Economia

Comunicazione non verbale in azienda

di Ivana Colombo

Si tratta di qualcosa di più del linguaggio del corpo, che pure costituisce il 55% della comunicazione umana (1): comunicare comporta un gruppo, una cultura condivisa che è partecipazione, condivisione dei significati che la accompagna, segni convenzionali e nuove accezioni di un termine, fino alla creazione di rituali contestualizzati (condivisione di risorse simboliche di gruppo).

Rimanda alla costruzione sociale della realtà da parte degli esseri umani, che si mettono d’accordo sui valori, verbalizzano ciò che fanno, costruiscono storie sull’accaduto. Le persone insieme costruiscono il linguaggio, si comunicano le cose che accadono e non si comunicano quelle dell’area nascosta. Il fatto che il linguaggio non verbale sia spesso non intenzionale ne rende estremamente interessante l’osservazione.

Cogliere i comportamenti comunicativi visibili di tutti i soggetti (reciprocamente visibili) in riferimento all’emittente principale (azienda) e a tutti quelli che li ricevono (ovvero tutti coloro che si muovono all’interno della stessa) si compone di ambiti gergali, comunione di beni simbolici, rituali collettivi: il codice comunicativo è la convenzione che mette in connessione determinati segnali con determinati significati.

1. Cosa serve per comunicare

Avere qualcosa da dire o scrivere, possedere un qualche codice comunicativo condiviso, capacità di comunicativa articolata: comunicare significa offrire all’altro degli indizi pertinenti affinché possa trarre pertinenze dagli indizi offerti. Ma non è il contenuto letterale del messaggio a dare la comprensione.

Il destinatario comprende il messaggio sulla base che ha di sé e dell’altro (emittente).

Cultura e interessi orientano la comunicazione dell’emittente e quindi la rappresentazione che si fa del ricevente. Comunicare ha un aspetto di relazione (piano del contenuto, piano di relazione) e tramite lo stimolo al ricevente si apre un ventaglio di possibili ipotesi. Questa nozione di scambio implica un rapporto di parità fra emittente e ricevente, e scambio può anche significare una distanza, una possibile discrepanza fra le due posizioni. I due soggetti hanno di fronte due possibilità d’azione che si intrecciano tra loro: cooperare o competere, in ogni caso è sempre necessaria la collaborazione tra chi parla e chi ascolta.

Un sistema si potrà definire aperto quando comunica a due vie, scambiando energia in modo interdipendente, al contrario verrà definito chiuso quando non ha nessuno scambio con l’ambiente esterno, situazione nella quale l’energia non potrà fare altro che sgretolarsi progressivamente.

Nel modello psicologico tra gli atteggiamenti che possono provocare resistenza alla ricezione del messaggio vi è la presenza di un atteggiamento di giudizio, che non è affatto necessario sia esplicitato. Il tono della voce, un’espressione facciale o una postura aggressivamente impostata provocheranno nell’interlocutore un atteggiamento di difesa che non gli permetterà di accogliere serenamente il messaggio.

2. Interpretare ciò che viene comunicato

La capacità di leggere le implicazioni del processo comunicativo è importante per orientarsi nel contesto nel quale si comunica e ci si muove. Il possesso di competenze comunicative è indice di:

– natività (B.W. Pierce) (2);

– intelligenza (A. Turing) (3).

Comunicazione come inferenza significa pensare e le inferenze sono ragionamenti.

3. Comunicazione come passaggio di informazione

Anche in caso di non comunicazione questa avrà comunque un effetto sul ricevente. Il testo messaggio contiene una rappresentazione “modellizzata” del ricevente. Ogni volta che ci approntiamo a comunicare con qualcuno, ci immaginiamo come formulare il messaggio, in modo che il destinatario possa recepirlo al meglio, secondo i suoi ritmi, i suoi gusti e il suo livello mentale.

Comunicare è mettere in comune il codice in uso e le risorse simboliche (4), ma comunicazione non verbale significa verità, anche oltre la propria volontà.

4. Comunicazione non intenzionale

Il pensiero in questo caso non è coinvolto in maniera così evidente, non comporta nemmeno che sia compreso dall’emittente stesso (5). La cosa forse più importante che la comunicazione non verbale definisce è come ci muoviamo e ci presentiamo nello spazio, come regoliamo le nostre distanze e come le comunichiamo.

Nell’ambito del non detto è proprio la distanza interposta tra interlocutori che rivela, che mostra la posizione o relazione con l’interlocutore: da un lato protegge dagli altri e dall’altro permette di comunicare. Veicola delle informazioni e va ad influenzare il comportamento delle persone che ci circondano (non neutralità della comunicazione).

