Direttore Scientifico: Claudio Melillo - Direttore Responsabile: Serena Giglio - Coordinatore: Pierpaolo Grignani - Responsabile di Redazione: Marco Schiariti
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Sommario

A partire dalla fine degli anni ’80 le istituzioni internazionali hanno prestato particolare attenzione ai temi della riduzione degli oneri amministrativi, della semplificazione normativa e dell’analisi di impatto della regolamentazione. Nel corso degli anni si è assistito ad una crescita del numero delle leggi e dei regolamenti, dei carichi regolativi che gravano sulle attività di cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche e ad una complessità degli adempimenti burocratici imposti per assicurare e verificare il rispetto di tali regolazioni. Tutto ciò ha comportato un forte impatto sulla crescita e sulla competitività del singolo paese.
Le policies adottate da diversi paesi hanno tentato di dare una risposta alla domanda se una deregolamentazione sia da preferire una corretta ed efficace politica di regolazione. La risposta ritenuta più valida è nella ricerca del giusto equilibrio tra regolazione e buona qualità della formazione. In questo modo è possibile dare la giusta risposta alle opposte spinte alla deregolazione, per favorire il progresso economico, e alla iper-regolamentazione, per disciplinare la concorrenza o per tutelare gli interessi deboli o costituzionalmente sensibili.

La Better Regulation

Le politiche di semplificazione normativa e amministrativa hanno trovato un forte impulso nella Strategia di Lisbona. Ricordiamo che oggi, la gran parte dei servizi pubblici può essere gestita da soggetti organizzati in forma di società di diritto privato. Il potere pubblico viene chiamato a regolamentare i mercati con la produzione di regole specifiche con una disciplina pubblicistica che rimane quindi nella forma della regolazione. È questa una modificazione profonda delle funzioni dello Stato che pone la necessità di creare delle “buone” regole idonee al funzionamento del mercato d’interesse pubblico.
Gli effetti di un buon sistema di regolazione dei mercati sono infatti molto importanti poiché in primo luogo viene stimolata la nascita di mercati efficienti e concorrenziali anche a livello locale, in secondo luogo perché un effetto significativo è quello che consente al Paese di localizzare utilmente le imprese. Si sottolinea che, a seguito dell’impulso comunitario, è stato operato un vero e proprio passaggio tra uno Stato che erogava servizi pubblici ad uno Stato che opera una regolazione del mercato in cui esistono soggetti privati.
Prendendo spunto da queste considerazioni si cominciano a delineare i concetti “Regulatory Reform”, “Regulatory Policy” e “Better Regulation”, la cui matrice comune, aldilà delle sottili distinzioni termologiche, è costituita dall’esigenza di assicurare un contesto normativo di “alta qualità”.
Negli ultimi anni, l’espressione “Regulatory Policy” ha gradualmente preso il posto della denominazione “Regulatory Reform”, per sottolineare la diversa prospettiva che è andata assumendo la “politica” di regolazione come processo continuo, una strategia unitaria piuttosto che una serie di “riformead hoc. L’espressione “Better Regulation” nasce, invece, nel Regno Unito e sta ad indicare l’azione svolta dal Cabinet Office per promuovere il miglioramento della regolazione. L’impostazione seguita dall’OCSE si basa su un’accezione assai ampia di “regulation”, che finisce per ricomprendere tre ambiti, distinti in funzione degli obiettivi e degli interessi tutelati:
a) “regolazione economica”, che interviene direttamente nelle decisioni di mercato, attraverso la regolazione dell’entrata e dell’uscita dei prezzi;
b) “regolazione sociale”, che evoca gli interventi tesi alla cura di interessi pubblici prevalenti, come la salute e la sicurezza dei lavoratori, la protezione ambientale e la tutela dei consumatori;
c) “regolazione amministrativa”, con la quale i pubblici poteri impongono una serie di adempimenti (il c.d. red tape), attraverso i quali raccolgono informazioni ed intervengono nelle decisioni economiche degli operators.
In tale ampia nozione di regolazione si fa rientrare anche la disciplina della concorrenza. Si tratta di un’ampia categoria definita dall’OCSE come “the diverse set of instruments by which governments set requirements in enterprises and citizens”, che include “leggi, provvedimenti formali ed informali e norme delegate adottate a tutti i livelli governativi e da organismi non governativi o di autoregolazione ai quali l’ordinamento abbia delegato poteri di regolazione”.
Una definizione così ampia di regolazione, che comprende tutti gli interventi pubblici e coincide con tutto il diritto pubblico dell’economia, è apparsa a molti sostanzialmente inutilizzabile e si è perciò fatta strada una nozione più ristretta di regolazione che potremmo definire “amministrativa” e che si riferisce a ogni forma di esercizio di poteri autoritativi da parte di amministrazioni pubbliche.
Non è mancato però chi ha subito sottolineato che anche questa nozione, seppure circoscritta, porta ad includere nella definizione di regolazione anche il diritto penale e si rivela, dunque, particolarmente ampia. Si è così affacciata la tesi di una autorevole dottrina, che suggerisce di limitare ulteriormente l’accezione di regolazione ai soli interventi di amministrazioni indipendenti, cui sia stato affidato un unico compito istituzionale e che adottino regolazioni prevalentemente “condizionali”, nel rispetto del principio del giusto procedimento, attraverso gli strumenti della partecipazione e della trasparenza (si parla di “regolazione amministrativa a carattere economico”). Sembra dunque imprescindibile un diverso approccio, meno teorico e più ancorato al diritto positivo, che delimita il concetto di regolazione a seconda dell’ampiezza dell’ambito operativo dello strumento di volta in volta utilizzato per pervenire ad una “buona” regola.
Le difficoltà di pervenire ad un concetto universalmente valido di regolazione si colgono, per esempio, quando si tenta di individuare il concetto di regolazione da sottoporre ad analisi di impatto. Basta infatti ricordare che mentre inizialmente il nostro legislatore aveva accolto una nozione ampia di regolazione che comprendeva, accanto alle “regolazioni normative” (schemi di atti normativi e progetti di legge), le “regolazioni amministrative” vincolanti (schemi di atti normativi adottati dal Governo e di regolamenti ministeriali ed interministeriali; atti amministrative generali delle autorità indipendenti di regolazione) e non vincolanti (circolari e regole tecniche contenute in atti non normativi) . In conclusione, la nozione di regolazione, non solo varia da ordinamento ad ordinamento, ma risulta positivamente condizionata dalle scelte operate dal legislatore nell’individuazione degli strumenti di Better Regulation e del loro ambito applicativo.

Bibliografia

a) Fonti dottrinarie

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b) Fonti documentali

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COM.CE (2006) COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione, Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 della Commissione Europea, 314 def.
COM.CE (2004) COMMISSIONE EUROPEA, Libro verde relativo ai partenariati pubblico privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e della concessioni, 327 def.
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COM.CE (2003) COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione, Strategia per il mercato interno, 238 def.
COM.CE (2003) COMMISSIONE EUROPEA, Libro Verde sui servizi di interesse generale, 270 def.
COM.CE (2003) COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione, Il ruolo dell’e-Government per il futuro dell’Europa, 567 def.
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c) sitografia

www.governo.it.
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In economics a crucial role is defined by expectations, made up by economic agents, about future economic variables. Every day we are affected by a lot of economic’s informations, expecially in newspapers and on television.
In economics, in order to understand the state of the economic system, economists and research insitutes creates, using mathematical models, a lot of statistics to measure the most important variable’s trend, like inflation, unemployment, production and so on.
Inflation, for example, is defined like the rate change of prices during a specific time. In mathematical term we can define it as follow:

π = Pf – Pi / Pi

Where:
π = Inflation rate;
Pf = Final price’s level;
Pi = Initial price’s level.

Inflation, as we know, is one of the most important variables to estimate how a certain bundle of goods and services, that statically represent the average purchaising’s decisions of consumers in an economy, changes its value across time.
In an economy, to mantein as smooth as possible the aggregate demand and to not create particular problems to consumers and firms, is crucial that inflation’s rate remains as smooth as possible and close to lower values.
The European Central Bank, for the European countries that have adopted in their economies the euro, and the Federal Reserve System, for the United States of America, are the two most important Central Banks in the world and their task is to set the monetary policy in their economy.
Actually, Christine Lagarde is the president of the ECB while Jerome Powell is the president of the FED.
To define their monetary policy decisions they have to adopt several econometrics models in order to understand how a specific monetary policy can affect the economic system and how economic’s variables, like inflation, will react to these policies.
Central Banks can stimulate the economy, substantially, increasing or decreasing the interest rates. For example, during an expansionary period when the aggregate demand exceeds the aggregate supply, prices rises up an inflation occurs in the economy. As we have said before, Central Banks of the most developed countries, want to mantein inflation to 2% by year.
No one want to have an elevated inflation, because it affects negatively the economy, principally for two reasons:
I. The purchasing power of households and consumers decreases, because with the same amount of money and wages people can now buy less goods and services rather that in the past.
II. High inflation brings in the economy uncertainty, because consumers have no idea regarding the future price’s level and firms, at the same time, are not aible to sell their products, because economic agents will tend to decrease demand for goods and services. Inflation, if policymakers doesn’t control it massively, can develop in an hyperinflation. (A period in time in which inflation rate acrosses 50% per year).
III. For this reason we could think that a deflation could be desiderable for the economy. How beautiful would be a world with a speedly decreasing of prices’s level! No one could desire something of better!

Unfortunately this is not true, and now I will just try to explain why a deflation could be worst than a positive inflation.
If in the economy the general level of prices is getting down, firms and expecially entrepreneurs will be worried because it is probable that consumers, due a rising down of prices’s level, will decide to postpone their purchases for durable goods and services, because they image to buy them in the future, hoping that prices will continue to decrease.

If this prediction will be confirmed in the economy firms would have to cut employment, in order to contain costs due a reduction of profits and production. Deflation is very dangerous and it is one of first elements that appears during a recession.

In economics, thank the contribute of Alfred Phillips, a very important relation is expressed by the Phillips’ curve.
The Phillips’curve shows an important relation between inflation and unemployment. Phillips realised, using econometric models, that in the UK, between 1913 and 1948 the inflation rate was negatively related to the unemployment rate. During period of high inflation the unemployment went down, and in the opposite case, so when the inflation rate was very low, the unemployment increased a lot. The economic interpretation to this results is the following:
During economic growth the inflation rate goes up because the aggregate demand increases and firms, in order to equilibrate demand and supply, are going to rise up prices. During economic growth firms, also, tend to hire new workers in order to increase production, and for this reason the unemployment rate goes down.
In the opposite situation, when a recession occurs in the economy, the inflation rate deeply goes down and unemployment increases significantly.
During a recession, when GDP falls down sharply, firms experiment an excess of costs on revenues, because the aggregate demand decreases and to sell their products they have to reduce prices, and it affects profits negatively. For this reason firms starts to fire workers in order to contain costs, and this measure contributes to increase unemployment in the economy.

This relation, for its characteristics and peculiarities, was used a lot by policymakers in order to choose a combination of inflation and unemployment in the economy. If the policymakers want to reach a certain level of inflation in the economy, they have to accept the corresponding unemployment associated to that inflation’s level.

This model was modified and partially rejected by several economists when during 1970 inflation and unemployment appeared together in a lot of countries due the oil crise. When inflation and unemplyoment appears together in the economy, economists speak about stagflation. A stagflation is a very strange and particular state of the economy in which GDP progressively reduces its speed but inflation remains very high. This is an event that economist have studied a lot and it also happened due a supply shock, like an increasing of the commodity’s prices and some particular inputs that is crucial for the whole global production, that is not predictable in the past and in which Government and policymakers have no a direct control on the mitigation of its effects.

For public authorities it is easier to manage a demand shock when, for example, aggreate demand increases or decreases because it is a direct consequence of the state of the economy. If the aggregate demand is high probably the labor market in the economy is working very well, with great efficiency and no particular distortions in the market. Firms want to hire new people and workers want to exchange their time for a wage. In this way workers get a wage and they can consume, invest and operate in the economy. When this occours the aggregate demand increases a lot and firms have to increase production or have to set new high prices to reach the equilibrium point. The opposite case, so when the labor market is very rigid due a crise, the aggregate demand goes down and prices falls down.

A Government, only for demand shock, can easily solve the disequilibrium. During an economic boom fiscal policy, made up by an increasing in taxations or a decreasing in public expenditure, is important to mantein the sustainability of the balance constraint of the country. At the same time, during a recession, an expansionary fiscal or monetary policy is useful to stimulate and pump the economy.

This model is crucial to understand how the Government and the Central Banks fix expectations of economic agents.

If the Government, in order to stimulate the economy after a recession, decided to increase the public expenditure (for example subsidies), in this way he wants to fix people’s expactions about the future, that in economics are crucial.

People in the economy, seeing a direct intervention of the Government in the economy, expect a rising inflation and a progressively reduction in unemployment. At the same time a Central Bank, with the monetary policy, can affect people expectations about the economy. For example, if a Central Bank wanted to rise interest rates to fight inflation, people would understand that the Central Bank is seriously interested in cutting down inflation.

If Central Bank didn’t do this, probably people would expect increasing inflation in the future.
In an economy, if people would expect rising prices, a salary-prices spiral could appear in the economy. This is determinated by the fact that the economic agents try to mantein as stable as possile their real wages that, as we have said before, represents their purchasing power. If the Central Banks didn’t fight inflation in the economy, increasing interest rates or decreasing the quantity of money available in the economy, people future expectation’s on the economy will determine an increasing on the nominal wages because, in a situation characterized by a deep inflation, workers will ask firms to speed up their nominal wages in order to preserve their purchasing power. Firms, at the same time, will increment their sell prices in order to equilibrate revenues and costs, because the increasing on the nominal wages, that have to be correspond to the workers, will cause a significant rising up of costs on their balance sheets.

If this economic adjustment process will remain persistent in the future, economy could be affected by a period of hyperinflation. Weimar’s Republic, in the 1920s, registered a terrible and scared hyperinflation, with an inflation rate per year approximately equal to 325.000.000%.
Germany had to pay war’s debts and sanctions and, for that reason, the Central Bank began to print a lot of money but this expansionary monetary policy’s decision caused the depreciation of the value and a massive increasing of the inflation rate.
To conclude, we have to understand that Central Banks have to drive people’s expectations. How an economic agent could believe to the policy decisions adopted by the Central Banks? Why he should have confidence on the monetary policy’s authority?
Using the Phillip’s curve we can say that a Central Bank, in order to communicate to the whole economy its decision to fight inflation, has to generate a volountary recession. Only in this way people, observing an increasing in the unemployment, will mantein their confidence on the Central Bank because, during a recession, the aggregate demand falls and prices begin to decrease.
Ben Bernanke, nobel prize for economics in 2022 and president of the Federal Reserve System from 2006 and 2014, said that:

«Today the monetary policy is 98% words and 2% facts»

With this sentence I really hope to have shared with you which is the real secret of the economy.
In economics, but also in real life, words and communication have more effects rather actions. We, obviously, have to be good speakers infusing confidence, determination and competence. Only with this three tools monetary and fiscal policy can affect positively the economy.

I fattori Environmental, Social & Governance, meglio conosciuti con l’acronimo ESG, compongono i tre pilastri della sostenibilità non finanziaria [1]: Environmental attiene a tutto ciò che afferisce al tema della tutela dell’ambiente, come il climate change, la riduzione delle emissioni di CO2 e l’inquinamento. Social comprende le politiche di genere e inclusive, la tutela dei diritti umani, dei lavoratori e degli interessi dei stakeholders dell’attività di impresa. Infine, Governance abbraccia sia le condotte e i requisiti che i componenti dell’organo di gestione devono possedere, sia le remunerazioni dei membri del Consiglio di Amministrazione e il raggiungimento all’interno di esso della parità di genere, insieme al sistema di controlli interni [2].

Sin dal 1987, la sostenibilità viene definita come quella «condizione di sviluppo tale da assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri» [3] e tale condizione permette alle imprese di svolgere la loro attività con strategie equilibrate, a basso impatto ambientale, tali da non pregiudicare i livelli di benessere umano, la salute e l’equilibrio sociale [4]. Per sostenibilità, tuttavia, ci si può riferire anche alla c.d. “continuità aziendale” enunciata al secondo comma – introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14. – dell’art. 2086 del codice civile, indicando la possibilità che gli amministratori, in un arco temporale sufficientemente lungo, garantiscano all’impresa un equilibrio economico/finanziario [5].

Ad oggi, i fattori ESG costituiscono il punto di riferimento principale per le scelte economiche e sociali a livello globale [6],  incoraggiando da una parte i regolatori ed autorità di vigilanza e dall’altra i cittadini e le imprese ad accelerare la transizione economica [7], promuovendo un cambiamento culturale e sociale, oltre che giuridico ed economico [8]. Attualmente, la sostenibilità non finanziaria non rappresenta – o non dovrebbe rappresentare – un vincolo per le imprese: al contrario, essa viene vista come un’opportunità di crescita [9] e differenziazione [10], rispondendo così all’esigenza di temperare la logica del profitto bilanciando, quindi, l’interesse dei soci con quello degli altri stakeholders [11].

 1.2 L’azione dell’Unione Europea per favorire la transizione verso la sostenibilità

I fattori ESG sono divenuti un tema centrale nelle politiche e nel diritto dell’Unione Europea, conoscendo nell’ultimo lustro un vero exploit normativo [12]: a marzo 2018, attuando l’Accordo di Parigi del 2015 [13] e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite [14], la Commissione Europea pubblica un Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile [15] e nel dicembre 2019 avvia, nell’ambito del Green Deal europeo [16], il cosiddetto Fit for 55 [17], una dettagliata normativa europea ed un pacchetto di iniziative legislative con l’obiettivo di ridurre le immissioni di carbonio e di avviare l’Unione Europea verso la neutralità climatica entro il 2050.

Attraverso la definizione di articolati piani programmatici con l’intento di raggiungere la neutralità climatica e la sostenibilità dal punto di vista sociale, l’Unione Europea si è prefissata, oltre al resto, di raggiungere gli obiettivi previsto dal Pilastro Europeo dei Diritti Sociali [18].
La Commissione, per conseguire i traguardi prefissati dal Green Deal europeo, ha affermato che è opportuno impiegare «tutte le risorse finanziarie, sia pubbliche che private, sia nazionali che multilaterali» [19], ponendo al centro del sistema finanziario i finanziamenti verdi e sostenibili.

Per tale motivo, grazie alla loro capacità di convogliare fondi verso specifici settori incidendo di conseguenza sugli enti finanziati, le società bancarie sono chiamate a divenire protagoniste – seppur incoraggiate ed indirizzate dalle autorità del settore bancario – del processo di transizione, svolgendo un ruolo fondamentale nell’orientare l’economia verso un’autentica sostenibilità.

Integrando i fattori ESG nel loro modello di business, le banche hanno iniziato a concedere sia i green loan, finanziamenti volti a finanziare le imprese che intendono realizzare progetti con chiari benefici ambientali [20], sia i sustainability – linked loan, finanziamenti volti ad incentivare l’impresa mutuataria a raggiungere obiettivi di sostenibilità già predefiniti [21]. Inoltre, sono sorti i sustainability – linked deposit: i fondi entrati nella disponibilità degli enti creditizi vengono destinati ad attività che soddisfano i requisiti ESG.
La sostenibilità è divenuto un tema al quale hanno posto attenzione tutte le tipologie di banche – e non, o non più solo  quelle etiche [22] – anche con il fine di attrarre nuova clientela ed ottenere guadagni di reputazione [23]. Si può constatare dunque che gli obiettivi di sostenibilità, senza l’ausilio del sistema creditizio, non possono essere raggiunti e viceversa, oggigiorno le banche non possono non confrontarsi con la sostenibilità [24].

1.3 Le recenti riforme normative in tema di sostenibilità applicate al settore bancario

La Commissione Europea, al fine di realizzare gli obiettivi del Green Deal europeo ed attuando gli standards del Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (il principale standard setter internazionale per la vigilanza prudenziale delle banche) ha recentemente emanato un considerevole corpus normativo.
Con il Backing Package 2021 [25] pubblicato dalla Commissione nell’ottobre 2021 e approvato dal Parlamento Europeo nel marzo 2023, le autorità di vigilanza sono autorizzate definitivamente ad incorporare i fattori ESG non solo in fase di Supervisory review and evaluation process (SREP) [26], ma anche nei stress test, con l’obiettivo ultimo di perseguire la stabilità finanziaria e il finanziamento sostenibile dell’economia. Inoltre, si richiede agli enti creditizi di dotarsi di idonei assetti di governo societario per comprendere i rischi ESG nel calcolo del capitale interno delle banche, estendendo l’obbligo di informativa di sostenibilità a tutti gli intermediari e non solamente a quelli quotati e di grandi dimensioni [27].

Fondamentale per il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità è la disclosure delle informazioni ESG da parte delle banche nei confronti del mercato, sopratutto per contrastare il fenomeno greenwashing: [28] il legislatore europeo, a tal fine, è intervenuto con il regolamento 2020/852 (Taxonomy Regulation) che definisce criteri uniformi a livello europeo per stabilire se un’attività economica è ecosostenibile [29], contrastando di conseguenza il greenwashing di prodotti finanziari. [30] Dal 2014, inoltre, tutte le banche (congiuntamente alle società quotate in borsa e alle assicurazioni) sono soggette alla Non – Financial Reporting Directive [31]  (NFRD), la quale richiede agli enti di descrivere come questi hanno adottato i fattori ESG nel loro modello aziendale, oltre che richiedere l’informativa sulla politica ambientale [32].
Tuttavia, la NFRD si vede modificata dalla recente Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) [33] la quale è entrata in vigore lo scorso 5 gennaio 2023: quest’ultima direttiva modifica i precedenti obblighi di rendicontazione di sostenibilità, estendendo il campo di applicazione a tutte le grandi società europee – comprese le società bancarie – indipendentemente dal fatto di essere quotate, ad eccezione, però, delle micro-imprese.
Scopo principale di tale direttiva è quello di garantire una maggiore trasparenza e standardizzazione delle informazioni sulle prestazioni ambientali, sociali e di governance da parte delle imprese: per meglio comprendere, seppur senza pretesa di esaustività, il beneficio che il mercato ne trarrà – presumibilmente – da questa direttiva, si ritiene opportuno esaminare alcuni considerando di questa.
Innanzitutto, al nono considerando si afferma che le informazioni derivanti dalla rendicontazione della sostenibilità effettuata dalle imprese deve raggiungere due distinte categorie  di utenti: la prima categoria è rappresentata dall’arena degli investitori i quali, usufruendo di tali informazioni, saranno in grado di comprendere rischi, opportunità ed impatto dei loro investimenti su persone e ambiente. La seconda categoria di destinatari delle informazioni è rappresentata dalla categoria degli attori della società civile, compresi organizzazioni non governative e parti sociali: tale categoria, infatti, si aspetta che le società agiscano in modo rispettoso e responsabile in ottemperanza dei fattori ESG. Viene sottolineato, accortamente, che di norma i singoli cittadini o consumatori raramente consultano direttamente tali informazioni: essi, però, possono ottenere informazioni circa la sostenibilità di prodotti finanziari (investendo, in tal modo, in un’ottica di non sola sostenibilità finanziaria) che intendono sottoscrivere in via indiretta attraverso la richiesta di pareri o consigli a consulenti finanziari od organizzazioni non governative.
Tuttavia, l’attenzione viene posta anche alle imprese che dovranno rendere pubbliche le informazioni derivanti dalla rendicontazione di sostenibilità: all’undicesimo considerando si afferma che «le imprese stesse possono trarre beneficio da una rendicontazione di qualità elevata in merito alle questioni di sostenibilità». Si ritiene infatti che una  pertinente, precisa e sufficiente rendicontazione di sostenibilità possa consentire all’impresa stessa un potenziale miglioramento all’accesso al capitale finanziario. Inoltre, la stessa rendicontazione, oltre che a fungere d’ausilio alle imprese nel comprendere rischi ed opportunità legate alla sostenibilità, può costituire un ponte in grado di permettere il dialogo tra impresa da una parte e stakeholders di essa dall’altra, contribuendo ad un incremento di reputazione dell’impresa stessa.
L’articolo 1 paragrafo 4 della CSRD – rubricato “rendicontazione di sostenibilità” – definisce quali debbano essere le informazioni di sostenibilità da includere nella relazione sulla gestione: tra le varie, sono presenti le informazioni inerenti alla resilienza del modello e della strategia aziendali dell’impresa per quanto concerne i rischi connessi ai temi di sostenibilità, i piani imprenditoriali e piani finanziari – ivi incluse le azioni di attuazione – atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con  gli obiettivi prefissati sia dall’accordo di Parigi, sia dal regolamento (UE) 2021/1119 il quale istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica. Particolare attenzione viene posta, infine, al ruolo esercitato dagli organi di amministrazione e più precisamente alle competenze e capacità che i membri di essi debbono possedere nell’affrontare efficacemente le questioni di sostenibilità.

1.4 Le zone d’ombra del diritto bancario europeo in ambito di sostenibilità non finanziaria

Al fine di ottenere una più nitida comprensione in merito alle modalità attraverso le quali le società bancarie dovranno affrontare la questione della sostenibilità non finanziaria, è necessario focalizzare l’attenzione sul ruolo svolto dai consigli di amministrazione delle banche stesse, in quanto sono i componenti dell’organo gestorio a far divenire la banca un soggetto protagonista del processo di transizione.
Attualmente, con la proposta di direttiva Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD) [34], si è nel mezzo di una nuova stagione normativa che ha l’obiettivo di integrare concretamente la sostenibilità nella governance delle società andando a regolare  direttamente il comportamento degli amministratori: il legislatore europeo intende introdurre nell’ordinamento societario un «dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità» prevedendo per gli amministratori non obblighi di risultato bensì di mezzi, ovverosia la sostenibilità dev’essere perseguita attraverso procedure, protocolli, e policies nell’organizzazione societaria. Da ciò ne deriva, quindi, che il consiglio di amministrazione della società bancaria deve riscrivere le strategie aziendali – in ottemperanza al diritto dell’Unione – dove da una parte viene integrato tutto ciò che afferisce alla sostenibilità non finanziaria e dall’altra, per semplice effetto di correlazione, vengono poste in essere quei protocolli atti a mitigare i rischi che la sostenibilità comporta.
Per adempiere a tali attività, tuttavia, occorre porre l’attenzione a due zone d’ombra che appaiono insediarsi nell’ordinamento bancario se questa direttiva dovesse entrare in vigore: ci si limiterà, in questa sede, solo ad accennare tali incertezze normative.
La prima zona d’ombra riguarda i requisiti che gli amministratori devono (o dovrebbero) possedere per affrontare un tema nuovo per le banche come quello della sostenibilità non finanziaria. In primo luogo, pare opportuno non dimenticare che per gli amministratori delle società per azioni, in generale, non sono previsti requisiti espliciti di professionalità ed onorabilità, a condizione che tali società per azioni non siano quotate o società con statuti speciali, come le banche o assicurazioni. Gli esponenti aziendali delle società bancarie, per essere ritenuti idonei allo svolgimento del loro incarico, debbono possedere requisiti, conoscenze e competenze maggiormente stringenti rispetto alle società di diritto comune e volti al perseguimento della «sana e prudente gestione» della banca stessa: tale clausola viene richiamata, nel Testo Unico Bancario (d.lgs. 385/93), in diverse circostanze e nel caso di specie ci si riferisce all’articolo 26 del T.U.B rubricato “Esponenti aziendali” in recepimento dell’art. 91 della Dir. 2013/36/EU (CRD IV). Questi requisiti, conoscenze e competenze necessitano di sottostare ad un principio di proporzionalità che tenga in considerazione anche le dimensioni dell’ente creditizio dove rilevano non solamente le esigenze attuali della banca ma anche l’evoluzione futura della sua attività.
Tuttavia, risulta di dubbia comprensione quali requisiti, conoscenze e criteri siano necessari affinché gli amministratori possano gestire opportunamente le tematiche ESG e per di più è limitata la comprensione se tali – eventuali – parametri debbano essere posseduti dalla totalità dei componenti dell’organo gestorio o se è sufficiente che i parametri in questione debbano essere posseduti unicamente dai membri facenti parte dai sempre più presenti comitati esecutivi di sostenibilità.
La seconda zona d’ombra riguarda i rapporti della società bancaria con le sue controparti: la direttiva CSDD, in particolare, preannuncia un mutamento nel processo di erogazione del credito, dovuto all’implementazione dei fattori ESG nei business – model delle banche. Infatti, la CSDD impegna le banche a preoccuparsi che le loro imprese controparti – già in fase onboarding, ovverosia la fase di acquisizione del cliente – siano già munite di policy, codice di condotta e piani operativi di prevenzione al fine di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità [35]. Infatti, nel caso in cui per l’impresa controparte sia impossibile prevenire o attuare gli impatti negativi derivanti dal loro operato, la banca dovrebbe astenersi dall’allacciare un rapporto nuovo o prolungare quello già esistente. Tuttavia, vi sono alcune incertezze che meritano di essere menzionate:

  • non è del tutto comprensibile se tali vincoli riguardano la totalità delle società controparti della banca, o solo quelle di determinate dimensioni, quotate o meno;
  • occorre dissipare il dubbio se tali vincoli all’accesso al credito si riferiscono a qualsiasi settore d’appartenenza ed oggetto sociale o se tali vincoli riguardano, a maggior ragione, determinati settori ritenuti maggiormente inquinanti e volti quindi a generare impatti negativi, non solamente ambientali;
  • infine, non è chiaro se tali vincoli riguardano qualsivoglia entità del credito, o se questi vincoli vengono posti in essere solo nel caso in cui venga superato un determinato ammontare.

I consigli di amministrazione delle banche, attualmente e nell’immediato futuro, sono chiamati ad adottare politiche creditizie più precise e selettive, per gestire il delicato equilibrio fra finanziamento della transizione ed esclusione dei clienti che saranno classificati a maggiore impatto in base alla CSDD.

 

 

Note

[1] BEVIVINO V. (2022), L’attività ESG delle banche e la prospettiva di riforma della regolazione prudenziale delle informazioni, Rivista trimestrale di Diritto dell’Economia, n.4, pp. 484 – 516.

[2] ROLLI R. (2020) L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità, Bologna, il Mulino.

[3] Brundtland, G. (1987) Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future, United Nations General Assembly document A/42/427.

[4]  STELLA RICHTER M. jr (2021), Long – Termism, Rivista delle Società, n.1, pp. 16 -32.

[5] In tal senso, GINEVRI SACCO A. (2022), Divagazioni su corporate governance e sostenibilità, Rivista trimestrale di Diritto dell’Economia, n. 1, pp. 83 – 94.

[6] ALPA G. (2022), Solidarietà. Un principio normativo, Bologna, il Mulino

[7] AMOROSINO S. (2021), Il futuribile. Governare le transizioni “economiche”, in Passalacqua M. (a cura di), Diritti e mercati nella transizione ecologica e digitale, Studi dedicati a Mauro Giusti, Milano.

[8] CALDERAZZI R. (2022), La sostenibilità nell’impresa bancaria, Rivista trimestrale di Diritto dell’Economia, n. 4, pp. 168-192.

[9] PORTER M. E., KRAMER M. R. (2011), Creating shared value, Harvard Business Review, pp.62-77.

[10] CONTE F. (2022), La finanza sostenibile: limiti e profili evolutivi, in federalismi.it, n.33, pp. 1-26.

[11] CONTE G. (2008), La disciplina dell’attività d’impresa tra diritto, etica ed economia, in Conte G. (a cura di), Responsabilità sociale dell’impresa : tra diritto, etica ed economia, GLF editori Laterza

[12] ALPA G. (2021), Responsabilità degli amministratori di società e principio di «sostenibilità, Contratto e Impresa, vol. XXXVII, n.2,  pp. 721-732.

[13] L’accordo di Parigi è un piano d’azione per limitare il riscaldamento globale. Tale accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016, con l’adempimento della condizione della ratifica da parte di almeno 55 paesi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Tutti i paesi dell’UE hanno ratificato l’accordo.

[14] L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

[15] COM (2018) 97 final. Questo piano di azione si fonda sulla relazione finale del 31 gennaio 2018 dell’High – level expert group on sustainble finance, un gruppo di esperti istituito dalla Commissione Europea. Questa relazione si pone come obiettivo quello di «riorientare i flussi di capitali verso un’economia più sostenibile, integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi e promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine delle imprese.»

