Diritto

Sull'illegittimità dell'avviso di accertamento "ante tempus": la parola fine della Corte di Cassazione

di Debora Mirarchi

1. Il principio di diritto

Con la sentenza del 29 luglio 2013, n. 18184 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno finalmente sopito la querelle giurisprudenziale sorta in merito alla questione relativa alle conseguenze derivanti dalla inosservanza delle disposizioni contenute all’art. 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente che, come noto,  prevede espressamente che, salvo casi di particolare e  motivata urgenza, l’avviso di accertamento non può essere emesso prima che siano decorsi sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di constatazione.

Questo il principio sancito dai giudici di legittimità: «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento  […] determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva».

2. Breve excusus giurisprudenziale

Prima di sanzionare in termini di illegittimità l’avviso di accertamento c.d. ante tempus, le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, ripercorrono i diversi e frammentari orientamenti giurisprudenziali pronunciatisi nel tempo sulla questione.

Un primo filone giurisprudenziale, considerando la natura vincolata del processo verbale di constatazione e l’esistenza di idonei strumenti a garanzia del diritto di difesa del contribuente, ha ritenuto in ogni caso valido l’avviso di accertamento emesso in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente, poiché l’eventuale previsione di una causa di nullità costituiva una conseguenza del tutto sproporzionata rispetto agli interessi costituzionali in gioco (in tal senso, a titolo esemplificativo, si ricordano le sentenze nn. 19875/08; 21103/11 e 16992/12).

A tale indirizzo, apertamente criticato dalla Suprema Corte, si contrapponevano altri due filoni giurisprudenziali che, seppur per diverse motivazioni, ritenevano che all’emissione anticipata dell’avviso di accertamento dovesse conseguire l’invalidità dell’atto impositivo.

In particolare, secondo un indirizzo intermedio, l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine dilatorio di sessanta giorni è invalido allorquando nello stesso atto impositivo non siano indicati gli specifici motivi di urgenza che ne giustificano l’emissione anticipata (Cass. nn. 22320/10; 1038 e 14768 del 2011; 4687, 11347 e 16999 del 2012).

Tale orientamento, prendendo spunto dall’ordinanza del 24 luglio 2009, n. 244 della Corte di Costituzionale, in buona sostanza, riteneva invalido l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni in assenza di motivi di urgenza, non per violazione delle norme che disciplinano il contraddittorio, ma per difetto di motivazione dell’atto impositivo.

In tale ottica interpretativa l’invalidità è, quindi, da considerarsi intrinseca all’avviso di accertamento e non derivata da un vizio del procedimento.

Infine, occorre segnalare un ulteriore filone giurisprudenziale, le cui conclusioni sono state in parte condivise dalle Sezioni Unite.

Secondo tale orientamento l’emissione dell’avviso di accertamento prima che sia decorso il termine di legge, se non supportato da specifici motivi di urgenza, comporta una non prevista e non giustificata limitazione del contraddittorio e, quindi, del diritto di difesa del contribuente che si traduce inevitabilmente in una causa di invalidità dello stesso avviso di accertamento (Cass. nn. 5652 e 6088 del 2011).

In estrema sintesi, tale prospettiva interpretativa valorizzava il rispetto di norme di natura procedimentale in quanto idonee a garantire la valida instaurazione del contraddittorio fra le parti e, quindi, l’esercizio del diritto di difesa del contribuente.

3. Il ragionamento della Corte di Cassazione

Per il giudice di legittimità, l’inottemperanza del termine dilatorio, di cui all’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000, non giustificata dalla comprovata sussistenza di particolari e motivate ragioni di urgenza, comporta l’illegittimità tout court dell’avviso di accertamento anche in assenza di una specifica previsione in tal senso.

La Corte di Cassazione giunge a tale conclusione attraverso la reinterpretazione dei rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuente sino a pervenire ad una rivalutazione dei principi contenuti nella Legge n. 212/2000.

Da subito si comprende il convincimento del Supremo Collegio: in forza del disposto contenuto nella clausola c.d. rafforzativa dell’art. 1, comma 1, le norme contenute nello Statuto dei Diritti del Contribuente costituiscono diretta espressione dei principi immanenti dell’ordinamento di cui agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e, al contempo, imprescindibili criteri guida per l’interprete nella esegesi delle norme.

La Corte, quindi, attraverso una sapiente analisi, restituisce ai principi contenuti nello Statuto dei Diritti del Contribuente quel ruolo di indubbia rilevanza nella attuazione dei principi costituzionali, spesso dimenticato dalla giurisprudenza, senza però sottacere la natura di norme statutarie.

In conclusione, secondo i giudici di legittimità, la violazione delle norme dello Statuto dei Diritti del Contribuente deve essere interpretata quale indiretta violazione dei principi costituzionalmente garantiti.

Effettuata tale doverosa premessa, i giudici della Corte di Cassazione tornano a pronunciarsi sul concetto e sulla applicabilità dell’art. 12 dello Statuto dei Diritti del Contribuente con particolare riferimento alle disposizioni di cui al comma 7 che, come detto, impone alla Amministrazione finanziaria di non emettere l’avviso di accertamento prima che siano decorsi sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di constatazione.

La ratio di tale disposizione è evidente: consentire al contribuente di partecipare attivamente alla formazione dell’atto impositivo comunicando, nei sessanta giorni successivi al rilascio della copia del processo verbale di constatazione, eventuali osservazioni e richieste.

