Economia

Valutare il potenziale

(di Ivana Colombo)

Capita di frequente che persone accuratamente selezionate sulla base delle loro attitudini e preparazioni tecnico-formative presentino una riuscita limitata nello svolgere il loro lavoro, o comunque non in linea con le aspettative generate dal loro curriculum.

Come mai persone spesso accuratamente scelte, si rivelano poi deludenti rispetto al ruolo per il quale sono state selezionate? Una prima risposta generica a questo interrogativo è che la gestione delle risorse umane continua a essere considerata, perlomeno in Italia, come qualcosa da trattare a livello formale, più per seguire mode che vengono dall’estero che per vera necessità organizzativa.

Spesso si seguono criteri che sono stati superati dalla realtà della vita, reale e aziendale, e ci si ostina a voler perseguire obiettivi che altrove si sono rivelati best practice anche quando non aderiscono per nulla al contesto aziendale in oggetto. Non sembra però congruente gestire il personale attraverso pratiche che altrove sono già considerate obsolete, con metodi nati e utilizzati anni, se non decenni, addietro.

Dal momento che è molto difficile stabilire a priori le capacità e le potenzialità di un individuo, i selezionatori seguono degli standard di selezione le cui griglie sono poi spesso costruite secondo schemi provenienti dall’estero e quindi adatti a realtà diverse, oltre che già superate concettualmente.

Il che può rivelarsi rigido in ingresso, ma è soprattutto rispetto al proprio interno che le imprese devono porre il focus sul fatto che la gestione delle risorse umane dovrebbe cercare di anticipare il sorgere dei problemi e delle difficoltà nell’organizzazione e non correre ai ripari quando le situazioni sono ormai problematiche: la gestione deve essere corrente e impostata secondo reali criteri di necessità funzionali.

Probabilmente è proprio nella scarsa disponibilità o flessibilità mentale che un’azienda si autocondanna a una mancata, incompleta, inadeguata e comunque insufficiente gestione delle risorse umane, proprie o da acquisire.

RU: una gestione contraddittoria

Le risorse umane sono diventate strategiche per il successo delle organizzazioni che si trovano a operare nell’ambito internazionale. Sia che si tratti di manager top o middle, sia di lavoratori professionali, diventa centrale il concetto di competenze, inteso nel senso di capacità acquisite, ma anche di capacità acquisibili.

Ci sono elementi portatori di valore, ancorché acerbi o in divenire, il cui sviluppo, progettato e valorizzato, può proficuamente condurre all’ottimizzazione delle possibilità realizzative di competenze, massimizzando la soddisfazione dell’organizzazione, evitando errori frustranti per ambo le parti (1).

La valutazione del potenziale comporta criticità per risolvere le quali occorre porsi in un’ottica di ampio raggio che spazia dall’oggettività alla soggettività, quando si tratta di riconoscere il talento, di qualsiasi genere, di una persona. Come fare per impiantare o rivedere le modalità di valutazione delle capacità acquisite o acquisibili? La valutazione del potenziale si articola nella proiezione dei risultati conseguibili, strumento analitico indispensabile per la valutazione dei risultati.

Come fare per utilizzare al meglio le qualità delle risorse e nel modo più profittevole?

La valutazione del potenziale riguardala persona a 360 gradi, cercando di definire cosa la persona potrà fare, cogliendo l’esistenza e l’ampiezza delle possibilità (2).

Quali caratteristiche definiscono il potenziale di una persona?

Per gestire al meglio il processo di valutazione è necessario valutare in primis le attitudini, personali e professionali, che possono mettere in grado un individuo di svolgere funzioni diverse dall’attuale e definire di quali competenze e profili professionali devono essere dotati i lavoratori per rispondere alle sfide strategiche di domani: Il primo passo è stabilire, senza clientelarismi, se le risorse sono già presenti nell’ambito organizzativo o siano da cercare all’esterno.

È nella realtà del lavoro che ci si scontra con i problemi delle motivazioni e delle aspettative individuali connesse all’assunzione e gestione del ruolo professionale. L’obiettivo è ridurre al minimo lo spreco aziendale della produttività del singolo accompagnando in modo stimolante lo sviluppo dei valori dell’identità personale in quella professionale, in caso contrario l’organizzazione aziendale andrà soggetta a una consistente perdita di capacità lavorative potenziali, ma anche prestazionali (3).

Occorre stabilire se le persone sono in grado di sostenere e supportare le linee decisionali stabilite, se ci sono gli strumenti per comprenderle e portare avanti i cambiamenti strategici che si prospettano all’organizzazione. È certamente un’attività da svolgere in modo oculato e mirato a provvedere ai fabbisogni organizzativi di breve-medio periodo (2-5 anni) valorizzando il patrimonio umano attraverso lo sviluppo delle loro capacità, analizzando le modalità di affrontare e risolvere i problemi, di produrre risultati e di gestire i rapporti (4).

Perdita della motivazione

Per evitarlo è necessario tornare a criteri meritocratici che diano impulso alla motivazione e al coinvolgimento dei lavoratori negli obiettivi aziendali di qualunque portata siano. Fondamentale in questo senso osteggiare la politica degli yes men/women (fenomeno di rinnovata emersione, più preoccupante ancora quando messo in pratica da gestionali donna che ricalcano comportamenti aziendali di comportamento “maschile”, indice di mancanza di originalità e scarsa capacità di vero sviluppo) (5).

Le specifiche motivazioni e i bisogni lavorativi, i ruoli professionali, la formazione scolastica del lavoratore si integrano con il livello culturale e il clima dell’organizzazione.