[16] COM (2019) 640 final. Nello specifico, la Commissione Europea descrive l’European Green Deal come «una nuova strategia di crescita mirata a trasformare lUE in una società giusta e prospera, dotata di una economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissione nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dalluso delle risorse».

[17] COM (2021) 550 final.

[18] Tale documento è rinvenibile al seguente link: https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2019/02/PilastroEuropeoDirittiSociali_2018.pdf.

[19] COM (2021) 390 final, Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy, pag. 1.

[20] BEVIVINO V. (2022), Il bank government dopo l’integrazione dei fattori ESG nella regolazione prudenziale europea, Banca Impresa Società, n. 3, pp. 593-635.

[21] BEVIVINO V. (2022), L’attività ESG delle banche e la prospettiva di riforma della regolazione prudenziale delle informazioni, Rivista trimestrale di Diritto dell’Economia, n.4, pp. 484 – 516.

[22] Le banche etiche sono banche popolari che, tenendo fede ai principi fondanti della cooperazione e della solidarietà, favoriscono non solo l’azionariato diffuso ma effettuano valutazioni etiche in fase di raccolta e di impiego. La banca etica, solitamente, agisce nei seguenti campi: servizi socio-sanitari-educativi, attività sociali verso soggetti deboli; la tutela ambientale e valorizzazione dei beni culturali; la cooperazione allo sviluppo; la qualità della vita.

[23] BEVIVINO V. (2022), Il bank government dopo l’integrazione dei fattori ESG nella regolazione prudenziale europea, Banca Impresa Società, n. 3, pp. 593 – 635.

[24] RIGANTI F. (2022), L’impresa bancaria nella transizione sostenibile: principi e problemi, Analisi Giuridica dellEconomia, n. 1, pp. 315-326.

[25] Il Backing Package 2021 comprende: i) la proposta di un regolamento che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013, il c.d. Capital Requirements Regulation (“proposta CRR 3”); ii) la proposta di una direttiva che modifica la direttiva 2013/36/UE e che modifica la direttiva 2014/59/UE (“proposta Capital Requirements Directive, CRD VI”); iii) la proposta di un regolamento che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 e la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda il trattamento prudenziale dei gruppi di enti a rilevanza sistemica.

[26] Questo processo, eseguito dalle Autorità di Vigilanza, permette di valutare e misurare i rischi assunti dal singolo ente creditizio. In particolare, vengono analizzati l’idoneità del modello imprenditoriale, del capitale, della liquidità ed infine del modello di governance.

[27] Lamandini M., Pellegrini F. (2022), Il completamento dell’Unione Bancaria e le prospettive di ulteriori riforme, in Chiti M. P., Santoro V. (a cura di) Il diritto bancario europeo. Problemi e prospettive, Pisa, Pacini giuridica, 2022, pp. 297-317.

[28] Con greenwashing ci si riferisce a quel comportamento illecito esercitato dagli enti volto a garantire un indebito vantaggio attraverso la pubblicazione di informazioni ESG in tutto o in parte assenti. In tal senso R.  Lener, P. Lucantoni, Sostenibilità ESG e attività bancaria, in Banca Borsa Titoli di Credito,  vol1/2023.

[29] BERTARINI B (2022), Il finanziamento pubblico e privato dell’European Green Deal: la tassonomia delle attivitа economicamente ecosostenibili e la proposta di regolamento europeo sugli european green bonds, Ambientediritto.it,  n. 1, pp. 1-20.

[30] Per un approfondimento circa il concetto di prodotto finanziario si v. Renzo Costi, Il mercato mobiliare (a cura di Sergio Gilotta), G. Giappichelli Editore, 2020, pag. 1.

[31] Direttiva 2014/95/UE.

[32] COSSU M. (2022), Tassonomia finanziaria e normativa dei prodotti finanziari sostenibili e governo societario, Banca Impresa Società,  n. 3 , pag. 433-487.

[33] Direttiva UE 2022/2464. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022L2464.

[34] Nello specifico, la proposta di direttiva CSDD si applica a: i) le grandi imprese europee con più di 500 dipendenti e più di 150 milioni di euro di fatturato annuo; ii) le imprese europee con almeno 250 dipendenti e oltre 40 milioni di euro di fatturato annuo che operano in settori ad alto impatto come tessile, agricoltura ed estrazione di minerali; iii) le imprese extra-europee attive in area UE che vantano un fatturato generato nell’UE e allineato ai due gruppi di cui sopra.

[35] DELLAROSA E. (2023), Cosa c’è dietro la «G» di Esg: una nuova governance bancaria per la sostenibilità, Bancaria, n. 5, pp. 41- 48.

Sommario

  1. La poligamia
  2. Il ripudio
  3. La kafalah
  4. Conclusione

 

Introduzione

L’internalizzazione dei rapporti e l’apertura dei confini, supportata da una normazione europea e sovranazionale propensa in tal senso, permettono l’intensificarsi delle relazioni tra ordinamenti giuridici diversi.

L’evoluzione tecnico-scientifica e il mutamento dei costumi, hanno permesso che si generassero nuovi modelli familiari, dai quali scaturiscono diverse situazioni giuridiche degne di tutela e che proprio per tale necessità di diritto, implicano il bilanciamento della normativa interna, in favore della protezione giuridica delle persone particolarmente vulnerabili e dei diritti fondamentali in generale. A fronte di tale esigenza primaria, a carattere universale, vige chiaramente la parallela necessità di assicurare la tutela dei valori costitutivi interni, propri dello Stato e per tale motivo l’ordinamento giuridico si concerne di mezzi idonei in tal senso.

Il principio di ordine pubblico, da clausola limitativa dell’autonomia contrattuale, è evoluto in un assetto normo-ideale di principi fondamentali predisposti a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo. Tale funzione, diviene quasi indispensabile, proprio nell’incontro tra ordinamenti giuridici diversi, cioè, in tutte quelle situazioni giuridiche che presentano elementi di estraneità, o perché non disciplinati nel diritto interno, o perché non conosciuti, o perché non tollerati e quindi vietati, che necessitano di valutazione, al fine di ricevere l’idoneità ad esplicare  effetti anche nell’ordinamento in cui queste entrano in collegamento.

Se da un lato, vi sono situazioni giuridiche che collidono con il sistema ordinamentale interno, perché presentano elementi diversi, rispetto sia alla fattispecie legali e sia al relativo profilo attuativo, dall’altro, si verificano spesso, situazioni giuridiche del tutto sconosciute o completamente contrapposte a quello che è l’assetto valoriale proprio del nostro Stato. Quest’ultime, costituiscono il prodotto dell’interculturalismo che si sviluppa sia all’interno dello Stato, attraverso la convivenza tra uomini appartenenti a culture diverse e sia all’esterno, tramite elementi di collegamento.

  1. La poligamia

Un fenomeno abbastanza incisivo in tal senso è rappresentato dalla vicinanza della cultura islamica alla nostra, una vicinanza che è da intendersi in lato senso, avendo quest’ultima un assetto normo-valoriale nettamente differente a quello del mondo occidentale. Tali differenze comportano problemi di interpretazione e di applicazione normativa, nell’ottica di assicurare la giustizia e la protezione dei diritti fondamentali. Si comincerà con l’analisi del matrimonio poligamico[i].

L’etimo (greco) del temine “poligamia[ii]” rivela il significato di “matrimonio plurimo”, il quale è propriamente diffuso nella cultura islamica e che, già per tale significato, si pone in netto contrasto con l’istituto del matrimonio interno, improntato sulla monogamia. Nel diritto di famiglia islamico, il matrimonio, sia esso poligamico o monogamico, si fonda sul principio della superiorità del marito, il quale esercita diritti sulla persona della moglie e correlativamente, attribuisce alla moglie il diritto ad un corrispettivo (che può essere inquadrato come atto donativo nuziale e/o mantenimento). Inoltre, mentre l’uomo può sposare anche donne non musulmane, purché siano ebree o cristiane, la donna è obbligata a sposare solo uomini musulmani. La forte limitazione della donna nella sua capacità di autodeterminarsi e nella libertà di scelta, collide con il principio dell’uguaglianza dei coniugi e con il principio di non discriminazione in base al sesso e in base a motivi di carattere religioso. Inoltre, il matrimonio poligamico, oltre a costituire fattispecie tipica di reato ex articolo 556 c.p., risulta contrario a quelli che sono i principi interni connaturati all’istituto del matrimonio stesso, che si evincono dal combinato disposto degli articoli 86, 116 e 117 del c.c. Per tali contrasti di diritto, si può, però, affermare che tale tipologia di matrimonio non possa produrre alcun effetto nel nostro ordinamento giuridico?

E’ chiaro che l’istituto del matrimonio si erge su un doppio binario giuridico, l’uno destinato all’atto legale che ne formalizza il vincolo e che sicuramente non può trovare recepimento nel nostro ordinamento, in quanto lesivo del principio di ordine pubblico, l’altro diretto al rapporto che ne costituisce la linfa vitale e la sostanza e che genera diverse situazioni giuridiche, le quali impegnano con le persone a cui si riferiscono i loro diritti fondamentali, che in quanto tali, necessitano di tutela a prescindere dall’atto a monte. Di fronte ad una situazione in cui un minore si venga a trovare privo del rapporto con la propria madre, in quanto il primo risulta residente in Italia con il padre ed una delle sue mogli, mentre la seconda è rimasta nel Paese di origine, la contrarietà dell’atto al principio di ordine pubblico può essere sufficiente a negare il diritto del minore a crescere con il sostegno della propria madre o debba essere garantito al medesimo il diritto di ricongiungimento, sebbene, con le dovute regolazioni? E’ interessante sottolineare, una pronuncia sul punto da parte del Consiglio di Stato. A fronte del disposto emanato tramite circolare dal Ministero di grazia e giustizia, risalente al 1987[iii], in cui si evidenzia il contrasto insanabile fra l’istituto del matrimonio islamico e l’ordinamento dello Stato, da cui deriva la nullità del matrimonio celebrato dal cittadino secondo il rito islamico per contrarietà all’ordine pubblico, l’anno successivo, su richiesta dello stesso Ministero nonché del Ministero degli affari esteri, il Consiglio di Stato si è espresso in senso opposto. Nel parere del 7 giugno 1988[iv], il Consiglio di Stato ha, infatti, affermato che «il diritto islamico collega (al matrimonio) fini di natura ed entità non dissimili da quelli propri del medesimo negozio concluso secondo la legge del nostro ordinamento», sicché il matrimonio celebrato con rito islamico è “in sé” trascrivibile nei registri dello stato civile italiano. Naturalmente l’ufficiale dello stato civile ha il compito di verificare che in concreto non sussistano elementi sostanziali in contrasto con i nostri principi fondamentali: in particolare, occorre verificare lo stato libero di entrambi i nubendi e negare la trascrizione del secondo matrimonio del poligamo. Tale pronuncia segna una prima inversione di marcia da parte del nostro ordinamento che, da una generale ed assoluta chiusura, comincia ad aprirsi nell’ottica di valutare con senso di legalità e giustizia tutti quei rapporti e quelle situazioni giuridiche degne di tutela, se pure connessi ad un sistema normativo diverso e per molti versi, opposto al nostro. Il riordino della normativa relativa al regolamento dei rapporti aventi natura di diritto internazionale privato, ha contribuito ulteriormente a chiarire i limiti della disciplina interna nei confronti del diritto esterno. Le norme di diritto internazionale privato, legge 218/1995, sulla filiazione ed in particolare sul punto l’articolo 33, comma 1, ad esempio stabilisce che: “Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio o, se più favorevole, dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita.”. Seguendo la definizione appena riportata, si può ragionevolmente ritenere che il principio di ordine pubblico non sia in grado di invadere lo status di figlio così come acquisito nell’ordinamento di provenienza, a nulla rilevando la poligamia che dovesse essere pertinente al rapporto a monte. Essendo il soggetto figlio legittimo in base all’ordinamento estero di provenienza, quest’ultimo è titolare di una serie di diritti acquisiti che dipendono dallo status posseduto. Tale norma interna, letta in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione di New York, che tutela i diritti del fanciullo e che stabilisce: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle Autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo”, consentono di guidare l’interprete, nel bilanciamento degli interessi nel senso di assicurare la tutela dei diritti fondamentali del figlio e tra questi assume particolare importanza il diritto alla conservazione dello status ed il connesso diritto alla vita privata e familiare, così come disposto dagli articoli 8 CEDU e 7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A chiudere ogni dubbio, almeno dal punto di vista legale, sulla necessità di assicurare tutela ai diritti del figlio, l’articolo 29 comma 1 lett. b del testo unico sull’immigrazione del 1998, prevede poi il diritto al ricongiungimento dei «figli minori, anche…nati fuori del matrimonio…a condizione che l’altro genitore…abbia dato il suo consenso e del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito». Inoltre, a prescindere dall’impostazione normativa, poc’anzi richiamata, l’istituto interno del matrimonio putativo funge da rimedio giuridico, dal momento che l’eventuale matrimonio poligamico produrrebbe gli stessi effetti di un matrimonio valido esclusivamente a garanzia della tutela dei diritti dei figli, ex articolo 128 del c.c., chiarendo che il requisito della buona fede, imprescindibile alla dichiarazione di efficacia, è palesemente rispettato poiché individuato nella legge nazionale dei nubendi. Ma tali precisazioni normative non sono ancora risolutive. L’excursus giurisprudenziale, sia interno che sovranazionale, dimostra come l’argomento abbia destato visioni opposte da cui poi sono dipese le relative decisioni. A dimostrazione di quanto appena esposto, può essere utile ricordare una decisione[v] della Commissione europea dei diritti dell’uomo risalente al 1992 e relativa alla richiesta di permesso di soggiorno in Olanda, avanzata dal figlio della prima moglie di un marocchino regolarmente residente in codesto Stato con la seconda moglie marocchina da lui ivi sposata. Le autorità olandesi avevano negato il permesso, precisando di intendere il diritto al ricongiungimento familiare limitato ad una sola moglie e ai figli. Padre e figlio ricorrono allora a Strasburgo, lamentando una violazione del diritto al rispetto della loro vita familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU. La Commissione riconosce la sussistenza di un’ingerenza nella vita familiare dei ricorrenti, ma rimarca la legittimità di detta ingerenza, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 8. Infatti, dal momento che «les mariages polygames sont contraires a`lale´ gislation ne´ erlandaise… l’ingè rence en question è tait «prevue par la loi». Nel versante interno, una delle primissime pronunce sul tema è una sentenza del TAR Emilia-Romagna del 1994[vi] che dichiarò inammissibile la richiesta di ricongiungimento familiare per due donne al marito comune, poichè la legge personale dello straniero era contraria all’ordine pubblico e al buon costume. In quella vicenda, il Tribunale negò il ricongiungimento di un cittadino marocchino a due mogli, che nel frattempo regolarizzavano comunque il loro soggiorno a titolo diverso, usufruendo di una sanatoria. Sulla riconoscibilità degli effetti al diritto islamico, sebbene, non affronti in modo diretto il problema del ricongiungimento familiare, si esprime la Corte di Cassazione con sentenza 2 marzo 1999, n. 1739[vii]con la quale ha stabilito che il matrimonio contratto da cittadino in Somalia, secondo la legge del luogo (applicazione della legge islamica), se pur prevede istituti contrari al nostro ordine pubblico, quali la poligamia ed il ripudio, è da ritenersi idoneo alla produzione di certi effetti, nella specie si tratta di effetti giuridici a fini ereditari, almeno fino a quando non venga pronunciata una sentenza definitiva e dichiarativa della nullità dello stesso. In senso favorevole alla tutela dei diritti fondamentali del minore e quindi di conseguenza, anche verso il rapporto genitoriale, si esprime la Corte d’Appello di Torino.  Il caso riguardava un cittadino marocchino residente in Italia con due mogli, e i rispettivi due figli. L’istanza presentata dall’uomo di autorizzare la seconda moglie a restare in Italia viene respinta dal Tribunale per i minorenni di Torino: ammettere il diritto al ricongiungimento familiare in base all’art. 29 del testo unico comporterebbe infatti, in questo caso, il riconoscimento di una situazione di poligamia, contraria ai principi dell’ordinamento italiano. Contro il decreto, marito e moglie propongono ricorso, che viene accolto dalla Corte d’Appello di Torino (decreto 18 aprile 2001)[viii], in base alla previsione dell’art. 31 comma 3 del testo unico, per cui, «per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, (si) può autorizzare…la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del…testo unico». Certo tale autorizzazione convaliderebbe una situazione poligamica se concessa ai sensi dell’art. 29 «per consentire ad un coniuge di ricongiungersi all’altro coniuge in una situazione di famiglia poligamica; ma nel caso di specie l’autorizzazione viene concessa nell’interesse del figlio minore, per garantirgli la vicinanza del genitore, indipendentemente dal fatto che questo sia o meno sposato con l’altro genitore del figlio, e che sia sposato in regime monogamico o poligamico». L’ autorizzazione è, quindi, finalizzata a tutelare non una relazione coniugale, in ipotesi, contraria ai principi del nostro ordinamento ma, a realizzare il diritto di un minore “a…non essere…separato dal genitore”. E’ in gioco insomma l’interesse superiore del fanciullo, richiamato dallo stesso testo unico (art. 28 comma 3) e dalla convenzione sui diritti del fanciullo (art. 3). La seconda moglie viene così autorizzata a permanere in Italia ancora per un anno. Nello stesso anno, con propria circolare, il Ministero dell’interno sancisce la trascrivibilità del (solo) «primo matrimonio celebrato secondo il rito islamico tra un cittadino italiano e un cittadino di religione islamica»[ix]. Nel 2005, la Corte di Cassazione è lungimirante sul tema[x]. Una donna marocchina regolarmente soggiornante in Italia ottiene il nulla osta al ricongiungimento del secondo marito e dei figli nati dal primo matrimonio sciolto con atto di ripudio: l’Ambasciata italiana in Marocco tuttavia nega il visto di ingresso dei figli, posto che questi erano stati affidati alla tutela del padre. La donna presenta ricorso al Tribunale di Perugia, che, previo accertamento del fatto, al mantenimento dei bambini provvedeva «a distanza» la madre, accoglie il ricorso in base all’art. 29 comma 1 lett. b del testo unico (che, prima delle modifiche apportare dal d.lgs. n. 5 del 2007, prevedeva il ricongiungimento dei soli figli minori «a carico» del richiedente). I Ministeri dell’interno e degli affari esteri propongono reclamo alla Corte d’Appello di Perugia, invocando il difetto di rappresentanza legale in capo alla donna: secondo la legge marocchina – applicabile ai rapporti tra genitori e figli in base all’art. 36 della legge n. 218/1995 – la rappresentanza infatti spetta in via esclusiva al padre. La Corte rileva la contrarietà all’ordine pubblico di tale normativa, perchè discriminatoria nei confronti della madre, e dichiara applicabile la legge italiana ex art. 16 comma 2 della stessa legge n. 218/1995: di fatto la Corte invoca la convenzione sui diritti del fanciullo e conclude che risponde all’interesse dei minori ricongiungersi alla madre, anzichè restare affidati in Marocco ad una zia nel disinteresse del padre. I Ministeri propongono ricorso per cassazione. La Cassazione conferma il giudizio di secondo grado, ritenendo decisivo il fatto che, l’unico genitore desideroso di convivere con i figli e mantenerli è la madre, come del resto testimonia il consenso all’espatrio dei bambini prestato dal padre. Quanto alla titolarità della potestà genitoriale, la Cassazione fa leva sulla distinzione tra titolarità della potestà ed esercizio della potestà, e sulla possibilità – prevista nell’ordinamento marocchino – che il padre deleghi l’esercizio concreto della potestà di cui è titolare alla madre, che quindi è ammessa a convivere con i figli. In senso conforme a tale pronuncia interna, con Risoluzione del 2006, il Parlamento europeo richiama gli Stati membri “a garantire l’illegalità della poligamia”. Nel 2007 è il Tribunale di Milano a ritrovarsi in un caso simile. Con sentenza 2 febbraio 2007[xi],  ha annullato il provvedimento con cui l’Ambasciata italiana in Pakistan ha negato il visto di ingresso in Italia, alla donna sposata per telefono da un connazionale residente in Italia. Essendo validamente celebrato per la legge pakistana (legge nazionale comune dei coniugi e – aggiunge il Tribunale – legge del luogo di celebrazione), il matrimonio è stato infatti giudicato formalmente valido e dunque titolo per il ricongiungimento familiare relativo al ricongiungimento della seconda moglie di un pakistano. La particolarità del caso è duplice: non solo infatti si tratta di matrimonio poligamico, ma il secondo matrimonio era stato celebrato telefonicamente. A fronte del rifiuto, da parte dell’Ambasciata italiana di Islamabad, del visto di ingresso della donna in Italia, si apre una vicenda giudiziaria che termina davanti alla Corte milanese, secondo la quale «l’esigenza di consentire il ricongiungimento di coniugi stranieri in Italia non può prescindere dall’accertata sussistenza di un vincolo che, al di là della sua certificazione per via documentale, riveste le connotazioni di un’unione matrimoniale stabile ed in concreto contraddistinta da reciproca solidarietà affettiva e materiale». Quanto alla validità del matrimonio, sia dal punto di vista formale – celebrazione telefonica – sia dal punto di vista sostanziale – mancato consenso della prima moglie alle seconde nozze del marito – i giudici milanesi non si pronunciano «dovendo la questione essere altrove ed altrimenti esaminata». Il Tribunale di Roma ha ritenuto opportuno investire del problema la Corte Costituzionale. In riferimento all’art. 2 Cost., è stato chiesto alla Corte di dichiarare illegittimo l’art. 116 cod. civ. nella parte in cui impone allo straniero la presentazione del nulla osta da parte dell’autorità del proprio Paese, ovvero – in subordine – nella parte in cui non prevede che, in assenza di nulla osta, lo straniero possa presentare all’ufficiale dello stato civile documentazione idonea ad attestare la mancanza di impedimenti al matrimonio, secondo la propria legge nazionale. Con ordinanza n. 14 del 30 gennaio 2003[xii] la Corte respinge il dubbio di incostituzionalità in ragione dell’interpretazione data all’art. 116 cod. civ. dal Tribunale di Roma e più precisamente, in ragione del fatto che il Tribunale «considera isolatamente la norma impugnata, senza inquadrarla nel sistema, in particolare senza riferirsi al contesto normativo in cui l’applicazione della legge straniera è esclusa ove i suoi effetti siano contrari all’ordine pubblico». In sostanza, la Corte rimette all’ufficiale dello stato civile l’incombenza di applicare l’art. 116 cod. civ., alla luce delle norme di diritto internazionale privato contenute nella legge n. 218 del 1995: ne consegue, tra l’altro, che laddove l’applicazione della legge straniera produca nel caso concreto effetti contrari ai principi fondamentali del nostro ordinamento, l’ufficiale dello stato civile avrebbe l’obbligo di far scattare il limite dell’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 218. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione (Ordinanza 28 febbraio 2013, n. 4984)[xiii] delinea in maniera precisa i termini in cui è possibile assicurare certi effetti prodotti da un matrimonio poligamico, lo fa rimanendo ancorata al dettato normativo interno. Con tale pronuncia, la Corte esclude la possibilità di ricongiungimento familiare del figlio con la madre, se il matrimonio di quest’ultima è poligamico ed il marito risulta convivente in Italia con altra moglie. Come anticipato, tale pronuncia si fonda su quanto è stabilito nel testo unico dell’immigrazione dall’art. 29, così come riformato dall’articolo 1, comma 22, lettera s, della legge 15 luglio 2009, n. 94, “non è consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1, quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale“, ma la particolarità del caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, è rappresentata dal fatto che il ricongiungimento fu richiesto dal figlio. Nella specie, un cittadino marocchino chiedeva il ricongiungimento con la madre, in quanto priva di mezzi di sostentamento e di altri figli nel paese d’origine. Quest’ultima, tuttavia, risultava già sposata con il padre del richiedente sebbene, separata del marito soggiornante in Italia, il quale aveva a sua volta richiesto (e ottenuto) il ricongiungimento familiare in favore di un’altra moglie. A causa della situazione di poligamia, vietata nel nostro ordinamento, che si sarebbe determinata con l’ingresso e il soggiorno nel nostro paese della madre del ricorrente, il Consolato Generale di Casablanca aveva negato il visto. Il cittadino marocchino proponeva allora una azione giudiziaria per ottenere il ricongiungimento con la madre, ottenendolo in primo e secondo grado di giudizio. Secondo la Corte d’Appello di Venezia, infatti, sebbene l’art. 29 espressamente vieti il ricongiungimento del coniuge poligamico se è già presente in Italia altro coniuge, non era questo il caso, poiché nel caso di specie la domanda era formulata dal figlio.
Il Ministero degli Esteri ricorreva in Cassazione evidenziando che: “il divieto introdotto nella norma, peraltro preesistente, in via sistematica nell’ordinamento interno, opera oggettivamente ogni qual volta possa verificarsi una situazione di poligamia, contrastante con il diritto familiare italiano. Risulta, conseguentemente, irrilevante che a formulare la domanda sia stato il figlio e non il coniuge, già soggiornante in Italia con altra moglie”. La Corte di Cassazione ha dato ragione al Ministero ritenendo che l’art. 29 comma primo ter d.lgs. 286 del 1998 “stabilisce un divieto, che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche costituzionale; […] il divieto di poligamia non è condizionato da condizioni di fatto quali la coabitazione o la vivenza a carico, ma opera in sé e perdura fino alla cessazione legale di uno dei vincoli coniugali“. Sul punto può anzitutto ricordarsi la comunicazione della  Commissione al Parlamento e al Consiglio del 2 luglio 2009, recante la Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all’interno del territorio degli Stati membri, la quale espressamente afferma che «gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere i matrimoni poligami, contratti legalmente in un paese terzo, che possono essere in contrasto con il loro ordinamento giuridico interno». Resta peraltro impregiudicato, secondo il medesimo documento, «l’obbligo di tenere conto dell’interesse superiore dei figli nati da tali matrimoni».

In conclusione, sul punto appena affrontato, si può affermare che a fronte di una norma straniera espressiva di valori contrastanti, non invero con i principi propri al nostro ordinamento interno, ma contrari ai valori comuni posti alla base della tutela giuridica relativa ai diritti fondamentali, il principio di ordine pubblico deve necessariamente trovare mitezza negli effetti e convogliare nella garanzia di giustizia, a seconda della situazione giuridica del caso concreto e delle posizioni giuridiche rilevanti nel contesto storico-normativo. Seguono lo stesso iter procedimentale, le risoluzioni dei casi in cui rilevano, giuridicamente, istituti normo-confliggenti come il ripudio e la kafala.

  1. Il ripudio

Nei paesi di diritto islamico il matrimonio (anche non poligamico) si può sciogliere o per annullamento davanti a un ministro di culto a causa di gravi motivi o per mutuo consenso ovvero per ripudio unilaterale (talaq) da parte del marito. Il ripudio[xiv] (talaq o talalq) quindi è una particolare forma di scioglimento del matrimonio, che si sostanzia in una dichiarazione unilaterale. Infatti, acquisisce effetto giuridico con la semplice pronuncia da parte del marito nei confronti della moglie di una formula rituale, la quale deve contenere espressamente il termine talaq o equivalenti, manifestando, in tal modo, l’inequivocabile intenzione di porre fine all’autorità maritale sulla sposa. Secondo il diritto islamico, il ripudio può essere revocabile (raj’a) e irrevocabile (bid’a). Prima dello scadere del periodo di tre mesi, che costituisce il termine legale che la donna è tenuta ad osservare prima di potersi risposare, il marito ha la facoltà di ritrattare il ripudio pronunciato e riprendere la vita in comune. Trascorsi i tre mesi, senza la ritrattazione o senza la pronuncia di un nuovo ripudio revocabile, il matrimonio si considera sciolto. Il talaq può essere anche ripetuto nelle stesse formule del primo, ma non più di tre volte, comportando, in tal senso, lo scioglimento immediato e definitivo del matrimonio. E’ abbastanza chiaro, come un simile istituto vada a collidere con la normativa generalmente riconosciuta in materia. Proprio sulla base di tale normativa, il Comitato per i diritti umani (Human Rights Committee) delle Nazioni Unite, ha osservato che gli Stati devono assicurare a uomini e donne uguali condizioni per ottenere la dissoluzione del vincolo coniugale[xv]. Senza dubbi interpretativi sulla questione è desumibile che il divorzio (ripudio) unilaterale del marito, contravviene alle norme di diritto internazionale in materia di diritti umani, poiché pone la donna in una posizione di soccombenza, nei confronti della volontà del marito. Tale disuguaglianza, si pensa essere il motivo per cui, nell’ambito di alcuni ordinamenti appartenenti all’area islamica, al nomen iuris ripudio si sia andato nel tempo associando un istituto, in effetti, molto simile al divorzio, consistente in un vero e proprio rimedio avverso il definitivo venir meno dell’armonia familiare, attuato per mezzo di una procedura giurisdizionale, nel cui ambito la moglie ha l’opportunità di difendersi e svolgere le proprie domande. Inoltre, in alcuni ordinamenti di ispirazione musulmana, poi, lo stesso ripudio è stato abbandonato. Ad esempio, l’art. 30 dello Statuto Personale (codice di famiglie) della Tunisia (1956) proibisce il talaq del marito, in quanto dissoluzione unilaterale ed extra-giudiziale. Altri ordinamenti (ad esempio, Marocco, Siria, Algeria, Iran) hanno cercato di limitare i casi di talaq, stabilendo per legge un compenso pecuniario dovuto alla moglie ripudiata. Altri ordinamenti ad ispirazione islamica hanno espressamente stabilito la validità dei soli divorzi registrati in tribunale (Algeria, Libia, Palestina). Significativa al riguardo l’evoluzione del diritto marocchino, specie alla luce della riforma del 2004. L’evoluzione storica e sociologica mostra il passaggio dalla forma di ripudio stragiudiziale concessa al solo marito (talaq) e dalla forma di divorzio per colpa (del marito) concessa alla sola moglie (tatliq), al nuovo istituto del divorzio giudiziale per intollerabilità della convivenza (chiqaq), introdotto nel 2004[xvi]. Certamente, tali evoluzioni normative contribuiscono a ridimensionare il divario, nella tutela dei diritti fondamentali, tra determinati Paesi orientali rispetto ai Paesi occidentali, ma non eliminano le problematiche normo-giuridiche che si presentano ogni volta che un determinato ordinamento entra in rapporto ad un altro che persegue fini e si avvale di fondamenti normo-valoriali diversi e talvolta contrastanti rispetto al primo. A tamponare questo tipo di situazioni, da una parte interviene il ruolo interpretativo del giudice, dall’altra, il complesso delle norme rilevanti nel caso di specie e con esse, il raffronto tra istituti posti a tutela della legge e dei diritti umani. In via generale, possono ritenersi contrari all’ordine pubblico italiano, i divorzi consensuali realizzati dinanzi ad autorità non giurisdizionali (adoul), mentre è sicuramente conforme alle nostre regole la procedura in base alla citata riforma marocchina del 2004 (divorzio c.d. chiqaq). A proposito dell’Italia, in materia di ripudio occorre riferirsi alla Legge del 1995 di riforma del sistema di diritto internazionale privato. In particolare, l’art. 31 della legge n. 218/1995 utilizza, in ordine allo scioglimento del matrimonio, gli stessi criteri di collegamento utilizzati in ordine ai rapporti personali tra i coniugi, ovvero lo scioglimento è sottoposto alla legge nazionale dei coniugi se è comune; altrimenti alla legge dello Stato di prevalente localizzazione della vita matrimoniale. Qualora, pertanto, si tratti di un musulmano straniero e di una italiana, il diritto musulmano assumerà rilievo solo nel caso che i coniugi abbiano prevalentemente condotto la loro vita coniugale in uno Stato islamico. Le norme islamiche sono invece in principio sempre competenti qualora, si tratti di coniugi musulmani aventi la stessa cittadinanza. In entrambe le eventualità si pone il problema degli effetti del ripudio per il nostro ordinamento giuridico, soprattutto in questa ultima ipotesi in cui si pone l’ulteriore dubbio interpretativo sul considerare se e come esso possa compiersi in territorio italiano. In Italia infatti lo scioglimento del matrimonio può avvenire soltanto attraverso l’intervento del giudice, di conseguenza il limite dell’ordine pubblico non solo preclude che si tenga conto di un ripudio effettuato, per esempio davanti alla guida religiosa (islamica), ma impedisce anche al giudice di fondare una decisione di divorzio sulla sola richiesta unilaterale del marito che contenga o configuri un atto di ripudio. Solo di fronte ad una domanda di scioglimento bilaterale sarebbe consentito al giudice italiano di pronunciare il divorzio sulla base della legge dello Stato non islamico nel quale la vita matrimoniale era prevalentemente localizzata o del diritto italiano. La norma islamica potrà essere applicata unicamente laddove configuri il ripudio come fondamento consensuale che sfoci in un atto giudiziale.

