Corte di Giustizia UE: ammessi i limiti alla compensazione IVA
Corte di Giustizia UE: ammessi i limiti alla compensazione IVA
di Claudio Melillo
Dubbi sulla compensazione dell’IVA hanno richiesto l’intervento della Corte di Giustizie UE che il 16 marzo 2017 si è pronunciata in merito ad un rinvio pregiudiziale effettuato dalla CTP di Torino (sentenza C-211/16).
La controversia attiene ad una questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia UE dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino in relazione all’applicazione dell’art. 34, legge n. 388/2000, che fissa un tetto massimo ai crediti d’imposta e ai contributi compensabili, nella misura di 700.000 euro per ciascun anno solare.
Nello specifico, una società vantava, per il 2013, un credito IVA per il quale ha provveduto alla compensazione delle imposte dovute, facendolo valere a concorrenza ed eccedendo l’importo dei 700.000 euro. In questo modo, si sono venute a creare le condizioni per contestare, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’inadempimento degli obblighi tributari.
L’Ufficio competente ha proceduto, dunque, al recupero della somma spettante eccedente il limite massimo dei 700.000 euro. La società, di contro, ha fatto opposizione al provvedimento dell’Agenzia tanto che la questione è stata sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 183, primo comma[1], della direttiva IVA 2006/112/CE, al fine di stabilire se la disposizione comunitaria “osta ad una normativa nazionale che preveda […] la proroga dei termini per il rimborso delle eccedenze dell’imposta sul valore aggiunto, nella misura in cui tale normativa privi il soggetto passivo del diritto […] di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta”. Il problema era da intendersi riferito alle modalità di rimborso di un’eccedenza di IVA, senza mettere in discussione il diritto alla detrazione nel cui ambito è esercitato. La questione è stata sollevata, dunque, per comprendere se l’imposizione di un limite massimo annuo per la compensazione o per il rimborso dei crediti IVA determinasse la circostanza per la quale i crediti non compensabili o recuperabili, nella misura eccedente, potessero costituire costi o oneri finanziari, per il soggetto passivo, andando a ledere il principio di neutralità fiscale. A tal proposito, la Corte ha espresso il suo giudizio ritenendo tali modalità non in grado di ledere il principio in questione facendo gravare, in tutto o in parte, l’onere dell’IVA in capo al soggetto passivo. Anzi, il recupero del credito risultante da un’eccedenza dell’IVA deve essere pienamente garantito e ciò può farsi in tempi ragionevoli, mediante il pagamento in denaro o tramite modalità simili. Ne deriva che la compensazione tra crediti e debiti di diversa natura è certamente ammessa alla luce dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997. Ad essere limitato è l’importo di compensazione dei debiti ai sensi dell’art. 34 della Legge n. 388/2000.
Pertanto, la Corte di Giustizia ha concluso interpretando l’art. 183 nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita la compensazione di alcuni debiti tributari con crediti IVA fino a un importo massimo determinato per ogni annualità, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità, per il soggetto passivo, di recuperare tutto il credito IVA entro un termine ragionevole.
Il limite massimo imposto dall’ordinamento italiano non appare inadeguato ma finalizzato a contrastare fenomeni elusivi, dal momento che la compensazione può effettuarsi per importi molto elevati, senza una verifica preventiva.
[1] Articolo 183: “Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite. Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante”.