Diritto Criminologia e criminalistica

Suicidio: un impercepito grido d’aiuto (prima parte)

(di Jolanta Grębowiec Baffoni)

La suicidologia è il ramo della psichiatria che si occupa dei suicidi e dei tentati suicidi. Il compito essenziale di questa disciplina è la prevenzione dei suicidi, accanto alla cura dei pazienti che hanno tentato il suicidio e alle ricerche sulle cause di questo fenomeno.

Il suicidio non può essere soltanto considerato come morte tragica della persona che si è arresa di fronte alle difficoltà della vita, ma anche come una manifestazione della disintegrazione sociale e personale. Il sociologo Emil Durkhem, nella sua opera “Il suicidio” del 1897, ha dimostrato che anche l’atto così personale come suicidio è condizionato socialmente. L’autore ha coniugato l’osservazione e le riflessioni creando la teoria e indicando gli indirizzi di future ricerche sui legami e le relazioni sociali determinanti le tendenze suicida.

Il suicidio non è il fenomeno spiegabile con la semplice definizione di “attentato alla propria vita”. Molti studiosi di diverse discipline hanno sollevato questa problematica, concordando sul fatto che il suicidio appartiene al genere della morte volontaria, tuttavia il principio di tale morte trova diverse spiegazioni.

Nella psicologia classica, Sigmund Freud, sostiene che la morte suicida sia determinata dall’istinto della morte ovvero dalla tendenza della vita organica di ritornare allo stato inorganico, dal quale essa è stata originata. Secondo Freud, l’istinto distruttivo rimane in uno stato di equilibrio con la libido. L’inefficacia dei meccanismi di difesa e la personalità strutturata in modo errato possono manifestarsi con l’aggressione contro gli altri, ma anche contro se stessi.

Gregory Zilboorg spiega la morte suicida con l’inimicizia inconscia associata con l’incapacità di amare. Secondo la concezione di quest’ultimo, la tendenza suicida risulta dallo stesso istinto di sopravivenza, in forma di aberrazione di questo istinto sotto l’influenza della depressione che libera nell’uomo il sentimento di inimicizia verso se stesso. Teoricamente il suicida tende alla immortalità immaginata[1].

Nella letteratura psicologica riguardante il suicidio, fra i criteri più validi degli atti suicidi, si considera l’intenzione di applicarsi la morte. Dorpat e Boswell in base a questo criterio rivelano lo sviluppo della tendenza di morire, dai gesti agli atti suicidi, distinguendo:

–          i gesti suicidi, minacce, comportamenti dimostrativi con basso pericolo di morte;

–          i tentativi di suicidio ambivalenti, quando esiste la possibilità di una fine tragica;

–          i tentativi “potenzialmente mortali”, nei quali la possibilità di sopravvivenza è poco probabile”[2].

In qualche modo questa concezione trova corrispondenza con la concezione della psicologa polacca, Zenona Płużek, che cerca di percorrere le fasi della morte suicida rilevando lo sviluppo delle tendenze dai pensieri sempre più insistenti all’atto stesso della morte. L’autrice divide i suicidi ai:

– reali – quando la persona si sente impotente, inutile, di basso valore, prendendo la fredda decisione di suicidarsi, senza vedere la possibilità di risolvere il conflitto, senza disturbare gli altri, quando la morte le sembra una soluzione migliore,

– presunti – quando il suicida è accompagnato dai sentimenti ambivalenti, incolpando per la difficile situazione in cui si è trovato una volta se stesso e altre volte l’ambiente. L’obiettivo dell’azione suicida è la soluzione del problema e non la perdita della vita, la persona desidera di volgere l’attenzione su se stessa per ottenere i risultati positivi, fuggendo dal problema

– dimostrativi – quando il suicidio è accompagnato dal sentimento di nemicizia verso l’ambiente, con l’obiettivo di incaricare sugli altri i problemi e di punirli anche a costo della vita, è una specie di manipolazione degli altri[3].

