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Mobile Payment

Secondo la nuova edizione dell’ “Osservatorio Mobile Payment & Commerce” della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2018 Contactless e Mobile rappresentano un terzo dei pagamenti digitali con carta.

In merito si espresso Alessandro Perego, responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano affermando che in Italia i pagamenti con carta salgono a 240 miliardi di euro. Il 37% delle famiglie italiane paga con questo metodo e il dato evidenzia una crescita del 9%.

Perego ha continuato sottolineando che gli italiani usano sempre più la carta, il numero di transazioni pro-capite è oggi 69,6 rispetto 60 del 2017. Lontani dai numeri degli altri Paesi ma è positivo sapere che scende il valore medio di ogni transazione, il quale si aggira attorno ai 57 euro per transazione rispetto ai 60.5 euro per transazione del 2017.

La crescita registrata in Italia per l’utilizzo di tali sistemi di pagamento equivale al 56% equivalente a 80 miliardi di euro, a detta dei responsabili dell’Osservatorio tale crescita potrebbe proseguire nei prossimi anni fino a superare i 125 miliardi di euro nel 2021.

(di Sabrina Polato)

L’accordo sul nucleare iraniano raggiunto a Vienna lo scorso 14 luglio tra la Repubblica Islamica dell’Iran ed il cosiddetto gruppo dei “5+1” (Stati Uniti – Regno Unito – Francia – Russia – Cina, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, più la Germania, uno dei principali partner commerciali dell’Iran), segna una svolta storica nelle relazioni diplomatiche ed economiche tra lo Stato Iraniano e la Comunità Internazionale, di cui potrebbero beneficiare le aziende italiane già nel breve termine grazie al ripristino, se non anche al superamento, delle performance di export esistenti nel periodo pre-sanzionatorio.

 

I CONTENUTI DELL’ACCORDO

L’accordo sul programma nucleare iraniano, giunto al termine di venti mesi di trattative e di un lungo percorso di sforzi diplomatici, comporterà la progressiva sospensione delle sanzioni internazionali attualmente imposte all’Iran, a fronte dell’accettazione da parte del governo di Teheran dell’imposizione di limiti e controlli sul proprio programma nucleare. In particolare, l’Iran dovrà garantire l’accesso degli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) a tutti i propri siti nucleari, compresi i siti militari e quelli considerati “sospetti” (Teheran è stata infatti accusata per anni dalle Grandi Potenze Economiche Mondiali di usare l’attività per l’arricchimento dell’uranio a scopo civile per nascondere la produzione di bombe atomiche).

Di seguito, una descrizione dettagliata dei contenuti dell’accordo[1].

  1. L’Iran ridurrà le sue capacità di arricchimento dell’uranio di due terzi.
  2. L’Iran fermerà l’impianto per l’arricchimento dell’uranio di Fordow (nel settembre 2009, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama rivelò l’esistenza di una struttura sotterranea per l’arricchimento dell’uranio a Fordow, nei pressi della città iraniana di Qom).
  3. Le scorte di uranio a basso arricchimento saranno ridotte del 96%, mediante scioglimento o tramite la spedizione di una parte delle scorte fuori dal paese.
  4. Verrà rimosso il nucleo del reattore della centrale nucleare di Arak, in modo tale che non possa più produrre quantità significative di plutonio.
  5. L’Iran permetterà agli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) di entrare in tutti i siti nucleari, anche in quelli militari, nel caso in cui l’Onu sospettasse delle attività legate all’arricchimento dell’uranio. Una commissione indipendente valuterà caso per caso e l’Iran avrà tre giorni per dare l’autorizzazione. Gli ispettori potranno provenire solo da un Paese che ha relazioni diplomatiche con l’Iran.
  6. Si procederà alla graduale sospensione delle sanzioni in capo all’Iran solo in presenza di verifiche ispettive con esito positivo da parte dell’Agenzia Aiea circa l’attuazione, da parte dell’Iran, del piano nucleare concordato.
  7. Restano in vigore le restrizioni al commercio di armi con l’Iran (altri cinque anni) e quelle per i missili e la tecnologia balistica (altri otto anni).
  8. In presenza di presunte violazioni dell’accordo da parte dell’Iran verrà istituita una commissione ad hoc con il compito di risolvere la questione entro i successivi 30 giorni. Se la commissione non dovesse riuscire a risolvere il conflitto, la competenza passerebbe al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il veto di un membro permanente del Consiglio porterebbe alla reintroduzione delle sanzioni.