Per tali motivi, la giurisprudenza italiana fino a poco tempo fa si era sempre rifiutata, in nome dell’ordine pubblico, di riconoscere il ripudio effettuato all’estero, a causa della sua unilateralità e del mancato intervento di organi giurisdizionali e della discriminazione ai danni della donna. Sotto quest’ultimo profilo, si può richiamare l’art. 5 del protocollo n. 7 addizionale alla convenzione europea sui diritti dell’uomo, secondo cui i «coniugi godono di uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra loro e nelle relazioni con i loro figli in merito al matrimonio, durante il matrimonio e al momento del suo scioglimento». Analoga norma è contenuta nell’International Covenant on Civil and Political Rights, approvato dall’O.N.U. nel 1966, il cui art. 23.4 stabilisce che «States Parties to the present Covenant shall take appropriate steps to ensure equality of rights and responsibilities of spouses as to marriage, during marriage and at its dissolution»[xvii]. Riconoscere l’istituto del ripudio, nella sua accezione principale (dichiarazione unilaterale del marito) comporterebbe ammettere non solo un istituto contrario ai principi interni, ma allo stesso tempo una serie di violazioni normative avente rango internazionale. L’indissolubilità del matrimonio, sebbene non sia più vigente, conferisce all’intervento del giudice il ruolo di temperare le parti e di regolare lo svolgimento della procedura, in modo tale da assicurare la ponderatezza delle volontà e la giustizia nei rapporti normo-fattuali.

A fronte del principio appena espresso e riguardante l’attività del giudice nell’atto di fare giustizia, ci si deve domandare se la contrarietà del ripudio all’ordine pubblico, possa intendersi come assenza di riconoscimento o come ponderatezza degli effetti giuridici prodotti, in base al caso concreto esaminato. In sostanza, ci si deve chiedere se la condizione giuridica di un soggetto, debba essere negata o notevolmente limitata, sulla base di un contrasto tra istituti normativi diversi e contrapposti. Se al centro della tutela vi sono i diritti fondamentali, di conseguenza l’ordine pubblico deve intendersi nell’ottica di realizzare tale tutela e quindi essere ricondotto alla nozione di ordine pubblico attenuato, così come delineato dalla cultura giuridica francese. Appurato ciò, risulta del tutto inaccettabile l’esito di una pronunzia come quella del Tribunale di Milano[xviii] che, nel 21 settembre del 1967, ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello stato libero, in conseguenza di un ripudio intervenuto secondo la legge iraniana, benché fosse stata presentata dalla stessa moglie ripudiata. Negare gli effetti giuridici sulla base della sola contrarietà dell’istituto del ripudio al principio di ordine pubblico vuol dire, infatti, negare la tutela dei diritti della donna.

La giurisprudenza italiana, in merito, si assesta su una posizione rigida. Nel 1948 la Corte d’Appello di Roma[xix], richiesta di riconoscere effetti in Italia a un atto di ripudio intervenuto in Siria tra due siriani, concludeva che il ripudio «ripugna alla mentalità morale e giuridica dei popoli che hanno raggiunto un maggior grado di civiltà e che del matrimonio hanno un concetto etico e sociale ben più elevato di quello che ne hanno i popoli orientali». Nel 1969 la Cassazione ha valutato il ripudio di un iraniano verso la moglie italiana[xx], come contrario all’ordine pubblico e al buon costume, in quanto discriminatorio per la donna, mentre i giudici di merito hanno censurato l’assenza di organi giurisdizionali nella procedura e la unilateralità della dichiarazione, ritenendo contrario all’ordine pubblico internazionale “l’art. 1133 del codice civile iraniano il quale, consentendo al marito di divorziare secondo il suo arbitrio senza che la moglie possa paralizzare la volontà di quest’ultimo, prevede un vero e proprio ripudio unilaterale”. Più di recente, la Corte di Appello di Torino[xxi] ha dichiarato intrascrivibile, disponendone la cancellazione dai registri anagrafici dello stato civile, la “dichiarazione di accertamento dell’irrevocabilità del ripudio” emessa dal Tribunale di Khouribga (Marocco), poiché tra le alte cause, non considera i doveri assistenziali verso il coniuge e verso la prole. Per la Corte torinese la pronuncia di ripudio-divorzio emessa su istanza di un cittadino italiano ivi residente, ma nato in Marocco, contro la moglie parimenti marocchina per nascita, ma cittadina e residente in Italia, non viola in tal caso l’ordine pubblico internazionale bensì quello interno  “a cagione della sua unilateralità e potestatività mera”; poiché “contrasta con i principi di parità ed uguaglianza tra uomo e donna …e di non discriminazione per sesso”; “mancando di disposizioni a protezione della prole minore contrasta insanabilmente con il  principio dell’art. 30, comma 2 Cost., in base a quale è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”, ed infine, “sottraendo l’uomo a  qualsiasi dovere verso la donna, prescinde dalla necessità di regolare i rapporti economici tra i coniugi, violando i principi di solidarietà familiare desumibili dall’art. 29 Cost. e dalle disposizioni civilistiche in tema di mantenimento e  alimenti”. Come l’Italia anche il Regno Unito si è mostrato indisponibile ad un riconoscimento del talaq. Fin dal 1973, il Domicile and matrimonial Proceedings Act ha espressamente previsto che “no extra-judicial divorce shall be recognized in English law”, tuttavia la shari’a ha trovato in Inghilterra ampi canali non ufficiali di applicazione. Come già rilevato, si è infatti formata e consolidata nel tempo una giustizia arbitrale che fa capo all’Islamic Shari’a Council (ISC), il quale dal 1982 esercita funzioni conciliative su vari aspetti della legge familiare islamica. Le decisioni così adottate non hanno ovviamente esecutività nel sistema legale del Regno Unito, tuttavia esse “are generally honoured and implemented trough a mix of sanction and ostracism[xxii]. Alla ricezione, se pure non formale, di tale istituto nell’ordinamento inglese, si deve associare la tendenza, da parte di molti Paesi europei, ad ammettere nel proprio ordinamento, forme di divorzio consensuale stragiudiziale e contemporaneamente la centralità della volontà espressa anche nell’ambito dei procedimenti giudiziali. Diviene, quindi, difficile continuare a sostenere che il divorzio privato sia in quanto tale, sempre incompatibile con l’ordine pubblico, è necessario invece ponderare le varie situazioni giuridiche. Su tale scia, si allinea il provvedimento della Corte d’appello di Cagliari del 16 maggio 2008[xxiii], secondo cui è efficace nell’ordinamento italiano e deve essere trascritto nel registro dello stato civile il provvedimento di divorzio ottenuto in Egitto attraverso la procedura del talaq (ripudio), pur in assenza della moglie. Tale procedura non sarebbe contraria all’ordine pubblico, né violerebbe il diritto del contraddittorio, in quanto in essa sarebbe stata salvaguardata la possibilità della moglie di intervenire (la mera possibilità, si badi, non già la presenza). Significativo il fatto che, sul punto relativo all’ordine pubblico in relazione al principio d’uguaglianza la Corte abbia motivato come segue: «Peraltro è utile ricordare che nel diritto civile egiziano la moglie ha un uguale diritto (unilaterale) di sciogliersi dal vincolo matrimoniale anche in mancanza del consenso del marito, secondo la procedura del cd. khola, per cui non vi sarebbe violazione neppure del principio di uguaglianza tra i generi». A sostegno della graduale apertura verso procedure di divorzio degiurisdizionalizzati, possiamo fare riferimento alla pronuncia della Corte di giustizia UE, 20 dicembre 2017, C-372/16, S. Sahyouni c. R. Mamisch[xxiv], secondo la quale: “l’articolo 1 del regolamento (UE) n. 1259 del 2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale va interpretato nel senso che il divorzio risultante da una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale religioso, come quello oggetto del procedimento principale, non ricade nella sfera di applicazione ratione materiae di detto regolamento[xxv].

  1. La kafalah

Il diritto islamico, nell’ambito dell’assetto normativo dedicato alla filiazione, si dimostra ancora una volta lontano da quelli che sono i principali istituti riconosciuti dagli Stati occidentali. Esso infatti conosce un unico tipo, la filiazione legittima e si conforma alla leggi coraniche che fanno espresso divieto di ricorrere all’adozione, dal momento che quest’ultima crea legami parentali fittizi. Infatti, la concentrazione del sistema islamico sulla sola filiazione legittima, si giustifica nell’ottica della tradizione islamica, la quale si fonda sull’importanza di assicurare il legame di sangue tra genitori e figli, declassando in tal modo ogni altro tipo di legame. La kafalah[xxvi], istituto dedicato alla protezione dei minori in stato di necessità, attraverso il quale un kafil (o meglio, di solito, una coppia di kafil) si assume l’obbligo (alla presenza di un giudice o di un notaio) di provvedere alle cure del minore (makful) fino al raggiungimento della sua maggiore età, non raffigura alcun tipo di legame tra i soggetti poc’anzi menzionati. La kafalah, non costituendo alcun rapporto di filiazione, non interrompe il legame giuridico del minore con la famiglia d’origine e perciò stesso, non comporta in capo a quest’ultimo, un cambiamento di status personale. Tale istituto acquisisce rilievo giuridico-interpretativo, quando si debba valutarne la qualificazione, al fine di regolarne gli effetti, nei casi in cui tale azione è necessaria nell’ottica di assicurare tutela giuridica al minore coinvolto. Una situazione diffusa è sicuramente quella in cui si tratta di ricongiungimento familiare. E’ bene precisare che, in materia di immigrazione, gli Stati godono tuttora di ampia libertà e soprattutto non hanno l’obbligo giuridico di garantire sempre e comunque il ricongiungimento familiare, essendo quest’ultima riservata al margine di apprezzamento statale, così come affermato dalla Corte EDU nei casi rilevanti in materia, Harroudj c. France nel 2012 e Chibhi Loudoudi et Autres c. Belgio nel 2014[xxvii]. La questione si rende più complicata, quando in contrapposizione a tale libertà (margine di apprezzamento statale e tutela dell’ordine pubblico), vi siano coinvolti diritti fondamentali, specialmente quelli ricollegati alla tutela del minore. La domanda sul punto è retorica e lo è anche la risposta. Il fatto di trovarsi di fronte ad un istituto straniero non conosciuto e contrario al proprio assetto normo-valoriale, è sufficiente a negare la produzione in toto degli effetti ad esso ricollegati?

In materia di ricongiungimento familiare, l’art. 29 del T.U. sull’immigrazione, equipara i figli adottati, affidati o sottoposti a tutela, ai figli naturali o legittimi. Tale disposizione obbliga i giudici italiani a valutare in concreto la singola situazione giuridica, nell’ottica di categorizzare l’istituto estraneo, poiché è fuori di ogni dubbio la consapevolezza che il fatto vada in qualche modo riconosciuto, onde assicurare la tutela del minore coinvolto. Si deve considerare che la kafala è contemplata dalla Conv.di N.Y. del 1989 sui dir. del fanciullo (art. 20, III) e, da ultimo è stata ricompresa fra le misure di protezione previste dalla Conv. Aja 1996 (art. 3, lett. e). Si deve, quindi, procedere in tal senso, attraverso un’interpretazione sostanzialistica, capace di andare oltre al nomen juris e di ricercare analogie tra l’istituto straniero e le misure previste dal nostro ordinamento giuridico. Sul punto appena esposto, si è pronunciato il Tribunale di Biella nel 2007, il quale ha affermato che “ai fini del T.U. sull’immigrazione, i concetti di adozione, affidamento e sottoposizione del minore a tutela, esigono di essere intesi alla stregua di strumenti atti a permettere che istituti di diritto straniero, ancorché diversi da quelli nazionali, possano, comunque, venire in rilievo nel nostro Paese, purchè produttivi di effetti omologhi agli effetti prodotti da quelli di quest’ultimo”, e ciò soprattutto “in considerazione del superiore interesse del minore all’unità familiare[xxviii]”. Sulla tematica è intervenuta anche la Corte di Cassazione, che con le sentenze n. 7472/2008, n. 18174/2008 e n. 19374/2008[xxix], ha concesso il rilascio del permesso di soggiorno al fine di assicurare il ricongiungimento familiare, attribuendo all’istituto della kafalah valore giuridico, perché idoneo a tutelare la posizione del minore. Nella sua valutazione, la Corte, nel bilanciamento dei valori contrapposti nel caso concreto, ha dato rilevanza alla protezione del minore, affermando che “il rifiuto a priori del visto vorrebbe dire «penalizzare tutti i minori, di paesi arabi, illegittimi, orfani o comunque in stato di abbandono, per i quali la kafalah è l’unico istituto di protezione previsto dagli ordinamenti islamici». La differenza sostanziale tra le pronunce poc’anzi richiamate risiede nella nazionalità dei soggetti coinvolti. Se, infatti, nella medesima situazione vi si trovi un cittadino italiano, l’orientamento della Corte resterà immutato o subirà un cambiamento? Le contraddizioni sul punto non mancano a presentarsi. Da una prima posizione di rifiuto[xxx], fondata sulla non applicabilità ai cittadini italiani dell’art. 29, essendo quest’ultimo dedicato specificamente a beneficio del cittadino extracomunitario (con il solo limite della regolarità del soggiorno), stabilendo, per quest’ultime, l’applicazione della diversa disciplina di cui al D.lgs. 30/2007 in materia di ingresso, circolazione e soggiorno dei cittadini dell’UE e dei loro familiari (da intendersi come discendenti diretti ovvero adottati anche ai sensi dell’adozione internazionale), si è spostata verso un orientamento positivo[xxxi] determinando la validità del nulla osta all’ingresso del minore straniero in kafalah per ricongiungimento a italiano (convivente o che debba assistere il minore) sulla base dell’interpretazione estensiva, analogamente per quanto avviene nell’applicazione dell’articolo 29, della nozione di “altri familiari” di cui all’art. 3, II, lett. a D.lgs. n. 30/2007, al fine di garantire una duplice ratio antidiscriminatoria: la tutela dei minori cittadini stranieri da paesi che disconoscono l’adozione (rispetto ai minori italiani); la tutela dei cittadini italiani rispetto ai cittadini stranieri ai quali il ricongiungimento con minori affidati in kafalah è da sempre consentito, ma non può mai essere riconosciuta come adozione legittimante[xxxii].  Sull’ultimo punto, la giurisprudenza si è dimostrata abbastanza incerta. Infatti, mentre per la Corte di Appello di Bari, la kafalah può essere equiparata ad un affidamento, in quanto provvedimento straniero di volontaria giurisdizione in materia di diritto di famiglia e delle persone, che ha efficacia ex lege nel nostro ordinamento in forza dell’art. 66 della l. n. 218 del 1995[xxxiii], per il Tribunale dei minori di Trento, la kafalah non è in alcun modo equiparabile né all’adozione legittimante, né all’affidamento a questa preordinato, concludendo, per tale ragione, che “non può essere dichiarato efficace in Italia un provvedimento marocchino che ai sensi e per gli effetti dell’istituto della Kafalah, abbia disposto l’affidamento ad una coppia di coniugi italiani di un minore marocchino abitante con gli affidatari, in territorio italiano.” Appare, infatti, “evidente l’impossibilità di pronunciare l’efficacia di un provvedimento che non ha corrispondente nel diritto nazionale[xxxiv]”. E’ doveroso precisare che il Tribunale di Trento, nel negare la ricezione dell’istituto islamico su detto, ha provveduto ad individuare una forma di tutela diversa nei confronti del minore e specificamente ha ritenuto idoneo a tale fine, l’istituto delle adozioni in casi particolari, disciplinato dall’articolo 44 ex legge 184/1983, rispettando in tal modo, il disposto dell’art 20 della Convenzione ONU sui diritti del bambino, il quale stabilisce che il minore temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare ha diritto a una protezione sostitutiva da parte degli Stati contraenti. E’ dello stesso avviso il Tribunale di Torino, il quale ha decretato[xxxv] lo stato di abbandono e di conseguente adottabilità di un minore marocchino, irregolarmente introdotto nel nostro territorio da cittadini italiani, cui era stato affidato con provvedimento di kafalah dal Tribunale di Rabat. Per la Corte, pur essendo il provvedimento marocchino efficace nel nostro ordinamento e paragonabile “al contenuto del nostro affidamento familiare”, tuttavia non può ritenersi attributivo della tutela, poiché così pronunciando “verrebbe contraddetto il principio, cui quella legislazione tiene particolarmente, che non debba mai essere perduto il legame del minore con le proprie origini”, tale conclusione giustifica la decisione su esposta. Quasi risolutoria della diatriba giurisprudenziale sul punto, è la più recente pronuncia della Corte di Cassazione, che con sentenza del 2 febbraio 2015, ha stabilito “che non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale per ricongiungimento familiare, richiesto nell’interesse del minore straniero affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero, qualora il minore sia a carico o conviva con il cittadino italiano ovvero quando gravi motivi di salute impongano che sia da questo personalmente assistito”[xxxvi]. A confermare la ragionevolezza di tale interpretazione, sopraggiunge una della più recenti pronunce sul tema, la sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) del 26 marzo 2019[xxxvii], la quale in occasione di analizzare e controllare la corretta applicazione del principio della libera circolazione e libertà di soggiornare nel territorio degli Stati membri, ex Direttiva 2004/38/CE, ha palesemente negato all’istituto della kafalah la capacità di produrre qualsiasi legame giuridico-legale, tra il “tutore” ed il bambino, confermando la non corrispondenza del tipo all’istituto dell’affidamento e di conseguenza, negando, ai fini della direttiva su menzionata, la persistenza di un vincolo di discendenza diretta. Tuttavia, nel proseguo dell’iter motivazionale, la Corte di Giustizia afferma che, la valutazione della situazione giuridica del caso concreto deve necessariamente essere incentrata sulla tutela del minore ed in tal senso, quanto emerge dal sistema normativo, non può in alcun caso minare la prima, anzi, nonostante l’assenza di  legame naturale e giuridico, al fine di garantire il best interest del minore, si deve procedere nel senso di riconoscere il rapporto tra il primo ed il tutore ed acconsentire quindi, all’ingresso ed al soggiorno del minore, presso il domicilio del tutore. Una conclusione perfettamente corrispondete con quanto esposto dalla Corte di Cassazione, nella sentenza a Sezioni Unite n. 21108 del 2013, già esaminata.

L’armonia delle Corti, è un fattore positivo, il quale è in grado di tradurci, non solo la sintonia tra giudici interni e sovranazionali, ma soprattutto la comune certezza di incentrare il proprio sistema normativo, sulla tutela dei diritti fondamentali e nel bilanciamento tra quest’ultimi e gli interessi propri di uno Stato, compresa l’Unione europea, dare rilievo ai primi.

  1. Conclusione

In quest’ultima parte del lavoro che ne costituisce la conclusione, affronterò il tema dell’ordine pubblico da un duplice ed in certi versi divergente punto di vista, rispondendo cioè alle domande espresse che possono rinvenirsi nella produzione dello scritto e a quelle implicite che da esso possono essere estrapolate, sia attraverso un approccio logico-giuridico, che da un approccio propriamente personale. Dopo aver introdotto e ripercorso la nascita del concetto di ordine pubblico, così come lo stesso è inteso in termini giuridici nel corso dell’evoluzione storica e giuridica fino a giungere ai tempi “moderni”, si può cercare di vagliare quelle che sono state le tappe evolutive fondamentali dello stesso. La ricostruzione giuridica del concetto di ordine pubblico, ci ha condotto infatti, di fronte a diversi “momenti” che poi sembrano essere approdati con l’evolversi delle situazioni giuridiche in qualcosa di più stabile e quindi tendente alla certezza. Una domanda implicita, sebbene azzardata, è sicuramente quella che pone l’ordine pubblico in discussione, minandone la veridicità: “L’ordine pubblico esiste?”. Ai giuristi che prenderanno visione di questo scritto, probabilmente gli si alzerà un sopracciglio e gli distorcerà la bocca. E se questa domanda non fosse così insensata come sembra? Questo è un semplice invito a riflettere sulla possibilità di non esistenza del concetto. Qualcuno si domanderà, ma cosa si intende per inesistenza? L’esistenza è tutto quello che può essere percepito dai sensi, sia esso qualcosa di esteriorizzabile nel mondo concreto, sia esso appartenente al mondo dell’interiorizzazione a prescindere che possa o meno trovare corrispondenza nel mondo della materialità. Se allora esistere vuol dire quanto poc’anzi detto, se ne deduce che certamente l’ordine pubblico esiste. Correlata alla prima domanda, ve ne è un’altra quasi gemella, l’ordine pubblico è sempre esistito? Scorrendo in modalità retrograda l’evoluzione giuridica del concetto, si può ragionevolmente rispondere che l’ordine pubblico non è esistito in quanto tale da sempre, ma è senz’altro un costrutto giuridico-sociale generato da un qualcosa di giuridico antecedente allo stesso e che si è evoluto con l’evolversi del pensiero giuridico stesso ed in correlazione al mutare delle esigenze proprie della società a cui esso si riferisce. Se ad esempio, si valuta comparativamente ciò che era ordine pubblico nel periodo dell’egemonia fascista e ciò che invece ha cominciato a significare con l’attuazione dei principi costituzionali ed il lavoro interpretativo della Corte Costituzionale, ci si rende conto della netta contrapposizione di significato giuridico. Infatti, da oggetto esecutivo dispotico e autoritario, l’ordine pubblico diviene espressione pratica dei principi fondamentali costituzionali, siano essi riferiti propriamente ai diritti fondamentali della persona in quanto tale, siano essi riferiti al regolare funzionamento dello Stato democratico. Tra i due poli opposti, vi è un buco di principio, l’esclusione dell’espressione in quanto tale dalla Carta Costituzionale, ad opera dell’Assemblea Costituente. E si giunge alla prima domanda: perché nel progetto e nel testo definitivo della Costituzione, dove si trovano espressi principi generalmente riconosciuti e principi di attuazione dei primi, l’ordine pubblico viene non semplicemente tacciato, ma addirittura condannato all’oblio? La risposta, che vede congiunti sia la giuridicità, che la personalità dell’approccio finale al tema, si rinviene, facilmente, analizzando le motivazioni rese in sede di progettazione e di approvazione del testo costituzionale. Il malessere generale insito nelle considerazioni dei costituenti, traduce una duplice certezza storica, la labilità del concetto e la sua amara conseguenza, la manipolazione dello stesso. Tale accaduto storico, ci permette di realizzare una prima considerazione conclusiva. Il fatto che un concetto esista, non vuol dire che esso venga fatto esistere per quello che è ed allora, com’è avvenuto, può esistere per quello che si voglia che esso sia, in un particolare momento storico e per uno o più motivi estranei al suo significato. Tale conclusione, può oltretutto spiegare, la ratio normo-valoriale alla base del lungo e laborioso iter interpretativo della Corte Costituzionale riguardante proprio l’ordine pubblico. Ed ecco che si presenta una nuova domanda: in sostanza, la Corte Costituzionale, in merito all’ordine pubblico che cosa fa? La Corte, inizia il suo lavoro di reinterpretazione da tre punti chiave:

  • il passato storico-politico e quindi la manipolazione del concetto per la realizzazione del dominio;
  • la mancanza di un riferimento espresso nel testo Costituzionale;
  • la contestuale presenza del concetto nei testi normativi, su cui non si è preveduto e voluto intervenire nel senso di dare continuità alla scelta effettuata da parte dell’assemblea costituente e quindi di eliminare concretamente lo stesso.

Una non continuità, quest’ultima, che ha fatto giustamente credere alla Corte Costituzionale ed alla maggioranza dei cultori del diritto, che tale assenza non sia poi da considerare tale, ma che corrisponda più tosto ad una mera cautela formalistica. Da tale considerazione, nasce quindi l’esigenza giuridica di legittimare quel concetto, attestatene la presenza viva nel corpus normativo. Tali elementi quindi, hanno giustificato il lavoro re-interpretativo della Corte Costituzionale, la quale, nel corso dell’evoluzione del lavoro è giunta a ridefinire il concetto di ordine pubblico in chiave costituzionale. Nel continuo processo di costruzione dei principi-valori, nell’ottica finalistica di raggiungere e realizzare, sul piano concreto delle situazioni giuridiche, il fine primario di garantire la tutela dei diritti fondamentali, la Corte ha elaborato un concetto di ordine pubblico garante di tali diritti, elevando il contenuto normativo-valoriale della Costituzione a base legittimante lo stesso, che quindi opera all’interno dell’ordinamento giuridico, non più con il ruolo di garante di fini esclusivamente politici e propriamente protezionistici dello Stato inteso come apparato ma, quello di tutelare la persona in tutti gli aspetti della vita privata e sociale che la riguardano. Sul piano logico e cognitivo, un simile traguardo, alla luce dell’internalizzazione dei rapporti, dell’evoluzione socio-economica e medico-tecnologica e l’evoluzione dei bisogni e delle stesse situazioni giuridiche degne e necessitanti di tutela, appare come il miglior risultato che nel mondo attuale avrebbe potuto essere raggiunto. In realtà, nel mondo dei diritti, l’esigenza di giustizia necessita di un continuo lavoro evolutivo e di livellamento tra le diverse situazioni giuridiche, le quali, molto raramente agiscono in solitudine. La morfologia delle stesse situazioni giuridiche e dei relativi diritti da quest’ultime generate, porta a continui processi di interpretazione e di valutazione comparativa, perché nel piano della sostanzialità dei rapporti, risulta improbabile la realizzazione di una giustizia assoluta, al contrario, proprio la tendenza a volere realizzare quest’ultima, comporta nel caso concreto all’esatto opposto, cioè, a realizzare l’ingiustizia e tale dualismo opposto, dipende appunto dalla multidimensionalità delle situazioni giuridiche, le quali prospettano una contemporanea contrapposizione tra soggetti agenti e diritti ad essi spettanti. Tale esigenza di giustizia relativa, costituisce la forza propulsiva che anima gli attori politici e giuridici che rivestono un ruolo incisivo nella scelta degli indirizzi normo-valoriali da ergere e custodire, al fine di guidare l’azione di tutti i soggetti coinvolti nella convivenza sociale. Nel mondo socio-politico contemporaneo, dove i confini tra le Nazioni, ormai, corrispondono a meri punti territoriali, dove al contrario si evolve verso la multiculturalità, la poliedricità, la globalizzazione dei diritti, il rispetto e la reciprocità, è necessario garantire una base normativa sicura e comune, che sia in grado di guidare al giusto. Il principale attore dedito per costituzione, a lavorare in tal senso, è sicuramente la Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale svolge un continuo ruolo di assistenza nella verifica del rispetto dei diritti fondamentali e che richiama al giusto gli Stati e tutti i soggetti coinvolti nel processo esecutivo. Con le su dette argomentazioni, ci si confronta con una nuova questione, che cosa può fare l’ordine pubblico? L’esigenza di tutela del principio di ordine pubblico fin dove può ritenersi legittima? Questi interrogativi, possono ragionevolmente essere ricondotti alla “famigerata” dualità del concetto di ordine pubblico interno ed internazionale. E’ infatti, in base alla funzione esercitata dal concetto, in relazione al campo d’azione, che ci si riferisce all’uno o all’altro. In dottrina ed in giurisprudenza, si è dibattuto molto, quasi fino all’esasperazione del concetto, sulla natura della dualità dello stesso e senza mai giungere ad un’univocità di senso e di significato. In questa sede, si evita di affrontare nel merito la questione, cioè, se si possa parlare di un ordine pubblico in senso univoco, che a seconda delle situazioni subisca delle diversificazioni nell’estensione del significato proprio o se invece, si possa ritenere valida la tesi che tende a considerare vero il dualismo concettuale, a seconda che nelle situazioni giuridiche concrete siano coinvolti o meno diritti fondamentali. Ciò che va invece indagato, è l’essenza dell’ordine pubblico, che può essere valutata solo attraverso l’analisi delle situazioni giuridiche nel caso concreto. Se, infatti, l’ordine pubblico costituisce il riflesso dei diritti fondamentali, è sufficiente verificare l’effettività dello stesso nei casi concreti. A proposito di tale questione, si è discusso dell’approccio giurisprudenziale interno ed esterno, in merito al ruolo ed alla funzione dell’ordine pubblico in relazione ad alcuni diritti fondamentali, animati da specifiche situazioni giuridiche, le quali impegnano la sfera propriamente intima delle persone. Si è parlato infatti, non a caso, di alcuni rapporti propri al diritto di famiglia e dei connessi diritti, quali il diritto al matrimonio, il diritto alla genitorialità ed il diritto del minore a nascere e a crescere con i propri genitori. In merito a tali diritti, non vi è alcun dubbio ormai, che costituiscano, in quanto assumono la qualifica di diritti fondamentali, una fonte di legittimazione di tutela per i soggetti a cui si riferiscono e dai quali derivano tutta una serie di diritti ed interessi che vanno a completare la sfera giuridica-sociale nella quale l’individuo, come singolo o come parte di un rapporto giuridicamente rilevante, esplicita e realizza il proprio sviluppo personale. Ragionando in termini strettamente giuridici e normativi, si è rilevato che, tali diritti fondamentali, certamente non possono intendersi come diritti assoluti e che necessitano di una continua valutazione nel caso concreto, essendo gli stessi in relazione e molte volte in contrapposizione ad altri diritti aventi lo stesso peso normo-valoriale. Ad esempio, si è discusso sull’efficacia interna di un atto matrimoniale costituito all’estero e riguardante coniugi dello stesso sesso, rilevando una distinzione in base al criterio della cittadinanza. Seguendo una logica propriamente nazionalista, infatti, l’ordinamento giuridico interno regola e tutela tutti quei rapporti che hanno un collegamento giuridico con lo Stato, di converso nulla può statuire in relazione a tutti quei rapporti estranei e che non presentano quindi, alcun collegamento giuridicamente legittimo. In merito, rilevano le norme sul diritto internazionale privato e la legge interna, legge 218/2019, che ha provveduto al riordino ed alla modifica della disciplina, individua quali sono i criteri di collegamento validi, tra i quali riveste un ruolo predominante, il criterio della cittadinanza. La logica sottesa alla scelta di tale criterio è che, l’ordinamento giuridico interno essendo appunto interno, non possa estendere la propria efficacia fino a regolare rapporti esterni, essendo quest’ultimi regolati a loro volta dal proprio ordinamento giuridico di riferimento. In caso contrario, si verificherebbe un’ingerenza ingiusta nell’ordinamento giuridico di un altro Stato, proprio perché ogni Stato conserva le propria nazionalità e quindi la propria storia, le proprie radici, la propria evoluzione, che sebbene possa essere comune agli altri Stati, rimane un bagaglio di esperienze e modus vivendi specifico ed unico. Tale unicità nazionale, costituisce la ratio giuridica che è insita nel più volte citato principio di margine di apprezzamento, un criterio quest’ultimo rivolto ad individuare l’area di competenza Statale. Sia la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sia la Corte Europea dei diritti fondamentali, riconoscono l’esigenza di controbilanciare nel caso concreto, la tutela di un diritto fondamentale o di un interesse meritevole di tutela, con il rispetto della competenza nella particolare materia e del campo d’azione. Si parla di margine di apprezzamento, ogni qual volta una certa situazione giuridica, impegna principi e valori propri di uno Stato e di questioni etiche e sociali che per la loro importanza, possono e devono essere affrontate dallo Stato stesso (legislatore). L’ordine pubblico, in tale contesto multidisciplinare ed inter-relazionale, come si è avuto modo di vedere, svolge il ruolo di parametro legale in base al rispetto del quale ne deriva l’espletamento dell’efficacia giuridica di un atto e/o di un rapporto all’interno dello Stato. Rammentando, che in tale sede si esula dalla valutazione del concetto di ordine pubblico interno in contrapposizione al concetto di ordine pubblico internazionale, ciò che riveste un ruolo chiave è il grado di effettività del concetto stesso, in relazione ad uno o a più diritti fondamentali. Si precisa inoltre, che per grado di effettività, in tale contesto, si intende il grado di aderenza alla giustizia, cioè quanto sia efficace il concetto di ordine pubblico nella realizzazione della giustizia nel caso concreto. Analizzando tale questione dal punto di vista prettamente giuridico, attraverso la disamina dei vari casi di giurisprudenza più noti e più importanti per la definizione di un orientamento normo-giurisprudenziale equo e coerente, si è giunti alla consapevolezza che un ordinamento giuridico positivo, quale è il nostro, necessita di criteri ordinamentali che siano in grado di tutelare la specificità dello stesso e che allo stesso tempo non precluda l’interconnessione con gli ordinamenti giuridici esterni. Non esistendo un valore assoluto di giustizia e di conseguenza non esistendo un significato assoluto di diritto fondamentale, sia esso riferito alla protezione della vita, o alla tutela dei diritti di cui si è trattato, il concetto di ordine pubblico ben può assumere un ruolo di criterio di legittimazione ed esercitare una funzione ordinatrice. Tale criterio, svolge quindi la funzione che più si presta a realizzare il senso di legalità che in un determinato momento storico viene ritenuto necessario per il normale svolgimento della vita personale e personale-relazionale-sociale. In tema di matrimonio same-sex, ad esempio, si è potuto apprendere, dall’analisi normo-giurisprudenziale affrontata, che nel nostro ordinamento giuridico non può dirsi idoneo a produrre effetti, non in via assoluta, ma in relazione a tutti i cittadini, perché lo stesso è ad essi che si riferisce. L’istituto delle Unioni civili, a seguito di una lunga e sofferta diatriba politica, assolve attualmente, il compito di tutelare tali soggetti, che grazie a tale legge, non sono più esclusi dal godere di protezione giuridica relativa al rapporto da quest’ultimi posto in essere. Il problema continua però a sussistere, perché tale istituto non è il matrimonio e di conseguenza, non produce ne gli stessi effetti legali, ne assume la stessa valenza. L’ordine pubblico, in tale contesto, realizza l’esigenza di giustizia? Se, si parla di uguaglianza e non discriminazione, applicare una legge apposita per le coppie omosessuali, la dove per le stesse, non esiste un divieto espresso al matrimonio, non comporta già di per se una forma di discriminazione? Sostenere che non lo sia, fornendo a favore di tale tesi, l’esistenza di un testo normativo che riconosce i principali diritti e doveri inerenti al rapporto e non valutare nella sostanzialità dei diritti che a quest’ultimi sono effettivamente riconosciuti, è utopia. Esiste un diritto alla genitorialità? La Corte EDU, come si è già appreso, ha espressamente riconosciuto il diritto fondamentale ad essere genitori, perché insito nel diritto a formare una famiglia e a vivere una vita familiare. Tale diritto, essendo fondamentale, esiste per tutti? In ambito internazionale, l’ordine pubblico si connota di un particolare significato, che diviene unico, quello di espressione della tutela dei diritti fondamentali, perché giammai può la particolarità di un ordinamento interno, affievolire o annullare, la tutela di un diritto fondamentale. Se si assiste ad una tale restrizione di significato e quindi di efficacia, se ne deduce che le norme interne di uno Stato, essendo tali, non sono idonee a fungere da parametro valutativo di un diritto fondamentale. Ciò che è propriamente particolare non può dirsi universale. E perché mai, l’utilizzo del sostantivo universale, per connotare la dichiarazione Onu sui diritti fondamentali del 1948? E’ evidente, che tale utilizzo ha un fine, quello di rendere universale determinati diritti, in modo che a tutto il mondo sia chiaro, quali essi siano, al fine ultimo di non commettere più ingiustizie e soprusi. Il giurista clinico, potrà affermare che l’universalità è un monito generico e che poi nella realizzazione della tutela, le modalità della stessa rientrano nel potere di scelta di chi fa le leggi. Corretto. E’ il legislatore che interpreta i bisogni sociali, almeno nel nostro ordinamento ed in base a quest’ultimi che poi attua un piano normativo d’intervento. Il legislatore agisce nel giusto? Tutto ciò che è legale dovrebbe tendere al giusto, ma di fatto legge e giustizia costituiscono due funzioni diverse. La paura insita nell’assemblea costituente è già una possibile risposta a tale interrogativo. La triplicità delle funzioni, ne costituisce un’altra, così come la diversità degli ordinamenti giuridici, la diversità di ciò che viene considerato giusto in un dato momento storico ed in uno specifico luogo della terra. Che cos’è quindi l’ordine pubblico? L’ordine pubblico può essere. E’ un parametro ordinamentale, che per funzione, è destinato a mutare, con il mutare della società e quindi anche in relazione al mutamento del legislatore.

