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Covid e diseguaglianze nella società contemporanea

Abstract

Sono molteplici gli aspetti del rapporto tra pandemia e diseguaglianze. E ad essere colpite maggiormente sono le donne

La diseguaglianza sociale

Il termine disuguaglianza identifica le differenze dei livelli di benessere derivanti principalmente dalle disparità nel livello dei redditi, dei consumi, nell’accesso all’assistenza sanitaria, nell’istruzione e nella speranza di vita. La pandemia è al medesimo tempo un rivelatore ed un fattore di diseguaglianza, destinato ad amplificarla a livello globale, nazionale e locale[1].  La pandemia sta mostrando con grande evidenza come la divisione in classi esista e si esplichi in varie forme e gradi, a partire dalla possibilità o meno di lavorare dal proprio salotto senza incorrere nel rischio di perdere lavoro, reddito, o di contrarre malattie.

Il virus della diseguaglianza: ricchi e poveri

Le mille persone più ricche del mondo hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite che avevano accumulato per l’emergenza Covid-19, mentre i più poveri per riprendersi dalle catastrofiche conseguenze economiche della pandemia potrebbero impiegare più di 10 anni.

Nel mondo i 10 uomini più ricchi hanno visto la loro ricchezza aumentare di 540 miliardi di dollari dall’inizio della pandemia[2]: si tratta di una somma che sarebbe più che sufficiente a pagare il vaccino per tutti gli abitanti del pianeta e ad assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus.  Basti pensare che il valore netto del patrimonio di Jeff Bezos[3], imprenditore statunitense e fondatore di Amazon, è aumentato di 78,2 miliardi di dollari. . Già prima che il virus colpisse, la metà dei lavoratori nei Paesi più vulnerabili versava in condizione di povertà e i tre quarti della forza lavoro non godeva di alcuna forma di protezione sociale, come l’indennità di malattia e i sussidi di disoccupazione. Per questi soggetti deboli la ripresa sarà ancora più dura e lenta[4]. La pandemia ha colpito molto più duramente le persone in stato di povertà rispetto ai ricchi ed ha avuto effetti particolarmente devastanti sulle donne, la popolazione di colore, gli afro-discendenti, i popoli indigeni e le comunità storicamente emarginate e oppresse in tutto il mondo. Le donne, e in misura maggiore le donne razzializzate, sono più esposte degli uomini al rischio di perdere il lavoro a causa del coronavirus.

Se i Governi saranno in grado di mettere in campo azioni che riducano la diseguaglianza di due punti percentuali all’anno, potremmo tornare ai livelli pre-crisi entro tre anni e nel 2030 ci saranno 860 milioni di poveri in meno rispetto alla situazione peggiore.

Le donne più colpite

Le donne, ancora una volta, le più colpite, scrive Oxfam nel rapporto. “A livello globale, le donne sono maggiormente impiegate proprio nei settori professionali più duramente colpiti dalla pandemia. Se il livello di occupazione tra uomini e donne fosse uguale in questi settori, 112 milioni[5] di donne non correrebbero più il rischio di perdere il proprio lavoro e quindi il proprio reddito. Ciò è evidente in Medioriente e Africa del nord, dove le donne rappresentano solo il 20% della forza lavoro ma le perdite di posti di lavoro dovute al Covid-19, secondo le stime, incideranno sull’occupazione femminile per il 40%”.

In generale, le donne[6] rappresentano oltre il 70% della forza lavoro impiegata in professioni sanitarie o lavori sociali e di cura. Questo le espone a maggiori rischi in tempo di pandemia – sanitari ma anche collegati alla tutela del reddito. In Italia oggi un’infermiera dovrebbe lavorare 127 anni per guadagnare quanto un amministratore delegato di una grande azienda in un anno.

Covid e violenze di genere

Con l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 nei primi mesi del 2020, i media e i servizi specializzati hanno fin da subito iniziato a parlare di un probabile futuro aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa del maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato (lockdown) e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. In particolare, molte donne che svolgevano lavori informali che hanno perso durante la quarantena sono risultate maggiormente esposte, essendo costrette a lunghe permanenze in casa e diventando in misura maggiore economicamente dipendenti dai loro compagni con conseguenti maggiori difficoltà a sottrarsi alla violenza.

La violenza domestica già presuppone la messa in atto ad opera dell’abusante di una vera e propria strategia di controllo, che utilizza elementi strutturali a livello sociale oltre al controllo individuale per isolare le donne dalle loro reti e fonti di sostegno esterno, principalmente la famiglia di origine e gli amici. Il lockdown e la quarantena, necessari entrambi per ridurre la diffusione della pandemia, hanno di fatto contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e le loro difficoltà ad attivare reti di supporto.