La comunicazione è divenuta nel tempo tema di numerose discipline tra cui semiotica, antropologia culturale, psicologia sociale, sociologia e teoria delle organizzazioni. È stato per primo l’antropologo Edward T. Hall (6) ad introdurre una classificazione degli spazi personali, che prevede quattro zone: intima, personale, sociale e pubblica. All’interno di queste quattro zone la comunicazione non verbale nasce e si sviluppa con tutte le sue particolarità.  È la distanza il metro significativo, come se fosse un cuscinetto protettivo invisibile che regola come ci muoviamo, cosa vogliamo fare entrare e cosa non all’interno del nostro mondo fisico, psichico e interiore, in modo spontaneo e inconsapevole. Questo è ciò che studia in particolare la prossemica, la branca della psicologia che si occupa del modo in cui ci collochiamo nello spazio e regoliamo le nostre distanze rispetto agli altri e a ciò che ci circonda.

In generale è possibile affermare che le distanze si accorciano fra le persone che presentano alcune somiglianze per aspetti anche molto diversi.

5. Comunicare in modo efficace

La mente umana elabora meglio le informazioni chiare che non si sovrappongono tra di loro. Parlando ai colleghi di lavoro, è decisivo comunicare una informazione alla volta lasciando il tempo di processare il segnale. Quando l’informazione sarà arrivata al collaboratore – ed egli sarà in grado di riformularla con parole sue – solo allora si potrà passare all’informazione successiva. Ogni individuo vive l’appartenenza a più gruppi che possono o no coincidere con i gruppi di lavoro o di appartenenza culturale nell’azienda in generale, non sempre omogenei. Nel caso di appartenenza a gruppi in contrasto tra loro viene posta sul piano latente la reale posizione del soggetto che in modo più o meno consapevole comincerà a dare luogo a distorsioni a livello comunicativo, risolvendo col mascheramento la contraddizione tra ciò che pensa e ciò che afferma (7). Ne risulta che la comunicazione umana è caratterizzata da mascheramento e ambiguità di vario grado che può giungere fino alla menzogna. Anche queste possono essere considerate inferenze.

Uno spazio nel quale inaspettatamente è possibile esercitarsi nell’apprendimento del codice comunicativo, oltre ai meeting generali ufficiali dove è possibile farsi un’idea dello stile comunicativo e della socializzazione-comunicazione più formale, un luogo dove si impara veramente ad intendere la comunicazione sotterranea è l’area del coffee break. È il punto in cui la comunicazione scorre fluida tra i piccoli gruppi, al di là dell’appartenenza ai gruppi di lavoro e si attiva liberamente la costruzione dei risvolti comunicativi gergali. Durante la pausa caffé si diffondono le novità, i commenti e a volte circolano notizie attivate ad hoc (8). Un passa parola rudimentale che arriva a esercitare una notevole influenza infragruppo.

6. Comunicazione istituzionale

Ogni volta che un’impresa predispone un atto comunicativo top-down (9) nel passaggio fra emittenti delegati verso il destinatario finale, di fatto mette in atto un raddoppiamento o più spesso una moltiplicazione dell’asse emittente-ricevente. Sostanzialmente viene messa in atto una continua ripetizione dello schema a tutti i livelli dell’organigramma e un continuo replicarsi della rappresentazione del ricevente empirico. Considerando tutti i passaggi, la variazione può essere variegata, può subire delle trasformazioni nello stile e nel tono.

La cultura organizzativa che la coalizione dominante vorrebbe che avesse l’azienda, che va dal livello letterale della comunicazione al sotto messaggio in essa contenuto, fino al “se dici qualcosa tutti ti fulminano” (10). È una catena di comunicazioni, sostanzialmente è quella linea che mette in contatto i vari livelli gerarchici e i diversi livelli di responsabilità che si riportano uno all’altro. “La mia porta è sempre aperta”, non vuol necessariamente dire che sia così, tutt’altro, spesso è solo un modo di porsi, un’immagine che il management vuole dare di sé: mal ne incolga al malcapitato che prendesse l’affermazione in senso letterale (vale anche per: “Qualsiasi problema non esitate a farmelo sapere”). Le implicazioni sottostanti al non detto sono quei significati impliciti del discorso che possono essere un forte strumento di manipolazione.

Comunicare realmente in modo efficace significa al contrario migliorare le relazioni e rafforzare la propria leadership attraverso lo sforzo continuo e consapevole da porre nella costruzione della reciprocità comunicativa, quella che sfocia nella collaborazione i cui effetti niente affatto trascurabili, possono riuscire a produrre:

–  Sinergia delle professionalità: obiettivi articolati hanno bisogno di più persone che lavorano al loro raggiungimento e si arriva ad un buon risultato solo se tutto il gruppo condivide le informazioni e le finalità del progetto, partecipandovi attivamente.