La monetizzazione indiscriminata delle prestazioni

In che modo può essere motivante un premio in denaro per una persona in cerca di aggiornamento professionale o di opportunità di crescita? Non sempre e non costantemente le persone lavorano in prospettiva di un premio o di un aumento retributivo: anche sa fa certamente comodo, alla lunga saranno vissuti come sempre meno premianti o quantomeno meno soddisfacenti.

I rischi maggiori che portano a dispersione della corretta valutazione del potenziale possono essere identificati come di seguito riassunti:

– essere ancorati a gruppi di appartenenza o a uno o più gruppi esterni alla stessa;

– aziendalismo contrapposto al professionismo;

– non essere in grado di stabilire un continuum tra sapere, saper fare, saper essere, strettamente intrecciato all’asse demotivazione/dequalificazione professionale;

– non corretta gestione dell’innovazione tecnologica e del grado di apprendimento da parte dei gruppi di lavoro interessati;

– mancato livello di vicinanza tra valori aziendali e valori personali;

– incoerenza tra valori dichiarati e valori praticati in azienda.

Riguardo quest’ultimo punto nelle grandi imprese può capitare che si sviluppi una differenza tra quel che il board progetta e quello che il management fa, a causa del timore di questi di perdere potere sui propri collaboratori e conseguentemente sulla propria posizione nella linea gerarchica (6). Ciò a scapito di una reale revisione delle posizioni che sia proficua sia per l’impresa sia per i dipendenti (7).

Si tratterà di assumersi il ruolo fondamentale della funzione della gestione delle Risorse Umane, identificabile nella produzione di valori, norme e cultura di impresa che siano chiari, precisi e concordanti, coerenti con l’impostazione decisa, capaci al contempo di inglobare e sviluppare una pratica del lavoro che non si limiti a essere disciplinare nei confronti delle persone, che conduca verso una gestione differenziata delle Risorse Umane.

Note

(1)     La valutazione del personale si riferisce al sistema operativo dell’azienda che esprime per ciascun lavoratore un giudizio sul rendimento e le caratteristiche professionali relativamente al presente, periodicamente e secondo criteri omogenei. Normalmente è incentrata su un metodo noto come quello “delle 3P”: valutazione delle posizioni; – valutazione delle prestazioni; – valutazione del potenziale. La valutazione del potenziale si riferisce alle possibilità di utilizzo futuro della risorsa, in particolar modo relativamente alle capacità presenti potenzialmente, ma ancora inespresse.

(2)     “I principali vantaggi per l’azienda sono: – monitoraggio accurato della situazione delle risorse umane; – uniformità e possibilità di confrontare i criteri di giudizio espressi; – individuazione di nuovi obiettivi per il futuro; – lettura facilitata delle condizioni per disegnare Piani Formativi Aziendali. L’impresa oggi si orienta in modo più efficace verso gli obiettivi se è in grado di individuare in parallelo i percorsi di crescita degli individui che risultino sempre più in linea con la mission aziendale. Tale individuazione è resa possibile da un esame specifico che permette di indirizzare il potenziale delle risorse umane nella direzione indicata dalla politica di sviluppo dell’organizzazione.”. www.ifoamanagement.it.

(3)     Rotondi M.G. (2006): “La valutazione del potenziale offre benefici alle aziende poiché mette al riparo da scelte sbagliate sulle persone, ma, contemporaneamente, offre benefici alle persone stesse”, Ipsoa, Milano, p. 14.

(4)     L’indagine sul capitale intangibile presente in azienda prevede: l’analisi accurata di risorse, ruoli ricoperti e clima aziendale, la valutazione delle prestazioni e del potenziale delle risorse presenti o di futuro inserimento, la formulazione di piani di carriera e la formazione del personale.

(5)     Severgnini B., La 27esima ora, Corriere della sera on line, 17 luglio 2014; “«Mad Women», donne arrabbiate. Perché dovreste esserlo. Non lo dico per altruismo, per furbizia, per cavalleria o perché sostenere il contrario sarebbe rischioso. Lo dico per egoismo: il che, se volete, è molto maschile. Rinunciare alle donne, in qualsiasi ambiente, vuol dire rinunciare all’empatia, al realismo, alla fantasia. Voi lavorate duro e sapete cosa volete. Ma inseguite – con crescente successo, certo – un modello maschile. Orari maschili, agende maschili, viaggi maschili, carriere maschili: quasi incompatibili con la famiglia e i figli, se non a prezzo di enormi sacrifici personali. Anzi: di eroismi. Conosco Marta Dassù da tempo, nel 2005 ho recensito sul Corriere della Sera il suo libro «Mondo Privato» – titolo non casuale – dove descrive, con un sorriso, queste sfide e queste difficoltà. Marta ce l’ha fatta: ma anche lei costituisce un’eccezione. […] So che siete salite in alto con fatica. So che vi sto chiedendo di scalare una montagna e, insieme, di piegarla alle vostre necessità: un compito impossibile, direbbe un alpinista. E questo è ancora niente, perché vi aspetta un impegno ancora più arduo: cambiare la testa di noi uomini. Questa sarà la vera impresa, credetemi.”

(6)     Recentemente il capo HR di Google ha dichiarato in ambito ufficiale, che “[…] …. Non serve tutta questa università e anche quando c’è, la competenza formale non corrisponde alle competenze che servono realmente sul lavoro. La meritocrazia all’estero non dipende tutta dalla laurea, ma da un insieme di competenze”, che in Italia non sono tutte da buttare, mentre in Usa si chiede se si è fatta un’università di serie a o di serie B.

(7)     Si veda Convegno del 20 giugno 2013 sulla Valorizzazione del personale durante il quale è stato ribadito che “quello che conta è il rigore esecutivo di ogni prassi…”.