L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo come conseguenza della pandemia è stato chiaramente indicato dall’indagine pubblicata da CEPOL nel luglio 2020 e dalle stesse Nazioni Unite che hanno definito questo fenomeno “pandemia ombra” proprio per sottolinearne l’impatto devastante. A livello internazionale ed Europeo, sono state fornite raccomandazioni e linee guida per fronteggiare in emergenza le situazioni di violenza, che hanno sottolineato l’esigenza di rafforzare i servizi specializzati di supporto e ospitalità per le donne, sia con riferimento al numero di strutture che alle modalità di lavoro, in primis per quanto concerne la possibilità di operare da remoto, e di favorirne l’accesso attraverso capillari azioni di comunicazione istituzionale e orientamento ai servizi per le vittime. L’attenzione è stata posta anche sull’aspetto più che mai cruciale del lavoro in rete da parte dei servizi specializzati e generali per fronteggiare le particolari criticità che i casi di violenza assumono in una situazione di emergenza sanitaria e sulla necessità di fornire adeguato sostegno economico ai servizi anche per poter operare in sicurezza.

In questo contesto, anche in Italia, l’esplosione dei casi di violenza è stato sostanziale. Se si guarda ai dati delle chiamate al numero verde nazionale antiviolenza 1522 si può, infatti, notare come dal 1° marzo al 16 Aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 con un aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto del 59% rispetto allo scorso anno (ISTAT, 202

Lo smart working

In Italia, la recentissima analisi Ministero del Lavoro e Banca d’Italia (2021) relativa alle comunicazioni obbligatorie mostra significative differenze su base territoriale e settoriale, in ragione delle diversa esposizione alla diffusione del virus ed alle misure di lockdown. In questo quadro, la comparazione fra 2019 e 2020 delle attivazioni di rapporti di lavoro (Figura 6), mostra un ampliamento del divario di genere ed una forte penalizzazione della fascia di età 15-34 anni, che ha contribuito per oltre la metà al calo complessivo dei posti di lavoro creati. La transizione forzata, in periodo di lockdown, allo smart working[7] ha amplificato le diseguaglianze originarie relative alla dotazione di risorse informatiche e relative competenze d’uso. A livello globale, nel 2019, solo il 54% della popolazione mondiale era connessa, con le regioni più povere che presentavano scarsi livelli di penetrazione dei servizi digitali. L’Italia registra, in rapporto ai valori medi europei, una maggiore concentrazione di occupati nella parte bassa delle abilità digitali (ISTAT, cit.): nel 2019 il 39% dei lavoratori non ha nessuna o scarsa dimestichezza con le tecnologie digitali, rispetto alla media UE del 31%

Accesso all’ istruzione e diseguaglianze

La pandemia ha causato a livello globale la più grande interruzione nella storia dei processi educativi, con un impatto sostanzialmente universale su studenti ed insegnanti di tutti gli ordini e gradi dei sistemi di istruzione e formazione. A metà aprile 2020 si stima siano stati interessati dagli effetti della pandemia il 94% degli studenti, pari a 1,58 miliardi di persone (UN, 2020). La capacità di dare risposta alla sospensione della didattica a scuola ha una evidente relazione con la diseguaglianza: nel secondo trimestre del 2020 l’86% dei bambini in educazione primaria dei Paesi con basso livello di sviluppo risultava privo di risposta educativa, contro il 20% dei Paesi con alto livello

Gli impatti sulla condizione familiare e le nascite

Da ultimo, guardando in specifico all’Italia, è interessante rileggere quanto visto sul piano della condizione familiare. La chiusura della scuola ha rappresentato un motivo di forte difficoltà per le famiglie[8]. Si stima (Dipartimento Politiche per la Famiglia, cit.) che lo shock organizzativo familiare provocato dal lockdown abbia potenzialmente coinvolto almeno 2milioni e 900mila nuclei. 853 mila nuclei con figli in età inferiore a 15 anni vedono l’unico genitore, o entrambi, svolgere professioni che richiedono la presenza sul luogo di lavoro, con elevato disagio da conciliazione. Da valutare saranno inoltre gli impatti sulle nascite. Secondo ISTAT , i 420mila nati in Italia nel 2019 potrebbero scendere a 393 mila nel 2021. La crisi provocata dalla pandemia produrrà i suoi effetti anche sulle dinamiche di riproduzione sociale delle diseguaglianze collegate alle classi, sia per una diversa esposizione ai rischi, sia per una differente vulnerabilità in termini di malattie croniche e di capacità di avvantaggiarsi delle cure disponibili

Come reagire per combattere le diseguaglianze?