Per i giudici della Corte di Cassazione la norma statutaria in parola, consentendo al contribuente di comunicare osservazioni e/o richieste prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, garantisce allo stesso di potersi difendere anche in sede precontenziosa, attuando in concreto i principi costituzionali del buon andamento e della imparzialità dell’attività amministrativa.

Da ciò deriva che l’inosservanza del termine dilatorio de quo e, quindi, l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento, non giustificata da situazioni di particolare urgenza, non può che comportare l’illegittimità dell’avviso di accertamento c.d. ante tempus.

Chiarito ciò, in un altro sapiente passaggio della sentenza in commento, la Corte sottolinea che ulteriore conferma dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione, emergerebbe anche dall’espressione utilizzata dalla norma statutaria.

L’art. 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente, infatti, dispone che «l’avviso di accertamento non può essere emanato» prima che siano decorsi sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione.

Tale espressione definita “forte” parrebbe fornire, secondo la Corte, una ulteriore conferma della invalidità dell’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine dilatorio in assenza di specifici motivi di urgenza.

Risolto definitivamente il contrasto giurisprudenziale, arenatosi per anni fra ipotesi di mera irregolarità (di fatto priva di conseguenze) e ipotesi di invalidità, la sentenza in commento si spinge sino a definire con chiarezza la “natura” del vizio che inficia l’atto impositivo emesso in violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente.

Secondo i giudici della Suprema Corte, poiché il termine dilatorio ha la funzione di garantire l’instaurazione del contraddittorio e la partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto impositivo, la sua illegittima violazione, comporta una «divergenza dal modello normativo» e, pertanto, la nullità dell’atto stesso per vizio relativo al procedimento.

L’invalidità, quindi, secondo gli Ermellini, non è intrinseca all’atto impositivo ma deriva da un insanabile vizio del procedimento.

A nulla rileva l’inesistenza di una disposizione normativa ad hoc che sanzioni in termini di nullità l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine dilatorio poiché, secondo la Corte, l’invalidità «pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale».

A parere di chi scrive, si tratta di una precisazione di non poco conto poiché ciò significa che un vizio procedimentale può decretare la nullità di un atto impositivo in ogni caso valido e fondato nei suoi presupposti.

4. Sulle ragioni di particolare e motivata urgenza

Meno netta è la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in merito al concetto e all’applicabilità dell’esimente delle particolari e motivate ragioni di urgenza che, per espressa previsione normativa, giustifica l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento.

È importante rilevare che la sentenza de qua non soccorre nella definizione dei casi specifici in cui opera l’esimente, né fornisce chiare linee guida all’interprete.

Tuttavia, stante il carattere eccezionale dell’esimente inserita nel corpus della norma in parola al fine di attuare un bilanciamento degli interessi coinvolti, deve concludersi che essa può operare solo in circostanze di assoluta urgenza oggettivamente valutata.

Tale precisazione, a parere di chi scrive, dovrebbe portare ad escludere la configurabilità di tale esimente nelle ipotesi in cui l’Ufficio motivi la ragione dell’urgenza con l’approssimarsi della scadenza del temine per l’esercizio del potere accertativo. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione di legittimare l’Amministrazione finanziaria a rimediare ad immotivati ritardi nell’esercizio del proprio potere impositivo. Pur tuttavia occorre rilevare che la giurisprudenza si è spesso pronunciata in senso opposto riconoscendo che la prescrizione del potere accertativo costituisce a tutti gli effetti una causa di particolare e motivata urgenza tale da consentire l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento (in tal senso si segnala la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 20769/13).

Ciò posto, altro importante passaggio della sentenza riguarda l’esatta identificazione del momento in cui l’Amministrazione finanziaria deve provare l’esistenza delle ragioni di urgenza.

Questo è, probabilmente, il punto della sentenza che desta qualche perplessità.

La Corte risponde a tale interrogativo affermando che «l’obbligo di motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione […] non essendo, invece, necessario dar conto, in quella sede (e comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse) nel rispetto di regole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti il tempo di emanazione del provvedimento».

In buona sostanza secondo le Sezioni Unite, l’obbligo di motivazione vincola l’Amministrazione finanziaria soltanto allorquando, in sede accertativa, si determini la pretesa impositiva nei suoi presupposti di fatto e di diritto, e non anche quando sia necessario dimostrare il corretto esercizio del potere accertativo attraverso il rispetto di regole di natura procedimentale.

Ne consegue che l’illegittimità dell’avviso di accertamento, contrariamente a quando sostenuto in più circostanze dalla pregressa giurisprudenza, non deriva dalla omessa enunciazione nello stesso atto impositivo dei motivi che consentono una emissione anticipata, ma dalla comprovata insussistenza, in fatto, della situazione di emergenza.

Secondo la Corte, quindi, vi è nullità dell’avviso di accertamento solo se le ragioni di urgenza non ricorrono, indipendentemente dal fatto che siano o meno esplicitate nell’avviso di accertamento.

È evidente che la sede dove valutare l’effettiva sussistenza di tali motivi di urgenza non può più essere il contraddittorio fra il Fisco e il contribuente in fase precontenziosa ma è necessariamente il giudizio.

Sarà infatti il giudice adito, mediante un giudizio ex post sulla base delle prove fornite dall’Ufficio, a valutare la sussistenza all’epoca dell’emissione dell’avviso di accertamento delle ragioni di urgenza e, quindi, la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria.

Tale conclusione solleva diverse perplessità perché si pone in contrasto con il procedimento logico-argomentativo che ha condotto la Corte, in chiave fortemente dei principi costituzionali, a considerare nullo l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni.