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Analisi psicologica dei fenomeni corruttivi

ABSTRACT

Nel presente articolo viene affrontato il fenomeno della corruzione da un punto di vista psicologico. Nello specifico vengono esaminate le dinamiche di gruppo ed i processi decisionali di tale fenomeno,

proponendo in rassegna le principali teorie psicologiche derivanti dai vari orientamenti, le quali consentono un inquaramento generale del meccanismo corruttivo. Viene infine descritto il funzionamento del dispositivo corruttivo così come è emerso nel noto caso di cronaca italiana definito “tangentopoli”. L’elaborato trae spunto e costituisce lo sviluppo della tesi di Laurea Magistrale discussa dall’autore.

  1. Introduzione

I fenomeni corruttivi sono onnipresenti ed endemici in tutto il mondo, paralizzano lo sviluppo economico dei Paesi e ne cristallizzano la stratificazione sociale, tutto ciò a svantaggio ovviamente delle frange più deboli della popolazione. Nel corso del tempo, gli interventi messi in atto in Italia dal legislatore e l’azione repressiva svolta dall’Autorità giudiziaria non sono riusciti ad estirpare questo malcostume. I vari aggiornamenti del codice penale, orientati ad un inasprimento delle pene ed un allungamento dei tempi di prescrizione per alcuni tipi di reato non sono bastati. Benchè in passato si sia tentato di stimare i costi annui della corruzione, individuando tale cifra nel 3% del PIL (60 miliardi di Euro), ad oggi tale ipotesi resta indimostrata (Davigo, 2017).

Ciò che è certo è che i costi della corruzione sono molto difficili da misurare e si prospettano comunque molto elevati nel nostro Paese. Lo dimostrano alcuni studi dedicati al tema, condotti da Golden e Picci. “I due studiosi hanno comparato le spese delle Regioni italiane in infrastrutture e l’inventario di quanto è stato effettivamente realizzato sul territorio. La differenza tra spese e opere realmente costruite è servita a elaborare un indice di corruzione delle Regioni italiane.” (Davigo, 2017). Ne sono risultati sprechi e sproporzioni molto evidenti tra le varie Regioni.

  1. Definizione della corruzione

Definire la corruzione non è affatto facile, esiste un numero consistente di descrizioni del fenomeno in generale, ognuna delle quale coglie un aspetto significativo e differente. Il quadro che si delinea appare dunque eterogeneo, complesso e frammentario.

Nel passare in rassegna alcune delle definizioni più accreditate ci avvarremo di un importante documento, frutto della sinergia tra le diverse professionalità del mondo istituzionale (Anac, Agenzia per la coesione territoriale, Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri & Studiare e Sviluppo, 2015). Nel loro progetto “Attività esterne di valutazione del PON GAT 2007/2013”  la corruzione viene definita nei seguenti modi:

  • “Una pratica sociale che si traduce in una serie di condotte realizzate entro un particolare  contesto relazionale”;
  • “Qualsiasi forma di abuso di potere pubblico al fine di conseguire benefici personali”;
  • “La condotta che devia dai doveri formali di un ruolo pubblico a causa di guadagni orientati

privatamente”;

  • “Le violazioni dell’interesse comune per ottenere vantaggi speciali”.

Negli stati moderni, l’esercizio del potere pubblico si basa su meccanismi di delega che richiamano regole, valori e procedure improntate ad un universalismo etico. Pertanto è possibile ricondurre la corruzione ad “un abuso a fini privati di un potere delegato”.

Secondo l’ampia definizione che ne dà Transparency International (la più grande organizzazione a livello globale che si occupa di prevenire e contrastare la corruzione) la corruzione nel settore pubblico è una pratica sociale che presuppone:

  1. a) una delega di potere decisionale da un soggetto collettivo ad un agente;
  2. b) la possibilità di un tradimento della fiducia da parte dell’agente;
  3. c) dei clienti guidati da interessi privati che entrano in una relazione occulta con l’agente delegato.

Nella sua struttura elementare, la corruzione nel settore pubblico si realizza quando l’agente delegato, nell’esercizio del suo potere decisionale e amministrativo, si appropria direttamente  oppure tramite un corruttore, delle rendite derivanti dall’esercizio di tale potere.

Nello studio dei fattori che favoriscono lo sviluppo della corruzione possiamo distinguere tre paradigmi principali:

1) Il “paradigma economico” che considera le scelte dei corrotti e dei corruttori come il frutto di un calcolo razionale, in base alla logica “costi versus vantaggi”. Tale approccio può essere schematicamente sintetizzato nella formula:

C = M + D – T – A

dove:

C = corruzione;

M = grado di monopolio delle rendite derivate dall’esercizio del potere pubblico;

D = grado di discrezionalità nell’esercizio, da parte dell’agente pubblico, del potere di creare, distribuire o  espropriare tali rendite;

T = grado di trasparenza delle procedure;

A = grado di accountability, cioè di “rendicontabilità” nell’esercizio del potere pubblico.

2) Il “paradigma sociologico-culturalista” guarda invece alla diversa distribuzione di quelli che sono chiamati i “costi morali” della corruzione. I costi morali sono influenzati dai valori e dai codici informali prevalenti nelle organizzazioni socio-economiche nelle quali l’individuo è socializzato.

3) Il “Paradigma neo-istituzionalista” si concentra invece sui meccanismi che disciplinano i rapporti tra i protagonisti degli scambi occulti, focalizzandosi sugli elementi relazionali che entrano in gioco tra i partecipanti alla corruzione (Anac, Agenzia per la coesione territoriale, Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri & Studiare e Sviluppo, 2015).

  1. Inquadramento psicologico dei fenomeni corruttivi

3.1 Ipotesi psicodinamiche

Premessa fondamentale di questo paragrafo è che non esiste un profilo diagnostico del corrotto, siamo tutti potenzialmente a rischio dinanzi ai comportamenti corruttivi (Ambrosiano & Sarno, 2015). Non credo si possa neanche parlare di un disordine morale, alludendo all’accezione clinica cui la parola disordine rimanda. Possiamo al massimo parlare latu sensu di “gruppo ammalato”, in quanto le dinamiche corruttive e concussive prevedono sempre come condizione necessaria e sufficiente la presenza di almeno due persone. Ed è proprio questa considerazione iniziale ad aprirci la strada, individuando nella diade (coppia) corruttiva sopra citata la cellula primordiale dalla quale promanano i grandi fenomeni corruttivi, che si allargano spesso a macchia d’olio coinvolgendo vari settori della Pubblica Amministrazione e del mondo dell’imprenditoria.

Il concetto di diade rimanda alla prima coppia che si costituisce in assoluto, quella tra bambino e caregiver. Questo prototipo di rapporto inaugurale verso l’esistenza di gruppo forgerà poi tutti i rapporti successivi che l’individuo intratterrà nel corso della sua esistenza.

Estendendo analogicamente il presente ragionamento si parte pertanto dal rapporto del bambino con il caregiver e si arriva ai meccanismi affiliativi dell’individuo al gruppo di appartenenza (ad esempio: gruppo di lavoro). Ed è proprio il gruppo di lavoro l’ambito entro il quale si instaurano le logiche corruttive del gruppo di offenders, logiche piegate all’interesse personale di pochi, ma in un’ottica diversa dalla disobbedienza. Nei fenomeni corruttivi infatti, il gruppo di offenders non disobbedisce affatto, in quanto conosce bene e sposa l’ideologia dominante. Ciò che domandano gli offenders è la sospensione del diritto, cioè la sospensione delle regole imposte dall’ideologia dominante: la legge. Dunque ciò a cui puntano i corrotti non è la disobbedienza bensì  lo stato di eccezione: ciò che consente di piegare la norma ad usi particolari senza intendere eliminarla.

Pretendendo lo stato di eccezione, gli offenders eludono anche il conflitto, che deriverebbe da un atto di disobbedienza, risparmiandosi anche il lavoro psichico che ciò comporterebbe.

Attributi quali: essere non informati, essere non consapevoli, essere meri esecutori di disposizioni impartite dall’alto, dichiararsi estranei a certe condotte, ecc., rimandano alla figura della vittima, probabilmente ad una posizione passivo/depressiva. I corrotti chiedono empatia quando scoperti e diffondono impunità (Ambrosiano & Sarno, 2015).

Lungi dal far apparire gli offender come individui naives, si rileva come questi sappiano spesso condurre un calcolo dei costi e dei benefici in modo oculato. Una volta perseguiti per i reati commessi spesso riescono ad avere condanne brevi, attraverso patteggiamenti, riti abbreviati, affidandosi a specialisti del Foro. Infine, gli offender ritornano in alcuni casi a ricoprire cariche pubbliche nonostante siano stati condannati per fatti di corruzione.

3.2 Concetti derivati dalla psicologia delle condotte finanziarie

Come rilevano Ferrari e Romano (1999) in generale vi è un costo psicologico legato all’astinenza rispetto all’acquisto. Possiamo trasporre questo principio all’ambito di chi amministra risorse economiche pubbliche al fine di acquisire beni e servizi per la collettività. Chi amministra risorse economiche per conto della P.A.  deve essere in grado di perseguire l’utilità collettiva, con tutti i vincoli che ciò comporta. Il poter disporre di ingenti somme di denaro pubblico, dovendo osservare dei vincoli di legge che ne finalizzano l’impiego, potrebbe rappresentare una tentazione per chi amministra questi soldi. Nel momento che viene meno il perseguimento dell’utile pubblico, e prevale una logica privata di appropriazione delle risorse economiche, vi è un cedimento del principio sopra enunciato da Ferrari e Romano (1999). Dunque, guidato da logiche individuali, l’offender si impossessa di una risorsa pubblica che fa indebirtamente propria con modi e tempi arbitrari.

A ciò si può aggiungere che il decisore pubblico, nell’acquistare beni e/o servizi, puo’ contare su un offerta di qualità sempre crescente da parte delle imprese private. Queste ultime infatti, spinte da modelli di business sempre piu’ ambiziosi, ed operando in base ad una logica di tipo privatistico, rappresentano una sollecitazione importante per chi movimenta denaro pubblico. Vi è anche spesso una competizione tra enti pubblici, giustificata da un piano di ammodernamento e riqualificazione delle proprie strutture, lasciato in parte all’iniziativa locale anziché affidato ad una logica di acquisti di tipo centralizzato. Vi è poi un raffronto ulteriore da poter fare tra agente economico privato ed agente economico pubblico. Il primo potrebbe decidere i propri esborsi in denaro (investimenti, consumi, risparmi, ecc.) in base al clima di ottimismo o pessimismo contingente verso il sistema economico – finanziario generale. Il secondo opererebbe invece svincolato da questa condizione di incertezza, in quanto i fondi pubblici a sua disposizione, una volta stanziati e disponibili, potranno essere spesi entro un certo periodo di tempo, e comunque indipendentemente dalle condizioni di incertezza dell’intero sistema economico – finanziario.

E’ opportuna a questo punto una rapida considerazione sul tema dei guadagni inaspettati. Secondo Friedman questi sono caratterizzati da una propensione ad essere integralmente spesi (Ferrari & Romano, 1999). Potremmo, attraverso una piccola forzatura forse, assimilare i fondi pubblici a disposizione dei rispettivi decisori economici a dei “guadagni inaspettati”. Ossia, il poter disporre di cifre tanto importanti ma non proprie, condizionerebbe verosimilmente l’agente delegato a spenderle in base ad una logica del “tutto subito o mai più”.

Quanto al modus operandi attuato dagli offenders, essi opererebbero in termini di valutazione del rischio e dell’incertezza, al pari degli operatori economici legally-oriented. Per Keynes il rischio concerne gli accadimenti che possono essere trattati attraverso un calcolo, quantificando la frequenza di apparizione di un evento. Ipotizziamo che gli offenders operino “in  modo scientifico”, ossia tentando di minimizzare tutti i rischi che la loro pratica illegale comporta. Dunque, massimizzando l’utile personale e minimizzando l’utile collettivo, essi agirebbero in base ad un criterio di razionalità. Invece, per quanto riguarda la propensione al rischio secondo Kahneman e Tversky (1979), essa si evidenzia maggiormente quando si tenta di evitare una perdita piuttosto che raggiungere un guadagno. Stando alle cronache dei giornali, nei vari gruppi di offenders che commettono reati corruttivi in associazione a delinquere, vi è una spesso una differenziazione dei ruoli ben chiara. Vi è comunemente un dominus o più dominus , che congegnano l’illecito da mettere in atto, vi sono poi alcune figure intermedie di rilievo e di raccordo tra i dominus  e gli esecutori. L’ipotesi che si propone è che questi ultimi, cioè gli esecutori, agirebbero in base al principio di Kahneman e Tversky (1979), cioè non tanto per guadagnare ma piuttosto per minimizzare le perdite che un loro rifiuto ad operare in modo illecito porterebbe (perdita del lavoro, esclusione dal gruppo, mobbing, Ecc.).

Come rilevano Ferrari e Romano (1999), l’uomo dell’antichità era immerso in una rete di relazioni, obblighi e consuetudini condivise all’interno della propria comunità, tali da lasciargli poca libertà per un’attività impersonale di scambio dei beni. Infatti l’agente economico nell’antichità barattava beni di valore equivalente e la moneta era subordinata alla merce. L’agente economico nell’era contemporanea conduce invece le proprie transazioni commerciali senza vincoli personali e condizionamenti psicologici. Negli scenari corruttivi moderni, accompagnati spesso anche dal reato associativo, si assiste ad una rete di cortesie e favori tra imprenditoria privata e funzionari pubblici che ha “tutto il sapore di un salto nel passato”. Cioè i vincoli personali e i condizionamenti psicologici nelle contrattazioni, perduti ormai nei secoli, ritornano nella malata economia moderna della corruzione. Infatti, alla dazione di denaro elargita per assicurarsi la vincita di una gara di appalto (cioè la classica tangente) si affiancano spesso vari tipi di utilità: assunzione di parenti e/o amici presso imprese ed enti pubblici, sponsorizzazioni di viaggi, regalie varie (gioielli, orologi, ecc.). Insomma, queste sono tutte azioni finalizzate a creare ed alimentare vincoli personali utili al consolidamento della macchina corruttiva. La corruzione è pertanto un movimento involutivo, quindi una pratica sociale regressiva.

3.3 Riflessioni tratte alla psicologia dei consumi

Il processo decisionale che guida la Pubblica Amministrazione dovrebbe sempre essere orientato ad un criterio di scelta razionale nell’approvvigionamento di beni e servizi. Tale processo decisionale, in base ad una valutazione oggettiva delle caratteristiche di tali beni e servizi, oltre che dei loro prezzi,  consentirebbe di creare un ordinamento di preferenze tra tutte le alternative disponibili (Oliviero & Russo, 2013).  La presa di decisione in merito all’acquisto normalmente implica tre fasi:

1) la ricerca di informazioni su beni e servizi disponibili e sui relativi prezzi;

2) la valutazione delle informazioni raccolte ed il confronto fra le diverse opzioni possibili;

3) la conseguente scelta del prodotto e/o del servizio da acquistare.

Le modalità di ricerca e raccolta di informazioni da parte di un ente pubblico, su beni e/o servizi da acquisire, potrebbe ad esempio avvenire attraverso un indagine esplorativa, che coinvolgerebbe un certo numero di operatori economici. Da questo passaggio, deriverebbe una valutazione iniziale delle offerte ricevute e l’eventuale decisione (interna all’ente) di istruire una procedura di gara pubblica.

Un ultima riflessione viene ora proposta sulle modalità di ricerca di informazioni preliminari finalizzate ad un acquisto (Oliviero & Russo, 2013). Il consumatore ricercherebbe informazioni preliminari in base alle seguenti quattro modalità:

  1. Ricerca attiva  il consumatore va deliberatamente alla ricerca di informazioni che possano consentirgli una scelta migliore;
  2. Ricerca passiva  il consumatore raccoglie informazioni in quanto esposto a comunicazioni pubblicitarie, poichè entra in contatto con la rete di vendita del prodotto;
  3. Ricerca interna  il consumatore ricorre ad informazioni già memorizzate nei propri archivi, quindi già acquisite;
  4. Ricerca esterna  il consumatore si rivolge a fonti esterne per acquisire informazioni sul prodotto.

3.4 Le dinamiche intragruppo ed intergruppo

Ingroup favoritism e outgroup derogation sono due termini che rimandando all’atteggiamento dei membri di un gruppo verso sé stessi e verso il mondo esterno. Con il primo termine ci si riferisce alla tendenza nel favorire i membri del proprio gruppo di appartenenza, con il secondo invece si intende l’ostilità ed il disprezzo provato dai membri di un gruppo verso i membri di un gruppo esterno al loro.

Quando chiediamo a qualcuno di descrivere sé stesso o l’altro spesso si fa ricorso a categorie sociali, come ad esempio: nazionalità, razza, genere, occupazione, ecc. (Noel, Branscombe & Wann, 1995). Questo processo di categorizzazione è un momento importante, in quanto, da esso il soggetto deriva una definizione di sé e un senso della propria autostima. Le persone sono infatti motivate a mantenere un’ opinione positiva di sé stessi e del loro gruppo di appartenenza.La necessità di mantenere un’ identità sociale positiva conduce non solo a vedere favorevolmente il proprio gruppo di appartenenza (Ingroup favoritism) ma anche a osteggiare i membri dei gruppi esterni (Outgroup derogation).

Normalmente il favoritismo intragruppo e l’ostilità intergruppo sono associati ad un elevata autostima da parte del soggetto che li esibisce. Ma, considerando i membri di uno stesso gruppo, chi tra questi esprime maggiormente un’ostilità esterna verso altri gruppi? Secondo uno studio condotto da Noel, Branscombe & Wann (1995), i soggetti con alto livello di identificazione nell’ingroup (rispetto ai soggetti con basso livello di identificazione nell’ingroup) si mostrano maggiormente ostili verso membri di gruppi esterni. Inoltre, se attaccati da questi ultimi, riferiscono mediamente di aver subito un’attacco maggiore alla propria autostima.

Ulteriori ricerche hanno inoltre evidenziato che i fans con elevata identificazione in una squadra sportiva (e non quelli con bassa identificazione nella medesima squadra), quando quest’ultima perdeva rivolgevano il loro disprezzo anche verso i membri dell’ingroup ritenuto sleali, dunque non solo agli avversari (outgroup). Cosi’, un individuo che lega la propria identità ad un particolare ingroup, indirizzerà la sua ostilità ed il suo disprezzo (derogation) sia ai membri dell’outgroup sia ai membri del proprio ingroup ritenuti sleali. Queste ostilità e disprezzo servono pertanto a proteggere l’autostima collettiva di tutti i membri con elevata identificazione nel proprio ingroup.

Coloro che rispecchiano l’immagine prototipica del membro ingroup possono essere definiti come “core ingroup members”, mentre coloro che meno rispecchiano tale immagine saranno definiti “peripheral ingroup members”. Un modo attraverso il quale un membro periferico dell’ingroup può ambire a diventare un membro “core” , guadagnandone l’accettazione, è quella di presentare sè stesso come dotato di particolari attitudini verso l’ingroup. Una strategia può essere quella di ostentare pubblicamente ostilità versi i membri dei principali outgroups. Evidenze empiriche hanno infatti mostrato come i membri periferici dell’ingroup esibiscono maggiore ostilità outgroup rispetto ai “core ingroup members”.

Tutte le riflessioni di cui sopra aprono la strada, a mio avviso, ad una riflessione più ampia del perché la gente decide di corrompere e farsi corrompere. Probabilmente l’elemento del guadagno economico e/o materiale è solo uno dei possibili drivers motivazionali che spingono gli offenders ad essere tali. Ritengo che vi siano ulteriori motivazioni sotterranee presenti nelle dinamiche corruttive, che però non emergono quasi mai dalle notizie di cronaca.  Questo universo simbolico e sommerso può comprende vari ed eterogenei elementi, quali ad esempio la possibilità di entrare in contatto con persone che contano, la visibilità, la notorietà  in un certo ambiente, il senso di superiorità, la possibilità di poter incidere in certe dinamiche scegliendo delle scorciatoie. Si tratta di una materia subdola e sfuggente che occorre far emergere e cristallizare, al fine di comprendere al meglio ciò che è sotteso ai fenomeni corruttivi.

3.5 I gruppi informali nel contesto carcerario

Prendiamo ora in considerazione un lavoro scientifico di Caldwell (1956) sulle comunità carcerarie, specificamente incentrato sullo studio del funzionamento dei gruppi informali.

All’interno di una struttura carceraria i detenuti e lo staff partecipano congiuntamente a molte attività quotidiane, creando relazioni sociali. Tale sistema di relazioni presenta tuttavia una dicotomia tra la comunità formale dello staff e la comunità informale dei detenuti. Questi due sotto-sistemi sono tra loro interdipendenti..

Un sistema sociale di tipo informale può essere visto come un gruppo di persone che possiede modelli di interazione consolidati, attitudini sociali simili, valori ed interessi condivisi e possibilità di cooperare per un fine generale. Il numero minimo dei membri di un gruppo informale è di tre. Il gruppo informale è anche un gruppo naturale, nel senso che la sua esistenza è praticamente trasversale ad ogni luogo e ad ogni cultura. Il suo emergere in qualsiasi ambiente e situazione sociale è funzionale al soddisfacimento di bisogni altrimenti non soddisfatti dal gruppo formale. Troviamo infatti gruppi informali in una moltitudine di ambienti: nelle organizzazioni lavorative, nel mondo degli affari, nelle forze armate, all’università, nei club, nelle chiese, ecc. Cioè, ovunque vi sia un’ interazione sociale tra individui esistono gruppi informali. Il sistema di relazioni all’interno di un gruppo informale è spontaneo ed implicito, cioè presenta dinamiche contrarie rispetto a quanto accade nel gruppo formale (entro cui esso si sviluppa). Le relazioni entro un gruppo formale sono invece: esplicite, impersonali, deliberate, razionali e pianificate.

Ritornando alla struttura carceraria presa in considerazione notiamo che in essa il gruppo formale dello staff ed il gruppo informale dei detenuti collaborano ed interagiscono quotidianamente per organizzare le attività lavorative, per svolgere manutenzione alla struttura, per condurre attività terapeutico-riabilitative, per trascorrere momenti ricreativi, ecc. A capo del sistema formale-informale vi è sempre un membro dello staff posto in cima ad una gerarchia.

L’esigenza specifica di studiare tali dinamiche nel sistema carcerario è nata dall’intento di contrastare ed arginare le ostilità che spesso sorgono nei penitenziari tra gruppi informali e gruppi formali. Tali confitti diventano spesso molto cruenti e vengono repressi in modo violento; quando ciò accade il gruppo informale smette di agire in modo esplicito e si attiva di nascosto.

Per quanto concerne la natura di un gruppo informale, Caldwell (1956) ne segnala una differenziazione all’interno delle carceri in termini di ruolo e status. Ai fini della nostra dissertazione, risultano principalmente interessanti le seguenti due categorie di offenders estrapolate dalla proposta di Caldwell (1956):

– Big shots cioè coloro che detengono ed esercitano il potere;

  • Right guys coloro che rinforzano l’osservanza del codice all’interno del sistema informale.

Un ulteriore considerazione va fatta sulla definizione di status e ruolo all’interno di un gruppo informale: per status intendiamo una posizione lungo una scala sociale, mentre per ruolo intendiamo un modello di comportamento che il soggetto mette in atto in relazione alle aspettative che gli altri membri del gruppo pongono su di lui. Mentre il ruolo consiste in una serie di attività, lo status si sostanzia pertanto in una posizione sociale raggiunta. Lo status può essere ottenuto grazie al possesso di determinate caratteristiche individuali oppure assegnato da altri.

In una scala sociale le opportunità di ascesa sono ovviamente limitate e le due uniche vie da poter percorrere sono quella formale ed informale. Ovviamente non tutti riusciranno a raggiungere la posizione apicale all’interno di un gruppo percorrendo la via formale, la maggior parte dei membri svilupperà pertanto un’attitudine ostile ed aggressiva nei confronti di coloro che stanno in cima alla scala (cioè coloro che ce l’hanno fatta). Tale ostilità ed aggressività possono convertirsi in un atteggiamento ipercritico, se non in una aperta ribellione, nei confronti di chi occupa una posizione formale di prestigio.

Gli altri gruppi sociali, presi in considerazione da Caldwell (1956) nel sistema carcerario, sono i seguenti:

  • Upper class  costituito da individui di status superiore (come i big shots di cui sopra), interessati cioè al potere sociale ed al controllo degli altri membri del gruppo;
  • Middle class di cui fanno parte i Right guys sopra descritti, dunque interessati a preservare e

rinforzare il codice carcerario;

– Lower Class, Neophities e Outcasts  cioè offenders che occupano l’ultimo posto della scala sociale carceraria a motivo delle loro scarse “possibilità e/o risorse personali”.

Per quanto riguarda la presa della leadership vi sono due modalità differenti di raggiungimento di tale posizione. Nel gruppo formale tipicamente l’individuazione del leader avviene per lo più attraverso meccanismi democratici ed in base a criteri generalmente meritocratici. Nel gruppo informale invece il leader prende il potere aderendo ad idee e a valori grandiosi, sfruttando le fratture esistenti nel gruppo e la mancanza di opportunità, spinto unicamente da interessi individualistici. Ecco che si delinea una differenza importante tra l’interesse collettivo espresso dal leader del gruppo formale, e l’interesse individuale insito nella figura del leader del gruppo informale. Per concludere la presente analisi, bisogna sempre tenere in considerazione che tra gruppi formali e gruppi informali vi è un perenne scontro, che può essere aperto ed esplicito oppure implicito e nascosto.

3.6) Le reti di comunicazione tra gruppi

Nell’ articolo di Katz, Lazer, Arrow & Contractor (2004) denominato “Network theory and small group” viene proposta una panoramica sullo studio delle reti di comunicazione tra gruppi.

L’analisi prende le mosse da una serie di domande e risposte, qui di seguito ne elenchiamo alcune:

  • Che cos’è un network sociale?

Un network sociale consiste in un gruppo di attori, definiti nodi, ed un’ insieme di relazioni tra attori, definite legami. I nodi possono riguardare sia individui che gruppi. I legami invece possono comprendere i seguenti livelli di analisi: individuo-individuo, individuo-gruppo oppure gruppo-gruppo.

  • Attraverso quali dimensioni varia un network sociale?

Un network varia in funzione dei tipi di legame che presenta, questi possono essere legami comunicativi, affettivi, materiali, di prossimità e cognitivi. All’interno di un network gli attori (nodi) possono condividere piu’ tipi di legame allo stesso tempo. Un ulteriore classificazione dei legami puo’ anche comprendere legami forti oppure legami deboli.

  • Come vengono misurati i network sociali?

Una procedura può essere quella di sottoporre ad ogni membro di un’organizzazione una lista di tutti gli altri membri dell’organizzazione medesima. Ogni membro coinvolto deve quindi indicare in questa checklist le persone con cui ha contatto, con quale frequenza tali contatti avvengono e la natura di tali contatti. I dati ottenuti con questa modalità self-report  vengono poi tradotti e visualizzati in un sociogramma. Per fare ciò si possono utilizzare software specifici come NetDraw, NetVis e Pajek. Un sociogramma è una visualizzazione di tutti i nodi e i legami che costituiscono un network sociale. Una immagine molto semplificata, ma che ci consente di vedere come è fatto un sociogramma, è la seguente:

Figura 1 Sociogramma

I numeri rappresentano i nodi mentre le frecce rappresentano i legami.

Sempre nello studio di Katz, Lazer, Arrow & Contractor (2004)  viene riportata l’esperienza di Bavelas e Leavitt, i quali condussero una serie di esprimenti manipolando i pattern di comunicazione tra i membri dei gruppi e misurandone gli effetti. Essi individuarono almeno quattro configurazioni comunicative ricorrenti tra gli individui organizzati in gruppi.

Figura 2 Reti di comunicazione di gruppo

 

In riferimento alle quattro configurazioni di cui sopra, vi sono due indici quantitativi utili per descriverle:

  • Indice di distanza  Indica il numero di legami che un individuo deve attraversare per

comunicare con un altro individuo membro del gruppo;

  • Indice di centralità  esprime la misura di quanto il flusso comunicativo all’interno del gruppo

sia centralizzato in una sola persona.

In riferimento all’elemento della centralità nel funzionamento del gruppo si evidenzia infine quanto segue:

  • quando i compiti all’interno di un gruppo sono semplici allora un funzionamento di tipo centralizzato offre delle performance migliori di tutto il sistema-gruppo;
  • al contrario, quando i compiti che un gruppo si prefigge sono complessi, allora un funzionamento di tipo de-centralizzato è da preferire;
  • quando le informazioni sono distribuite all’interno del gruppo in modo irregolare tra i membri, oppure quando sono ambigue, è altresì da preferire sempre un funzionamento di tipo de-centralizzato.

3.7) Le dinamiche persuasive all’interno del gruppo

“Uno dei più noti esperimenti di psicologia sociale, condotto da Milgram nel 1961, aveva dimostrato come il grado di autorità percepita potesse fare agire in soggetti sperimentali comportamenti apparentemente irrazionali, come somministrare delle scosse elettriche ad individui cavia dell’esperimento” (Oliviero & Russo, 2013, p.435).

Tale esperimento consisteva nel chiedere ai soggetti sperimentali di somministrare delle scosse elettriche ad altri soggetti (di fatto collaboratori dello sperimentatore) tutte le volte che questi ultimi commettevano un errore in un esercizio di memoria. Più i collaboratori sbagliavano (volutamente), maggiore era la scossa elettrica che lo sperimentatore chiedeva ai soggetti sperimentali di somministrare. Nonostante mostrassero tensione e protestassero verbalmente , una percentuale considerevole di questi soggetti sperimentali (cioè coloro che somministravano la scossa alle cavie-collaboratori) obbediva pedissequamente allo sperimentatore. Inoltre, maggiore era la distanza tra soggetto sperimentale e cavia, maggiore era la disponibilità del soggetto sperimentale nel somministrare scosse più forti. A conferma di ciò, la massima scossa venne somministrata solo nel 30% dei casi in cui vi era maggiore prossimità fisica tra sperimentatore e cavia.

Pertanto, “questo inaspettato grado di obbedienza, che ha indotto i partecipanti a violare i propri principi morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi, quali l’obbedienza indotta da una figura autoritaria considerata legittima, che induce uno stato di influenzamento esterno. I soggetti dell’esperimento non si sono perciò sentiti moralmente responsabili delle loro azioni, ma totalmente assuefatti e persuasi hanno agito il ruolo di esecutori dei voleri di un potere esterno” (Oliviero & Russo, 2013, p.435).

Ai fini della nostra dissertazione le considerazioni di cui sopra aprono uno scenario interpretativo applicabile anche ai gruppi di offenders dediti alla corruzione. In tali gruppi vi è infatti un potere legittimato dal ruolo istituzionale che l’offender ricopre (sia esso un funzionario pubblico o un manager di una impresa privata). Vi sono tuttavia logiche divergenti rispetto al perseguimento dell’utile collettivo, piegate invece all’interesse privato. Pertanto, “il non sentirsi responsabili”, “l’essere gli esecutori di un potere esterno”, “l’agire senza un pensiero critico obbedendo in modo quasi automatico”, sono tutti aspetti che facilitano il dispiegarsi dell’atto corruttivo.

 

  1. Alcune riflessioni sul noto caso di cronaca del 1992 chiamato “Tangentopoli”

I delitti di corruzione in Italia presentano “una cifra nera molto elevata” (Davigo, 2017), cioè si registra una differenza fra il numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie. Sempre secondo Davigo (2017) la corruzione è “seriale e diffusiva”. E’ seriale nel senso che gli offenders dediti a questi illeciti tendono a commetterli ogni volta che ne hanno l’occasione, mentre è diffusiva in quanto essi tendono a coinvolgere più persone al fine di assicurarsi la realizzazione dei loro patti illeciti. A questo punto per approfondire la tematica affrontata può essere utile avanzare un parallelo tra corruzione e criminalità organizzata; benché questi siano ambiti diversi essi sono strettamente correlati. Il mercato della corruzione è una mercato illegale, e come tale si poggia su delle regole proprie, che ne “tutelano” il funzionamento, percepito dagli offenders come stabile e soddisfacente. In questo scenario, la criminalità organizzata agirebbe come regolatore esterno del mercato corruttivo, assicurandone il rispetto delle “regole” attraverso il potere di intimidazione. I beni e i servizi offerti da ciascuna delle due “industrie”, quella mafiosa e quella corruttiva, sono utili per l’attività dell’altra. L’inchiesta “mani pulite”, che ha svelato il sistema tangentopoli tra il 1992 ed il 1995, ha delineato le linee portanti tra fenomeni corruttivi e crimine organizzato. Il successo che ebbero quelle indagini fu anche dovuto, secondo Davigo (2017), alla crisi economica del 1992. Questo perché tale crisi aveva avuto come effetto quello di ridurre la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi, pertanto diminuì anche l’entità delle tangenti legate al ridotto bilancio della Pubblica Amministrazione. In buona sostanza “la torta si era ristretta”, quindi non si riuscivano più ad accontentare gli appetiti dei nuovi offenders cooptati nel gruppo corruttivo e non si riuscivano più a comporre le liti tra questi. Ecco allora che esplosero le controversie, nelle quali gli inquirenti riuscirono ad inserirsi ed ottenere così notizie di reato. Proprio perché la corruzione non avveniva davanti a testimoni ed era nota solo a chi la praticava, vi era un interesse condiviso a mantenerla segreta. Questo interesse di segretezza venne a mancare nel momento in cui non vi erano più risorse utili per alimentare una macchina corruttiva mastodontica come quella di tangentopoli. Crollò quindi tutto il sistema in un momento di recessione economia dell’Italia del 1992-1995. L’opinione pubblica, già colpita da un tasso di disoccupazione elevato ed un disagio sociale crescente, non ebbe intenzione di rimanere muta e chiese pene esemplari per corrotti e corruttori.

 

  1. Il funzionamento del meccanismo corruttivo

Corrotti e corruttori sono una minoranza informata contro una maggioranza di cittadini disinformata, proprio perché esclusa da certi meccanismi. Essi non si presentano quasi mai nella loro vera qualità (di offenders), ma si dichiarano onesti e quando vengono presi con “le mani nel sacco” si definiscono vittime di calunnie o persecuzioni politiche o giudiziarie (Davigo, 2017). Parlando di corruzione non possiamo parlare esclusivamente di devianza individuale bensì di un vero e proprio sistema criminale, assimilabile come sopra ricordato, alla criminalità organizzata. Proprio per tale motivo il sistema corruttivo applica delle “sanzioni” al proprio interno, che magari non portano ad eliminare i nemici come fanno le mafie e cioè a colpi d’arma da fuoco, ma esclude il soggetto non compiacente ed “inaffidabile” dalle opportunità di business e di carriera. Dunque ci troviamo di fronte ad un sistema sanzionatorio che comunque punta all’eliminazione di chi non si conforma alle logiche corruttive: un’eliminazione dalle trattative commerciali e dal mercato di riferimento.

Sempre dall’esperienza di Davigo (2017) possiamo riportare un episodio del 1979, di quando egli era Giudice istruttore presso il Tribunale di Vigevano. In quell’occasione vi fu l’arresto di 29 dei 30 impiegati dell’ufficio Iva di Pavia, tanto che fuori dall’ufficio venne affisso il cartello “Chiuso per arresti”. Tutto nacque da una verifica fiscale condotta da tre impiegati di quell’ufficio presso un oreficeria in provincia di Pavia. Cos’era accaduto esattamente? I tre impiegati avevano chiesto cinque milioni di lire, ed un orologio d’oro per il loro capoufficio, all’orefice per non procedere con una verifica fiscale dura. Si erano però trovati di fronte una persona onesta, così l’orefice andò a segnalare la cosa ai Carabinieri. A quel punto partirono le indagini ed il Procuratore della Repubblica suggerì all’orefice di pagare annotando i numeri di matricola delle banconote ed il numero di serie dell’orologio, in quanto fuori dal negozio si sarebbero appostati i Carabinieri. Quando i funzionari corrotti ricevettero soldi ed orologio, all’uscita vennero immediatamente arrestati. A quel punto il Magistrato notò che quella era la prima volta che i tre funzionari prestavano servizio insieme. Infatti ognuno di loro andava solitamente ad effettuare controlli con altri. Egli ipotizzò dunque che la pratica corruttiva messa in atto dai tre dovesse essere in realtà un modus operandi condiviso da tutto l’ufficio Iva. Come potrebbe infatti un funzionario chiedere soldi ad un commerciante davanti a due colleghi sconosciuti, con i quali lavora per la prima volta? In realtà la corruzione presso quell’ufficio era la norma e veniva praticata in modo abituale, secondo il principio della serialità e diffusione sopra riportati. Quando a Davigo toccò interrogare gli imputati si imbattè in un giovane funzionario di ventisette anni, da poco laureato in Giurisprudenza ed entrato a lavorare presso quell’ufficio Iva da pochi mesi. Questi aveva già confessato al Procuratore della Repubblica di aver ricevuto denaro in quattro occasioni. A quel punto Davigo gli chiese: <>.

Un altro caso di cui parla Davigo (2017) riguarda la vicenda delle “carceri d’oro”. La Procura della Repubblica di Genova aveva disposto la perquisizione di una società, il cui imprenditore si dichiarava “vittima di concussione”. Offrendo argomentazioni ben articolate questi sosteneva infatti che, in quanto produttore di carceri (cioè intese come opere realizzate “chiavi in mano”), il suo cliente finale non poteva che essere lo Stato. Infatti, se egli avesse fabbricato vestiti oppure automobili, il suo successo o insuccesso, sarebbe dipeso esclusivamente dalla sua capacità imprenditoriale. Ma fabbricando carceri doveva sottostare alle richieste dei funzionari del Provveditorato alle opere pubbliche, i quali volevano essere pagati illecitamente, pena l’esclusione dal meccanismo delle gare d’appalto. Per ciò che riguarda le modalità di pagamento delle tangenti, questo imprenditore non le pagava subito, le prometteva e poi mano a mano che incassava i soldi con lo stato avanzamento lavori elargiva la tangente ai funzionari della Pubblica Amministrazione. Dunque il meccanismo corruttivo era strutturale e insito in tutto il sistema delle forniture di beni e servizi tra imprenditoria privata e Pubblica Amministrazione. L’imprenditore di cui sopra riferiva inoltre di pagare la tangente ad ex-funzionari pubblici non più in servizio bensì in pensione da tempo. Questo perché il patto corruttivo venne iniziato da costoro tempo a dietro, i quali erano andati oramai in pensione. Quindi, i funzionari pubblici subentrati successivamente, a conoscenza dei patti illeciti attivati in precedenza, eseguivano semplicemente questi patti. Ora, se non venivano più pagati gli ex-funzionari (adesso in pensione), “crollava tutto il castello”. Più precisamente, in base a quanto riferito da questo imprenditore <> (Davigo, 2017). In altri termini, ci si inserisce nel concorso di reato come accade nella riscossione del pizzo da parte delle mafie. Cioè non è il capofamiglia a chiedere il pizzo, lo ha chiesto il suo predecessore. Il capofamiglia manda i suoi uomini a riscuotere il pizzo in quanto esegue un accordo intervenuto in precedenza. Pertanto, come ribadito già sopra, tra corruzione e criminalità organizzata vi sono molte analogie nel rispettivo funzionamento.

 

  1. Conclusioni

Nel presente elaborato si è voluto dare uno sguardo ai fenomeni corruttivi da più angolature, avvalendosi del supporto della psicologia. Quasi sempre determinate dinamiche passano inosservate nelle narrazioni di cronaca, lasciando esclusivamente spazio agli effetti sensazionalistici della notizia.

La corruzione è purtroppo un fattore endemico nell’uomo, negli aggregati umani e nella cultura da questi prodotta. Le azioni repressive messe in atto dal Legislatore e dalla Magistratura da soli non bastano per arginare questo malcostume, serve anche una buona prevenzione che deve potersi avvalere di un approccio multidisciplinare. Un mercato legalmente orientato necessita di players che agiscano con integrità morale e con autoconsapevolezza. Rispetto alle persone che detengono il potere decisionale, l’auspicio è che questi possano sperimentare una sana gratificazione nel loro lavoro, senza che questa gratificazione diventi necessariamente una forma di narcisismo.

(A cura di Aurelio Calcagno)

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