[i] Colaianni N., Poligamia e società policulturale: quale diritto, in federalismi.it, |n. 10/2020;

Campiglio C., Matrimonio poligamico e ripudio nell’esperienza giuridica dell’occidente europeo, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1990;

Rizzuti M., Ordine pubblico costituzionale e rapporti familiari: i casi della poligamia e del ripudio, Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 10, febrero pp. 604-627.

[ii] Def. in enciclopedia Treccani, “Forma di matrimonio per la quale un uomo o una donna possono avere più consorti contemporaneamente…”.

[iii] Circolare n.1/54/FG/3(86)1395 del Ministero di Grazia e Giustizia;

Cit. Campiglio C., Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, edizione Cedam, 2008; anche in Federica di Pietro, La poligamia e i ricongiungimenti di famiglie poligamiche in Spagna e Italia, quadernos de derecho transnacional (marzo 2015), Vol. 7, nº 1, pp. 56-70.

[iv] Cit. in Benigni R., Identità culturale e regolazione dei rapporti di famiglia tra applicazioni giurisprudenziali e dettami normativi, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it) Novembre 2008.

[v] Commissione europea diritti dell’uomo, decisione 6 gennaio 1992, ric. n. 14501/89, A. e A. c. Paesi Bassi,in De´cisions et Rapports 72, p. 118 ss. La prima moglie risiedeva in Marocco con altri figli. Il ricorso è stato giudicato inammissibile.

[vi] TAR Emilia-Romagna – sede di Bologna, sez. I, 14 dicembre 1994 n. 926 – Galoppini, Ricongiungimento e poligamia, Dir. Famiglia 2000, 02, p. 739 ss.

[vii] Corte di Cassazione sezione I civile; sentenza 2 marzo 1999, n. 1739; Pres. Corda, Est. Verucci, PM Raimondi (concl. Conf.); Prola (Avv. Sinibaldi, Manni) c. Salada Nur Ibrahaim (Avv. Amici, Motta). Conferma App. Milano 13 maggio 1994, Il Foro Italiano Vol. 122, n. 5 (MAGGIO 1999), pagg. 1457 / 1458-1461 / 1462, Societa Editrice Il Foro Italiano ARL, https://www.jstor.org/stable/23193464; Cass., 2 marzo 1999, n. 1739, in Riv. dir. int. priv. proc., 1999, p. 613;

Nota a sentenza, di G. Balena; in Giust. civ., 1999, 2695 ss.; Nota di Di Gaetano L., «I diritti successori del coniuge superstite di un matrimonio poligamico. Questione preliminare e validità nel nostro ordinamento dell’unione poligamica», ha riconosciuto la rilevanza a fini successori del matrimonio contratto da un italiano in Somalia secondo il diritto locale, rigettando le argomentazioni in senso contrario proposte dai parenti del de cuius, secondo i quali sarebbe stato inaccettabile riconoscere valore a tale coniugio, retto da un ordinamento che ammette la poligamia ed il ripudio.

[viii] Corte di App. Torino, 18 aprile 2001, in Rep. Foro it., 2002, Straniero, n. 101; App. Torino, 18 aprile 2001, in Dir. fam. pers., 2001, p. 1492; Valentina Petralia, Ricongiungimento familiare e matrimonio poligamico.  Il riconoscimento di valori giuridici stranieri e la tutela delle posizioni deboli, Università di Catania – Online Working Paper 2013/n. 49.

[ix] Circolare MIACEL (Ministero dell’Interno) 26 marzo 2001 n°2.

[x] Corte di Cassazione, 9 giugno 2005 n. 12169, in Fam. dir., 2005, p. 354.

[xi] Tribunale di Milano, Sentenza 02 febbraio 2007, in olir.it.

[xii] Corte Costituzionale, ordinanza n. 14 anno 2003, in giurcost.org.

[xiii] Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 4984/13; depositata il 28 febbraio, in diritto e giustizia.it; entrambe citate in Morozzo della Rocca P., Ordine pubblico matrimoniale e poligamia nella disciplina del ricongiungimento familiare, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2019, fasc. 2 pag. 417 – 439.

[xiv] Virgadamo P., Ripudio islamico e contrarietà all’ordine pubblico tra unitarietà del limite e corretta individuazione dei principi, (Nota a App. Roma 12 dicembre 2016), in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2017, fasc. 2 pag. 353 – 364;

Vanin O., Ripudio islamico, principio del contraddittorio e ordine pubblico italiano (Nota a App. Venezia 9 aprile 2015), in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2015, fasc. 11  pag. 1031 – 1038.

[xv]   HRC, General Comment 28, Par. 26.

[xvi]  Cit. Campiglio C., Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, edizione Cedam, 2008.

[xvii] Patto internazionale sui diritti civili e politici, in ohchr.org.

[xviii] In Riv. dir. int. priv. proc., 1968, p. 403.

[xix]  Corte di App. Roma, 29 ottobre 1948, in Foro pad., 1949, I, 348 ss; Cit.Campiglio C., Il Diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, Cedam, 2008.

[xx]   Cit.Campiglio C., Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, Cedam,2008. Sulla rapporto tra diritto di famiglia islamico e principi di diritto internazionale si veda: Clerici R., La compatibilità del diritto di famiglia mussulmano con l’ordine pubblico internazionale, (Relazione al Convegno “Questioni attuali in materia di famiglia”, Verona 29 febbraio 2008), in Famiglia e diritto, 2009, fasc. 2 pag. 197 – 211; Sul rapporto tra il diritto islamico e l’ordinamento giuridico nazionale si prenda visione di: D’Arienzo M., Diritto di famiglia islamico e ordinamento giuridico italiano, in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2004, fasc. 1 pag. 189 – 219.

[xxi]  Corte di App. Torino, 9 marzo 2006, in Dir. fam., 2007, p. 156 ss; Sinagra A., Ripudio-divorzio islamico ed ordine pubblico, (Nota a App. Torino 9 marzo 2006) in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2007, fasc. 1 pag. 163 – 168; Sull’applicazione del principio di ordine pubblico nelle situazioni giuridiche in cui vi sono casi di ripudio, si veda, Nencini G., L’ordine pubblico e le sentenze straniere di divorzio nella legge 218/95, in Lo Stato Civile Italiano, 2009, fasc. 4  pag. 248 – 252; Cit. Cristina Campiglio, Il Diritto di famiglia islamico nella prassi italiana, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, Cedam, 2008.

[xxii] Cit. Benigni R., Identità culturale e regolazione dei rapporti di famiglia tra applicazioni giurisprudenziali e dettami normativi, Rivista telematica (www.statoechiese.it), Novembre 2008.

[xxiii] Barbu A., Brevi note in materia di riconoscimento del ripudio-divorzio islamico nell’ordinamento italiano, (Nota a App. Cagliari 24 maggio 2008, n. 198), in Rivista giuridica sarda, 2009, fasc. 2 pag. 311 – 321.

[xxiv] Cit. De Meo R., Il divorzio islamico e i diritti delle donne in europa, in giustiziacivile.com, 2018, fasc. 11.

[xxv] Sul punto, De Meo R., Il divorzio islamico e i diritti delle donne in europa, in giustiziacivile.com, 2018, fasc. 11.  La questione era stata sollevata dall’Oberlandesgericht München, di fronte al caso di una famiglia immigrata dalla Siria, ove vige il ripudio islamico, in Germania, dove non è prevista nessuna forma di divorzio privato: il rimettente chiedeva alla Corte Europea “se il consenso al divorzio prestato dal coniuge discriminato – anche mediante la sua accettazione di prestazioni compensative – costituisca già un motivo per disapplicare” il ricordato art. 10 del reg. 1259 del 2010, proponendo in sostanza di ritenere accettabile in siffatte circostanze l’efficacia del divorzio privato siriano, e nel procedimento in sede comunitaria il governo tedesco, nonché ovviamente il marito ripudiante (che in Siria aveva già versato alla donna accettante circa ventimila dollari americani), argomentavano in favore di una risposta affermativa al quesito, mentre la Commissione, i governi francese, ungherese e portoghese, nonché l’Avvocato Generale della stessa Corte, nelle conclusioni rassegnate il 14 settembre 2017, si esprimevano in senso contrario.

[xxvi] Cit. Amisano P., Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni: questioni in materia di famiglia, struttura di formazione decentrata della corte di cassazione, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile nella giurisprudenza italiana ed europea, Roma, 3-5 maggio 2017, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo.

[xxvii] Corte europea dei diritti dell’uomo, del 4 ottobre 2012, Harroudj c. France (ric. n. 43631/09);

Corte europea dei diritti dell’uomo, del 16 dicembre 2014, Chibhi Loudoudi et Autres c. Belgio, Seconda Sezione (ric. n. 52265/10) entrambe in Ruggeri A., europeanrights.eu ed in Di Pietro F., La kafalah islamica e le sue applicazioni alla luce della giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo, Ordine internazionale e diritti umani, (2016), pp. 91-99;

Per un approfondimento sul punto si veda anche,  Long J., Corte europea dei diritti dell’uomo e “kafalah”: un’esortazione alla flessibilità del diritto civile minorile, (Nota a Corte eur. Dir. Uomo sez. V 4 ottobre 2012 (Harroudj c. Francia), in Minorigiustizia, 2013, fasc. 1 pag. 304 – 310.

[xxviii] Tribunale di Biella, 26 aprile 2007, in Dir. Fam. e delle pers., 2007, 4, 1810 con note di Long J., Il ricongiungimento familiare del minore affidato con kafala;

Conformi, cfr. Corte di Appello di Torino, decreto 28 Giugno 2007, in Dir. imm. citt., 2007, 3, 142;

Tribunale di Firenze, decreto 9 novembre 2006, ibidem, 2007, 4, 169;

Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, 10 ottobre 2006, in Fam. e min,. 2006, 2, 86. Contra cfr. Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 9 febbraio 2005, in Dir. imm. citt., 2005, 2, 183, per il quale “deve essere ogni volta verificata  in concreto la compatibilità dell’atto di kafalah … con l’ordine pubblico (espresso anche dal riconoscimento dei fondamentali diritti all’unità familiare ed alla tutela del diritto del minore alla propria famiglia), compatibilità che nella specie va esclusa”.

[xxix] Corte di Cassazione, sentenze n. 7472/2008, n. 18174/2008 e n. 19374/2008, tutte in olir.it.

[xxx] Cass., 1/3/2010, nn. 4868 e 4869; id. 19450/1, in ricerca giuridica.com;

Venchiarutti A., No al ricongiungimento familiare del minore affidato con kafalah: i richiedenti sono cittadini italiani!, (Nota a Cass. 1 marzo 2010, n. 4868), in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2010, fasc. 4  pag. 1629-1639;

Ardita C. M., Riflessioni sull’istituto della kafalah nell’ordinamento italiano: tra antinomie giurisprudenziali e inerzia legislativa, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2010, fasc. 16 pag. 1641–1653;

Long J., Kafalah: la cassazione fa il passo del gambero, (Nota a Cass. sez. I civ. 1 marzo 2010, n. 4868), in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2010, fasc. 7-8  pag. 835 – 839.

[xxxi] Corte di Cassazione S.U. 16/9/13, n. 21108, in ricerca giuridica.com;

Sul punto, Avezzù E., Problemi relativi alla giurisdizione italiana e agli affetti della “kafalah” in italia, (Relazione al convegno internazionale “Il diritto di famiglia in Marocco e in Italia”, Reggio Emilia, 18 aprile 2015), in Minorigiustizia, 2015, fasc. 4 pag. 55–64;

Marotta A., Italia e “kafala”: reinventare le prospettive tradizionali per accogliere la diversità? (Nota a Cass. sez. un. civ. 16 settembre 2013, n. 21108), in The Italian Law Journal, 2016, fasc. 1.

[xxxii] Cass., 23/9/2011, n. 19450, in ricerca giuridica.com;

Long J., La kafalah come banco di prova per un diritto “interculturale”, (Nota a Cass. sez. I civ. 23 settembre 2011, n. 19450), in Minorigiustizia, 2012, fasc. 2 pag. 254 – 261.

[xxxiii] Corte d’Appello di Bari, decreto del 16 aprile 2004, IN OLD ASGI.IT;

Cit. Amisano P., Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni : questioni in materia di famiglia, Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione, 2017.

[xxxiv] Long J., nota a Trib. min. Trento 5.03.2002 e Trib. min. Trento 10.09.2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, Parte I, 151 e Ordinamenti giuridici occidentali, kafala e divieto di adozione: un’occasione per riflettere sull’adozione legittimante, ibidem, Parte Seconda, 175.

[xxxv] Long Joëlle, Il ricongiungimento familiare con un bambino affidato, (Nota a App. Torino sez. persona e famiglia 21 luglio 2011), in Minorigiustizia, 2012, fasc. 2 pag. 267 – 269.

[xxxvi] Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 2 febbraio 2015, n. 1843, in EIUS.IT;

Di Masi M., La cassazione apre alla “kafalah” negoziale per garantire in concreto il “best interest of the child”, (Nota a Cass. sez. I civ. 2 febbraio 2015, n. 1843), in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2015, fasc. 7-8 pag. 717 – 724.

[xxxvii] Corte di Giustizia, causa C-129/18), in dirittoegiustizia.it;

Commento di Giuseppe Buffone, in gnewsonline.it.

Introduzione

 L’istituto del matrimonio occupa un ruolo rilevante nella normativa dedicata ai rapporti familiari ed è talmente incisivo, che non solo funge da atto costitutivo del rapporto coniugale, ma esercita anche una funzione legittimante il tipo di famiglia legale, rappresentato, per tradizione, dal tipo famiglia legittima. In dottrina, proprio per l’importanza connaturata all’istituto, si è ampiamento parlato e ci si continua a riferire ad un generale principio di “favor matrimonii[i]”. Il legame dell’istituto matrimoniale con la famiglia è figlio della tradizione e nel tempo ha assunto un valore sacrale che, ancora oggi, è in grado di diversificare tale tipo di unione rispetto alle altre tipologie di formazioni familiari riconosciute. Anche se è stata giuridicamente accertata la separazione tra funzione civile e religiosa del matrimonio[ii], la prima continua a rimanere marchiata dalla seconda. La diversità tipologica del rito, civile e canonico, non comporta infatti una decadenza della solennità del rito in sé, che denota un nucleo di rapporti giuridici endo-familiari ed eso-familiari plurimi ed unici, da cui emergono un fascio di diritti e doveri che vanno ad identificare l’immagine precisa dell’istituto familiare nella comunità e quindi nell’immagine collettiva di famiglia.

  1. La famiglia fondata sul matrimonio

La famiglia fondata sul matrimonio, come istituto storico-sociale e come principio, trova Costituzionalizzazione nell’articolo 29, il quale recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge (articoli 84-87,107, 143-143bis-231) a garanzia dell’unità familiare”. Il primo comma, dell’articolo, poc’anzi richiamato, è stato e continua ad essere al centro di una diatriba dottrinale e giurisprudenziale che permea il centro della riflessione sul significato da attribuire, in ottica costituzionale, al termine “naturale”. Per quanti della dottrina appartengono alla visione giusnaturalista affermano che tale termine sta ad indicare, che la famiglia è un istituto che non nasce con lo Stato ma, anzi, fornisce in un certo senso l’ispirazione per la nascita di quest’ultimo e da questo deve essere riconosciuta, al fine di garantire la produzione degli effetti giuridici e sociali da essa generati. Tale visione, a mio avviso, sembra essere quella corretta, non solo giuridicamente, ma anche antropologicamente. Gli studi antropologici, infatti, dimostrano come l’idea di famiglia e la sua costituzione esistano fin dalle fasi più evolute dell’epoca dell’ominazione. Tale impostazione crea qualche perplessità, se si osserva l’intera proposizione e cioè, società naturale fondata sul matrimonio, la quale permette di allargare gli orizzonti e di interpretare la locuzione naturale, in maniera evolutiva e più specifica. Infatti, il matrimonio non è un fatto naturale, ma è un atto (nel mondo giuridico) o un rito (mondo antropologico), che è stato costruito in funzione della collettività, rivolto cioè a designare un particolare fascio di diritti e doveri, che solo attraverso quest’ultimo possono essere esercitati (nel caso delle società senza Stato, il matrimonio è un rito, un fattore culturale in grado di elevare una tipica formazione familiare all’interno di un gruppo specifico). Essendo il prodotto di una costruzione, il matrimonio non può essere considerato un fatto naturale. A dimostrazione di ciò, può ergersi la stessa evoluzione della famiglia, che non necessariamente trova un fondamento nel matrimonio, anzi, tutt’altro. È tale realtà a fungere da principio che legittima la pluralità dei tipi familiari.

  1. Il matrimonio same sex nel dialogo tra le Corti

In tal senso, si esprime la Corte EDU, che con la sentenza Schalk e Kopf contro Austria[iii], afferma l’appartenenza della relazione instaurata tra due persone aventi il medesimo sesso biologico, al tipo famiglia (si avrà modo nel proseguo di analizzare meglio tale pronuncia). Altra cosa è associare l’istituto matrimoniale ad ogni tipo di famiglia e per quel che a noi interessa, al tipo famiglia omosessuale. L’evoluzione giurisprudenziale e normativa relativa a tale tematica parte da molto lontano, da un punto così distante che coincide con l’oblio dei diritti. Di concerto con l’assenza di normativa interna dedicata al regolamento dei rapporti e, quindi, al riconoscimento dei diritti relativi alle formazioni familiari omosessuali, la giurisprudenza ha condotto l’esame di tutti quei casi implicanti la trascrizione del matrimonio (atto) tra persone dello stesso sesso costituito all’estero, sulla base di una considerazione di inesistenza dell’atto.

Di inesistenza parla il Tribunale di Treviso[iv] con sentenza del 19 maggio 2010, nella quale afferma: “Il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, celebrato all’estero, è inesistente per l’ordinamento italiano; una volta assodata la non qualificabilità della fattispecie, non è necessario accertare la contrarietà del matrimonio omosessuale al nostro ordine pubblico, che, comunque, presuppone che l’atto straniero da trascrivere sia compreso nella categoria degli atti esteri trascrivibili nei registri anagrafici italiani secondo la disciplina che li regola”. La pronuncia segue due direzioni giuridiche negative, affermando che il matrimonio tra coppie omosessuali non esiste nel nostro ordinamento giuridico, perché lo stesso sarebbe connaturato e fondato sulla diversità del sesso dei coniugi, un principio non direttamente stabilito, ma desunto dall’insieme delle disposizioni normative del sistema, precisamente si fa riferimento all’articolo 29 della Costituzione e agli obblighi di legge da quest’ultimo richiamati che si sostanziano nelle norme del codice civile ad esso corrispondenti, articoli 115, 143, 143 bis. Inoltre, a prescindere da tale valutazione, ci sarebbe l’ulteriore barriera dell’ordine pubblico, che secondo l’articolo 18 dell’ordinamento sullo stato civile, D.p.r. n°396/2000, nel titolo atti formati all’estero, afferma che: “non possono essere trascritti gli atti formati all’estero che sono contrari all’ordine pubblico”, sul presupposto che con il termine ordine pubblico si faccia riferimento al complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’atteggiamento etico[v] e giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico e che, quindi,  impedisce la trascrizione dell’atto matrimoniale costituito tra coppie aventi il medesimo sesso, sulla base della contrarietà di quest’ultimo al principio appena richiamato. Sul tema si pronuncia per la prima volta la Corte Costituzionale con la sentenza n° 138/2010[vi] (una pronuncia che darà seguito ad altre fondamentali pronunce, fino a culminare nella condanna dell’Italia per violazione dell’articolo 8 CEDU), sul giudizio di legittimità costituzionale riguardante gli articoli 93-96-98-107-108-143-143bis-156bis del codice civile, per contrasto con gli articoli 2-3-29-117 della Costituzione (nella parte in cui escludono l’applicazione del matrimonio alle coppie omosessuali), sollevato con ordinanza del tribunale di Venezia e dalla Corte d’appello di Trento nel 2009, in merito alla trascrizione dell’atto di matrimonio redatto all’estero da una coppia di cittadini italiani omosessuali. In tale giudizio è stata ritenuta non fondata la questione di legittimità di tali articoli del codice civile, nei confronti degli articoli 3 e 29 della Costituzione, perché non viene rilevata alcuna violazione del principio di non discriminazione, in quanto il matrimonio sarebbe cosa diversa e non applicabile ad un rapporto tra uniti civilmente. Ancora una volta, si palesa una generale considerazione dell’inesistenza dell’istituto, se correlato a coppie aventi il medesimo sesso biologico. Per quanto riguarda gli articoli 2 e 117 della Costituzione e di riflesso per mobile rinvio, gli articoli 8-12-14 della CEDU che tutelano rispettivamente la vita privata e familiare, il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia e il principio di non discriminazione si ritengono non violati per inammissibilità della questione, in quanto la CEDU non vincola lo Stato ad utilizzare il matrimonio come istituto per la realizzazione familiare, essendo ampio il margine di apprezzamento statale su questo tema e mancando una visione maggioritaria univoca degli Stati aderenti e per questi motivi questione interna da riservare al potere legislativo. La Consulta, quindi, si esprime in senso negativo nei confronti dell’estensione applicativa dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali, affermando che “l’unione omosessuale, pur se riconducibile all’art. 2 Cost., rappresenta tuttavia una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante l’imprescindibile (potenziale) ‘finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale’ e di conseguenza, perché ‘la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio‘”. Ma una simile pronuncia è legata al vuoto legislativo in merito e l’unico appiglio su cui direzionare il ragionamento giuridico risultava essere l’articolo 29 della Costituzione, letto ed interpretato in relazione alla normativa civilista pertinente. Andare oltre, in quel momento, per la Corte era del tutto inimmaginabile, non solo per una questione di ordine socio-politico, ma soprattutto per una questione di democraticità. Una dichiarazione positiva al caso in questione, da parte della Consulta, avrebbe incitato gli animi delle forze politiche giustamente motivati, perché avrebbe determinato la sovversione delle funzioni. Tale pronuncia però riveste una notevole importanza, perché per la prima volta la Corte avverte l’esigenza storica e politico-sociale di una necessaria tutela normativa dei rapporti posti in essere da questa tipologia di persone, affermando che a tale tipo di unione non spetta soltanto il diritto «di vivere liberamente una condizione di coppia» ma altresì «il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri»”, riconoscimento che deriva dall’articolo 2 della Costituzione ed invita in tale occasione, il legislatore a colmare il vuoto normativo del nostro sistema. Con l’ordinanza n. 276 del 22 luglio 2010[vii], nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Corte d’Appello di Firenze, la Corte Costituzionale riprende le conclusioni pronunciate con la sentenza poc’anzi richiamata e ribadisce pienamente il concetto che le unioni omosessuali sono formazioni sociali irriducibili al paradigma matrimoniale rientranti nell’art. 29 Cost. Tali pronunce della Corte si affacciano in una realtà giuridica extraterritoriale in evoluzione. Nel panorama internazionale, la svolta è segnata dalla Corte suprema del Massachusetts[viii] che con la sentenza emessa nel 2003 ha dichiarato incostituzionale il divieto di sposare una persona del proprio sesso, sulla base di un doppio esame dell’istituto matrimoniale, l’uno prettamente formale e quindi incardinato sull’atto giuridico, l’altro sostanziale e quindi concentrato sul rapporto, dai quali emerge l’irragionevolezza della discriminazione e quindi la decisione in senso contrario. Dopo due anni da quest’ultima pronuncia, nel 2005 è la volta del Continente Africano: la Corte Suprema del Sudafrica, infatti, ha emanato l’obbligo, diretto al legislatore, di rimuovere il divieto di matrimonio tra le persone dello stesso sesso, spingendo per un intervento immediato e imponendogli di provvedere entro un anno dalla pronuncia[ix]. Nello stesso anno, il 2005, la Corte Suprema del Canada fu chiamata a decidere sulla medesima questione, la cui pronuncia condusse il Parlamento alla promulgazione della legge 20 luglio 2005, attraverso la quale procedette alla riforma della definizione giuridica del matrimonio, da intendere come “gender-neutral”, cioè un’unione formata semplicemente da due persone e quindi eliminando ogni tipo di riferimento al requisito sessuale. Nel caso di specie, è bene segnalare che tale decisione venne riformulata nel suo perfetto opposto, tramite il referendum popolare nel 2008, ma nel 2010 tale risultato venne dichiarato illegittimo dalla Corte distrettuale del Nord California, sulla base del principio che i diritti fondamentali, per natura, non siano passabili di scelte rappresentative. Sulla stessa scia si schiera il legislatore portoghese, che attraverso la riforma del codice civile, nel 2010 ha esteso l’istituto del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso[x]. Se nel contesto internazionale ed europeo, a livello di giurisdizione statale, si stava verificando una graduale ma completa apertura verso il riconoscimento del matrimonio come diritto fondamentale e, in quanto tale, degno di essere esteso agli “uomini”, nella giurisprudenza di matrice europea-internazionale un simile risultato sembra essere ancora molto lontano, anche se propositivo nel senso di riconoscere l’unione tra persone dello stesso sesso come tipo famiglia.