– Condivisione del progetto strategico: mentre si procede alla realizzazione del progetto si attivano circoli virtuosi in cui l’impegno condiviso tra manager e lavoratori si riflette positivamente sugli interlocutori aziendali che a loro volta attivano la propria adesione convinta potenziandosi a vicenda.

– Problemi di leadership: è possibile rilanciare il proprio business migliorando il rapporto management-dipendenti, rafforzando e innovando l’approccio verso dipendenti, clienti e concorrenti.

Brand reputation: un’azienda è in sostanza quello che i clienti pensano (e dicono) di lei, un miglioramento dell’immagine aziendale globale conduce a risultati migliori in termini di vendite e fidelizzazione dei clienti.

Tutta la comunicazione, in senso lato, può essere in realtà intesa in termini di conversazione e nelle grandi imprese sarebbe opportuno tenerlo in conto, trasmette sottomessaggi che si riescono a recepire con l’uso dell’esperienza e del discernimento (e un minimo di cautela). Rendere i discorsi intelligibili, più accessibili a un numero quanto più ampio di persone: sarebbe opportuno che l’informazione fosse gestita e supportata da tutta la gerarchia nella costruzione costante di una buona cultura d’impresa, orientata non solo alle esigenze produttive, ma anche a quelle emozionali e valoriali dei propri dipendenti.

La comunicazione interna non può più esaurirsi in senso normativo disciplinare o peggio conflittuale; deve veicolare uno scambio a due vie dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, in costante nutrimento reciproco per creare vera identificazione e coesione verso l’obiettivo comune di costruire un’azienda sana e profittevole. Tenendo fermamente presente che comunicare è “mettere in comune”, una relazione reciproca che determina la realtà sociale nei suoi più diversi ambiti.

Note

(1)     Guglielmi A. (2013), Il linguaggio segreto del corpo. La comunicazione non verbale, Piemme, Milano.

(2)     Il concetto di comunicazione di Pierce si fonda sul costruttivismo sociale. Le attività sociali vengono osservate dall’Autore secondo tre criteri: coordinamento (raggiungimento di una visione congiunta di cosa è bene e utile), coerenza (interpretazione tramandata del senso della realtà e del mondo) mistero (rappresentato da ciò che va al di là della coerenza, Pierce B.W. (1993), Comunicazione e condizione umana, Franco Angeli, Milano, pp. 45-47.

(3)     Alan Mathison Turing (Londra, 23 giugno 1912 – Wilmslow, 7 giugno 1954) è stato un matematico, logico e crittografo britannico, considerato uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo.

(4)     Volli U. (1994), Il libro della comunicazione, Milano, Il saggiatore.

(5)     Watzlavick P., “non si può non comunicare”, è ricordato soprattutto per essere l’autore principale di Pragmatica della comunicazione umana, pietra miliare della psicologia che si occupa degli effetti pratici della comunicazione e che, accanto agli studi di Bateson e del gruppo di Palo Alto, introduce l’approccio sistemico alla psicologia, sono stati fondamentali i suoi contributi più diretti alla psicoterapia.

(6)     Il linguaggio non verbale comprende una vasta serie di indicatori di tipo paralinguistico, cinesico o prossemico con varie funzioni, riassumibili in funzioni orientate al messaggio e funzioni sociali. Alle prime appartiene la ripetizione del messaggio verbale, la sostituzione di parti del messaggio verbale, il completamento o la chiarificazione del messaggio, la contraddizione del messaggio verbale, il rinforzo del contenuto verbale. Alle seconde appartiene l’identificazione, la formazione e il controllo della conversazione (turni di conversazione, saluti, ecc.). (A.Di Fabio, 1999).

(7)     Muti P. (1990), Comunicare nell’impresa, Franco Angeli, Milano.

(8)     Una pratica di marketing ultimamente molto diffusa negli Stati Uniti è il buzz marketing, che consiste nel coltivare i leader d’opinione e far sì che diffondano informazioni relative a un prodotto o a un servizio, in questo caso a un’opinione, una linea di pensiero.

(9)     I flussi comunicativi possono essere top-down, bottom up o circolari.

(10)  Maier C. (2005), Buongiorno pigrizia, Bompiani, Milano, è un’economista francese, per la quale l’impresa parla il linguaggio di nessuno che mette in fuga la gente. Secondo la sua esperienza “Nel momento in cui nella società intera nessuno sa dove si stia andando, si chiede ai dipendenti di ‘proiettarsi positivamente nel futuro’”, poiché “In un’impresa si è considerati finiti a un’età in cui in politica si sarebbe considerati un giovane squalo” e quindi “In un’impresa, quando non c’è più nulla da sperare, c’è sempre qualcosa da temere”.