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(di Federico Tosone)

Con il Decreto Legislativo n. 28 del 16 marzo 2015 – che entrerà in vigore il prossimo 2 aprile 2015 – il Governo ha dato attuazione alla Legge n. 67/2014 con la quale il Parlamento ha conferito la delega legislativa ad adottare i provvedimenti più opportuni per la sostanziale revisione – in un’ottica di tendenziale depenalizzazione – del sistema sanzionatorio penale relativo alle ipotesi di minore portata lesiva degli interessi protetti dell’ordinamento giuridico.

Invero, la principale novella introdotta dal D. Lvo 28/2015 consiste nell’estensione – all’interno dell’ordinaria disciplina codicistica – della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto che, finora, era prevista esclusivamente nel procedimento penale avanti il Giudice di Pace, ai sensi dell’art. 34 D. Lvo 274/2000, e avanti il Tribunale dei Minorenni ex art. 27 D.p.r. 448/1988 (Codice del processo penale minorile).

Infatti, il nuovo art. 131-bis, primo comma, C.p. stabilisce che, in relazione ai reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni (ovvero la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena), la punibilità è esclusa quando l’offesa è di particolare tenuità, tenuto conto della concreta modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 C.p. – sempre che il comportamento dell’agente non risulti abituale.

Il secondo comma della suddetta norma specifica che l’offesa non può considerarsi tenue ove l’autore abbia agito per motivi abietti o futili o con crudeltà ovvero approfittando delle particolari condizioni di minorata difesa della vittima o, infine, se per effetto della condotta siano derivate conseguenze lesive non previste né volute (morte, lesioni gravi o gravissime).

Il terzo comma dell’art 131-bis C.p. offre una particolare precisazione in merito all’abitualità della condotta dell’autore che, ove sussistente, determina l’inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.

A tal proposito, viene stabilito, infatti, che il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità.

A siffatta novella sulla disciplina sostanziale di parte generale contenuta nel Codice penale, si affianca il rilevante e dovuto intervento sulla disciplina processuale.

Ebbene, il legislatore delegato ha modificato, altresì, l’art. 411 C.p.p. (rubricato “altri casi di archiviazione”) stabilendo che le norme relative alla richiesta di archiviazione del P.M. (art. 408 C.p.p.), ai conseguenti provvedimenti del giudice in merito a detta richiesta (art. 409 C.p.p.) nonché all’opposizione della stessa ad opera delle parti (art. 410 C.p.p.) sono applicabili anche ai soggetti/indagati non punibili per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis C.p..

Viene introdotto, inoltre, un nuovo comma 1-bis all’art. 411 C.p.p. ove si stabilisce che, in caso di richiesta di archiviazione fondata sulla ritenuta sussistenza della nuova causa di esclusione della punibilità – ossia per la particolare tenuità del fatto – il P.M. deve darne avviso al medesimo soggetto/indagato ed alla persona offesa precisando che, nel termine di dieci giorni, possono visionare il fascicolo e presentare l’opposizione con l’indicazione, a pena di inammissibilità, delle ragioni del proprio dissenso rispetto alla richiesta.

Il giudice, in caso di ammissibilità dell’opposizione, procedendo ai sensi dell’art. 409, secondo comma, C.p.p., fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e, ascoltate le parti, se intende accogliere la richiesta, provvede con ordinanza.

Diversamente, nel caso in cui non sia stata proposta opposizione o essa sia inammissibile, il giudice procede senza formalità e, ove voglia accogliere la richiesta, provvede con decreto motivato.

Restituisce gli atti al P.M. – invece – nel caso in cui respinga la richiesta di archiviazione.

Il Governo, inoltre, con l’introduzione del comma 1-bis all’interno dell’art. 469 C.p.p. (“proscioglimento prima del dibattimento”), ha sancito che il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento ove sussista la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.

Degna di nota è la disposizione più controversa, sotto il profilo giuridico, del D. Lvo 28/2015, ossia l’introduzione all’interno del codice di rito dell’art. 651-bis C.p.p. rubricato “Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo”.

Nell’intento di ovviare alle evidenti questioni interpretative che avrebbe provocato l’omissione di un intervento legislativo sul punto – posto che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, emessa in sede dibattimentale, sottende un accertamento giudiziale dell’organo giudicante in contradditorio tra le parti – il Governo ha provveduto a disciplinare gli effetti di siffatta pronuncia in sede di giudizio, civile o amministrativo, instaurato nei confronti del condannato o del responsabile civile (citato o intervenuto) per le restituzioni e per il risarcimento del danno.

Di talché, l’art. 651-bis C.p.p. stabilisce – invero – che la sentenza irrevocabile di proscioglimento emessa a seguito di dibattimento sulla base della particolare tenuità del fatto ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e, soprattutto, della sua commissione ad opera dell’imputato.

Da ultimo, il legislatore delegato è intervenuto, altresì, sulle disposizioni in materia di casellario giudiziale contenute nel D.p.r. 313/2002, stabilendo che anche le sentenze di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis C.p. debbano essere ivi iscritte.

Alla luce di quanto sopra esposto, è lecito svolgere una breve considerazione conclusiva.

A parere di chi scrive, è degno di nota lo sforzo del legislatore di ridurre il carico giudiziario presso i “Palazzi di Giustizia” ma con l’auspicio che ad esso seguano ulteriori interventi che – informati al generale principio della sussidiarietà della norma penale – possano condurre ad un’efficace depenalizzazione di quei fatti illeciti il cui giudizio di disvalore è più tenue – non correndosi, dunque, il rischio di alcun indebolimento della tutela ai prevalenti beni giuridici protetti dall’ordinamento.

Resta, tuttavia, qualche dubbio sulla conformità dell’attuale formulazione dell’art. 131-bis C.p. al principio costituzionale della determinatezza della norma penale, posto che, dalla lettera della norma, vengono offerti ai giudici margini di discrezionalità pressoché sconfinati per l’individuazione dei fatti tenui e di quelli che tenui non sono.

Sotto quest’ultimo profilo, si rileva che il legislatore, ed in particolare le commissioni, avrebbero potuto fare qualcosa di più in particolare sulla determinazione, in modo più pregnante, di ragionevoli criteri discretivi per garantire che l’accertamento circa la tenuità del fatto avvenisse uniformemente all’interno di tutti i Fori italiani.

 

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