  1. Il matrimonio same sex e l’ordinamento dell’Unione Europea

Il percorso evolutivo dell’Unione europea si genera lentamente, da una prima posizione di totale astensionismo, complice la natura iniziale del fine economico a fondamento della Comunità europea, si arriva gradualmente verso l’apertura normativa europea sul punto. La prima formulazione normativa, che apre l’avvio all’avvicinamento della tutela dei diritti fondamentali e con essi della tutela relativa alla comunità Lgbt, si ha con il Trattato di Maastricht, il quale ha stabilito, che l’Unione europea rispetta i diritti fondamentali (art. 6, par. 2): “quelli garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quelli che risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in quando principi generali del diritto comunitario”. Successivamente, il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale viene consacrato con il Trattato dell’Unione Europea da una serie di disposizioni: art. 2 TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”; art. 3, par. 5, in cui si enunciano gli obiettivi dell’Unione nelle relazioni internazionali e si prevede che: “[…] l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, Caso Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande sezione)”. Tra l’altro, il rispetto dei diritti fondamentali è previsto anche dall’art. 6 TUE, dedicato proprio ai diritti umani (compresi quelli delle minoranze) e dall’art. 10 TFUE, che inserisce l’orientamento sessuale nella lista delle discriminazioni che l’Unione si impegna a combattere nell’attuazione delle sue politiche. La consacrazione della tutela dei diritti umani e quindi del principio fondamentale di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, parte da ambiti materiali definiti e circoscritti, quali la libera circolazione delle persone, la tutela del lavoro e delle pari opportunità. Comincia ad evolversi nel campo delle relazioni familiari, con l’annessione della Carta di Nizza al Trattato di Lisbona, qualificando i principi in essa espressi come principi imperativi. Nello specifico, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 9, ha previsto in capo ad ogni individuo “il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, stabilendo che tale diritto, è riconosciuto: “secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Dall’esame testuale dell’articolo, secondo l’opinione maggioritaria della dottrina, la Carta ha operato una scelta storica, al fine di includere le coppie omosessuali nelle relazioni familiari, optando per un’espressione diversa da quella contenuta nell’art. 12 della CEDU, dove vi è un preciso riferimento, così si il testo: “uomini e donne in età matrimoniale, hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio a tale diritto”. Una simile apertura da parte dell’Unione Europea, complici le giurisprudenze comunitarie e non, rivolte al medesimo fine, non poteva restare al di fuori della visione della Corte EDU. Nell’iter giurisprudenziale della Corte EDU, infatti, le unioni omosessuali erano collocate nel range di tutela riguardante la vita privata ex articolo 8 CEDU. Con la soluzione del caso, già menzionato Schalk e Kopf c. Austria, una pronuncia di poco successiva a quella emanata dalla Corte Costituzionale nel 2010, la Corte EDU, sebbene precisi che in tale sostrato materiale il margine di apprezzamento Statale sia più tosto ampio e rilevi al contempo la mancanza di un’opinione comune sul tema, per la prima volta riconosce a tali unioni il diritto a godere dello status familiare e quindi di ricevere considerazione giuridica e corrispondente tutela ex articolo 8 CEDU, come rapporti attinenti alla vita familiare. Tale passaggio storico, se pure minimo, riveste una notevole importanza nella qualificazione del rapporto e dei diritti fondamentali, perché sulla base di questa conclusione non potrà più parlarsi di inesistenza del rapporto, pena la violazione del diritto fondamentale alla vita familiare. Pochi anni dopo, il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria il 24 maggio 2012, approva, con una larga maggioranza, il principio che condanna ogni forma di discriminazione che non sia giustificabile e che si fondi sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale, considera inoltre inaccettabili episodi di intransigenza verificatisi all’interno dell’Unione nei confronti dei diritti delle persone LGBT. In specifico, con la risoluzione si invitano gli Stati membri a garantire la protezione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, dai discorsi omofobi in generale e dai primi impregnati della qualifica negativa di incitamento all’odio e dalla violenza, nonché ad assicurare che la libertà di manifestazione, garantita da tutti i trattati sui diritti umani, sia effettivamente rispettata. Contemporaneamente a quanto poc’anzi esaminato a livello europeo/internazionale, in Italia il percorso di tutela nei confronti delle coppie omosessuali è ancora lontano, sia da un riconoscimento normativo interno riguardante il rapporto in sé, sia nei confronti degli effetti ricollegati agli atti di matrimonio celebrati all’estero. Seguendo l’impostazione data sul tema, da parte della Corte Costituzionale (sentenza 138/2010) e quanto espresso dalla Corte EDU, la Corte di Cassazione, con una pronuncia considerata dalla dottrina di portata storica, la sentenza n. 4184, del 15 Marzo del 2012[xi], poi richiamata dalla Cassazione stessa con la pronuncia del 9 febbraio 2015 n. 2400[xii], muta l’orientamento generale sul tema, sostenendo che non si può più parlare di inesistenza o di invalidità per contrarietà al principio di ordine pubblico ex articolo 18, D.p.r. n. 396/2000, dal momento che detta argomentazione non può più ritenersi adeguata alla realtà giuridica coeva, giungendo per tale via a sostenere che l’intrascrivibilità del matrimonio omosessuale contratto all’estero si fondi sulla sua inidoneità a produrre, nell’ordinamento interno, qualsivoglia effetto giuridico, atteso che l’attuale contesto normativo nazionale non prevede e né riconosce come matrimonio quello contratto tra persone dello stesso sesso. Il baricentro normativo alla base di entrambe le decisioni è rappresentato dall’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 12 CEDU, i quali non impongono agli Stati l’adozione del modello matrimoniale per il riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive, così come espresso nella sentenza della Corte EDU sul caso Schalk e Kopf c. Austria, al loro interno, ferma restando la necessità di garantire un grado di protezione dei diritti individuali e relazionali sorti da tali unioni, tendenzialmente omogeneo a quelle riservata alle coppie eterosessuali coniugate. La giurisprudenza di merito ha confermato questa impostazione, infatti seguono lo stesso percorso logico-motivazionale, se pur con motivazioni differenti (contrarietà all’ordine pubblico, inesistenza del vincolo, inefficacia dello stesso), il Tribunale di Latina, decreto 31 maggio 2005; la Corte d’appello di Roma, 6 giugno 2006; il Tribunale di Treviso, sentenza 19 maggio 2010; il Tribunale di Milano, decreti 2 luglio 2014 (Il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, celebrato all’estero, è esistente per l’ordinamento italiano ma non è trascrivibile negli atti dello stato civile, posto che la trascrizione degli atti nei registri dello Stato Civile è soggetta al principio di tassatività e che il matrimonio fra persone dello stesso sesso celebrato all’estero è inidoneo, quale atto di matrimonio, a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano) e 17 luglio 2014; il Tribunale di Pesaro, decreto 14 ottobre 2014[xiii], la Corte di Appello di Milano, sentenza del 16 ottobre 2015 ed infine il Consiglio di Stato, sentenze nn. 4897, 4898 e 4899 (Il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è contrario all’ordine pubblico ex art. 18 d.P.R. 396/2000. Il certificato di matrimonio tra persone dello stesso sesso non può essere trascritto nei registri di stato civile perché il matrimonio tra persone dello stesso sesso è un atto giuridico inesistente, in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio. Al Prefetto spetta il potere di annullare un atto di stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione, e nella specie di un atto di matrimonio tra due persone dello stesso sesso, trattandosi di un atto radicalmente inefficace per l’ordinamento giuridico italiano; spetta invece all’autorità giudiziaria ordinaria il potere di annullare gli atti di stato civile indebitamente registrati astrattamente idonei a costituire o modificare lo stato giuridico delle persone) del 26 ottobre 2015, nelle quali il medesimo si pronuncia nel senso della legittimità della circolare del Ministero dell’Interno del 7 ottobre 2014 che ordinava ai Prefetti di provvedere all’annullamento d’ufficio delle trascrizioni dei matrimoni omosessuali[xiv].

Tuttavia, non mancano pronunce opposte a quelle poc’anzi richiamate, che riflettono, con grande spirito evolutivo, il principio della non contrarietà della trascrizione del matrimonio, costituito da coppie aventi il medesimo sesso, all’ordine pubblico internazionale, così come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza, già richiamata, n. 2400/2015, perché è a quest’ultimo che si deve fare riferimento ogni volta che si deve dare esecuzione o disporre l’efficacia di un atto/sentenza che presenta elementi di estraneità, ma al contrario dell’orientamento di quest’ultima sul tema, che abbiamo detto essere ancora negatorio, in quanto considera l’atto non idoneo a produrre effetti nel nostro ordinamento e perciò stesso, è inutile ricorrere al confronto con il principio di ordine pubblico.

Alcuni tribunali ordinari interpretano il principio di non contrarietà all’ordine pubblico internazionale come momento risolutivo in senso favorevole alla trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato all’estero specificando, che il ruolo della trascrizione non coincide con la costituzione del matrimonio, già perfettamente concluso, bensì con la mera natura dichiarativa dello stesso (rivolta a rendere pubblico il fascio dei diritti e degli obblighi derivanti dall’atto giuridico); così si esprime il Tribunale di Grosseto, con decreto del 17 febbraio 2015[xv]. Poco tempo dopo a tale pronuncia, ne segue la stessa impostazione la Corte di appello di Napoli, che con sentenza del 13 marzo 2015[xvi] afferma: “Nell’ipotesi di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, entrambe cittadine di un Paese che ammette il matrimonio tra persone dello stesso sesso (nella specie, la Francia), posto che lo stesso deve ritenersi esistente anche per l’ordinamento giuridico italiano, si deve dare luogo all’applicazione della legge nazionale di ciascun nubendo e si impone per conseguenza la sua trascrizione nei registri dello Stato civile, attesa la sua non contrarietà all’ordine pubblico internazionale”. Ad onore del vero, è giusto precisare che entrambe le pronunce furono ribaltate, a conferma dell’orientamento generale di negazione degli effetti, così come le decisioni di alcuni Comuni italiani, fra tutti, quelli di Roma, Bologna e Milano, di dare seguito alla trascrizione, sempre sulla base della tutela del diritto fondamentale al matrimonio e della non contrarietà dello stesso al principio di ordine pubblico internazionale. Si ricordi il provvedimento emanato dall’allora Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, diretto proprio a richiedere ai sindaci in questione l’immediata cancellazione delle trascrizioni a cui avevano dato effetto. In seguito a tale provvedimento, all’inerzia di esecuzione dei Sindaci, che rifiutarono di darne seguito, i prefetti di Roma, Bologna e Milano ne disposero così l’annullamento. Mentre in Italia si assiste ad una serie di pronunce giurisprudenziali contrapposte, tra chi giudica trascrivibile l’atto di matrimonio costituito all’estero da coppie omosessuali e chi invece è di contraria convinzione, oltreoceano si verifica una pronuncia di portata emblematica. La Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Obegefell v. Hodges[xvii] del 2015, giunge a riconoscere la natura di diritto fondamentale del diritto al matrimonio e, sulla base di questa conclusione, afferma che esso non può essere negato in alcuno Stato della Federazione. In specifico la Corte stabilisce:

  1. a) la Costituzione impone che tutti gli stati permettano il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
  2. b) uno stato non può non riconoscere un matrimonio legalmente contratto in altro stato tra persone dello stesso sesso per il solo carattere omossessuale dell’unione.

Tali conclusioni, sono il frutto dell’interpretazione evolutiva della Costituzione, da parte della Corte suprema, convogliando il ragionamento sul principio di eguaglianza (equal protection clause ex XIV emendamento) letto in combinato disposto con il principio della negazione della tutela di un diritto fondamentale a fronte di un’adeguata giustificazione del governo (due process clause ex V emendamento) e tale giustificazione non si rinviene nel caso di specie. Tale pronuncia, più che per il contenuto in se della stessa, ha un ruolo di particolare rilevanza, perché segna giuridicamente un cambiamento totale, rispetto all’impostazione classica e tradizionalista che ha da sempre connaturato la legislazione degli Stati Uniti e fortemente radicata nel principio della differenza di sesso come requisito per accedere al matrimonio. In Europa, nello stesso anno, a pronunciarsi è nuovamente la Corte Europea dei diritti dell’uomo che, con la soluzione del caso Oliari[xviii], ha condannato l’ordinamento italiano per l’assenza di una disciplina giuridica che tuteli la vita familiare delle coppie formate da persone avente lo stesso sesso e che rappresenta l’evoluzione giurisprudenziale di quanto ebbe a decidere nel caso Schalk and Kopf c. Austria. È doveroso affrontare tale caso più da vicino. I ricorrenti sono tre coppie omosessuali, le quali hanno adito la Corte EDU lamentando che l’ordinamento giuridico italiano, non consente a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, né riconosce altre forme di unioni civili. Fra queste coppie, Enrico Oliari e il suo compagno avevano domandato al comune di Trento di procedere alle pubblicazioni prodromiche al loro matrimonio. Il comune si era rifiutato e ne era nato un contenzioso che era giunto fino alla Corte costituzionale. Il giudice remittente aveva ritenuto, infatti, non manifestamente infondata la questione se il codice civile violasse, per il tramite dell’art. 8 della Convenzione EDU, l’art. 117, primo comma della Costituzione. La Corte dichiarò la questione in parte infondata e in parte inammissibile con la sentenza n. 138 del 2010 e, successivamente, la corte d’appello di Trento rigettò il ricorso del signor Oliari. Invocando l’articolo 8 CEDU (diritto alla vita privata e familiare), da solo e in combinato disposto con l’articolo 14 (divieto di discriminazione), essi hanno sostenuto di essere vittime di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale contraria alla Convenzione. La Corte ricorda di aver già statuito (caso Schalk and Kopf c. Austria) che le relazioni fra persone dello stesso sesso, necessitano di riconoscimento giuridico e tutela: “le coppie omossessuali, infatti, hanno la stessa capacità delle coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e si trovano in una situazione significativamente simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda l’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della loro relazione.” La Corte osserva che i ricorrenti, non potendosi sposare, non hanno potuto avere accesso a uno specifico quadro giuridico (quale quello relativo alle unioni civili o alle unioni registrate) in grado di permettere il riconoscimento del loro status e garantire loro alcuni diritti relativi a una coppia che ha una relazione stabile.

Nel caso esaminato, infatti, emerge una grave lacuna normativa interna, che fa regredire lo Stato italiano in termini di evoluzione e protezione dei diritti, al cospetto della platea internazionale, per cui la violazione della democraticità risulta essere ancora più grave rispetto alla scelta del tipo “giusto” riconosciuto a fronte della tutela di tali unioni. A fronte del vuoto legislativo e normativo dell’ordinamento italiano, in relazione allo spazio relazioni sociali e/o familiare di persone con medesimo sesso, altri Stati come l’Inghilterra o l’Austria hanno provveduto al riconoscimento di un tipo giuridico idoneo alla tutela degli stessi, mentre altri Stati come la California e la Spagna riconoscono alle coppie dello stesso sesso il diritto al matrimonio. E ancora la Corte EDU sul punto: “…nel contesto giuridico interno l’attuale status dei ricorrenti può essere considerato semplicemente ‘un’unione di fatto’, che può essere disciplinata mediante alcuni accordi contrattuali privati di portata limitata. Per quanto riguarda i contratti di convivenza, la Corte osserva che tali accordi privati non provvedono ad alcune esigenze che sono fondamentali, ai fini della regolamentazione del rapporto di una coppia che ha una relazione stabile, quali, inter alia, i reciproci diritti e obblighi, compresa la reciproca assistenza morale e materiale, gli obblighi di mantenimento e i diritti successori. “Il fatto che tali contratti non siano finalizzati al riconoscimento e alla tutela della coppia, è ovvio perché essi sono accessibili a chiunque conviva, indipendentemente dall’essere una coppia che ha una relazione stabile”. Nella precisazione dell’inadeguatezza del sistema normativo interno, la Corte EDU esplicita la non coerenza del tipo convivenza di fatto, con la natura e la sostanza del rapporto che viene ad instaurarsi tra persone dello stesso sesso che esprimono la volontà di vivere insieme, non per il semplice fatto di convivere, ma sulla comunione di intenti rivolta ad un cuore pulsante di desideri, bisogni e necessità propri di chi vuole creare una famiglia. Una situazione interna che è destinata al collasso, perché riduce fortemente la tutela dei diritti e dei doveri reciproci di tali formazioni sociali, subordinando la stessa a continui ed estenuanti corse ai tribunali; Sul punto la Corte: “… la necessità di ricorrere ripetutamente ai tribunali interni per sollecitare parità di trattamento in relazione a ciascuno dei molteplici aspetti che riguardano i diritti e i doveri di una coppia, specialmente in un sistema giudiziario oberato come quello italiano, costituisca già un ostacolo non irrilevante agli sforzi dei ricorrenti volti a ottenere il rispetto della propria vita privata e familiare. Ciò è ulteriormente aggravato dallo stato di incertezza. Ne consegue che la tutela attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura in cui non provvede alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile, ma non è neanche sufficientemente certa – dipende dalla convivenza, nonché dall’atteggiamento dei giudici (o a volte degli organi amministrativi) nel contesto di un paese che non è vincolato dal sistema del precedente giudiziario”. Ma al di là dei tecnicismi giuridici e degli errori formali di sistema e dei relativi vuoti legislativi, l’espressione della Corte EDU che fa breccia nel cuore del problema principale dell’ordinamento giuridico italiano è la seguente: “La Corte osserva che, dall’esame del contesto interno, emerge l’esistenza di un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti che prevalentemente vivono in Italia la loro relazione apertamente e la legislazione che non fornisce loro alcun riconoscimento ufficiale sul territorio”. Secondo la Corte “l’obbligo di prevedere il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali, consentendo in tal modo alla legge di rispecchiare le realtà delle situazioni dei ricorrenti, non comporterebbe alcun particolare onere per lo Stato italiano di tipo legislativo, amministrativo o di altro tipo. Inoltre, tale legislazione risponderebbe a un’importante esigenza sociale”.

Il vero problema della normativa italiana, in merito, è proprio la distanza tra il legislatore e quella parte di società che si ritrova ad avere “il problema” e di conseguenza la mancanza di dialogo, di informazione, di coinvolgimento sociale, di crescita, di evoluzione sistematica ad accompagnare l’evoluzione sociale, la riluttante indifferenza degli apparati Statali nei confronti del “principio costitutivo”, la sovranità popolare. Quando si discute sul tipo di scelta giuridica che possa garantire nel modo migliore l’equilibrio dei diritti e delle libertà Costituzionali, a fronte di un piano giuridico che predispone una diversità di mezzi e soluzioni, il sistema esprime una certa capacità di adattamento alle condizioni sociali-culturali e politiche emergenti in un certo lasso di tempo storico, proseguendo in modo corretto, in termini di giustizia, nel percorso dei diritti evolutivi (situazioni esistenziali) tracciato dalla Costituzione. Quando, invece, emergono “buchi normativi” causati dal collasso dei principi che si riversa nei diritti, il sistema si dimostra inadeguato, incapace di assolvere alle sue principali funzioni ed esprime la fallacia di chi ne tiene le redini, il legislatore, palesando un grave gap interno, che coinvolge la società intera, per mezzo dell’oblio di una parte di essa. Un tale vuoto normativo, prima di rappresentare una violazione, (in questo caso della vita privata e familiare ex articolo 8), di uno o più principi della CEDU, rappresenta un attacco all’evoluzione sociale e quindi all’uomo in quanto tale e di riflesso, alla Costituzione. A sua difesa, lo Stato (inteso qui, come apparato e quindi il legislatore) adduce l’esistenza del margine di apprezzamento che gli consentirebbe di agire con una certa discrezionalità;

Sul punto la Corte EDU: “la Corte osserva che, sebbene l’oggetto della presente causa può essere connesso a delicate questioni morali o etiche, che permettono un maggiore margine di discrezionalità in assenza di accordo tra gli Stati membri, il caso di specie non riguarda alcuni specifici diritti “supplementari” (in contrapposizione ai diritti fondamentali) che possono o non possono sorgere da tale unione e che possono essere oggetto di una feroce controversia alla luce della loro dimensione sensibile”. Con tali parole, la Corte non solo chiarisce il fine principale del ricorso allo strumento del margine di apprezzamento, (livellare ed equilibrare le libertà interne), ma allo stesso tempo chiarisce che la materia in questione non può e non deve essere causa di conflitti interni, per assenza naturale di possibili contrasti di principio. In parole spicciole, è come se la Corte EDU dicesse al legislatore italiano: guarda che ti stai preoccupando inutilmente, la società di cui devi farti portavoce, ti sta dimostrando che è evoluta e che sa convivere con le sue differenze e che quindi necessita dell’unica cosa più ovvia e più facile in uno Stato democratico, ossia la giustizia. Ma il legislatore italiano, non solo ha ignorato quanto stesse avvenendo nel panorama europeo ed internazionale, ormai da diversi anni e mai come prima in  maniera così aperta ed esplicita (legislazioni positive nei confronti delle unioni omosessuali) ha proseguito nella sua ceci-sordità anche a livello interno, ignorando la sostanza della realtà sociale (parte della società che si trova nella condizione di essere omosessuale) e la sostanza delle pronunce dei principali giudici interni, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione.

Sul punto la Corte: “La Corte ritiene dunque che nel caso di specie il legislatore, intenzionalmente o per mancanza della necessaria determinazione, abbia disatteso le ripetute esortazioni dei supremi tribunali italiani, e che questa ripetuta inosservanza da parte del legislatore delle pronunce della Corte costituzionale, o delle raccomandazioni in esse contenute relative alla coerenza con la Costituzione per un significativo periodo di tempo, indebolisca potenzialmente le responsabilità della magistratura e nel caso di specie abbia lasciato gli interessati in una situazione di incertezza giuridica di cui si deve tener conto”. Ed infine la Corte conclude: “In conclusione non avendo il Governo italiano dedotto un interesse collettivo prevalente (ordine pubblico) in rapporto al quale bilanciare gli interessi dei ricorrenti e alla luce del fatto che le conclusioni dei tribunali interni in materia sono rimaste lettera morta, la Corte conclude che il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle loro unioni omosessuali. Conseguentemente vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione”.

Da questo ultimo passaggio si deve riflettere su un punto determinato: mancanza di interesse collettivo da dedurre contro gli interessi dei ricorrenti. Quest’ultima, sembra una formula giuridica che non ha niente di diverso rispetto a tante altre formule in problematiche giurisprudenziali simili, ma così non è. La Corte ci ribadisce che, sebbene sulla materia vi sia dissenso in ambito europeo-internazionale, il margine di apprezzamento non è poi così ampio da permettere al legislatore italiano di continuare ad ignorare la fallacia del sistema interno, ma non solo. La mancanza di un interesse collettivo da contrapporre (quindi un interesse che abbia la stessa portata di valore che possa collidere con altri interessi dello stesso livello) agli interessi dei ricorrenti, è segnale di una presa di posizione del legislatore di fronte a tale problematica, una posizione “politica” che non è in grado di lottare perché priva di “armi giuridiche”, una posizione vuota di diritti che riflette il vuoto normativo del sistema. A ragione delle nozioni apprese in questo percorso fino a questo momento, cosa può muovere un simile intento del legislatore? Le risposte prospettabili sono poche se non una soltanto, l’ordine pubblico. Il governo persegue la credenza che riconoscere tale spaccato di società possa comportare disordini sociali interni ed attacchi all’etica del governo stesso. Dal momento che una questione etica di tale portata diviene perciò stesso, una questione politica di un certo peso, trovare l’equilibrio giuridico tra le diverse fazioni politiche risulta, non solo altamente problematico, ma sul punto del tutto impossibile. Quando la politica si distacca dai diritti, ogni scelta sembra un azzardo per l’ordine politico-sociale (ordine pubblico) e allora tanto vale fingersi sordo-cieco e rimandare. Ma le esortazioni che il giudice internazionale, con la definizione del caso Oliari, muove al nostro legislatore sono più esplicite che mai.

A distanza di 5 anni dalla prima pronuncia sulla questione, caso Schalk e Kopf, infatti la Corte EDU non solo ribadisce quanto in essa aveva espresso, ma scende nel cuore del problema, scandagliando la fallacia del sistema normativo italiano e concludendo con una decisione che ha tutte le caratteristiche di un decreto ingiuntivo.

  1. Le Unioni Civili

La decisione della Corte EDU e le conseguenze da esse prodotte sul piano politico e sociale, l’evoluzione propositiva di alcune delle più influenti legislazioni nazionali europee ed extraeuropee ed alcune pronunce interne che cambiano il risultato generalmente condiviso dalla giurisprudenza interna (non trascrizione), concorrono per un primo ed importante step, la creazione e la promulgazione della legge 76/2016, recante la normazione delle Unioni civili e delle convivenze di fatto. Come si è avuto modo di apprendere, il contesto giuridico-normativo in cui venne promulgata la su detta legge, era abbastanza sterile, se non del tutto assente. Per quanto riguarda la normazione delle unioni caratterizzate da coppie same-sex, queste venivano relegate a semplici unioni di fatto, (inutili furono i tentativi di definire in legge, le proposte legislative avanzate in precedenza, rivolte a dare tutela giuridica a tali tipi di unione, sulla scia della normazione francese, che aveva istituito i “Pacs[xix]”, perché non ritenute omogenee al tipo famiglia, anche se degne di poter chiedere tutela in condizioni specifiche, mentre nei confronti dei rapporti connotati da elementi di estraneità e quindi implicanti la richiesta di trascrizione dell’atto matrimoniale costituito all’estero, al fine di poter ottenere il riconoscimento dello status acquisito, la disciplina era ancora più rigida e sterile. Da un primo orientamento, che classificava inesistente tale tipologie di atti, si è giunti a considerare i medesimi, inidonei alla produzione di qualsia effetto, che se bene cambia il volto della negazione rendendola consona al rispetto della persona e del rapporto, non muta i parametri legali che fungono da base per non procedere alla trascrizione, la mancanza della configurazione del tipo legale inerente al rapporto, l’attaccamento al binomio articolo 29 della Costituzione ed eterosessualità come requisito per contrarre il matrimonio e di conseguenza la contrarietà all’ordine pubblico. Restando fedele all’attaccamento tradizionalista del connubio matrimonio-famiglia eterosessuale, il legislatore adotta un tipo legale apposito per tali coppie, l’unione civile[xx].

Con la legge 76/2016, il legislatore qualifica le coppie same-sex come Unione civile, traendo la ratio giuridica legittimante il tipo, dall’articolo 2 Costituzione, che si occupa di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, sia come singolo e sia come formazione sociale, restando perfettamente coerente con quanto espresso dalla Corte Costituzionale nel rinomata sentenza n.138/2010, nella quale esortava il legislatore ad intervenire per tutelare tali rapporti in quanto posti in essere da formazioni sociali. L’intento del legislatore è quello di tutelare tali coppie, fornendo loro una disciplina normativa vicina a quella prevista per la famiglia tradizionale, ma allo stesso tempo, inevitabilmente, molto lontana nella sostanza. Nel testo della legge, non vi è possibilità di estendere il matrimonio e tutti i suoi effetti a tali coppie, fatta eccezione per quelli specificatamente disposti e per quelli ufficialmente richiamati dalla legge (ex articolo 1 comma 20, clausola di equivalenza). In tal modo, l’unione civile diviene un tipo legale, non al pari del matrimonio, ma semplicemente diverso e adatto per il tipo di formazione a cui si riferisce. Di conseguenza, per tali coppie non è possibile parlare di genitorialità familiare e neanche di adozione familiare ma, la rigidità e la chiusura dell’impianto normativo posto in essere, raggiunge il culmine, con la regolazione degli effetti dei matrimoni same-sex costituiti all’estero. Infatti, a seguito della su detta legge, la ratio giuridica su cui fondare il rifiuto di trascrizione divenne ancora più solida, data la riconduzione al tipo legale costituito. Tale generale impostazione, però, non trovò piena condivisione, in quanto sono diversi i punti di contrasto, primo tra tutti la regolamentazione dei rapporti esterni, con il principio di non discriminazione. Il legislatore, a norma dell’art.1, comma 28, lett. b) della legge n. 76/2016, ha delegato il Governo ad adottare le norme necessarie per la “modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato”. In attuazione della delega, il Governo ha provveduto, attraverso lo schema del decreto legislativo, D.lgs. n. 7/2017, al riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso, modificando la precedente L. 218 del 1995. L’art. 32 bis ora sancisce che «Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana». L’art. 32 quinquies stabilisce che «l’unione civile, o altro istituto analogo, costituiti all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso abitualmente residenti in Italia produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana». Sulla base di queste disposizioni normative, vi è la conversione automatica dell’atto matrimoniale in unione civile, per tutte le coppie formate da persone dello stesso sesso e aventi entrambi o una parte soltanto la cittadinanza italiana (requisito dello stretto collegamento con lo Stato). Restano al di fuori della conversione, tutte le coppie formate da persone dello stesso sesso, ma entrambi stranieri, diversamente da quanto disposto dall’originaria formulazione dell’art. 32-bis, la quale prevedeva che il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso dovesse produrre gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana, senza che quindi avesse alcuna rilevanza la cittadinanza, italiana o straniera, delle parti. È del tutto evidente, che promulgare una simile disposizione avrebbe comportato non pochi problemi di interpretazione e legittimazione. La questione legata al range applicativo della disciplina sulla conversione del matrimonio in unione civile è stata chiarita in maniera esaustiva, successivamente dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 14/05/2018, n.11696. Nell’affermare l’applicabilità dell’art. 32-bis l. 218/1995 anche ai matrimoni contratti all’estero da un cittadino italiano e da uno straniero — e non solo a quelli stipulati da due cittadini italiani — ha risolto i dubbi interpretativi sorti in ordine alla portata applicativa soggettiva della predetta norma e ha chiarito, al contempo, che il regime di conversione in unione civile, invece, non interessa i matrimoni omosessuali costituiti all’estero da cittadini entrambi stranieri, i quali devono essere trascritti in Italia come tali, dato il carattere intrinsecamente transazionale di detto rapporto matrimoniale e il fatto che in tale ipotesi non può ravvisarsi alcun intento di aggiramento della l. 76/2016[xxi]. Sulla ratio iuris che ha determinato la conclusione della Corte di Cassazione, la stessa dichiara: «se l’art. 32 bis non si applicasse anche ai cd. matrimoni “misti” […] si determinerebbe una discriminazione cd. “a rovescio” tra i cittadini italiani che hanno contratto matrimonio all’estero e possono “trasportare” forma ed effetti del vincolo nel nostro ordinamento e quelli che hanno contratto un’unione civile in adesione al modello legislativo applicabile nel nostro ordinamento». Fondamentalmente, il legislatore adotta in tale caso materiale-normativo, rapporti familiari-matrimonio-unioni civili, la tecnica dell’applicazione della norma necessaria. Ogni volta che vi sia un collegamento diretto o rilevante con lo Stato italiano, nel caso concreto Stato di destinazione, è necessario ricorrere all’applicazione della norma di quello Stato. Il criterio della cittadinanza, nei rapporti internazionali-privatistici inerenti a tale sostrato normativo, pone la base giuridica per procedere alla diversificazione del trattamento normativo ed applicare la normativa interna ai rapporti che presentano elementi di collegamento giuridicamente significante ed invece, dare spazio applicativo alla norma straniera per tutti quei rapporti che non presentano le caratteristiche poc’anzi dette. Sostanzialmente, la Corte di Cassazione ribadisce che l’unico limite da non prevaricare resta quello dell’ordine pubblico, che nel caso concreto si traduce nel rispetto della legge (legge 76/2016- legge 218/1995)[xxii], ma tale principio interno non può trovare effetto, nei confronti di tutti quei rapporti estranei all’ordinamento statale, perché quest’ultimi devono essere vagliati sulla base del rispetto del principio di ordine pubblico internazionale, il quale riflette la tutela dei diritti fondamentali. All’indomani della pubblicazione della legge sulle unioni civili, giungono per l’Italia altre due condanne consecutive per violazione dell’articolo 8 CEDU, casi Taddeucci e McCall[xxiii] e Orlandi e a. c. Italia[xxiv]. Il primo caso, riguarda il diniego delle autorità interne di rilasciare un permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare, il quale è stato confermato dalla Corte di Cassazione sulla base di diverse conclusioni quali, il disposto dell’articolo 29 del Dlgs 286 del 1998, che specifica: “membro della famiglia” comprende solo il coniuge, i figli minori, figli adulti che non sono autonomi per motivi di salute e genitori a carico che non hanno un adeguato sostegno nel Paese”, escludendo quindi ogni estensione della nozione di coniuge, per legge interna non attribuibile ai ricorrenti, l’impianto normativo interno dedicato ai rapporti familiari, il margine d’apprezzamento ampio in materia che si traduce nella libertà di scelta in merito a tale tematica, confermata dalla Corte EDU, la considerazione della non applicazione della direttiva UE 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari all’interno del territorio dei paesi membri diversi da quello d’origine, con la motivazione che non vi fu circolazione. A seguito del ricorso presentato alla Corte Edu, la stessa ha condannato il 30 Giugno 2016 l’Italia per violazione dell’articolo 8, presentando le stesse motivazioni addotte nella prima condanna in materia a seguito della sentenza sul caso Oliari. Sulla stessa scia, converge la decisione sul caso Orlandi, con sentenza del 14 dicembre 2017, la Corte europea dei diritti dell’uomo, accerta, con una maggioranza di cinque contro due, che l’Italia ha violato il diritto alla vita privata e familiare di undici cittadini italiani ed uno canadese (sei coppie di coniugi dello stesso sesso) negando reiteratamente la trascrizione di matrimoni celebrati all’estero, sulla base dei fatti prospettati all’epoca dei ricorsi. Sul rispetto del principio di ordine pubblico, a fondamento dell’ordinamento interno, in tutti quei casi in cui si dibatte sulla tutela di diritti fondamentali connaturati a rapporti familiari, si è pronunciata di recente, la Corte di Giustizia nel noto caso Coman[xxv]. La vicenda riguardava il sig. Coman, di cittadinanza rumena, e il sig. Hamilton, cittadino americano, che dopo essersi sposati a Bruxelles, nel dicembre 2012, hanno chiesto alle autorità rumene (la Romania è lo Stato in cui è cittadino il sig. Coman ed il luogo dove i coniugi avevano intenzione di stabilirsi) le informazioni inerenti alla procedura per l’ottenimento del permesso di soggiorno per un termine superiore a tre mesi, una richiesta avallata, in quanto essendo coniugi, il sig. Hamilton è familiare del sig. Coman, così come previsto dalla direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, la quale permette al coniuge di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato tale libertà (circolazione) di raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna. Solo con il ricongiungimento, infatti, è possibile garantire la tutela del diritto fondamentale a vivere la vita familiare. Contravvenendo al dettato della direttiva, le autorità rumene hanno negato la richiesta del sig. Coman e del sig. Hamilton, concedendo a quest’ultimo soltanto il diritto di soggiorno per tre mesi, con la motivazione che egli non potesse assumere la qualifica giuridica di coniuge, in quanto in Romania i matrimoni tra persone dello stesso non vengono riconosciuti. A fronte di tale provvedimento e delle ragioni ad esso annesse, il sig. Coman e il sig. Hamilton hanno quindi proposto ricorso ai giudici rumeni, al fine di far dichiarare l’esistenza di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale in ordine all’esercizio del diritto di libera circolazione nell’Unione. In tale occasione, la Corte ha modo di stabilire in maniera chiara e precisa la nozione di coniuge, se bene tale nozione, sia già presente nel testo della direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, 2004/28/CE, secondo la quale la nozione di «coniuge» viene presentata sconnessa da qualsiasi riferimento al sesso, è proprio a causa della mancanza di una precisazione sul punto che la Corte giunge a tale definizione, non solo per risolvere il caso in questione, ma per risolvere ogni dubbio. Nel novero dei diritti riconosciuti ai cittadini europei ex art. 21 § 1 TFUE, è presente anche il diritto di condurre una normale vita familiare, sia nello Stato membro ospitante (quello di cui non si ha la cittadinanza) sia in quello di origine, è conseguenza logica-fattuale che affinché questo diritto sia effettivamente goduto, occorre che sia garantita la presenza dei familiari, protagonisti insieme al soggetto della vita familiare. È necessario procedere quindi alla determinazione di cosa si intende per coniuge. Secondo la Corte, con il termine coniuge si intende una persona unita ad un’altra da vincolo matrimoniale e la stessa è neutra dal punto di vista del genere, così da poter comprendere anche il coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione. Sempre in codesta sentenza, la Corte ha ribadito che il diritto alla libera circolazione delle persone può essere sì oggetto di restrizioni/limitazioni che non necessariamente dipendono dalla cittadinanza delle persone interessate, ma solo quando tali restrizioni/limitazioni, siano basate su motivi oggettivi, di interesse generale e siano proporzionate al raggiungimento dello scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale. La normativa nazionale “idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone” (par. 47) può essere giustificata “solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta [dei diritti fondamentali dell’Unione europea], di cui la Corte garantisce il rispetto”. Per tale motivo, il principio di ordine pubblico, nel caso di specie, invocato come giustificazione per limitare il diritto di libera circolazione, dev’essere inteso in senso restrittivo e la sua portata non può essere determinata in maniera discrezionale da ciascuno Stato membro, senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. La Corte aggiunge che il rispetto dell’obbligo per uno Stato membro di riconoscere, in questo caso al solo fine della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-UE da un matrimonio omosessuale, non pregiudica l’ordinamento dello Stato che lo esegue, infatti garantire il diritto di soggiorno o la libera circolazione non si traduce nell’obbligo di prevedere la specie del matrimonio omosessuale, ne è capace di ledere l’identità nazionale o di minacciare l’ordine pubblico dello Stato membro interessato. La Corte, nel suo ragionamento, si avvicina alla soluzione in maniera graduale: in primo luogo, ricorda che Coman gode dello status di cittadino dell’Unione Europea e che le libertà che discendono da questa situazione soggettiva, inclusa la libertà di circolazione e di soggiorno all’interno di uno Stato membro diverso da quello di origine, sono esercitabili anche nei confronti dello stesso Stato di origine. Nel novero dei diritti riconosciuti ai cittadini europei ex art. 21 § 1 TFUE, è presente anche il diritto di condurre una normale vita familiare, sia nello Stato membro ospitante (quello di cui non si ha la cittadinanza), sia in quello di origine: è ovvio che, affinché questo diritto sia effettivamente goduto, occorra che sia garantita la presenza dei familiari, protagonisti insieme al soggetto della vita familiare. La direttiva del 2004 menziona, espressamente, nell’elenco dei familiari anche il coniuge.