Indubbiamente nessuna di queste teorie è esauriente e universale, in quanto ogni morte suicida è segnata dalla vita unica e irrepetibile e dalle situazioni irrepetibili. Di conseguenza le cause dei suicidi possono essere diverse, ma anche le loro tipologie sono diverse. Nella psicologia vengono distinti i suicidi immediati (ovvero l’atto estremo unico), mediati (prolungati nel tempo, come per un graduale avvelenamento oppure nei casi delle malattie lasciandosi morire senza cure), suicidi causanti la morte sicura (armi da fuoco, impiccagione, ecc.) e suicidi causanti la morte probabile (tentati suicidi, lasciandosi nelle mani del destino, utilizzando le „tecniche” di morte lenta – avvelenamento con i farmaci o con il gas, ecc.). I tentativi dei suicidi, quindi, si iscrivono nella dimensione più ampia di quelle descritte dalle statistiche e nelle ricerche psicologiche. Molto spesso l’atto del suicidio „matura” attraverso diversi stimoli, ma non sono isolati i casi dell’attentato alla propria vita in risposta ad uno stimolo unico, come l’insuccesso nel superamento di una prova importante, un tradimento inaspettato o il senso di perdita. Le molteplicità delle circostanze e stimoli, che potrebbero causare la morte suicida sono state distinte da Erwin Stengel in quattro livelli di pericolosità per la vita: i comportamenti suicida relativamente pericolosi, molto pericolosi, relativamente innocui e totalmente innocui. Questi comportamenti si coniugano con le intenzioni suicida, di cui distinguiamo tre livelli: intenzioni serie, mediamente serie e lievi.Secondo questo autore il suicidio viene compiuto da quella persona che decide terminare la propria vita o che agendo sotto l’impulso uccide se stesso, scegliendo il modo più efficace dopo essersi rassicurato di non essere disturbato da nessuno[4].

Secondo i dati di WHO il livello dei suicidi aumenta ogni anno in quasi tutti i paesi europei. Ogni giorno al mondo si tolgono la vita circa 1500 persone e circa 20.000 tentano il suicidio. Ciò significa che uno su 14 tentati suicidi termina con la morte, ovvero ogni 14 secondi qualcuno si toglie la vita[5].

Nell’ambito di suicidologia sono state svolte diverse ricerche sulle cause dell’attentato alla propria vita. Alcune di queste venivano condotte in riferimento alla pressione dell’aria, ai fattori biologici ed ereditari, ai giorni della settimana, allo stato di salute, ecc. Le ricerche dimostrano diverse atteggiamenti suicidali in diverse epoche, paesi, condizioni sociali ed economiche.

I metodi della ricerca sono essenzialmente due. Il primo consiste nell’analisi statistico-sociologica, avente per obiettivo la spiegazione di sviluppo delle tendenze suicida, il secondo analizza le cause individuali dei suicidi, attraverso lo studio delle personalità dei soggetti che hanno tentato il suicidio e i fattori ambientali che hanno potuto determinare i comportamenti autodistruttivi. All’analisi vengono sottoposti i diari, le lettere d’addio, ma anche la corrispondenza privata degli anni precedenti con l’intenzione di rilevare dalle frasi dei frammenti che in qualche modo avrebbero potuto segnalare i stati depressivi, i pensieri e le immaginazioni suicida, con l’intenzione di ricostruire quella sofferenza interiore, mai rivelata chiaramente, o quella condizione psichica, che ha portato la persona al gesto estremo di togliersi la vita. Accanto agli studi linguistici e psicologici dei testi scritti, vengono svolti anche gli studi grafologici che studiano il gesto grafico come espressione della totalità psico-neurofisiologica con l’intenzione di evidenziare quei segni di disagio, di malessere, di sofferenza, di depressione che avrebbero potuto sviluppare l’inclinazione e il desiderio di morire.

Oltre allo studio dei testi scritti si svolgono le ricerche sulle fotografie e sui filmati, con l’intenzione di catturare da essi quei “frammenti” degli atteggiamenti e quelle caratteristiche che avrebbero potuto rivelare la sofferenza interiore della persona, sviluppandosi nel desiderio e nell’atto di autodistruzione. Un importante elemento delle ricerche è presentato dalle interviste con l’ambiente più vicino del suicida, soprattutto con la famiglia, tuttavia tale tipo di ricerca non è facile, soprattutto per la sofferenza dei famigliari che ovviamente necessità il massimo rispetto, e non sempre può comportare i risultati oggettivi.
Nelle ricerche sulle persone che sono sopravissute all’attentato alla propria vita, l’attenzione degli studiosi viene concentrata direttamente sulla persona, sulle sue caratteristiche e sui condizionamenti autodistruttivi nell’ambito sociologico e medico.

Fra le cause più frequenti del suicidio si elencano: le malattie psichiche, conflitti familiari, una malattia degenerativa, condizioni economiche, delusioni d’amore, improvvisa perdita di mezzi di sostentamento, morte di una persona cara, problemi a scuola, l’invalidità permanente.

Molti tentativi di suicidio si registrano anche nelle unioni matrimoniali infelici.

Negli anni settanta del secolo scorso la prof. Maria Jarosz ha distinto in Polonia i gruppi professionali con il fattore più alto dei suicidi. Il fattore più a rischio è stato nei gruppi degli operai industriali (il tasso più alto fra i minatori), muratori e agricoltori[6]. L’Invece negli anni 90, con il cambiamento del quadro sociale, la più alta percentuale dei suicidi si denotava fra i disoccupati, praticamente un suicida su cinque risultava disoccupato. Molti di loro erano divorziati o vedovi, licenziati, molti erano giovani disoccupati senza prospettive lavorative[7].

Tuttavia le statistiche più recenti dimostrano che le mancanze di prospettive occupazionali non sembrano essere il principale fattore di suicidio, anche se possono costituire uno stimolo determinante nella decisione di togliersi la vita, nelle condizioni di mancanza di appoggio delle persone care e di prospettive di irrealizzabilità dei progetti di vita. Le condizioni di mancanza di appoggio, abbandono e le sensazioni di irrealizzabilità dei propri progetti, sembrano gravare anche sui lavoratori vedovi e divorziati, che quattro volto più frequentemente degli altri tentano di togliersi la vita, soprattutto nel primo anno dopo la perdita della persona cara. Altri fattori importanti del suicidio costituiscono malattie gravi, solitudine, delusioni d’amore. Tali conclusioni si traggono dai risultati di una ricerca svolta in Polonia nel 2001, dove il tasso più alto dei suicidi si osserva fra gli operai (25,6%), seguito dai disoccupati (14,9%) agricoltori (10%), liberi professionisti (3,2%), pensionati (10,5%). Purtroppo, risulta molto alto anche il tasso dei suicidi degli studenti, soprattutto delle scuole superiori (29,6%), medie ed elementari (5.4%), mentre la percentuale fra gli studenti universitari è più bassa (0,8%), ciò potrebbe essere spiegato dal fatto di poter scegliere e realizzare gli studi di proprio interesse, costruendo in questo modo la fiducia nel futuro e nelle proprie risorse[8].

La morte suicida del bambino o del ragazzo è sempre un evento molto toccante e tragico, che pone innumerevoli punti interrogativi, sensi di colpa per non aver percepito il disagio e il grido di aiuto del giovane. Di solito l’atto suicida dei minorenni è il risultato di sempre più frequente sensazione di isolamento, di mancanza di tempo dei genitori, di indebolimento delle relazioni familiari e ambientali, incapacità di accettazione delle situazioni di vita in risultato delle difficoltà a scuola oppure di una delusione d’amore. Molti giovani di oggi, maturano nelle condizioni affettivamente insoddisfacenti, negli ambienti che non condannano l’autodistruzione, anzi in molti casi sembrano incoraggiarla, come nei casi di alcoolismo o di uso di stupefacenti, che vengono diffusi come atto di coraggio o di eroismo e propagati come uno stile di vita moderno. I suicidi dei bambini e dei ragazzi sono senz’altro espressione di mancanza di adattamento sociale e dei disturbi nel processo di socializzazione nella famiglia e nella scuola.