La crisi generata dal Covid-19 offre ai governi di tutto il mondo l’occasione di adottare politiche in grado di promuovere sistemi economici più equi e inclusivi. Affrontare le cause strutturali della disuguaglianza per Oxfam vuol dire in primo luogo investire nella copertura sanitaria universale e gratuita, nell’istruzione e in altri servizi pubblici che possono ridurre le disparità; promuovere il lavoro dignitoso[9], libero dallo sfruttamento anche incentivando modelli di impresa che distribuiscono il valore in modo più equo tra tutti gli stakeholder e non incentrati sulla mera massimizzazione degli utili per gli azionisti; attuare politiche orientate alla giustizia fiscale; riorientare i nostri modelli di produzione e consumo in modo da porre un freno alla grave crisi climatica. Oggi più che mai abbiamo bisogno di fronteggiare l’emergenza ma contemporaneamente iniziare ad adottare politiche strutturali in grado di promuovere un nuovo sistema economico che non sia più a vantaggio solo di pochi, ma di tutti». Per affrontare le vulnerabilità crescenti a seguito dell’impatto della pandemia è necessario adottare politiche che possano incidere sulle cause strutturali, che alimentano i divari economici e sociali. Gli ambiti di azione sono molteplici.

  • Ammodernamento dei sistemi di protezione dei redditi[10]. La crisi che stiamo attraversando rafforza la necessità di un sistema di welfare che distingua fra i rischi di disoccupazione associati all’ordinario andamento del mercato del lavoro, e rischi di disoccupazione straordinari dovuti a gravi crisi sistemiche e che contempli misure di protezione da rischi di disoccupazione ordinaria per i lavoratori autonomi e non standard.
  • Ridare potere al lavoro: al netto delle misure compensative a carico del welfare state, sono necessari interventi predistributivi, che limitino la svalutazione del fattore lavoro e escludano il ricorso a forme contrattuali atipiche e poco remunerate, anche attraverso l’innalzamento dei salari minimi.
  • Rafforzare la portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti. Sul fronte delle politiche impositive, il carico fiscale va spostato dal lavoro e dai consumi su ricchezza e redditi da capitale.
  • Investire in un’istruzione pubblica di qualità e nel contrasto alla povertà educativa. Va incrementata la spesa pubblica per l’istruzione. Proposte strutturali per contrastare la povertà educativa dovrebbero inoltre contemplare: il miglioramento delle strutture scolastiche e una migliore gestione del tempo scuola, un incentivo all’innovazione didattica e pedagogica, il rafforzamento dell’istruzione professionale, la creazione di zone di educazione prioritaria tra le aree a maggior incidenza di abbandono precoce, il potenziamento delle comunità educanti.
  • Favorire la mobilità intergenerazionale. Il grado di istruzione, le condizioni economiche, lo status sociale e occupazionale mostrano in Italia una forte persistenza nel passaggio generazionale. Per favorire maggiore uguaglianza di opportunità, va considerata, oltre al miglioramento delle condizioni di accesso all’istruzione di qualità, l’opportunità di una dote universale per i giovani e il rafforzamento del grado di concorrenza nei settori meno competitivi in cui il premio di background sociale a parità di istruzione è più persistente.

(A cura di Valerio Carlesimo)

RIFERIMENTI

[1] Il sole 24 ore, “Cinque cose che ci ha insegnato il Covid sulle diseguaglianze”, 10/09/2020, Luca Tremolada

[2] www.oxfamitalia.org, “Il virus della diseguaglianza”, 25 gennaio 2021.

[3] www.vita.it, “Il virus della diseguaglianza colpisce con la pandemia”, 25 gennaio 2021, Redazione

[4] Sna.gov.it, “Diseguaglianza e pandemia”, Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 01/01/2021

[5] Il sole 24 ore, “ Covid: per raggiungere la parità di genere ci vorranno 51 anni in più”, 08/03/2021, di Letizia Giangulano.

[6] www.eni.com, “Donne e lavoro: la pandemia inasprisce le diseguaglianze”, Eni datalab

[7] www.huffingtompost.it, “Lo smart-working non sia strumento di diseguaglianze”, 06/08/2020, Michele Fina

[8] Banca d’Italia, “Principali risultati dell’indagine straordinarie sulle famiglie italiane nel 2020, 26/06/2020

[9] Il Sole 24 ore, “Crescono le diseguaglianze: quali sono i fattori che le favoriscono”, Giuliana Licini

[10] Welforum.it, “L’aumento delle diseguaglianze in tempo di pandemia”, 09/02/2021, Daniela Mesini


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