Ma è coniuge anche una persona dello stesso sesso? Sul punto, la Corte afferma che la nozione di coniuge è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere, dunque, il coniuge dello stesso sesso del cittadino dell’Unione interessato. Per queste ragioni, uno Stato membro non può porre alla base del diniego del diritto di soggiorno la propria normativa nazionale, indipendentemente dal fatto che questa impedisca la celebrazione o anche il solo riconoscimento del matrimonio omosessuale. Alla luce di tale pronuncia, sebbene la Corte di Giustizia non affronti direttamente il tema della qualificazione giuridica dell’unione tra coppie omosessuali, restando coerente con la generale accettazione sul riservo di competenza agli Stati, in quanto materia di diritto familiare, concernente gli status, pone una netta linea di demarcazione, tra appunto il potere discrezionale proprio degli Stati e la tutela dei diritti fondamentali in generale e dei principi-fini propri dell’Unione.

  1. Conclusione

La normativa Statale, come si è avuto modo di apprendere, non è isolata, al contrario è in continua fermentazione, di concerto con la normativa europea e internazionale. Questo triplice meccanismo normativo, si basa sul rispetto reciproco, mantenuto in equilibrio sul piano delle competenze e sulla comune direzione verso la tutela dei diritti fondamentali, i quali sono in continua evoluzione e pretendono rispetto in ogni circostanza, una garanzia di supremazia che si sostanzia nel principio del bilanciamento. Sul versante giuridico fattuale, invece, quella dei diritti fondamentali, si pone come una battaglia senza fine, essendo per natura mutevoli, necessitano di un continuo adeguamento normativo, che sia in grado di garantirne la tutela. A tal proposito, si è appena esaminato, l’excursus storico-giuridico che ha caratterizzato la normazione statale ed europea/internazionale, riguardante la protezione di una particolare categoria di persone, quelle che sono predisposte ad un orientamento sessuale nei confronti del proprio sesso biologico, in relazione al fatto, cioè il rapporto di coppia e l’atto, la legittimazione del rapporto sul piano normativo al fine di stabilire e garantire diritti e doveri scaturiti da quest’ultimo. Tale legittimazione è avvenuta lentamente e con moderazione, nel caso dell’Italia, si è giunti, dopo un percorso tortuoso e quasi obbligato, alla pubblicazione della legge sulle Unioni civili, la quale qualifica tali coppie come formazioni sociali che trovano fondamento giuridico nel combinato disposto degli articoli 2 e 3 della Costituzione. L’articolo 29 della Costituzione, infatti, concerne la disciplina delle famiglie fondate sul matrimonio e sebbene non vi sia alcun divieto di estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, tuttavia, quest’ultimo emergerebbe dall’insieme delle norme sul diritto di famiglia e dalla tradizione cultura e storica che caratterizza il nostro ordinamento, tanto da assurgere a principio di ordine pubblico. Proprio al principio di ordine pubblico, la giurisprudenza si riferiva nei casi implicanti le norme del diritto internazionale, sulla richiesta di trascrizione dei matrimoni costituiti all’estero, da persone dello stesso sesso. L’ordine pubblico, in tali casi, esercitava il ruolo di limite invalicabile, per tutti quei rapporti/atti non previsti nel nostro ordinamento e contrari al senso giuridico interno, tale era per disposizione normativa, il solo principio da rispettare al fine della produzione degli effetti nel nostro ordinamento giuridico, ex articolo 18 D.P.R n.396/2000. Con l’introduzione della legge 76/2016 si qualifica giuridicamente il tipo legale, Unione civile ed attraverso questa predisposizione normativa, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale europea ed internazionale, che sigilla per le coppie omosessuali, la natura di diritto fondamentale a vivere una vita di tipo familiare, il principio di ordine pubblico subisce una mutazione di significato applicativo, che si sostanzia in una degradazione di efficacia, non risultando più idoneo a regolare i rapporti esterni. Quando, infatti, la nostra normativa entra in rapporto ad istituti stranieri, ci si riferisce al concetto di ordine pubblico internazionale, il quale, richiama solo il rispetto dei diritti fondamentali, nell’intento di garantire coerenza normativa ed applicazione egualitaria. Ma la ridefinizione del concetto di ordine pubblico a tutela dei diritti fondamentali non pone un punto di arrivo, anzi, al contrario determina una serie di contraddizioni e problemi di interpretazione, tra quanti, nella giurisprudenza e nella dottrina, propendono per una nozione restrittiva e più statalista e quanti invece tendono all’internalizzazione del concetto, basandosi sulla necessità di aderire alla tutela tout court dei diritti fondamentali. Inoltre, a scatenare opposte interpretazioni, è l’evoluzione stessa dei diritti fondamentali. Nel contesto storico-giuridico attuale, accompagnato dal progresso scientifico e sociale, il terreno dei diritti fondamentali è sempre più fertile e produttivo di nuove situazioni giuridiche che necessitano di inquadramento giuridico e di relativa tutela. Dalla tipizzazione delle relazioni omo-affettive, infatti, discendono ulteriori situazioni giuridiche, le quali creano non pochi problemi di interpretazione.

[i]     Sulla preferenza per la famiglia fondata sul matrimonio, Manetti M., Famiglia e costituzione: le nuove sfide del pluralismo delle morali, in Rivista AIC, 2010, fasc.;

  1. Mondello, La famiglia fondata sul matrimonio e le famiglie, in Reciprocità e alterità. La genesi del legame sociale, Quaderno, 2010

[ii]    Appunti di diritto ecclesiastico, Il matrimonio tra diritto civile e diritto canonico, “Con la diffusione del Cristianesimo a partire dall’anno Mille (Medioevo), l’istituto del matrimonio assunse una notevole importanza per la chiesa cattolica che ne affermò la sua esclusiva competenza, stabilendone i requisiti necessari e gli obblighi derivanti dallo stesso. L’autorità ecclesiastica aveva il compito di risolvere ogni tipo di controversia, relegando all’autorità civile le sole controversie patrimoniali. Con l’età moderna, l’autorità esclusiva della chiesa sull’istituto matrimoniale cominciò ad indebolirsi con l’emanazione di provvedimenti opposti alle disposizioni canoniche, come per esempio l’introduzione del divieto al matrimonio per i minorenni. Tale declino ebbe il suo culmine con la Rivoluzione francese nel 1789 e la costituzione successiva nel 1791 segna una netta separazione tra rito civile e religioso, definendo il rito civile l’unico in grado di essere riconosciuto dallo Stato per tutti i cittadini e che ne regolamentava ogni aspetto, tollerando la libertà di contrarre il matrimonio anche con il rito religioso. Nello Stato italiano, il matrimonio civile è stato introdotto con il codice civile del 1865, a seguito dell’Unità d’Italia, confermando la separazione tra sfera civile e canonica, assegnando rilevanza giuridica al solo matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile. La conseguenza di tale impostazione è la celebrazione dei due riti, mantenuta tutt’ora, anche con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948”;

Fattori G., Enciclopedia Treccani, L’evoluzione del matrimonio civile, 2018: “Il matrimonio civile viene introdotto in Italia nel 1865 con il primo Codice dello Stato postunitario. Nato come istituzione deliberatamente laica, il matrimonio-contratto civile si presenta alternativo e competitivo rispetto al matrimonio-sacramento della tradizione teologico/giuridica della Chiesa cattolica. Benché privo di connotazioni religiose, l’istituto assume e mantiene a lungo la struttura del matrimonio canonico: è indissolubile, monogamico, eterosessuale. Nel tempo il matrimonio civile recupererà anche una dimensione/finalità etica come «comunione materiale e spirituale» tra coniugi… In seguito alla svolta costituzionale del 1948, il progresso dell’ordinamento italiano ha condotto il modello matrimoniale del diritto civile sempre più lontano dal modello matrimoniale del diritto canonico. Negli anni Settanta del Novecento il matrimonio civile abbandona il dogma dell’indissolubilità, retaggio della concezione sacramentale del vincolo coniugale (l. n. 898/1970 e l. 19.5.1975, n. 151). Venuta meno l’indissolubilità matrimoniale, con le riforme del divorzio ‘facile’ (l. 10.11.2014, n. 162) e ‘breve’ (l. 6.5.2015, n. 55) sembra attenuarsi anche il principio della stabilità della relazione coniugale. Nel 2016 il riconoscimento delle unioni civili omosessuali e delle convivenze supera l’eterosessualità come paradigma delle relazioni affettive giuridicamente riconosciute e sancisce la crisi del matrimonio stesso come modello esclusivo della coniugalità (l. 20.5.2016, n. 76)”;

  1. Sciarra, Il matrimonio nell’Ottocento italiano fra potere civile e potere ecclesiastico, Historia et ius,2016. “L’autore svolge un excursus comparativo normativo sul matrimonio civile e cattolico tra i diversi regni presenti in Italia, all’indomani della fine della dominazione francese, facendone emergere le differenze culturali e le contrapposte visioni: il Regno delle Due Sicilie (1816-1861) fu il primo degli stati della penisola italiana nel periodo della Restaurazione a darsi una codificazione civile, Il Codice per il Regno delle Due Sicilie. Quest’ultimo codice introdusse un sistema misto in cui il matrimonio, celebrato secondo le formalità prescritte del diritto canonico, era produttivo di effetti civili solamente in seguito ad alcuni adempimenti civili, sia precedenti che susseguenti la celebrazione del rito cattolico. In particolare, all’articolo 67 era previsto che: Il matrimonio nel regno delle Due Sicilie non si può legittimamente celebrare che in faccia della Chiesa, secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento. Gli atti dello stato civile sono essenzialmente necessari, e preceder debbono la celebrazione del matrimonio, perché il matrimonio produca gli effetti civili, tanto riguardo a’conjugi che a’ di loro figli… Il Codice civile piemontese del 1837, introdotto in Sardegna solamente nel 1848, in tema di matrimonio si caratterizzava per il suo stampo confessionale in cui gli effetti civili, che il legislatore piemontese si limitava a regolare, derivavano dal matrimonio religioso per i cattolici. Secondo l’art. 108 infatti: Il matrimonio si celebra giusta le regole, e con le solennità prescritte dalla Chiesa Cattolica, salvò ciò che è in appresso stabilito riguardo ai non cattolici ed agli ebrei”.  All’ultimo comma dell’articolo 29 viene specificato che il matrimonio (cioè, l’atto costitutivo), deve rispettare i limiti stabiliti dalla legge (che si presumono essere gli articoli 84-87, 107, 143-143bisc.c.) al fine di garantire l’unità familiare. Se svolgiamo l’analisi letterale del dispositivo costituzionale, tali limiti si rinvengono nel rispetto dei requisiti per contrarre il matrimonio. I nubendi devono avere la maggiore età (18 anni, riducibile in casi particolari a 16 anni mediante decreto del Tribunale per i minori), tale limite è garantista della consapevolezza della scelta da intraprendere, che sebbene opinabile nel numero (età) è giustificabile nell’intento finalistico, dare una certa importanza all’istituto familiare; devono essere in grado di intendere e volere, per lo stesso motivo precedente: la capacità consapevole della scelta da effettuare; non devono aver contratto un precedente matrimonio che sia, al tempo della celebrazione dello stesso, ancora perdurante, di derivazione culturale, tale limite consolida la monogamia giuridica, è ammesso un solo matrimonio giuridicamente valido; non devono avere tra loro determinati vincoli parentali (parentela in linea collaterale di terzo grado e affinità in linea collaterale in secondo grado), il vincolo del sangue e del legame parentale che trae le sue giustificazioni giuridiche nella scienza, onde evitare la trasmissione di diverse malattie genetiche alla prole e nel senso morale della tipologia dei rapporti (parentela stretta); non devono aver riportato una condanna per il reato di omicidio, consumato o tentato, ai danni del precedente coniuge dell’altro nubendo, limite connaturato al senso umano, morale e civico del singolo nei confronti dell’altro ricondotto a tipologie di reati che esprimono una certa gravità dell’offesa e una possibile pericolosità sociale dell’individuo. Inoltre, il consenso di entrambe le parti è un requisito primario per poter contrarre validamente il matrimonio, la distinzione tra scelta ed imposizione risiede proprio nella manifestazione della volontà di entrambi i coniugi che per essere coerente al senso giuridico, posto alla base dell’istituto matrimoniale, deve risultare libero, consapevole e reciproco. Nulla dispone il codice civile in merito al requisito del sesso, fatta eccezione per qualche sporadico riferimento ai termini marito-moglie. Questo non deve farci cadere in un errore di valutazione. Ciò che è espresso e ciò che non lo è, dipende in ogni caso dal grado di accettazione culturale e sociale del tempo. Nell’interpretazione diretta delle norme del codice civile ed in specifico di quelle dedicate alla famiglia e al matrimonio si deve tenere in considerazione lo spazio storico-culturale e sociale in cui quest’ultime sono state prodotte e promulgate. L’esclusione di ogni riferimento al sesso in termini di requisiti per accedere al matrimonio, è giustificabile nel senso di una non necessità di scrittura, perché la diversità di sesso dei coniugi è un principio etico diffuso nella tradizione dello Stato italiano. I riferimenti ai termini distintivi marito e moglie insiti nelle norme civilistiche relative ai rapporti familiari, come ad esempio avviene all’articolo 143 c.c. sui diritti e doveri reciproci dei coniugi: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri” non hanno l’intento di rimarcare il sesso diverso dei coniugi come elemento costitutivo del matrimonio, ma è rivolto a sottolineare e a conclamare la parità dei coniugi nei rapporti familiari e quindi a solennizzare l’uguaglianza della moglie al marito nei diritti e nei doveri del matrimonio sganciando una bomba di valore sull’impostazione patriarcale familiare, che vedeva il marito il dominus della famiglia (capo-famiglia) in un ruolo di comando e sovraordinato alla moglie ed ai figli. Tale impostazione è suffragata dal terzo comma dell’articolo 143: “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” dove il legislatore si esprime nella conduzione sostanziale dei rapporti patrimoniali sottolineando la contribuzione della moglie al sostentamento della famiglia, quasi a segnarne l’importanza del ruolo e l’indipendenza acquisita, gli articoli seguenti, 143 bis sul cognome: “La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze” (In aderenza al principio di parità tra marito e moglie, è consentito alla donna limitatamente ai rapporti professionali – derogare a tale impostazione), e 143 ter sulla cittadinanza: “La moglie conserva la cittadinanza italiana, salvo sua  espressa rinunzia, anche se per effetto del matrimonio o del mutamento di cittadinanza da parte del marito assume una cittadinanza straniera”, confermano tale assunto. Ragionare giuridicamente vuol dire ragionare in maniera giusta. La giustificazione giuridica dell’illegalità del mancato riconoscimento del matrimonio alle coppie dello stesso sesso non può farsi derivare dall’assenza di un divieto normativo e imperativo esposto nel codice civile o nella Costituzione, ma deve ricercarsi altrove, seguendo un altro senso. Ancora una volta si tratta di verificare se vi è giustizia nel bilanciamento degli interessi alla luce dei fini costituzionali e tale ragionamento è rivolto oltre che alle norme, ai principi e all’esperienza. La Costituzione è evolutiva e non tradizionalista, l’ordine pubblico è tradizionalista, perché pur nel senso ideale, comunque costituisce un freno per sua natura, essendo un limite e i diritti invece che natura hanno? Il diritto segue l’uomo così come la Costituzione costituendo quest’ultima il riflesso giuridico sia del diritto che dell’uomo. La domanda quindi è, la tradizione segue l’uomo oppure ne costituisce una catena al suo sviluppo?  R. Bin, La famiglia: alla radice di un ossimoro,”Studium Iuris”, 2000. L’autore descrive perfettamente la contraddizione logico-giuridica insita nel termine società naturale per indicare la tipologia costitutiva e correttamente inquadra il senso costituzionale dell’espressione analizzata: società naturale indica il bisogno naturale, un valore, un bisogno, una necessità, una realtà, quella della famiglia che è propria dell’uomo in quanto tale e che quindi deve essere riconosciuta a tutti indistintamente, art 2 e 3 Cost.

[iii]   Corte eur. Dir. Uomo sez. I, 24 ottobre 2010 (Schalk e Kopf c. Austria), in articolo29.it;

Commento alla sentenza, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 4, n. 3/2010.  La Corte EDU ha affermato che la relazione di una coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata” nonché in quella di “vita familiare” nell’accezione dell’articolo 8. In antitesi, la stessa Corte EDU aveva ritenuto che la relazione emotiva e sessuale di una coppia omosessuale costituisse solo “vita privata”, ma non già “vita familiare”, anche se era in gioco una relazione durevole tra partner conviventi. Nel giungere a tale conclusione, la Corte aveva osservato che, nonostante la crescente tendenza negli Stati europei verso un riconoscimento giuridico e giudiziario di unioni di fatto stabili tra omosessuali, data l’esistenza di poche posizioni comuni tra gli Stati contraenti, questa era un’area in cui essi godevano ancora di un ampio margine di discrezionalità. Avuto riguardo all’evoluzione degli atteggiamenti sociali nei confronti delle coppie omosessuali e all’avvenuto riconoscimento giuridico delle stesse da parte di un notevole numero di Stati membri, la Corte di Strasburgo (con la richiamata sentenza del 24 giugno 2010, prima sezione, caso Schalk and Kopf contro Austria), ha ritenuto artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della “vita familiare” ai fini dell’articolo 8. Conseguentemente anche una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra anche nella nozione di “vita familiare”, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione.

[iv]    Tribunale di Treviso, sentenza del 19 maggio 2010: Il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, celebrato all’estero, è inesistente per l’ordinamento italiano; una volta assodata la non qualificabilità della fattispecie, non è necessario accertare la contrarietà del matrimonio omosessuale al nostro ordine pubblico, che, comunque, presuppone che l’atto straniero da trascrivere sia compreso nella categoria degli atti esteri trascrivibili nei registri anagrafici italiani secondo la disciplina che li regola. In Dir. Fam., 2011, 3, 1239, con nota WINKLER, Ancora sul rifiuto di trascrizione in Italia di same-sex marriage straniero: l’ennesima occasione mancata.

[v]     Sull’argomento ordine pubblico come tutela di principi etici, Balestra L., Commentario codice civile (famiglia e leggi collegate), Utet, 2010;

Sull’eticità dell’ordine pubblico ideale, Gargiulo E., Mantenere l’ordine pubblico, feticci liberali e principi etici nella gestione della sicurezza pubblica, Il lavoro culturale, 2016: “se la concezione ideale è considerata propria di uno stato “etico”, ossia di un regime politico che si fa portatore di specifici valori e princìpi a discapito di altri orientamenti normativi (magari imponendo una religione ufficiale o determinati comportamenti e norme morali in ambito sessuale), la concezione materiale è ricondotta invece a uno stato “liberale”, vale a dire a un sistema, neutrale e laico sul piano dei valori, in cui le autorità pubbliche si fanno semplicemente garanti di proteggere la sfera personale dei singoli da interferenze concrete, e dove quindi l’esercizio della libertà di associazione e manifestazione è condizionato al rispetto di altri diritti”

[vi]    Corte Costituzionale sentenza n. 138 del 2010 (che decideva sulle eccezioni proposte da Tribunale di Venezia e Corte d’Appello Trento), in Foro it. 2010, parte I, 1367 con nota DAL CANTO, La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale e ROMBOLI Per la Corte costituzionale le coppie omosessuali sono formazioni sociali, ma non possono accedere al matrimonio; anche in Fam. e Dir. 2010, 653;

Romboli Roberto, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la corte dice “troppo” e “troppo poco”, (Nota a sent. C. Cost. 15 aprile 2010 n. 138), Giur. cost. 2010, 2, 1629; Mastromattino F., Il matrimonio conteso: le unioni omosessuali in una eclettica pronuncia della corte costituzionale italiana, (Nota a sent. C. Cost. 15 aprile 2010 n. 138), in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2011, fasc. 1  pag. 439 – 469: “ Con la sentenza 14 aprile 2010, n. 138 il giudice delle leggi si è pronunziato sulla questione concernente l’ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento affermando che l’unione omosessuale, pur se riconducibile all’art. 2 Cost., rappresenta tuttavia una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante l’imprescindibile (potenziale) “finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale”; proseguono i giudici precisando che “in tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale” concludendosi che “in questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”;

Romboli R., Per la corte costituzionale le coppie omosessuali sono formazioni sociali, ma non possono accedere al matrimonio, (Nota a sent. C. Cost. 15 aprile 2010 n. 138), in Il Foro italiano, 2010, fasc. 5  pag. 1367 – 1369 : “In tema di: Infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c. rispetto agli artt. 3 e 29 Cost., nella parte in cui non consentono il matrimonio omosessuale; inammissibilità della medesima questione rispetto agli artt. 2 e 117, comma 1 Cost., in quanto diretta ad ottenere una pronuncia additiva volta al riconoscimento delle unioni omosessuali intese come stabili convivenze tra due persone dello stesso sesso. Necessario l’intervento del legislatore. Non condivisibilità della pronuncia da parte dell’A. per la considerazione della nozione di matrimonio che non contemplerebbe le unioni omosessuali, in quanto risalente al 1946-47 e per il riferimento alle finalità esclusivamente procreative dello stesso”;                                                                                                                                                                                                                         

Sulla stessa scia della Corte Costituzionale, si era pronunciata in precedenza la Corte di Cassazione: 9 giugno 2000 n. 7877, 2 marzo 1999 n. 1739; 22 febbraio 1990 n. 1304 con le convergenti conclusioni che “il matrimonio omosessuale non è idoneo a costituire tra le parti lo status giuridico delle persone coniugate in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, considerata nell’ordinamento italiano quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio”.

[vii]   Riviezzo A., Sulle unioni omosessuali la corte ribadisce: “questo” matrimonio non s’ha da fare (se non lo vuole il parlamento), (Nota a ord. C. Cost. 7 luglio 2010, n. 276), in Famiglia e diritto, 2011, fasc.1 pag. 20 – 29.

[viii]  Corte suprema del Massachusetts Goodridge v. Department of Public Health del 18 novembre 2003, in articolo29.it; Nota di Garetto R., Presupposti per una «ridefinizione» concettuale del matrimonio. Il dibattito fra sostenitori della tradizione e fautori del cambiamento negli Stati Uniti d’America ed in Spagna, in Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 4/2015.

[ix]    Corte Suprema del Sudafrica Minister of Home Affairs v. Fourie, del 1 dicembre 2005, in articolo 29; Nota di Gattuso M., Matrimonio tra persone dello stesso sesso, Capitolo tratto dal Trattato di Diritto di Famiglia diretto da Paolo Zatti, in forumcostituzionale.it.

[x]     Vagli G., L’approvazione della legge che consente il matrimonio tra omosessuali in portogallo, in Quaderni costituzionali, 2010, fasc. 3 pag. 605 – 608;

Passaglia P., Matrimonio ed unioni omosessuali in europa: una panoramica, (Nota a Tribunal Constitucional de Portugal 8 aprile 2010, n. 121 (Portogallo)), in Il Foro italiano, 2010, fasc. 5 pag. 273 – 277.

[xi]    G. Saccaro, Nota alla sentenza della corte di cassazione n. 4148 del 15 marzo 2012, Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna : “Con sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da due cittadini italiani del medesimo sesso che, successivamente alla celebrazione del loro matrimonio a L’Aja (Regno dei Paesi Bassi), si sono visti rifiutare dal Sindaco del Comune di Latina – ove avevano stabilito la loro residenza – la trascrizione dell’atto di matrimonio in quanto formato all’estero e non suscettibile di trascrizione perché contrario all’ordine pubblico (italiano).

 La questione sottoposta all’esame della Corte di legittimità consiste nello stabilire se due cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto matrimonio all’estero siano o meno titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato civile italiano.  Nel ricorso presentato al vaglio della Corte di Cassazione i ricorrenti sostenevano che, se è pur vero che gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se contrari all’ordine pubblico italiano, tuttavia, trattandosi di norma di relazione con ordinamenti estranei al nostro, tale deve intendersi come ordine pubblico internazionale e non interno. Gli stessi sollecitavano la Corte a pronunciarsi sui quesiti di diritto se nel nostro Paese l’omosessualità sia un comportamento contrario all’ordine pubblico; sposarsi rientri tra i diritti fondamentali dell’individuo; la pubblicità di un atto negoziale come il matrimonio sia idonea a stravolgere i valori fondamentali su cui si regge il nostro ordinamento.  In particolare i ricorrenti lamentavano il carattere discriminatorio della nozione stessa di matrimonio come unione eterosessuale e sugli- inesistenti- effetti giuridici nel nostro ordinamento di un matrimonio tra persone dello stesso sesso; tale nozione, a loro giudizio, non tiene conto del fenomeno della evoluzione sociale, culturale e giuridica intervenuta nella gran parte degli Stati europei e pertanto  il riferimento alla tradizione interpretativa ed al suo carattere vincolante, in assenza di una norma espressa che vieti il matrimonio tra persone dello stesso sesso, oltre a rivelarsi anacronistico, contrasta con il principio di non discriminazione di cui all’art. 3, 2 co. Cost.  In considerazione dei mutamenti registrati, i ricorrenti proponevano una lettura in chiave evolutiva delle norme in materia di matrimonio sostenendo che un’interpretazione della vigente disciplina che escluda le coppie omosessuali dal matrimonio collide con la Costituzione nella parte in cui riconosce e garantisce ad ogni essere umano il diritto di costituire una famiglia, fondata sul matrimonio, e con l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.  Nella fattispecie, i ricorrenti chiedevano alla Corte di Cassazione di stabilire se la trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero, avendo, ai sensi dell’art. 17 del DPR n. 396 del 2000, natura meramente certificativa e dichiarativa, in presenza di prova della sua celebrazione secondo la lex loci, sia atto dovuto ed “automatico…”; Di Bari M., Considerazioni a margine della sentenza 4184/2012 della corte di cassazione: la cassazione prende atto di un trend europeo consolidato nel contesto delle coppie same-sex anche alla luce della sentenza n.138/2010 della corte costituzionale, Associazione italiana dei costituzionalisti, Rivista n.1/2012 : “In primo luogo la Cassazione chiarisce in modo netto che, non essendo l’omosessualità contraria all’ordine pubblico, la legittimità del diniego alla trascrizione non può essere fatta derivare dalla contrarietà all’articolo 18, della legge sull’ordinamento civile. Tuttavia, nella sentenza n.4184 la Cassazione è andata oltre: una volta esaminate in combinato disposto le sentenze n.138/2010 e Schalk and Kopf è giunta a concludere che il diritto a contrarre matrimonio non sia affatto precluso dall’attuale testo dell’art.29 Cost. Semmai, viene ribadito dalla Cassazione, tale scelta rientra a pieno titolo tra le possibilità cui il legislatore può liberamente fare ricorso.  Tale lettura della sentenza n.138/2010, che invero sembra risentire anche delle conclusione raggiunte dal Giudice delle leggi nella sentenza 245/2011 (sul diritto a contrarre matrimonio come diritto inviolabile), aderisce alle più ottimistiche osservazioni emerse in dottrina che avevano (ora si può dire a ragione) auspicato un’apertura del nostro ordinamento al riconoscimento del matrimonio alle coppie omosessuali”; Ius M., Le coppie omosessuali hanno diritto ad una vita familiare ma il loro matrimonio non esiste. nota alla sentenza della cassazione 4184/2012, (Nota a Cass. sez. I 15 marzo 2012, n. 4184), in Lo Stato Civile Italiano, 2013, fasc. 7 pag. 18 – 22;

Gattuso M., “Matrimonio”, “famiglia” e orientamento sessuale: la Cassazione recepisce la “doppia svolta” della Corte europea dei diritti dell’uomo, articolo29.it;

Sgobbo C., Il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso: la Cassazione abbandona la qualifica di “atto inesistente” approdando a quella di “non idoneo a produrre effetti giuridici nell’ordinamento interno”, in Giust. civ., 2013

[xii]   Auletta T., Cass., 9.2.2015, n. 2400 – Commento, in Famiglia; Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 2400/15; depositata il 9 febbraio, in diritto e giustizia.it.

[xiii]  Tribunale di Pesaro, sentenza del 14 ottobre 2014, in articolo29.it e Corte di Appello di Milano, sentenza del 16 ottobre 2015, in articolo29.it.

[xiv]  Leo G.M., Intrascrivibilità dei matrimoni celebrati all’estero tra persone delle stesso sesso e legittimità dei provvedimenti prefettizi di annullamento delle relative trascrizioni, sarannoprefetti.it,2016;

FerranteW., Gli atti defensionali della Avvocatura dello Stato sulla trascrizione dei matrimoni omosessuali [Nota a sentenza: Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2015, nn. 4897, 4898, 4899], Periodico: Rassegna avvocatura dello stato, 2015 – Volume: 67 – Fascicolo: 4 – Pagina iniziale: 123 – Pagina finale: 149;

Midena E., L’annullamento dei “same-sex marriage“, in Giornale di diritto amministrativo, 2017, fasc. 4, pag. 536 – 543.