Nonostante la portata storica dell’accordo, è ancora troppo presto per considerare la questione “nucleare iraniano” definitivamente conclusa. Infatti, a livello di tempistica, l’applicazione dell’accordo prevede un iter abbastanza lungo e complicato.

L’intesa raggiunta deve essere esaminata entro 60 giorni ed approvata entro altri 22 giorni dal Congresso Statunitense. Anche il parlamento iraniano deve esaminare l’intesa, ma senza scadenze precise. Infine, a seguito dell’approvazione da parte del congresso statunitense e del parlamento iraniano, l’accordo deve essere recepito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Solo a questo punto, l’Iran comincerà a disattivare i macchinari che servono ad arricchire l’uranio e a ridurre le sue scorte di uranio a basso arricchimento.

All’Agenzia Aiea spetterà il compito fondamentale di vigilare sull’applicazione del programma: l’assicurazione, da parte degli ispettori dell’Aiea del rispetto dei patti da parte di Teheran sarà la condizione indispensabile per l’abolizione delle sanzioni che avverrà comunque in maniera graduale: il presidente statunitense Barack Obama concederà delle deroghe in materia di sanzioni economiche e finanziarie e l’Unione europea voterà sull’abolizione delle sanzioni.

Solo tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 si arriverà alla sospensione totale delle sanzioni economiche e finanziarie. L’abolizione delle sanzioni sarà comunque costantemente subordinata alla presenza di feedback positivi da parte degli ispettori dell’Aiea, con la possibilità di reintroduzione delle stesse entro 65 giorni dalla notifica di eventuali violazioni dell’accordo da parte dell’Iran.

 

LE RICADUTE DELL’ACCORDO SULL’EXPORT DELLE AZIENDE ITALIANE

L’Italia è da sempre uno dei principali partner commerciali europei dell’Iran.

In quanto tale, nell’ultimo decennio, ovvero a partire dal 2006 (anno di introduzione delle sanzioni commerciali e finanziarie all’Iran da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), le nostre aziende hanno subìto pesanti ripercussioni negative in termini di riduzione del fatturato export proveniente dagli scambi con il Paese. La perdita complessivamente accumulata nel periodo 2006-2014 è stata di circa 15 miliardi di euro, con picchi di contrazione del 25% negli anni 2012 e 2013. Nonostante ciò, l’Italia rimane il nono partner commerciale mondiale dell’Iran.

Secondo le stime di SACE [2], il graduale ritiro delle attuali sanzioni internazionali potrebbe portare ad un incremento complessivo dell’export italiano verso l’Iran di circa 3 miliardi di euro nei prossimi 4 anni (periodo 2015-2018). Se l’export italiano fosse poi in grado di ristabilire le performance di crescita registrate nel periodo pre-sanzioni (2000-2005), il livello di export verso l’Iran potrebbe aumentare di 2,5 miliardi di euro nel solo anno 2018, ritornando ad un livello di poco superiore al picco raggiunto nel 2005, ultimo anno prima dell’applicazione delle sanzioni.

Purtroppo, bisogna riconoscere che non sarà comunque facile per le nostre aziende riguadagnare quanto perso in quasi 10 anni di sanzioni, dal momento che sul mercato iraniano si sono nel frattempo affacciate potenze economiche emergenti quali Cina, Russia, India e Brasile che hanno tolto importanti quote di mercato all’Italia.

Nonostante la pesante flessione registrata in termini assoluti, la composizione dell’export italiano verso l’Iran è rimasta pressoché invariata negli anni. Il principale settore di esportazione è rappresentato dalla meccanica strumentale che rappresenta il 58% dell’export totale italiano verso il Paese. Seguono, molto distaccati, i prodotti chimici (8,4%), i prodotti in metallo (7,7%), le apparecchiature elettriche (5,8%), i prodotti in plastica e gomma (5,3%), i prodotti farmaceutici (4%).

Guardando al futuro, la riapertura del commercio estero con l’Iran potrà avere delle ricadute positive in particolare per i seguenti settori:

– petrolifero (oil&gas) e petrolchimico (polimeri);

– automotive;

– trasporti (in primis, per il comparto aereo e ferroviario);

– oggetti di design e complementi d’arredo (per la crescente sensibilità verso le nuove tendenze che si sta diffondendo tra l’elite iraniana);

– agroalimentare ed industria alimentare (in particolare, il settore della conservazione alimentare).

