore per evitare l’erosione della base imponibile ha introdotto delle disposizioni che apportano delle droghe specifiche al principio della competenza, al diritto di deduzione delle minusvalenze su azioni, al principio generale di tassazione del corrispettivo e al diritto di deduzione dei costi inerenti con l’attività d’impresa se sostenuti nei confronti di soggetti residenti in paesi c.d. black-list.

3.1 deroga al principio della competenza giuridica  

Nella parte introduttiva del presente intervento è stato chiarito che il presupposto della tassazione delle persone giuridiche è il possesso di una delle categorie di reddito indicate nell’art. 6 del TUIR. La stessa regola è prevista per le persone fisiche dall’art. 1 del TUIR. Il concetto del possesso non è uguale per tutte le categorie di reddito. Per il reddito d’impresa e per i redditi fondiari la tassazione non è legata all’incasso di denaro o altra utilità, ma al diritto nel reddito d’impresa di percepire i proventi (principio di competenza) o all’esercizio di un diritto reale sul bene immobile per i redditi fondiari. Invece la tassazione dei redditi di lavoro dipendente o assimilato è legata all’incasso del reddito. Il legislatore, per evitare fenomeni di doppia esenzione, con l’art. 95, comma 5, TUIR ha previsto che i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti. Questa deroga ha la funzione di evitare manovre elusive, impedendo alla società di dedursi dal reddito il compenso deliberato in favore dell’amministratore (criterio di competenza) e non ancora corrisposto. Spostando la deducibilità del costo nel momento della corresponsione del compenso all’amministratore, la deduzione del costo per la società erogante e la tassazione del compenso per l’amministratore coincideranno. In questo modo verranno preservate le ragioni dell’erario, visto che le minori entrate fiscali derivanti dalla deduzione del costo per la società verranno compensate dalla tassazione del compenso percepito dall’amministratore.

3.2 deroga alla deduzione delle minusvalenze su partecipazioni

Le minusvalenze su titoli ed azioni sono deducibili dal reddito se le relative cessioni non possono usufruire del regime agevolativo previsto dall’art. 87 del TUIR (c.d. regime pex). Nonostante ciò il legislatore, con l’art. 109 comma 3-bis TUIR, ha introdotto una disposizione tesa ad evitare fenomeni di doppia esenzione.  Quest’ultima norma prevede, infatti, che le minusvalenze su azioni o partecipazioni che non godono del regime pex sono deducibili fino a concorrenza dei dividendi, e loro acconti, percepiti nei trentasei (36) mesi precedenti la cessione. L‘intento del legislatore è quello di evitare il doppio beneficio della esenzione dei dividendi e della deduzione della minusvalenza nel periodo di osservazione fissato in 36 mesi. La ratio della previsione si basa sulla presunzione che la minusvalenza del titolo ceduto sia stata determinata dalla diminuzione patrimoniale derivante dalla distribuzione dei dividendi. La stessa regola si applica per le differenze negative tra i ricavi imponibili ed i costi deducibili relativi agli stessi beni.

3.3 deroga al principio di tassazione del corrispettivo

L’imposta sul reddito delle persone giuridiche colpisce, come previsto dagli art. 85 e ss. TUIR, i corrispettivi di competenza dell’esercizio. La scelta del corrispettivo come base di determinazione dell’imponibile è giustificata dal fatto che gli interessi contrapposti degli operatori economici garantiscono al legislatore che il prezzo di scambio dei beni ceduti e dei servizi prestati sia quello normalmente praticato in un mercato di libera concorrenza. Il legislatore per tutelare gli interessi erariali ha introdotto nella disciplina dell’IRES delle disposizioni che regolamentano in modo specifico alcuni fatti economici in cui le parti contrattuali, per via di un loro interesse comune e, quindi, non contrapposto, possono pattuire per le obbligazioni assunte un corrispettivo inferiore al valore di mercato, o addirittura possono non prevedere alcun corrispettivo, ponendo in essere un atto liberale. Il riferimento è ai rapporti economici (cessioni di beni e prestazioni di servizi) tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo di imprese e agli atti liberali in natura.

Il principio del valore normale nelle transazioni tra residenti è stato affrontato nel primo numero delle presente rivista (n.1 di maggio 2013), per cui non è necessario aggiungere altro.

Per quanto riguarda i rapporti economici con imprese non residenti la norma di riferimento è l’art. 110, comma 7, TUIR (c.d. transfer pricing). Questa disposizione prevede che le condizioni contrattuali delle transazioni tra due soggetti dello stesso gruppo d’imprese che risiedono in stati diversi concorrono alla tassazione in base a valore normale e non al corrispettivo pattuito. La finalità è quella di evitare  che società sorelle scelgano, tramite condizioni economiche “non normali”, lo Stato in cui tassare l’utile della transazione, ledendo il diritto di ogni territorio di sottoporre a imposizione il reddito ivi effettivamente prodotto. La disciplina si applica alle transazioni tra una società Italiana ed una società non residente nel territorio dello Stato che direttamente o indirettamente controlla l’impresa, ne è controllata o è controllata dalla stessa società che controlla l’impresa. Per controllo si intende sia quello di diritto (art. 2359 CC) che quello di fatto. Questo ultimo si configura nei casi di influenza economica, potenziale o attuale desumibile dalle singole circostanze, come, ad esempio, la vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa, l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione tecnica dell’altra impresa (joint venture), ecc.

Per individuare il valore delle transazioni l’OCSE ha previsto dei metodi per comparare la transazione tra società sorelle con una o più transazioni indipendenti. Questi metodi sono comunemente distinti in tradizionali ed alternativi

I metodi tradizionali sono:

– il metodo del “confronto del prezzo”: Questo metodo ammette due diverse modalità di applicazione che sono il confronto “interno” e quello “esterno”. Il confronto è interno quando è effettuato con una transazione posta in essere dall’impresa con un’impresa indipendente, mentre è “esterno” quando è effettuato con una transazione posta in essere fra imprese indipendenti.

– il metodo del “prezzo di rivendita”: Con questo metodo si confronta il margine applicato dall’impresa sulla rivendita di un bene con quello conseguito da una società indipendente.

– il metodo del “costo maggiorato” Con questo metodo si confronta il margine applicato dall’impresa al costo di produzione di beni e servizi con quello conseguito da una società indipendente.

 I metodi alternativi sono:

– il metodo “del margine netto della transazione”: Con questo metodo viene comparato il margine netto conseguito da un’impresa nelle transazioni infragruppo con il margine netto realizzato da una società indipendente che effettua operazioni comparabili;

– il metodo “della ripartizione degli utili” con questo metodo viene comparato l’utile netto conseguito da un’impresa con l’utile conseguito da soggetti indipendenti che hanno poste in essere operazioni economiche analoghe.

Con le guidelines del 2010 l’OCSE ritiene superata la supremazia dei metodi tradizionali rispetto a quelli alternativi, precisando che il metodo più appropriato è quello in grado di individuare il valore di libero mercato delle transazioni verificate.

3.4 spese ed altri componenti negativi derivanti da rapporti economici con soggetti residenti in stati o territori c.d. black-list.

Il legislatore nell’art. 110, commi da 10 a 12, ha introdotto una limitazione alla deduzione delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti, ovvero localizzate, in Stati o territori a fiscalità privilegiata (c.d. black list). Gli obiettivi della disposizione sono quelli di contrastare la distrazione di utile dall’Italia verso paesi a bassa fiscalità e la creazione artificiosa, a volte fittizia, di componenti negativi di reddito. Il fine perseguito dalla disposizione è quello di limitare l’erosione del reddito dichiarato allo Stato. La natura della disposizione è chiaramente antielusiva, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 51/E del 2010, e si basa sulla presunzione che l’operazione sia stata congegnata per ridurre il carico fiscale.

Questa presunzione di indeducibilità non è assoluta, ma relativa, visto che i contribuenti possono superarla dimostrando, alternativamente, che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, o che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e le stesse hanno avuto concreta esecuzione

La prima esimente è soddisfatta dimostrando che il soggetto estero ha una struttura idonea allo svolgimento dell’attività economica. A tal fine potranno essere esibiti i bilanci della società estera, i contratti di locazione o i documenti attestanti la proprietà degli immobili utilizzati dal soggetto estero per l’esercizio dell’attività, i contratti sottoscritti dal soggetto estero con i lavoratori dipendenti ed i  collaboratori, le utenze telefoniche, elettriche, etc.

In alternativa può essere dimostrato che le operazioni intercorse con il fornitore estero rispondono ad un effettivo interesse economico, oltre ad aver avuto concreta esecuzione (seconda esimente). L’effettivo interesse economico della transazione va valutato caso per caso in ragione della specificità dei singoli rapporti, considerando il prezzo della transazione, la presenza di costi accessori, i tempi di consegna, l’impossibilità di acquisire il medesimo prodotto da altri fornitori. In sostanza deve emergere che le condizioni della transazione conclusa con il soggetto black list sono più favorevoli rispetto ad analoghe operazioni che possono effettuarsi con soggetti residenti in altri Stati. Oppure dimostrare che è impossibile effettuare le stesse operazioni con soggetti diversi.