[xv]   Il nuovo “sì” del Tribunale di Grosseto, in articolo29.it, 2015: “il tribunale ritiene che non esista alcuna preclusione alla trascrizione dell’atto celebrato all’estero. Ritiene, infatti, il tribunale toscano che il rifiuto di trascrizione configurerebbe una discriminazione basata sull’orientamento sessuale, la quale è vietata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo se non sussista uno scopo legittimo e se non vi sia un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, scopo e proporzionalità che nella specie vengono esclusi. Il tribunale richiama dunque la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che «con riferimento al mancato riconoscimento dello status personale ha chiarito che affinché il rifiuto di riconoscere un atto riguardante lo status acquisito all’estero sia legittimo deve rispondere ad un imperativo sociale e deve essere proporzionato allo scopo che si propone di raggiungere», concludendo per la trascrivibilità dell’atto.

[xvi]  Osservatorio su diritto internazionale privato e diritti umani n. 5/2015, La corte d’appello di Napoli sulla trascrizione del matrimonio samesex: il richiamo al criterio della cittadinanza per colmare il vuoto normativo, Ordine internazionale e diritti umani, (2015), pp. 1289-1294; Corte di appello di Napoli, sentenza del 13 marzo 2015, in articolo29.

[xvii] Vitucci C., La sentenza della corte suprema degli stati uniti sul matrimonio omosessuale e il diritto internazionale, 2015 in sidiblog.org.

[xviii] Winkler M. Il piombo e l’oro: riflessioni sul caso “oliari c. Italia” (Nota a Corte eur. Dir. Uomo sez. IV 21 luglio 2015 (Oliari et al. c. Italia), in Genius, 2016, fasc. 2;

Pedullà L., Il percorso giurisprudenziale sul riconoscimento delle c.d. “unioni civili”, Associazione italiana costituzionalisti, Rivista N°: 2/2016;

Rudan D., L’obbligo di disporre il riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso: il caso “oliari e altri c. Italia” (Nota a Corte eur. Dir. Uomo sez. IV 21 luglio 2015 (Oliari et al. c. Italia)), in Rivista di diritto internazionale, 2016, fasc. 1 pag. 190 – 198;

Sangiorgi Alessio, Monito della corte europea: l’Italia riconosca protezione alle coppie omosessuali. il caso “oliari” come primo timido passo verso il matrimonio egualitario?, (Nota a Corte eur. Dir. Uomo sez. IV 21 luglio 2015 (Oliari et al. c. Italia)), in I diritti dell’uomo, 2015, fasc. 3 pag. 528 – 538.

[xix]  In Francia, con la legge del 15 novembre del 1999, si è riformato il codice civile francese, con l’introduzione dell’istituto dei pactes civils de solidaritè, noti come “Pacs”. Successivamente, nell’aprile 2013, l’Assemblea nazionale votò a maggioranza, una legge che legalizzasse le nozze omosessuali. Con l’entrata in vigore della legge del 2013 (loi n. 2013-404 du 17 mai 2013 ovrant le marriage aux couples de personnes de meme sexe), tutte le diatribe sulla natura giuridica dei PACS sono state risolte; infatti, la nuova legge, incidendo sull’art. 143 del codice civile francese, ha previsto che: “Il matrimonio è un contratto tra due persone di sesso opposto o dello stesso sesso”.

[xx]   Zannoni D., Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni “same-sex” conclusi all’estero, in DPCE online, 2020, fasc. 1, pag. 233 – 256;

[xxi]  Cassazione civile sez. I, 14/05/2018, n.11696, Il matrimonio contratto all’estero tra un cittadino italiano e uno straniero, dello stesso sesso, produce in Italia gli effetti di un’unione civile. Nota di C. Cicero e A. Leuzzi. Diritto di Famiglia e delle Persone (Il) 2018, 4, I, 1268;

Miri V., Matrimonio same-sex celebrato all’estero e “downgrading” in unione civile: una prima lettura di Cass. 14 maggio 2018, n. 11696, Rivista diritti comparati, 2018;

Serra M. L., Sulla trascrizione del matrimonio omosessuale estero e diritti fondamentali della persona, (Nota a Cass. sez. I civ. 14 maggio 2018, n. 11696), in Famiglia e diritto, 2019, fasc. 2, pag. 143 – 150: “La pronuncia n. 11696/2018 della S.C. affronta la questione della trascrivibilità, negli atti dello stato civile italiano, del matrimonio contratto all’estero da una coppia di persone dello stesso sesso di cui una soltanto di nazionalità italiana, confermando la soluzione dei giudici di merito a favore della legittimità del rifiuto. Più precisamente, la S.C. nega l’ammissibilità della trascrizione del matrimonio omoaffettivo perché tale tipo di matrimonio è riconducibile alla previsione dell’art. 32 bis della L. n. 18/1995, come modificata dal D.lgs. n. 7/2017, producendo pertanto gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana non solo quando entrambi i nubendi sono cittadini italiani ma anche se uno di essi è straniero. Viene così ribadito l’orientamento giurisprudenziale per cui l’unico limite che può impedire il riconoscimento di atti o di provvedimenti d’una autorità straniera è dato dall’ipotesi in cui siano in contrasto con l’ordine pubblico del luogo in cui sono destinati a produrre effetti giuridici. La pronuncia fornisce lo spunto per considerare la nozione di ordine pubblico anche nell’ottica delle Corti Europee in funzione della necessaria tutela dei diritti fondamentali dell’uomo desumibile dalla Costituzione e dalle norme sovranazionali”.

[xxii] Cassazione civile sez. I, 14/05/2018, n.11696, in consultaonline.it Non è contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili contratti all’estero. La definizione, ai sensi degli articoli 32-bis e 32-quinquies della l. 31 maggio 1995 n. 218, degli effetti del matrimonio e dell’unione civile contratti all’estero da cittadini italiani, non può essere temporalmente limitata alle relazioni coniugali o alle unioni giuridicamente riconosciute contratte dopo l’entrata in vigore della l. 20 maggio 2016 n. 76, né può essere condizionata dalla data d’instaurazione del giudizio. L’applicazione di tali disposizioni ai rapporti sorti prima della entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 non costituisce una deroga al principio d’irretroattività della legge, ma una conseguenza della specifica funzione di coordinamento e legittima circolazione degli status posta alla base della loro introduzione. La non contrarietà all’ordine pubblico internazionale del riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili o istituti analoghi contratti all’estero è consacrata dagli articoli 32-bis e 32-quinquies della legge n. 218 del 1995. Infatti, gli atti di matrimonio e di unioni riconosciute producono senz’altro effetti giuridici nell’ordinamento italiano secondo il regime di convertibilità stabilito da tali norme. L’art. 32-bis comporta la preminenza del modello dell’unione civile, adottato nel diritto interno. Pertanto, il matrimonio contratto all’estero da coppia omoaffettiva formata da cittadino italiano e da cittadino straniero non è trascrivibile come tale, ma come unione civile. L’art. 32-bis non trova invece applicazione nell’ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un matrimonio contratto all’estero da due cittadini stranieri. La trascrizione del matrimonio omosessuale come unione civile (c.d. downgrading) non produce effetti discriminatori per ragioni di orientamento sessuale, dal momento che la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti degli Stati membri del Consiglio d’Europa è rimessa al libero apprezzamento degli Stati stessi.

[xxiii] Causa Taddeucci e McCall c. Italia, sentenza 30 giugno 2016 (ricorso n.22567/09), camera.it

[xxiv] Causa Francesca Orlandi e altri c. Italia, sentenza 14 dicembre 2017, camera.it;

Deana F., Diritto alla vita familiare e riconoscimento del matrimonio same-sex in Italia: note critiche alla sentenza Orlandi e altri contro Italia, Rivista di diritti comparati,2019.

[xxv] Corte di Giustizia, sentenza 5 giugno 2018, causa C-673/16, Coman, in curia.europa.eu;

Zappalà L., Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc.4, 2018, pag. 953, Nota a: Corte giustizia UE , 05 giugno 2018, n.673, grande sezione, Nozione di «coniuge» sans phrase: la tutela dei diritti fondamentali delle same sex families;

Perelli A., Matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il caso Coman: un importante passo verso l’eguaglianza, Note e commenti – DPCE on line, 2018/3.

Abstract: L’articolo propone l’esame della sindacabilità giurisdizionale delle valutazioni tecniche. Si ripercorrerà l’iter giurisprudenziale che segue le sentenze del Consiglio di Stato n. 601 del 1999 e della Corte di Cassazione n. 507 del 2000 che distinguono l’opinabilità dall’opportunità e pertanto la mancata dichiarazione del difetto di giurisdizione. Si sottolinea l'equilibrio tra discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario nelle questioni di competenza tecnica.

  1. Premessa

In un ambito in cui il merito amministrativo è da considerare l’insindacabile baluardo del potere della pubblica amministrazione, si pone la necessità di comprendere quale sia il ruolo del giudice amministrativo dinnanzi alle valutazioni tecniche che, in luogo del primo, ammettono la sindacabilità dell’operato dell’amministrazione attiva (in termini di “opinabilità” e non di “opportunità”).

Vedremo che siffatta valutazione, prima che dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 507 del 2000, trova il proprio fondamento nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 601 del 1999.

Il riferimento al Giudice di legittimità, oltreché al Supremo organo di consulenza giuridico-amministrativa, lascia intendere che la questione attinente al limite tra merito amministrativo e valutazione tecnica – o ancora tra opportunità e opinabilità – sia riconducibile alla giurisdizione. Non sarebbe altrimenti consentita la ricorribilità dinnanzi alla Corte di Cassazione in ordine all’art. 111, 8° comma, Cost.[1].

Vedremo come la sentenza n. 601 del 1999 del supremo organo di giustizia amministrativa ricolleghi alla valutazione tecnica, consistente nell’apprezzamento opinabile di concetti indeterminati, la possibile verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche effettuate dall’amministrazione attiva.

La tesi del Supremo giudice amministrativo è corroborata dalla sentenza del Giudice di legittimità n. 507 del 2000 che – nell’affermare che le vertenze aventi ad oggetto le valutazioni tecniche non ripetibili non determinano una pronuncia di difetto di giurisdizione – approva la sindacabilità giurisdizionale delle stesse attraverso il giudice generalmente competente.

Vedremo inoltre che la considerazione della sindacabilità delle valutazioni tecniche ha condotto alla diatriba sul controllo, forte o debole, riconosciuto dalla legge al giudice amministrativo, risoltasi successivamente con un sindacato limitato alla verifica di logicità e ragionevolezza delle stesse.

  1. Il confine tra poteri amministrativi e controllo giurisdizionale

Posta la necessità di padroneggiare la distinzione tra merito amministrativo e la discrezionalità amministrativa [2], si propone l’indagine delle questioni che ricomprendono le valutazioni tecniche [3] per le quali nel corso dei decenni sono stati sollevati seri dubbi di sindacabilità in considerazione della possibilità che queste potessero essere sottoposte ad apprezzamento ed eventuale riforma ad opera del giudice amministrativo.

Con sentenza n. 507 del 2000 la Suprema Corte ha distinto l’opinabilità dall’opportunità ampliando in tal senso il novero delle materie censurabili dal giudice amministrativo di legittimità e considerando pertanto sindacabili le valutazioni tecniche delle autorità amministrative. La riconducibilità di siffatte valutazioni in sede di giurisdizione generale di legittimità preclude la configurabilità del difetto di giurisdizione e pertanto della dichiarazione di improponibilità della domanda.

Evidenziamo però le tappe percorse dalla giurisprudenza prima che questa giungesse all’innovativa sentenza della Corte di Cassazione n. 507 del 2000.

Posteriormente ad una fase di assoluta insindacabilità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche della pubblica amministrazione, si sono manifestati i primi segni di insofferenza provocata da una carenza di effettività della giustizia, non ancora in grado di sindacare le valutazioni tecniche in termini di opinabilità. Tali spinte hanno condotto la giurisprudenza verso un maggiore riconoscimento dei poteri di accertamento della realtà fattuale.

L’apertura giurisprudenziale del tempo si limitò al riconoscimento di un mero c.d. sindacato estrinseco [4] e ciò in considerazione della circostanza che le valutazioni complesse o opinabili della pubblica amministrazione potessero essere ammesse nelle ipotesi “di illogicità o ingiustizia manifesta della valutazione tecnica dell’autorità amministrativa, di errore nei presupposti di fatto, di incoerenza ed inadeguatezza della motivazione, di carenza di istruttoria”[5]; ossia in tutte le circostanze in cui il controllo dell’organo giurisdizionale fosse effettuato attraverso “massime di esperienza appartenenti al sapere comune”[6] e che però non si spingessero verso una verifica tecnico-specialistica della decisione amministrativa.

Apri fila del nuovo orientamento fu la sentenza n. 601 del 9 aprile 1999, del Consiglio di Stato, la quale dichiarava che “ricorre discrezionalità tecnica quando la norma tecnica da applicare da parte dell’amministrazione contenga concetti indeterminati che comportano apprezzamenti opinabili. Il sindacato giurisdizionale su tali apprezzamenti può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì, invece, alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio tecnico e procedimento applicativo” [7].

La sentenza sopraccitata rileva nella misura in cui distingue l’opportunità del merito amministrativo – chiaramente non sindacabile dall’organo giurisdizionale al di fuori dei particolari casi espressamente previsti dalla legge – dall’opinabilità della discrezionalità tecnica. Quest’ultima ricorre ogni qualvolta il legislatore riconosca all’amministrazione l’applicazione di una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta. Rammentiamo che le valutazioni sono tali in quanto contenenti concetti indeterminati o apprezzamenti opinabili [8]. L’opinabilità di una valutazione tecnica è presupposto di fatto di una eventuale e solo successiva valutazione in termini di opportunità.

Cercando di fare chiarezza, si può asserire che esiste una “riserva di amministrazione” per tutte quelle questioni che richiedano una valutazione dell’interesse pubblico in termini di opportunità e convenienza (ossia in ordine al merito) [9] e si può avanzare la tesi per la quale l’apprezzamento dei presupposti di fatto (di un provvedimento amministrativo) sia correlato al giudizio di legittimità (e pertanto ad un sindacato del giudice amministrativo).

La valutazione tecnica va intesa, dalla sentenza testé richiamata, come presupposto di fatto sussumibile nella sfera delle questioni apprezzabili dal giudice di legittimità e al quale può dunque applicarsi un sindacato pieno c.d. intrinseco, per tale intendendosi quello con il quale il giudice faccia “utilizzo… di regole e conoscenze tecniche che appartengono alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dall’amministrazione” [10]. Ciò è oggi possibile anche tramite l’impiego dello strumento della consulenza tecnica d’ufficio [11] che originariamente non era presente in sede di giurisdizione amministrativa e che adesso svolge una funzione pregnante in ordine all’apprezzamento dei caratteri tecnico-specialistici dei concetti indeterminati.

A sostegno di tale tesi la Suprema Corte con sentenza n. 507 del 19 luglio 2000 evidenzia come l’espressa sindacabilità ad opera del giudice amministrativo delle valutazioni tecniche poste in essere dall’amministrazione pubblica non ammetterebbe la pronuncia di improponibilità della domanda conseguente sovente ad una dichiarazione di difetto di giurisdizione.

La decisione della Corte pone pertanto un discrimine tra i poteri di esclusivo dominio della pubblica amministrazione, insindacabili dinanzi al giudice amministrativo, e i poteri che involgono un compatibile apprezzamento del giudice amministrativo.

L’insindacabile merito amministrativo comporta una scelta di valori che la valutazione tecnica non postula in quanto già “dal legislatore cristallizzati nella norma, venendo (nella previsione di questa) unicamente demandata all’amministrazione la verifica della sussistenza in concreto dell’interesse da attuare e dei presupposti (prestabiliti) della correlativa tutela, sulla base di determinate regole tecniche.” [12]

Gli elementi valutativi della valutazione tecnica sono sussumibili nella sfera dell’attività vincolata e non in quella della discrezionalità vera e propria. L’amministrazione è dotata di un comprensibile margine di opinabilità o valutazione che però non va considerato in par misura all’opportunità; “una cosa è l’opinabilità ed altra l’opportunità (cfr. Cons. Stato, IV, b. n. 601/1999)”. [13]

Il Giudice di legittimità ribadisce quanto prima vagliato dal Consiglio di Stato.

Il riconoscimento all’organo amministrativo giurisdizionale “sia [del]l’accertamento autonomo dei fatti e [del]la loro diretta sussunzione entro lo schema normativo sia dell’interpretazione di quei concetti” [14] entro lo schema di generale legittimità [15], non consente (alla Corte) di ritenere la questione come attinente alla giurisdizione.

Il giudice amministrativo, nell’evenienza in cui dovesse errare nell’accertamento o nell’interpretazione, incorrerà in un errore che non potrà essere oggetto di ricorso in Cassazione. Rammentiamo, difatti, che il ricorso ex art. 111, 8° comma, Cost. è ammesso per motivi attinenti alla giurisdizione, “con esclusione, [dunque], di ogni controllo di pretesi vizi in procedendo o in iudicando” [16].

L’estensione della sindacabilità del provvedimento porge però il fianco ad un ulteriore diatriba relativa ai poteri riconosciuti al giudice amministrativo.

Si pose il quesito in ordine alla possibilità che il giudice potesse sostituirsi all’amministrazione financo riformando il provvedimento (c.d. controllo forte) ovvero se siffatto controllo dovesse essere effettuato in termini di ragionevolezza e coerenza tecnica (c.d. controllo debole). [17]

Con sentenza 6 ottobre 2001, n. 5287, la IV sezione del Consiglio di Stato, una volta evidenziato il quadro generale dei principi [18], esclude un controllo in senso forte sulle valutazioni complesse dell’amministrazione. La stessa afferma che: “la stretta connessione tra apprezzamento tecnico opinabile e scelta di merito è un indice dell’esistenza di un potere di valutazione tendenzialmente riservata all’amministrazione, non già nel senso della preclusione del controllo giurisdizionale, ma nel senso che, in tal caso, è concesso al giudice amministrativo un sindacato senza poteri sostitutivi, limitato alla verifica di logicità e ragionevolezza” [19].

Tuttavia, la tesi de qua non è incontrovertibilmente accettata in determinate materie, quali i concorsi pubblici, in cui alla tesi tradizionale del Consiglio di Stato del 2001 – per la quale oltre al controllo debole non è ammesso un sindacato che non invada il campo della discrezionalità attribuita alla commissione – si affianca una tesi più innovativa che ammette un sindacato intrinseco [20] e un controllo forte sulle decisioni delle commissioni. [21]

Per ultimo è il caso di accennare il limite di sindacabilità della discrezionalità tecnica da parte del giudice ordinario. Nonostante in un primo periodo la Suprema Corte avesse negato l’evenienza di una tutela di posizioni giuridiche lese da valutazioni tecniche dell’amministrazione, questa si è ricreduta affermando che le posizioni giuridiche soggettive sono tutelabili in seno al giudice civile anche se lese da valutazioni tecniche della pubblica amministrazione. [22]

  1. Conclusione

L’analisi della trattazione lascia intendere il motivo per il quale si sia mostrata l’esigenza di ampliare l’indagine del provvedimento ad opera del giudice amministrativo. L’impossibilità di sindacare un concetto indeterminato riconducibile a criteri tecnico-specialistici non rispondeva alle esigenze di effettività giustiziale e di certezza insite nel ruolo del giudice.

La circostanza che la Suprema Corte potesse, altresì, dichiarare l’improponibilità della domanda in sede di difetto di giurisdizione lasciava all’amministrazione pubblica un margine di operatività così ampio da essere a limite con arbitrio.

Si mostra, pertanto, la necessità di ampliare l’ambito di operatività del sindacato giurisdizionale che distinguendo tra opinabilità e opportunità pone un discrimen con confine marcato tra merito amministrativo e valutazione tecnica.

Può ritenersi che la lettura originaria dei poteri del giudice amministrativo, se non ampliata tramite apposite interpretazioni giurisprudenziali estensive, sarebbe stata in contrasto con l’art. 113 Cost. che nell’ammettere “sempre” la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione si pone in condizione di manifestare la volontà che tutti gli elementi che non appartengano alla valutazione amministrativa in termini di convenienza e di opportunità della debbano sempre essere sindacate dal giudice amministrativo.

NOTE

[1] “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”: così l’art. 111, 8° comma, Cost.

[2] A riguardo vedi MASTROIANNI F., Tra opportunità e convenienza: gli effetti processuali del merito amministrativo, in economiaediritto.it, 2023.

[3] La dottrina si riferisce alle stesse anche con l’espressione “discrezionalità tecnica”. Tuttavia, contro siffatta  denominazione si veda, CLARICH M., Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2022, pp. 130-131 che afferma: “A proposito delle valutazioni tecniche è ancora oggi frequente l’uso dell’espressione «discrezionalità tecnica», che non è in realtà corretta proprio perché nella discrezionalità tecnica manca l’elemento volitivo che caratterizza invece, come si è visto, la discrezionalità in senso proprio, cioè quella amministrativa” e giustifica l’utilizzo del sostantivo dicendo che “soprattutto in passato, il problema dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche era posto in termini analogici a quello dei limiti del sindacato sulla discrezionalità amministrativa… [ritenendosi in entrambi i casi] precluso un sindacato pieno che comporti una valutazione autonoma del giudice che si sovrapponga (e sostituisca) a quella dell’amministrazione”.

[4] Al quale si contrapponeva il c.d. sindacato intrinseco. CINTIOLI F., Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205, a cura di Caringella F. e Protto M., Milano, 2001, pp. 920 e ss., afferma che il sindacato estrinseco “si concretizza in un controllo sulle valutazioni tecniche effettuato attraverso massime di esperienza appartenenti al sapere comune e non si spinge fino alla verifica dei caratteri tecnico-specialistici della decisione amministrativa, il sindacato intrinseco, invece, si caratterizza per l’utilizzo, da parte del giudice, di regole e conoscenze tecniche che appartengono alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dell’amministrazione”.

[5] ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, p. 215.

[6] Vedi CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 920 e ss.

[7] Sentenza Cons. Stato., Sez. IV, n. 601, 9 aprile 1999, in Foro Amm., 1999.

[8] Diversamente si ricondurrebbe alla figura dell’accertamento tecnico; privo di valutazioni, concetti indeterminati o apprezzamenti da effettuare.

[9] Per una migliore comprensione degli effetti processuali del merito amministrativo vedi MASTROIANNI F., Tra opportunità e convenienza: gli effetti processuali del merito amministrativo, cit.

[10] CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 920 e ss.

[11] Il giudice amministrativo può accertare l’attendibilità delle operazioni tecniche attraverso l’impiego del consulente tecnico d’ufficio disciplinato dall’art 67 del codice di procedura amministrativa; v. anche ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 216.

[12] Corte cass., sez. un., 19 luglio 2000, n. 507.

[13] La Cass. civ., Sez. Unite, 19 luglio 2000, n. 507, cit., mostra che: “l’’applicazione di tali regole è, a sua volta, non priva di elementi valutativi (che valgono appunto a connotare l’accertamento in termini di discrezionalità tecnica), quando essa comporti la rilevazione di dati fattuali suscettibili di vario apprezzamento; soprattutto ove quelle regole contengano (come la norma di riferimento del caso concreto) concetti indeterminati (ad es., la “prossimità”, che non è predefinita distanza, rispetto a curve, incroci ecc.), o comunque richiedano apprezzamenti opinabili. Ma, una cosa è l’opinabilità ed altra l’opportunità (cfr. Cons. Stato, IV, b. n. 601/1999). La questione di fatto, attinente ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma – sol perché opinabile – in una questione di opportunità, anche se è antecedente ad una scelta di merito. Ed invero, quando la valutazione tecnica è presupposta dalla norma giuridica (che assume così una struttura, in certo qual modo analoga a quella della norma penale in bianco), il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti ha una inevitabile ricaduta sulla stessa norma (di cui il profilo tecnico è un segmento), comportando, con ciò, appunto, l’illegittimità dell’atto per violazione di legge.”; v. anche ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., pp. 212 e ss.

[14] Corte Cass., sez. un., 19 luglio 2000, n. 507, cit.

[15] A riguardo vedi Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2001 n. 1247, in Cons Stato, 2001, I, p. 586, secondo cui: “L’esercizio della discrezionalità̀ tecnica… sostanzia un rilevante profilo di ricostruzione del fatto e, come tale, va conosciuto dal giudice, nell’esercizio dei suoi ordinari poteri istruttori… L’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o complessi (da rilevare attraverso valutazioni tecniche) attiene sempre alla legittimità̀ del provvedimento e, pertanto, non può essere sottratto al giudizio, pena la violazione del principio di effettività̀ della tutela giurisdizionale e del nuovo canone costituzionale della parità̀ processuale delle parti, come emerge dalla puntuale regola del giusto processo sancita dal novellato art. 111 della Costituzione…”.

[16] Corte cass., sez. un., 27 luglio 1998, n. 7348 , cit.

[17] Cfr. CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 924 e ss., secondo cui: “Il primo modello si traduce in un potere sostitutivo del giudice, che sovrappone la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’amministrazione o, più precisamente, sovrappone il proprio modello logico di attuazione del concetto indeterminato a quello prescelto dall’amministrazione… Il secondo modello utilizza le cognizioni tecniche solo per un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa. Il giudice penetra nel procedimento conoscitivo dell’autorità e ne vaglia l’esito, ma solo allo scopo di accertarne l’attendibilità scientifica, arrestandosi di fronte alla sfera di opinabilità che sostanzia il nucleo forte del concetto giuridico indeterminato.”; ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 217, afferma che: “Il primo (ossia il controllo forte) si tradurrebbe, ad avviso del collegio, in un potere sostitutivo del giudice, che potrebbe spingersi fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’autorità amministrativa; il controllo “debole”, invece, consisterebbe nella utilizzazione delle cognizioni acquisite tramite la consulenza tecnica al solo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa”.

[18] “Questi principi appaiono in certa qual misura confortati dalle innovazioni processuali, che, concedendo al giudice di avvalersi di un consulente terzo, esperto di una certa disciplina tecnica, inducono ad alcune affermazioni di massima: a) la presenza di una valutazione tecnica non implica, di per sé, l’instaurazione di un regime speciale di insindacabilità; b) il giudice amministrativo ha il potere di accertare tutti i presupposti di fatto del rapporto controverso, ivi compresi i processi conoscitivi seguiti dall’amministrazione che coinvolgano apprezzamenti di natura tecnica; c) il sindacato del giudice non deve attuarsi solo sulla base di massime d’esperienza appartenenti al sapere comune e di dominio dell’intera collettività, ma, quando effettivamente tali massime siano insufficienti, può disporre grazie al c.t.u. di tutte le conoscenze tecnico-specialistiche che appaiono, secondo i casi, necessarie alla più completa conoscenza dei fatti”: così statuisce la sentenza della IV sez., Cons. Stato, 6 ottobre 2001, n. 5287, in Riv. Giur. Edil., 2002.

[19] Sentenza IV sez., Cons. Stato, 6 ottobre 2001, n. 5287, cit.

[20] Per una definizione di sindacato intrinseco v. nota 4.

[21] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 219, che sottolinea: “Ed invero, con riferimento alla possibilità, per il giudice amministrativo, di sindacare il merito (inteso, ovviamente, non come “merito amministrativo”) dei giudizi espressi dalle commissioni giudicatrici, sono riscontrabili due antitetiche linee di pensiero. Secondo l’impostazione tradizionale, salvo restando il sindacato in caso di manifesta illogicità o di irragionevolezza, di arbitrio o di palese disparità di trattamento, sarebbe inammissibile sindacare il merito di tali giudizi, in quanto, così facendo, il giudice invaderebbe il campo della discrezionalità attribuita alla commissione, sconfinando, pertanto, in un ambito riservato alla pubblica amministrazione. Per la giurisprudenza più innovativa, invece, il giudice amministrativo potrebbe sottoporre a sindacato “intrinseco” e “sostitutivo” i giudizi espressi dalle commissioni in esami di abilitazione ed in concorsi a pubblici impieghi”; T.A.R. Sicilia-Catania, sez. III, 11 giugno 2001, n. 1219, e 5 ottobre 2000, n. 1802; T.A.R. Abruzzo, 29 gennaio 2003, n. 13, in Foro amm.-T.A.R., 2003, p. 2311.

[22] Corte Cass., sez. un., 23 aprile 1997, n. 3567, in Giur. It., 1998, p. 572, secondo cui: “È principio costantemente affermato da questa Corte che la discrezionalità e conseguente insindacabilità, da parte del giudice ordinario, dei criteri, dei tempi con i quali la pubblica amministrazione provvede alla costruzione, all’esercizio e alla manutenzione delle opere pubbliche trovano un limite di carattere esterno posto a tale discrezionalità dal principio generale ed assoluto del neminem laedere, che comporta per la stessa amministrazione l’osservanza di specifiche norme tecniche e delle comuni regole di prudenza e diligenza a garanzia dei terzi (v. sent. 722/1988; 6635/1988; 8836/94; 3939/96)… In forza del ricordato principio, per il quale l’attività della pubblica amministrazione deve sempre svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, è consentito al giudice ordinario accertare se vi è stato, da parte della pubblica amministrazione, un comportamento colposo tale da determinare, in violazione di detta norma, la lesione di un diritto soggettivo…”. Per un’approfondita analisi dottrinaria cfr. OTTAVIANO V., Giudice ordinario e giudice amministrativo di fronte agli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1986, pp. 18-19, il quale osserva che: “…mentre prima l’amministrazione nel suo complesso veniva sottratta al controllo del giudice ordinario, successivamente ciò è apparso giustificato solo in quanto essa eserciti potestà pubbliche. L’amministrazione, pertanto, poiché quando arreca danno ad una persona ai suoi beni, non esercita alcun potere, non sussistendo certamente un potere siffatto, deve sottostare al sindacato del giudice ordinario anche con riferimento all’applicazione di criteri tecnici. Lo stesso deve dirsi per ogni altro caso in cui la giurisdizione spetti a giudici dei diritti, atteso che la loro competenza è legata appunto alla mancanza di un potere da parte dell’amministrazione. Né l’accertamento, per quanto complesso possa essere, può degradare il diritto soggettivo. Esso per sé stesso attiene al conoscere e non al provvedere, che caso mai si riferisce ad un momento successivo, e quindi ove all’accertamento non si accompagni un potere, non viene meno né la competenza del giudice ordinario, né i suoi poteri debbono incontrare limitazioni. La natura della controversia portata avanti al giudice ordinario importa la determinazione dei diritti o degli obblighi spettanti al cittadino o all’amministrazione, e se per risolvere una siffatta controversia occorre procedere ad accertamenti complessi, il giudice deve poterli eseguire, giacché altrimenti non sarebbe possibile decidere se siano fondate le pretese della p.a., ovvero quelle del privato. A ciò conduce lo stesso art. 2 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo che, attribuendo al giudice ordinario «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico», implicitamente gli attribuisce i poteri a tal uopo necessari, con le sole limitazioni di cui ai successivi artt. da 4 a 6” (pag. 18); “La tesi secondo cui la ricerca della colpa dell’amministrazione dovrebbe venire limitata ai soli comportamenti compiuti in esecuzione delle scelte adottate, mentre sarebbe vietata con riferimento all’adozione stessa delle scelte, tesi particolarmente cara all’Avvocatura dello Stato (v. Relazione dell’Avvocatura gen. dello Stato negli anni 1966-70, II, Roma, 1971, p. 248 ss.), suscita perplessità̀. Essa appare invero frutto di un equivoco qual è quello di ritenere che lo stabilire se una scelta violi il principio di neminem laedere, significa rifare le valutazioni riservate all’amministrazione su come curare un interesse pubblico. Il divieto di arrecare danno costituisce un limite alle valutazioni della p.a., che potrà scegliere la soluzione che ritiene più consona ai fini pubblici, nel rispetto però di tale principio. Il sindacato diretto ad accertare l’osservanza di esso non concerne le scelte in sé stesse, ma il limite in cui esse debbono venire contenute. Il danno per il terzo può derivare sia dalla scelta che dall’attuazione di essa, da ciò l’esigenza di garantire l’osservanza del principio anche con riferimento al primo momento.” (pag. 19, nota n. 19).

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Milano, non solo piattaforma internazionale della Moda ma anche laboratorio digitale.

Giunta alla seconda edizione, questa interessante iniziativa è stata promossa dal Comune di Milano, Assessorato alla Trasformazione Digitale e Servizi Civici.