Buone prospettive di crescita per gli scambi commerciali tra Italia ed Iran sono state confermate dal Ministro dell’Industria delle Attività minerarie e del Commercio della Repubblica iraniana, Mohammad Reza Nematzadeh, in occasione della sua recente visita presso i padiglioni di Expo Milano 2015.

 

Note

[1] Fonte: Rivista “Internazionale” – ed. luglio 2015.

[2] SACE – Focus on Iran, Recovering Lost Time – ed. July 2015.

(di Sabrina Polato)

Gli Stati Uniti rappresentano il primo partner commerciale Extra-Ue delle aziende italiane produttrici di salumi ed insaccati. Nel 2014 le nostre esportazioni verso il Paese hanno registrato un aumento, in termini di fatturato, di oltre il 18%, raggiungendo quota 86,8 milioni di euro. Un risultato che, se da un lato sorprende in considerazione delle numerose restrizioni con le quali i nostri produttori hanno dovuto da sempre confrontarsi (su tutte il provvedimento 100% reinspection), dall’altro fa ben sperare in un ulteriore miglioramento delle performance di export verso il mercato statunitense, a seguito delle novità introdotte dalle autorità americane con il mese di maggio 2015.

Export del settore.[1]

Le esportazioni italiane di salumi stanno registrando un aumento costante ormai da diversi anni, sia in termini di volumi che di fatturato. Il 2014 ha di fatto confermato questo trend positivo: 148.830 tonnellate (+4,7%) per un fatturato record di 1,260 miliardi di euro (+6,3%).

All’interno della UE, un contributo positivo è arrivato in termini di fatturato da tutti i principali partner commerciali italiani (Germania, Regno Unito ed Austria in particolare). La Germania si conferma il mercato più importante per i nostri salumi con un fatturato export di 280 milioni di euro, derivante principalmente dalla vendita di prosciutti crudi, salami, pancette e insaccati cotti. Ottimo 2014 anche per le esportazioni verso il Regno Unito (+10,7% in valore per 141,9 mln di euro), grazie agli incrementi di domanda di tutte le principali categorie di salumi con l’unica eccezione dei salami.

Molto bene anche l’ Austria (+8,4% per 72,3 mln di euro), la Croazia (+20,2% per 19,5 mln di euro) e la Spagna (+12,8% per 20,3 mln di euro). Fra i mercati più piccoli da evidenziare gli incrementi a 2 cifre di Paesi Bassi (+33,4%) e Slovenia (+37,5%).

In ambito Extra-UE, si sono registrati aumenti di fatturato export a doppia cifra con Giappone (+17,8%), Canada (+18%), Repubblica Sudafricana (+17,8%) e Norvegia (+7,3%).

Unica nota dolente la Russia: – 42,7% in quantità e – 32,1% in valore per 12,7 milioni di euro, a causa dell’embargo.

Export verso gli Stati Uniti.

Con il mese di maggio 2015 sono state introdotte due importanti novità destinate a modificare (in meglio) le relazioni commerciali tra Italia e Stati Uniti per quanto concerne i salumi ed i prodotti insaccati.

Infatti, le Autorità statunitensi hanno da un lato revocato il provvedimento denominato 100% reinspection (ovvero il controllo sistematico di tutte le partite di salumi provenienti dall’Italia che arrivavano in dogana) e, dall’altro, rinnovato la possibilità per il ministero della Salute di abilitare nuove aziende italiane all’esportazione negli Usa.

Il provvedimento 100% reinspection , introdotto nel settembre 2013 a causa della mancata corrispondenza normativa tra UE e USA per quanto riguarda la tolleranza di Listeria Monocytogenes (patogeno per il quale negli Stati Uniti vige la regola della “tolleranza zero”), ha causato notevoli disagi alle aziende italiane esportatrici, le quali hanno subito una vera e propria perdita di competitività rispetto a produttori di altri Paesi concorrenti (Messico in primis…). Le aziende italiane hanno dovuto sopportare un aumento dei costi di sdoganamento, ma anche uno slittamento dei tempi di consegna al cliente americano (i salumi italiani erano costretti a stazionare molti giorni presso i magazzini doganali prima di essere campionati ed autorizzati alla vendita).

In termini di export è quindi realistico aspettarsi un ulteriore miglioramento delle performance di fatturato nel mercato, dal momento che verrà data la possibilità di accedere al mercato statunitense ad un numero sempre maggiore di aziende ma, soprattutto, verrà resa finalmente possibile l’esportazione di tutti quei prodotti di salumeria a breve stagionatura (quali salami, coppe, pancette), ufficialmente autorizzata già dal maggio 2013, ma di fatto resa impossibile a seguito dei controlli imposti dal provvedimento 100% reinspection.