Due psicologhe polacche MariaSusułowska e Dorota Sztompka si sono occupate particolarmente del fenomeno dei suicidi fra i giovani, provando di spiegare e di rilevare i comportamenti d’allarme, indicano soprattutto i comportamenti aggressivi, con le caratteristiche di inimicizia e di inquietudine, rivolti contro se stessi[9]. Secondo le autrici i giovani vengono attratti dalle tematiche del suicidio per il fatto che sempre più giovani tentano di togliersi la vita. Tali tentativi nel maggior parte dei casi devono essere trattati come il grido di aiuto, al contrario dei cosiddetti tentativi di suicidio per il bilancio della propria vita, sullo sfondo psicotico delle persone adulte.

Condizionamenti al suicidio

Le numerose ricerche dimostrano che i bambini e i ragazzi con tendenze suicide si distinguono per una maggiore angoscia e il senso di pericolo (53%). La sensazione più frequente del pericolo è connessa con la preoccupazione per il proprio futuro, paura della guerra, aggressioni, odio fra le persone, tuttavia i motivi diretti dei suicidi sono soprattutto: la morte di una persona cara (44%), delusione d’amore (43%), insuccessi a scuola (43%) e conflitti con i genitori (37%).

La casa e la scuola sono due ambienti più vicini ai bambini e ai ragazzi. Le relazioni con questi ambienti sono fondamentali nella vita dei giovani. Le relazioni scorrette nella famiglia oppure nella scuola stanno spesso all’origine dei disturbi comportamentali, che alla loro volta diventano l’origine dei pensieri suicida, che di conseguenza si sviluppano nelle immaginazioni, desideri e purtroppo molto spesso, negli atti. Tuttavia gli atti di attentati alla propria vita si verificano anche negli ambienti funzionanti in modo corretto, dove i fattori principali del desiderio e successivamente del atto di morte suicida, nasce dall’eccessivo rigore dei genitori.

La fragilità dell’età giovane, mancanza di sostegno, inconsapevolezza delle proprie risorse interiori, necessarie nel superamento di ogni difficoltà sono fattori principali, che rendono i ragazzi di oggi molto vulnerabili e indifesi, impreparati e inesperti a far fronte anche alle minime difficoltà della vita. I dati sulle tendenze suicida dei giovani sono preoccupanti e allarmanti.

Dalle inchieste svolte dagli studenti della Scuola Universitaria di Pedagogia Speciale di Varsavia risulta che 90% dei ragazzi come motto della vita ha scelto la frase „la morte è la salvezza”. I tentati suicidi si verificano soprattutto nei ragazzi più deboli, ripetenti in età attorno a 14 anni. La causa principale dei tentati suicidi nel gruppo di ragazzi fra 15-20 anni sono insuccessi nella scuola (oltre 50%). Un ragazzo di 16 anni si è impiccato due giorni dopo aver ottenuto il voto sufficiente nella verifica di lingua inglese.

Segue nel prossimo numero.

Note

[1] Hołyst B., Kryminologia, LexisNexis, Warszawa 2000, p. 615–620.

[2] Hołyst B. Interdyscyplinarna problematyka badań egiologii zachowań suicydalnych, [in] Psychiatria w Praktyce Ogólnolekarskiej , tomo 4 n. 3 Wydawnictwo Medyczne, 2004

[3] Płużek Z., Problemy psychologiczne suicydologii, „Przegląd Lekarski”, 1982, n. 39, pp. 14—43

[4] Stengel E. (1975). Sucide and attempted suicide. Penguin Book, in Schiep S. Ryzyko samobójstwa i próba jego diagnozyw świetle metody Rorschacha, Lublin www.kul.pl/files/1024/…/RPsych_1998_vol01_188-196_Schiep.pd

[5]http://www.sfora.pl/swiat/Co-40-sekund-ktos-na-swiecie-popelnia-samobojstwo-Polska-w-czolowce-a47266

[6] Jarosz M., Samobójstwa, Wydawnictwo Naukowe PWN, Warszawa 1997, p. 194.

[7] Idem,

[8] Jarosz M., Samobójstwa, uczieczka przegranych, Wydawnictwa Naukowe PWN, Warszawa 2004,

[9] Susułowska M., Sztompka M. Próba wyjaśnienia młodzieżowych zamachów samobójczych [in] Psychologia Wychowawcza. – 1968, n. 5-6, pp. 541-564