La revoca di tale provvedimento è un chiaro segnale di distensione tra le Autorità americane ed il Sistema Istituzionale italiano (in conclusione, viene considerato degno di fiducia il sistema dei controlli italiano). Il risultato è stato raggiunto a seguito di un’intensa trattativa sviluppatasi nel 2014 con l’impegno di più parti (Ministero della Salute, Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Ambasciata d’Italia negli USA, servizi veterinari regionali, associazioni industriali di settore).

La decisione è arrivata a seguito del completamento della valutazione dei risultati di un Audit condotto sulle strutture produttive italiane da parte di alcuni ispettori del FSIS (Food Safety and Inspection Service), l’agenzia americana per la sicurezza alimentare. In particolare, l’Amministratore del FSIS, Alfred Almanza, ha comunicato ufficialmente che e’ stata sbloccata la lista degli impianti autorizzati ad esportare negli Stati Uniti e che i controlli ispettivi ai punti di ingresso (POE) in USA saranno dimezzati immediatamente, per poi essere riportati allo stato pre-crisi di controlli a campione, in assenza di casi di positività entro 45 giorni ai punti di entrata nel Paese (POE)[2].

Come esportare salumi negli Stati Uniti: documentazione ed autorizzazioni richieste. [3]
Con la revoca del provvedimento 100% reinspection vengono ristabilite le condizioni e le regole in vigore dal maggio 2013 (periodo a partire dal quale si è attuata la reale apertura del mercato americano alle carni crude stagionate italiane). Dal 28 maggio 2013 è difatti permessa negli Stati Uniti l’importazione dell’alta salumeria italiana prodotta in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e nelle province di Trento e Bolzano (l’importazione di prosciutti crudi, prosciutti cotti e mortadelle era, invece, già ammessa da tempo). Tali territori sono stati considerati dall’Animal and Plant Health Inspection Services (APHIS) a rischio basso per quanto riguarda la malattia vescicolare del suino.

Più che di una vera e propria “apertura” del mercato si dovrebbe però parlare di una serie di “concessioni all’importazione”, dal momento che le regole imposte dalle Autorità americane continuano ad essere molto restrittive.

I salumi italiani destinati all’esportazione negli USA devono infatti possedere le seguenti caratteristiche:

  • provenire solo dastabilimenti che siano stati preventivamente autorizzati dalle autorità statunitensi (l’impianto di macellazione degli animali non deve essere venuto a contatto con animali o carni provenienti da Regioni nelle quali la malattia vescicolare del suino sia ancora presente, ovvero che carni e/o animali non abbiano attraversato Regioni non indenni);
  • essere provvisti di uno specifico certificato sanitario e di attestazione veterinaria;
  • essere a base di carne cotta e sottoposti a trattamento termico che raggiunga i 69°C al cuore del prodotto, oppure sterilizzati (cotechino), oppure a base di carne cruda (con stagionatura superiore a 400 giorni), oppure essere carni a bassa stagionatura (dal 28 maggio 2013).

La documentazione richiesta per l’export dei prodotti ammessi (identificati con il codice doganale tariffa armonizzata SA 0210 “meat and edible meat offal, salted, in brine, dried or smoked; edible flours and meals of meat or meat offal ”) è la seguente:

  1. Registrazione di stabilimento alimentare. Documento attestante che lo stabilimento o gli stabilimenti in cui è stata effettuata la produzione, trasformazione, confezionamento e conservazione di alimenti destinati al consumo per il mercato statunitense è/sono stati registrati presso la Food and Drug Administration (FDA). La normativa americana ammette anche aziende che, pur non operando presso uno stabilimento autorizzato, si sono avvalse, per la produzione di salumi a proprio marchio, dello stabilimento di un’altra azienda il cui impianto sia stato autorizzato, previo accordo commerciale tra le parti.
  1. Licenza per la fauna selvatica. Si applica nel caso di alimenti in cui, tra gli ingredienti, figurino anche prodotti di animali in via di estinzione. Tale documento attesta che il titolare è autorizzato ad esportare specie di fauna selvatica ed è necessario per lo sdoganamento e l’accesso al mercato.
  1. Preavviso di importazione di prodotti alimentari. Altro documento necessario per lo sdoganamento. Pre-annuncia l’importazione di alimenti alla Food and Drug Administration (FDA). Deve essere presentato, per via elettronica o attraverso la dogana, a: Automated Broker Interface (ABI) – Sistema Commerciale ACS, solo dopo la registrazione alla lista degli stabilimenti autorizzati. Inoltre, devono essere rispettati dei termini per la presentazione del preavviso (entro 15 giorni prima della data prevista di arrivo, per invii effettuati tramite il PNSI -Prior Notice Systems Interface – sistema per la richiesta della notifica preventiva – introdotto nel 2003 a seguito atti di bioterrorismo; entro 30 giorni prima della data prevista di arrivo, per la presentazione fatta attraverso l’ABI/ACS).
  2. Certificato sanitario per i prodotti animali. Documento rilasciato dalla ASL, attestante che i prodotti di origine animale per l’esportazione non sono infetti e non sono portatori di alcuna malattia infettiva. E’ necessario per sdoganamento e accesso al mercato. Deve essere scritto in inglese e presentato in originale.
  3. Certificato di origine. Facoltativo, secondo le indicazioni dell’importatore americano. Nel caso venisse richiesto è necessario rivolgersi alla CCIAA provinciale dove ha sede il produttore, organo competente per il rilascio.
  4. Codice di Identificazione Produttore (MID). Codice che identifica il produttore (non statunitense) di un bene, in conformità con le disposizioni di legge. L’autorità responsabile è la Customs and Border Protection (CBP). Il MID deve essere predisposto dall’importatore in conformità con le disposizioni di legge statunitense di cui al19 CFR 102. Il codice MID contiene fino a 15 caratteri senza spazi:

           – Codice ISO del paese (due caratteri)

           – Nome del fabbricante (primi tre caratteri di ciascuno delle prime due parole)

           – Indirizzo del fabbricante (prime quattro cifre del numero maggiore nel tratto di strada di indirizzo)

           – Nome della città (prime tre lettere).

           Per articoli aventi più di un produttore, il codice MID va indicato per ciascun produttore, separatamente.

Inoltre, va ricordato che tutti i salumi esportati negli Stati Uniti devono avere idonea etichettatura (rigorosamente in lingua inglese), la quale dovrà riportare almeno le seguenti informazioni:

– Nome del prodotto

– Paese di origine (“Made in…” o “Product of …”)

– Nome e indirizzo del produttore

– Peso netto (“Net content…“)

– Stato fisico del prodotto (intero, in cubetti, porzionato…)

– Elenco degli ingredienti

– Informazioni nutrizionali (calorie, grassi totali, grassi saturi, grassi idrogenati, colesterolo, sodio, carboidrati totali, fibre, zuccheri, proteine, vitamina A, vitamina C, calcio, ferro)

– Eventuale presenza di allergeni alimentari (vicino alla lista degli ingredienti va riportata la parola “Contains” seguita dal nome dell’allergene).

Infine, in caso di utilizzo di imballaggi in legno (casse di legno, gabbie, pallets) questi devono essere trattati e marchiati secondo la normativa fitosanitaria NIMP n. 15.

Note

[1] Fonte: Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) – ed. 2015.

[2] Fonte: Ansa.it – dichiarazione del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin del 14 maggio 2015.

[3] Fonte: Monica Perego – Newsmercati.it – numero 157/2013.

(di Alessio Rombolotti)

Se la domanda europea procede al passo attuale tornerà ai livelli del 2007 solamente nel 2020, ma se avessimo mantenuto, o se manterremo, nello stesso periodo una crescita media del 2% il prodotto interno sarebbe, o sarà, il 30% in più di quello del 2007. Dopo sette anni, in Europa, in Italia, molte persone pensano che la crisi non sia finita, ma è vero oppure è il caso di prendere atto che il livello di benessere al quale eravamo abituati non sia più sostenibile? Dobbiamo credere di essere in una fase di transizione verso la crescita oppure è il momento di capire che il mercato si sia significativamente ridotto e sia cambiato rispetto a qualche anno fa, obbligandoci quindi a modificare la gestione e la pianificazione economica ?

In Italia la crescita è più bassa degli altri paesi occidentali dagli anni ‘80 e personalmente sostengo da tempo che la crescita internazionale di una volta non possa essere mantenuta per mancanza di invenzione e innovazione. Le automobili, gli aeroplani, gli antibiotici, l’insulina, la fisica quantistica, sono prodotti della prima metà del secolo scorso, che hanno assicurato la crescita economica del dopo-guerra, prodotti di cui hanno beneficiato popolazioni e generazioni intere. La seconda metà del ‘900 ha prodotto molto meno, sicuramente tecnologia dell’informazione e della comunicazione e un po’ di genetica, evidentemente non abbastanza per mantenere i tassi di sviluppo di una volta. Mentre nel 2015 voleremo alle stesse velocità degli anni ’60 mi ricordo che negli anni ’70 era pensiero comune che entro la fine del secolo le macchine sarebbero sparite o almeno avrebbero volato, erano queste le aspettative che offrivano le innovazioni e le invenzioni del ‘900, invece abbiamo avuto una grande decelerazione delle grandi innovazioni, di quelle innovazioni che cambiano lo stile di vita di intere popolazioni. Poi abbiamo gli effetti dell’ideologia e dell’ignoranza sulla pianificazione economica nazionale ed internazionale. La paura che abbiamo dei paesi a basso costo di mano d’opera è l’esempio migliore di come non abbiamo capito cosa siano i costi e di come riusciamo a danneggiare proprio i soggetti che vorremmo o dovremmo proteggere. Il costo del lavoro dipende dal rapporto fra quantità prodotta, di beni e servizi, e quantità di ore di lavoro disponibili, quindi va da sé che le nazioni con basso prodotto interno e alto numero di abitanti in età lavorativa abbiano un costo del lavoro relativamente basso, ma se una nazione decide, esplicitamente o implicitamente, di competere a livello di costo allora deve, coerentemente con la propria strategia, avere una politica industriale che mantenga basso il costo della propria mano d’opera. In Italia e in altri paesi europei è possibile ottenere questo risultato con l’immigrazione e la deregolamentazione dei salari, punto. Se questa politica non è accettabile perchè significherebbe cancellare diversi diritti acquisiti dai lavoratori allora dobbiamo cambiare strategia e non competere sui mercati a bassa tecnologia, ma l’Italia e l’Europa nel suo complesso hanno investito per competere ad un elevato livello tecnologico, dove i costi di mano d’opera non siano un fattore critico ? Sembra proprio di no.

E’ vero però che se alti tassi di crescita, 6/8%, non siano più possibili, gli americani stanno pur dimostrando di poter crescere ancora nell’economia moderna, che cosa li differenzia dall’Europa, effetti demografici ? Politiche fiscali ? Politiche monetarie ? Livelli d’investimento ? La nostra debolezza è soprattutto di natura macro-economica ma il “Governo Europeo” ha molte difficoltà quando si tratta di interventi monetari e fiscali e non avrebbe molte risorse per affrontare un ulteriore shock economico e finanziario. Le economie europee corrono il rischio di rimanere in un lungo periodo di stagnazione, sia per la debolezza strutturale della domanda sia per la loro incompletezza istituzionale, attualmente ci stiamo muovendo verso un equilibrio economico di tipo giapponese dove agiscono forze deflazionistiche e proprio come negli anni ‘90 in Giappone la deflazione coincise con un picco dell’invecchiamento della forza lavoro oggi in Europa stiamo vivendo una situazione molto simile sotto questo aspetto. Se da un lato abbiamo bassi tassi d’interesse dall’altro abbiamo grandi divari fra i titoli dei debiti sovrani, abbiamo una situazione economica stagnante, una disoccupazione diffusamente elevata e difficoltà di accedere al credito. Non è ancora chiaro che l’austerità europea non funziona ?

Ovviamente tutto è concatenato, non possiamo chiedere ai tedeschi di pagare per gli italiani e in questo momento è molto difficile fare riforme nel senso di una maggiore unità fiscale europea, d’altro canto se la Germania esporta molto in Europa è chiaro che qualcuno avrà un deficit commerciale e se i tedeschi si rifiutano di volerlo finanziare proporzionalmente allora stanno dicendo “no” all’Europa unita. Abbiamo davanti un periodo difficile e credo che il rischio di una rottura sia significativo ma del resto che la distruzione sia la premessa per la costruzione è una legge universale.

di Mauro Merola

Italia_USAE’ stato firmato, il 10 gennaio 2014, dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, e dall’ambasciatore Usa in Italia, John R. Phillips, l’accordo tra Italia e Stati Uniti per applicare la normativa del Foreign Account Tax Compliance Act (i.e., FATCA) e migliorare la tax compliance internazionale.

La piattaforma normativa e tecnologica FATCA, strutturata sullo scambio reciproco e automatico delle informazioni tra amministrazioni finanziarie dei Paesi aderenti, è destinata, peraltro, nei prossimi mesi a fungere da architrave alle nuove regole per lo scambio multilaterale dei dati, volute dall’Ocse, ed a quelle promosse in sede Ue, che

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