Numerosi gli eventi in programma in città da domani fino al 17 marzo 2019. Tra i tanti si segnalano:

  • la Conferenza del 13 marzo 2019 “Welcome to the Supply Chain Finance Collaboration” presso il Politecnico di Milano;
  • i due Round Table del 14 marzo 2019 intitolati rispettivamente L’innovazione è ovunque” all’Università di Milano e “Blockchain, creatività e proprietà intellettuale: sfide, minacce e strumenti di protezione” presso l’Agenzia Connexia.

Non si può certo dire che la nostra Rivista non sia adeguatamente rappresentata in ambito accademico. Oltre al prestigio derivante dal nostro Comitato Scientifico, costituito da docenti universitari italiani e stranieri, un ulteriore segnale di crescita in questa direzione è rappresentato dalla nomina del Dott. Claudio Melillo, Direttore Editoriale del nostro periodico, a docente del Master in Diritto Tributario, Contabilità e Pianificazione Fiscale (edizione 2016/2017) della LUISS Business School di Roma, sulle orme dell’Avv. Serena Giglio, attuale Direttore Responsabile di ECONOMIAeDIRITTO.it.

Ciò premesso, di seguito, riportiamo alcune informazioni utili per chi intendesse iscriversi al prestigioso Master, tratte dal sito http://businessschool.luiss.it/diritto-tributario.

La Redazione


Il Master in Diritto Tributario, Contabilità e Pianificazione Fiscale della LUISS Business School forma i professionisti in ambito tributario che intendono inserirsi in un contesto aziendale o in studi professionali di primario livello, senza trascurare le possibilità di sbocco nell’Amministrazione Finanziaria.


Il Master è rivolto a giovani laureati (II Livello, ordinamento a ciclo unico) in discipline giuridiche ed economiche.

I profili in uscita dal Master possono trovare collocazione in studi di consulenza aziendale, studi legali, uffici fiscali di primarie aziende italiane e multinazionali, uffici studi di Istituzioni Private e Pubbliche, Amministrazioni Finanziarie.


Curriculum:

Il programma dura 12 mesi, distribuiti in 8 mesi d’aula e 4 mesi di esperienza sul campo (Field Project).

Precorso di Contabilità generale e bilancio (2 – 11 novembre 2015)

L’azienda, il sistema delle operazioni di gestione e le condizioni di equilibrio economico-finanziario. La rappresentazione contabile delle operazioni di gestione. Le operazioni di finanziamento. Le operazioni di acquisto: gli investimenti in fattori pluriennali e le spese correnti. Le operazioni di vendita. L’assestamento dei valori economici e la determinazione del reddito. L’analisi di un bilancio di esercizio. La redazione del bilancio d’esercizio nella prospettiva internazionale: principi contabili IAS-IFRS.

Mod. 1 – L’IRPEF: principi e disciplina della tassazione delle persone fisiche. Elementi di fiscalità locale (12 novembre – 9 dicembre)
Responsabile didattico: Prof. Fabio Marchetti

Determinazione dell’imponibile e dell’imposta. Redditi soggetti a tassazione separata. Redditi fondiari e fiscalità degli immobili di impresa. Redditi di natura finanziaria (redditi di capitale e plusvalenze finanziarie). Il regime dei dividendi percepiti da persone fisiche. Imposizione sui capital gains. Redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e adempimenti del datore di lavoro. Redditi di lavoro autonomo e ritenute alla fonte. Redditi diversi di natura non finanziaria. La previdenza complementare: profili civilistici e fiscali. Casi operativi ed esempi di redazione dei Mod. 730, “Unico”, 770. La semplificazione fiscale e la dichiarazione precompilata. Addizionali IRPEF regionali e comunali. La fiscalità locale: profili generali ed elementi generali sul Federalismo fiscale. IMU, TASI e TARES: soggetti passivi, base imponibile e aliquote, esenzioni e riduzioni. La fiscalità locale: D. LGS 14 marzo 2011 n.23: la cedolare secca sugli affitti. Tassazione patrimoniale delle persone. La fiscalità locale: D. LGS 14 marzo 2011 n.23 – IMU.

Mod. 2 – Fiscalità d’impresa (10 dicembre 2015 – 4 marzo 2016)

Responsabile Didattico: Dott. Massimiliano Longo

  • IRES E DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA

La qualificazione del reddito d’impresa. Principi generali sulla determinazione del reddito d’impresa e sulle valutazioni fiscali. Dal risultato civilistico all’imponibile fiscale, il principio di imputazione e di derivazione del risultato fiscale da quello civilistico. Il reddito di impresa per i soggetti che adottano gli IAS. Componenti positive e negative del reddito di impresa: approfondimenti su ammortamenti, accantonamenti, rimanenze, oneri pluriennali, dividendi e plusvalenze. Raccordo tra valutazioni civilistiche e fiscali, casi operativi di variazioni in aumento ed in diminuzione. La fiscalità differita attiva e passiva, le variazioni temporanee nella determinazione del reddito di impresa ed il loro riassorbimento nel tempo. Agevolazioni temporanee e/o strutturali per le imprese. Esercitazioni e casi operativi sui valori in bilancio e loro rilevanza fiscale; eventuali novità per il 2016.

  • IRES: SOGGETTI PASSIVI E SPECIFICITÀ NELLA TASSAZIONE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI

Il modello Ires di tassazione societaria. I soggetti passivi e la residenza fiscale. La base imponibile per società, enti commerciali ed enti non commerciali. Il regime tributario degli utili societari e delle plusvalenze. I vincoli alla deduzione degli interessi passivi. La trasparenza fiscale per le società di capitali. Il consolidato nazionale e mondiale

  • IRAP

Federalismo fiscale su base regionale: quadro generale e ultime novità normative. Presupposto e soggetti passivi: quadro evolutivo alla luce dei numerosi interventi giurisprudenziali. La base imponibile delle società di capitali: il principio di derivazione dal risultato civilistico. La base imponibile per società di persone ed imprese individuali. La base imponibile per i professionisti. La base imponibile per Banche, Assicurazioni, Enti non commerciali ed Amministrazioni Pubbliche. Le deduzioni dall’imponibile: quadro analitico e casi operativi. Le aliquote e la deduzione piena del costo del lavoro a tempo indeterminato: novità dal 2015. La gestione operativa del raccordo tra Irap e reddito di impresa. Esercitazione: la redazione del modello autonomo di dichiarazione IRAP per le diverse categorie di soggetti passivi

  • IVA

Presupposto soggettivo, oggettivo e territoriale: principi generali ed approfondimenti operativi. Le categorie di operazioni rilevanti ai fini Iva. L’esigibilità dell’imposta: regole generali, deroghe e regime di “cash accounting”. La territorialità per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi Base imponibile, rivalsa e detrazione. Approfondimenti su limiti e rettifiche alla detrazione.

Il tributo negli scambi con i Paesi terzi e nei rapporti interni all’Unione Europea . Le novità dal 2015 nelle transazioni internazionali on line. Adempimenti e obblighi dei contribuenti. La gestione Iva per gli enti non profit. Principali regimi speciali. Esempi di redazione di dichiarazione annuale

Mod. 3 – Pianificazione Fiscale Interna (7 marzo – 5 aprile 2016)
Responsabile Didattico: Prof. Livia Salvini

La nozione di elusione fiscale. Aumenti e riduzioni di capitale: profili contabili, civilistici e tributari. Trasformazioni, fusioni, scorpori e scissioni: profili contabili, civilistici e tributari. Liquidazione di società, fallimento e altre procedure concorsuali: profili civilistici e tributari. La disciplina tributaria di titoli e partecipazioni. Aspetti operativi della participation exemption. Il regime fiscale dei dividendi. L’interpello generale e speciale: oggetto e procedimento

Mod. 4 – Accertamento, contenzioso tributario e diritto penale tributario (6 aprile – 6 maggio 2016)
Responsabile Didattico: Prof. Massimo Basilavecchia

La dichiarazione dei redditi e gli obblighi contabili. Accessi, ispezioni e verifiche. Gli accertamenti bancari. Metodi e tipi di accertamento. Parametri e studi di settore. Partecipazione del contribuente al procedimento. Avviso di accertamento globale, parziale, integrativo ed esecutivo. Motivazione e prova. Strumenti deflattivi del contenzioso. Nuova normativa in materia di riscossione dei tributi erariali e locali. Versamenti delle imposte e compensazioni orizzontali e verticali. Le sanzioni amministrative tributarie. Competenza e composizione delle commissioni tributarie. Rappresentanza e difesa del contribuente. Procedimento di primo grado e la fase del reclamo. Procedimento di secondo grado. Ricorso per Cassazione. Il giudicato. Il giudizio di ottemperanza. Redazione di ricorsi. Il sistema penale tributario. Rapporti tra processo tributario e processo penale. Soggetti e struttura del reato tributario. Contravvenzioni in materia di IVA e di imposte sui redditi. Frode fiscale e falso in bilancio

Mod. 5 – Pianificazione fiscale internazionale (9 maggio – 8 giugno 2016)
Responsabile Didattico: Prof. Giuseppe Melis

Nozione di residenza fiscale di persone fisiche, società ed enti nel diritto interno e convenzionale. Le convenzioni internazionali contro la doppia imposizione: struttura e funzionamento. La nozione di stabile organizzazione e gli effetti sulla determinazione del reddito di impresa. Investimenti all’estero sotto forma di branches o di subsidiaries. Tassazione di dividendi, interessi e royalties. Paradisi fiscali e norme antielusive: Controlled. Foreign Companies, regime di indeducibilità dei costi, transfer price. Voluntary disclosure. Il principio di non discriminazione nelle imposte dirette e indirette. L’armonizzazione delle imposte dirette e indirette e la cd. “concorrenza fiscale”. Fondi di investimento e partnerships. Operazioni societarie transnazionali. Consolidato fiscale mondiale. Il trust. Lo scambio di informazioni tra le autorità fiscali: la cooperazione internazionale contro la frode e l’evasione. Ruling internazionale. Fiscalità doganale


Presidente

Livia Salvini Ordinario di Diritto Tributario LUISS

Direttore del Master

Giuseppe Melis Ordinario di Diritto Tributario LUISS

Advisory Board

  • Fabrizio Amatucci Ordinario di Diritto Tributario, Seconda Università degli Studi di NAPOLI;
  • Nicola Antoniozzi Socio Fondatore Studio Pirola Pennuto Zei & Associati;
  • Claudio Berliri Vice Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani;
  • Eugenio Della Valle Ordinario di Diritto Tributario, SAPIENZA;
  • Valerio Ficari Ordinario di Diritto Tributario, Università di SASSARI;
  • Stefano Fiorentino Ordinario di Diritto Tributario, Università di SALERNO;
  • Massimiliano Longo Docente di Scienze delle Finanze LUISS;
  • Gerardo Longobardi Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma;
  • Fabio Marchetti Associato di Diritto Tributario LUISS;
  • Francesca Mariotti Direttore Area Politiche Fiscali CONFINDUSTRIA
  • Giuseppe Melis Ordinario di Diritto Tributario LUISS;
  • Renzo Parisotto Consulente del gruppo Ubi Banca ;
  • Giovanni Puoti Rettore Università degli Studi Niccolò Cusano;
  • Livia Salvini Ordinario di Diritto Tributario LUISS;
  • Rita Santarelli Presidente VISES Onlus – Federmanager
  • Andrea Silvestri Socio Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo

Docenti intervenuti nelle precedenti edizioni:

Giacomo Albano – Dottore Commercialista, Studio Legale e Tributario Ernst & Young
Paola Albano – Avvocato, Studio Cleary Gottlieb Steen & Hamilton LLP
Fabrizio Amatucci – Ordinario di Diritto Tributario della Seconda Università degli Studi di Napoli
Giuseppe Ascoli – Dottore Commercialista, Adonnino Ascoli e Cavasola Scamoni Studio Tributario
Massimo Basilavecchia – Ordinario di Diritto Tributario dell’ Università degli Studi di Teramo
Fabio Brunelli – Partner Di Tanno e Associati Studio Legale e Tributario
Bruno Ciappina – Ufficio Fiscale Autostrade per l’Italia
Alberto Comelli – Associato di Diritto Tributario dell’Università di Parma
Giuseppe Corasaniti – Associato in Diritto Tributario dell’Università degli Studi di Brescia
Giammarco Cottani – Assistente di Direzione – Direzione Centrale Accertamento – Agenzia delle Entrate
Angelo Cremonese – Dottore Commercialista, Studio Perno, Cremonese, Radice & Cereda
Roberto Cusimano – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Davide De Girolamo – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Vincenzo De Sensi – Docente di Diritto Fallimentare luiss Guido Carli, Avvocato in Roma
Lorenzo Del Federico – Ordinario di Diritto Tributario dell’Università degli Studi di Chieti – Pescara
Gabriele Escalar – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Massimo Fabio – Avvocato, KStudio Associato
Stefano Fiorentino – Ordinario di Diritto Tributario dell’Università di Salerno
Serena Giglio – Avvocato, ACP Studio Consulenza Tributaria (Direttore Responsabile di ECONOMIAeDIRITTO.it)
Claudio Giordano – Avvocato, Studio Legale Macchi di Cellere e Gangemi
Vittorio Giordano – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Fabrizio Iacuitto – Partner, Di Tanno e Associati Studio Legale e Tributario
Antonio Laudati – Sostituto Procuratore Generale Corte di Appello di Roma
Maurizio Lauri – Dottore Commercialista, Studio L4C – Studio Lauri Lombardi Lonardo Carlizzi
Stefano Lizzani – Dottore Commercialista, LT Partners Studio Legale e Tributario
Massimiliano Longo – Docente di Scienza delle Finanze Università LUISS Guido Carli
Luca Longobardi – Dottore Commercialista, Maisto e Associati
Daniele Majorana – Dottore Commercialista e Consulente Fiscale
Fabio Marchetti – Associato di Diritto Tributario Luiss Guido Carli
Giuseppe Marino – Associato di Diritto Tributario dell’Università di Milano
Mario Martinelli – Avvocato, Studio McDermott Will & Emery
Giuseppe Melis – Ordinario di Diritto Tributario LUISS Guido Carli
Rossella Miceli – Ricercatrice di Diritto Tributario dell’Università Sapienza di Roma
Giuseppe Molinaro – Dottore Commercialista, Responsabile Fiscale della Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo
Roberta Moscaroli – Dottore Commercialista, Dla Piper
Alberto Mula – Ricercatore di Diritto Tributario, Università degli Studi Napoli Federico II
Giuseppe Napoli – Dottore Commercialista, Docente di Diritto Tributario LUISS Guido Carli
Giuseppe Nebbia – Avvocato in Campobasso
Annalisa Pace – Professore Aggregato di Diritto Tributario Università di Teramo
Roberto Padova – Avvocato, Studio Pirola, Pennuto Zei & Associati
Alessio Persiani – Avvocato, Studio McDermott Will & Emery
Vania Petrella – Avvocato, Studio Cleary Gottlieb Steen & Hamilton LLP
Franco Petrucci – Consulente Fiscale già Dirigente Assonime
Luca Peverini – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Antonio Piciocchi – Dottore Commercialista, Studio Tributario e Societario Deloitte
Fabio Pirolozzi – Dottore Commercialista, TLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti
Pasquale Pistone – Associato di Diritto Tributario dell’Università di Salerno
Giovanni Puoti – Ordinario di Diritto Tributario dell’Università Sapienza di Roma
Paolo Puri – Associato di Diritto Tributario dell’Università del Sannio S.E.A.
Giulio Ranocchiari – Dottore Commercialista, T&R Studio Associato
Federico Rasi – Avvocato, Dottore di Ricerca in Diritto Tributario
Alberto Renda – Avvocato, KLegal Studio Associato
Domenico Riccio – Coordinatore dell’Area Governo e Riscossione presso Agenzia delle Entrate
Carlo Romano – Avvocato, TLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti
Fabiola Rossi – Dottore Commercialista, Bonelli Erede Pappalardo Studio Legale
Francesco Rossi Ragazzi – Docente di Diritto Tributario Comparato Università di Chieti – Pescara
Eugenio Ruggiero – Dottore Commercialista, Studio Visentini Marchetti e Associati
Massimiliano Russo – Avvocato, LL.M. in Diritto Tributario
Carlo Sallustio – Avvocato, Fantozzi e Associati – Studio Legale Tributario
Livia Salvini – Ordinario di Diritto Tributario LUISS Guido Carli
Alessandro Serena – Ten.Col. t.ST GDF, Direttore responsabile Rivista della Guardia di Finanza
Enrico Siciliano – Dottore Commercialista, Studio Legale e Tributario Siciliano
Andrea Silvestri – Avvocato, Bonelli Erede Pappalardo Studio Legale
Gianni Tarozzi – Dottore Commercialista, T&R Studio Associato
Riccardo Tiscini – Ordinario di Economia Aziendale dell’Universitas Mercatorum
Chiara Todini – Avvocato, Studio Associato Legale Tributario Fondato da F. Gallo
Giuseppe Zizzo – Ordinario di Diritto Tributario dell’Università LIUC di Castellanza


DATA DI INIZIO: 24 ottobre 2016
DURATA: 12 mesi
SELEZIONI: Aperte
LEZIONI: 9.30 – 13.30

QUOTA DI PARTECIPAZIONE

€ 13.000

PROSSIME SELEZIONI

6 ottobre alle 10:00 in sede o alle 14:30 su Skype

CONTATTI

LUISS Business School

Viale Pola, 12 – 00198 Roma
T 06 8522 2327
T 06 8522 2391
T 06 8522 5225
F 06 85 222 400
numero verde 800901194 – 800901195
smluissbs@luiss.it

MILANO BICOCCA

SONO APERTE LE ISCRIZIONI

AI LABORATORI DEL CE.S.E.D. – ANNO 2015

accreditati dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e dalla Guardia di Finanza di Milano

Per informazioni: formazione@economiaediritto.it

Telefono: 02/00681087 (Melillo & Partners)

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LABORATORIO N. 2 

I LABORATORI TRIBUTARI DI ECONOMIAeDIRITTO.it – ANNO 2015

accreditati dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano e dalla Guardia di Finanza

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DALLA VERIFICA FISCALE AL CONTENZIOSO:

Metodologie e Tecniche di Difesa Tributaria

Laboratorio di Tax Risk Management e Gestione delle Controversie Tributarie

Programma analitico

Obiettivi:

Il Corso intende formare una nuova figura professionale che sarà molto richiesta in futuro, quella del Tax Risk & Dispute Manager, che avrà la competenza di mappare e monitorare i rischi fiscali in azienda, implementando un apposito modello, e di gestire eventuali future controversie tributarie atte a difendere gli interessi aziendali, laddove il modello non sia stato in grado di dimostrare la Tax Compliance nei confronti degli Organi di controllo. La formazione della nuova figura avverrà attraverso la (ri)qualificazione e/o la specializzazione di professionisti tradizionali (es., avvocati, commercialisti, consulenti d’azienda, ecc.) e di dipendenti degli uffici fiscali delle imprese (es., CFO, responsabili fiscali, impiegati, ecc.); il Corso è rivolto anche ai funzionari dell’Amministrazione finanziaria (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate) che svolgono (o intendano svolgere) le verifiche fiscali nei confronti delle imprese nazionali e/o multinazionali. Il percorso formativo consente di conoscere le principali tecniche di Tax Governance finalizzate alla Tax Compliance e alla gestione dei rischi fiscali, con particolare attenzione ai rapporti con il Fisco (verifiche fiscali, accertamenti, monitoraggio, ruling, contraddittorio, ecc.). Questo tema è divenuto oggi cruciale (anche alla luce della Delega Fiscale approvata a marzo 2014 e del successivo decreto sulla certezza del diritto, approvato nel 2015) per chi si trova a gestire i rapporti con l’Amministrazione finanziaria e/o ad affrontare una verifica fiscale. In siffatto scenario, i migliori risultati (secondo l’esperienza empirica) giungono sempre da una corretta impostazione delle politiche di Tax Compliance e da una adeguata attività di prevenzione del rischio fiscale, prima ancora del contenzioso tributario. Lo scenario, dunque, è significativamente mutato rispetto a qualche anno fa in quanto oggi (e sempre più in futuro), soprattutto nelle imprese che operano con l’estero, occorre attuare politiche di prevenzione, prendendo in considerazione il contenzioso (incerto, oneroso e defatigante) solo come extrema ratio.

Questo non vuol dire rinunciare all’azione di difesa ma, al contrario, intraprendere la controversia nella maniera più efficace possibile e con i migliori presupposti in fatto e in diritto, certi di non aver lasciato nulla al caso.

Programma:

MODULO I – 23 OTTOBRE 2015 (14:00 – 18:00)

  • Tax Planning & Tax Risk Management:
    • Il concetto di rischio fiscale ed i principi dettati dalla legge delega n. 23/2014
    • Il Tax Risk Assessment dell’Amministrazione finanziaria e l’attribuzione del Tax Risk Score
    • La Tax Compliance e i modelli di trasparenza fiscale
    • La nuova figura del Tax Risk Manager con competenze di contenzioso tributario (Tax Risk & Dispute Manager)
    • Casi e testimonianze
  • La verifica fiscale e i poteri dell’Amministrazione finanziaria:
    • La nozione di verifica
    • La classificazione delle verifiche
    • I periodi d’imposta verificabili
    • La durata della verifica
    • I poteri esercitabili nel corso della verifica
    • I diritti del Contribuente sottoposto a verifica fiscale
    • La prova legale in ambito tributario
    • Le dichiarazioni rese da terzi
    • Il contraddittorio in verifica
    • La partecipazione del Contribuente alle operazioni ispettive e il suo diritto di rilasciare osservazioni e memorie
    • La gestione delle operazioni di chiusura della verifica fiscale
    • Il processo verbale di constatazione
    • Le valutazione del PVC e le possibili azioni difensive successive
    • La verifica delle operazioni aventi rilevanza internazionale (cenni e casi pratici)
    • Casi e testimonianze

MODULO II – 6 NOVEMBRE 2015 (14:00 – 18:00)

  • L’accertamento (parte prima)
    • Le richieste da parte degli uffici finanziari e le sanzioni derivanti dall’inadempimento del Contribuente
    • Le metodologie di accertamento nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili
    • L’accertamento sintetico
    • L’accertamento basato sugli studi di settore
    • L’emissione dell’avviso di accertamento: modalità e presupposti

MODULO III – 13 NOVEMBRE 2015 (14:00 – 18:00)

  • L’accertamento (parte seconda)
    • Gli istituti deflattivi del contenzioso
    • L’accertamento delle operazioni aventi rilevanza internazionale (cenni e casi pratici)
    • La scelta: adesione o ricorso?
    • Casi e testimonianze

MODULO IV – 20 NOVEMBRE 2015 (14:00 – 18:00)

  • Il Contenzioso:
    • Il ricorso tributario di I° e II° grado: strumenti di difesa del Contribuente sotto il profilo procedurale e nel merito
    • La mediazione-reclamo in ambito tributario
    • L’utilizzo della consulenza tecnica nel contenzioso tributario
    • La conciliazione giudiziale
    • Il ricorso per revoca
    • Il ricorso per Cassazione
    • Le ultime novità sul processo tributario telematico

MODULO V – 27 NOVEMBRE 2015 (14:00 – 18:00)

  • Case History: simulazione in aula di un processo tributario basato su un caso reale.
    • Esame e commento del pvc (con eventuale coinvolgimento dei verificatori della Guardia di Finanza presenti in aula)
    • Esame e commento dell’avviso di accertamento (con eventuale coinvolgimento dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate presenti in aula)
    • Esame e commento degli atti del processo tributario (a cura del Prof. Avv. Paolo Brecciaroli, già Giudice Tributario presso le Commissioni della Lombardia; è stato Giudice nel famoso processo tributario a carico della multinazionale “Philip Morris“, accusata di avere stabili organizzazioni occulte in Italia)

Il programma potrebbe subire modifiche e/o integrazioni in ragione di eventuali esigenze didattiche o organizzative.

Accreditamenti ottenuti:

  • Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano: 20 Crediti Formativi Professionali (CFP) riconosciuti agli iscritti (4 CFP per ciascun modulo);
  • Comando Regionale Guardia di Finanza Lombardia: Corso accreditato per l’aggiornamento professionale di 10 Funzionari dei Reparti operativi (es. Nucleo di Polizia Tributaria di Milano);

 

Date degli incontri:

  • 23/10/2015 (Tax Risk Management e Verifica fiscale)
  • 06/11/2015 (Accertamento – parte prima)
  • 13/11/2015 (Accertamento – parte seconda)
  • 20/11/2015 (Contenzioso – procedura)
  • 27/11/2015 (Simulazione di un processo tributario – a cura del Giudice tributario, Avv. Paolo Brecciaroli di Milano)

Sede del Corso: MILANO, Via Santa Maria Valle, 3 – c/o Regus Center.

Referente Accademico:

  • Claudio Sacchetto, Avvocato Tributarista, Professore Emerito di Diritto Tributario dell’Università degli Studi di Torino, Membro dei Comitati Scientifici delle principali Riviste scientifiche di Diritto Tributario nazionale, europeo e internazionale, Autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria, Docente e relatore in convegni, seminari e corsi nelle principali università e istituzioni del mondo.

Direzione Scientifica:

  • Claudio Melillo, Dottore Commercialista in Legnano e Milano, Dottore di Ricerca in Diritto Tributario, membro della Commissione Fiscalità Internazionale dell’ODCEC di Milano, Autore di numerose pubblicazioni, Docente in seminari, convegni e corsi tenuti presso università italiane ed estere nonché presso le scuole di formazione dell’Amministrazione finanziaria, Direttore editoriale della Rivista online ECONOMIAeDIRITTO.it;

 

Docenti e relatori (in ordine alfabetico):

  • Paolo Brecciaroli, Avvocato Tributarista e Dottore Commercialista, già Giudice Tributario presso le Commissioni Tributarie della Lombardia, Membro della Commissione Contenzioso dell’ODCEC di Milano, Pubblicista e Docente in corsi e convegni in materia tributaria in Italia e all’Estero;
  • Marco Cardillo, Funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Torino, Autore di alcune pubblicazioni in materia tributaria su ECONOMIAeDIRITTO.it;
  • Raffaele Caso, Avvocato Tributarista in Milano, Melillo & Partners Studio Legale Tributario, Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D.;
  • Serena Giglio, Avvocato Tributarista in Roma, Direttore Responsabile della Rivista online ECONOMIAeDIRITTO.it;
  • Cesare Maragoni, Colonnello t. SFP, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia;
  • Claudio Melillo, Dottore Commercialista e Tributarista in Legnano e Milano, Esperto di Tax Risk Management, Melillo & Partners Studio Legale Tributario, Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D., Dottore di Ricerca in Diritto Tributario, membro della Commissione Fiscalità Internazionale dell’ODCEC di Milano;
  • Ernestina Pollarolo, Avvocato Tributarista in Alessandria e Torino, già Giudice tributario per circa 23 anni presso le Commissioni Tributarie del Piemonte;
  • Camillo Sacchetto, Avvocato in Alessandria, Docente di diritto tributario telematico dell’Università degli Studi di Torino, Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D.;
  • Sergio Sottocasa Biani, Avvocato Tributarista in Milano, Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D.;
  • Altri relatori provenienti dall’Agenzia delle Entrate.

Ulteriori informazioni:

Il presente intervento formativo, articolato in 5 incontri pomeridiani di 4 ore ciascuno, per un totale di 20 ore, è strutturato come un vero e proprio Laboratorio (analogamente agli altri eventi formativi del Ce.S.E.D.) e mira al trasferimento di know-how da parte dei docenti e relatori nei confronti di discenti (professionisti, managers, funzionari del Fisco, imprenditori, praticanti, laureati, ecc.) interessati a conoscere strumenti e modalità operative di gestione del rischio fiscale e delle controversie aventi natura tributaria: dalla tax governance alle verifiche fiscali (ed eventuali indagini penal-tributarie correlate) e dagli accertamenti tributari fino al contenzioso.

Il Laboratorio ha contenuto prevalentemente pratico e costituisce un momento di crescita e di confronto costruttivo tra professionalità simili ma aventi ruoli differenti e talvolta contrapposti (es. professionisti e funzionari del Fisco). L’approfondimento delle tematiche oggetto dei singoli Moduli, infatti, è divenuta cruciale per chi si trovi ad affrontare una verifica fiscale, sia dal punto di vista della Pubblica Amministrazione che dal punto di vista del Contribuente.

Naturalmente, l’obiettivo principale del Laboratorio rimane quello di approfondire le metodologie e le tecniche difensive adottabili dal Contribuente in sede di verifica, accertamento e contenzioso, tenendo conto che i migliori risultati (secondo l’esperienza) giungono da una corretta impostazione dell’attività di difesa tributaria preventiva (i.e., Tax Risk Management) e da un utilizzo razionale ed equilibrato del contenzioso tributario (che, oggi più che mai, deve essere considerato sempre come extrema ratio, nell’interesse del Contribuente).

Contributo di iscrizione: 150,00 Euro (75,00 Euro Soci Ce.S.E.D.).

Per associarsi al Ce.S.E.D. e avere diritto alla riduzione del 50% è sufficiente seguire le indicazioni riportate nella seguente pagina web:

https://www.economiaediritto.it/centro-studi/aderisci-al-ce-s-e-d/

COME ISCRIVERSI AL CORSO O AD UN SINGOLO MODULO?

Scarica il Modulo di iscrizione entro il 26 novembre 2015 (data dell’ultimo modulo)!

Il pagamento del contributo d’iscrizione di 150,00 euro per la partecipazione al LABORATORIO TRIBUTARIO (RIF. TR&DM) o, in alternativa, ad un singolo modulo di proprio interesse e deve essere eseguito tramite bonifico bancario sul conto corrente intestato a “Centro Studi di Economia e Diritto” (IBAN: IT32 X031 5801 600C C102 2001 078) inserendo come causale: “Iscrizione al Corso TR&DM“.

Dopo aver effettuato il bonifico è sufficiente inviare una e-mail all’indirizzo formazione@economiaediritto.it con la richiesta di partecipazione al LABORATORIO DI TR&DM, allegando la ricevuta del bonifico bancario.

Coloro che intendono avere la riduzione del 50% sul contributo di iscrizione devono aderire al Ce.S.E.D. in qualità di Soci, seguendo le indicazioni riportate al seguente link:

DIVENTA SOCIO CESED

Gli appartenenti all’Amministrazione finanziaria (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate) che si iscriveranno al Ce.S.E.D. come Soci Ordinari Persone Fisiche, versando la quota minima di euro 100,00, avranno diritto a partecipare gratuitamente a tutte le iniziative di Alta Formazione, sia in presenza che on line (senza alcuna limitazione).

Dal 2015 il Ce.S.E.D., in collaborazione con il Comando Regionale della Guardia di Finanza della Lombardia, offre fino a 10 posti GRATUITI per la formazione professionale di altrettanti funzionari e/o dirigenti in servizio presso i principali Reparti della Lombardia.


LABORATORIO N. 1 (concluso in data 15 ottobre 2015)

STRUMENTI OPERATIVI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PMI

Programma analitico

SEMINARIO N. 1: Come affrontare i mercati esteri

Obiettivi:

Le opportunità offerte dalla internazionalizzazione sono una risorsa cruciale per il raggiungimento degli obiettivi di business e per l’incremento del fatturato aziendale. Il seminario fornisce una serie di strumenti operativi per affrontare i mercati esteri in maniera efficace, aiutando l’impresa ad individuare le corrette strategie di marketing e ad orientare al meglio le proprie risorse ed investimenti.

Programma:

  • Il sistema delle strategie aziendali;
  • Strategie di sviluppo e strategie competitive;
  • I percorsi d’internazionalizzazione delle imprese;
  • Le diverse forme di internazionalizzazione;
  • Gli elementi che influenzano le strategie di sviluppo internazionale;
  • Analisi competitiva e strategie di internazionalizzazione;
  • Selezione e analisi dei mercati esteri;
  • Modalità di entrata nei mercati esteri;
  • Business planning per l’internazionalizzazione;
  • Le leve di marketing.

SEMINARIO N. 2: Come gestire l’assetto organizzativo

Obiettivi:

Nessuna impresa può fare a meno di organizzare le proprie risorse se intende raggiungere i propri obiettivi. Avviare un progetto di internazionalizzazione richiede un’attenta analisi delle funzioni e dei processi aziendali coinvolti nonché, spesso, una riorganizzazione del modello di business e una modifica della mentalità. Il seminario fornisce gli strumenti operativi indispensabili per gestire il cambiamento organizzativo e adottare una corretta struttura finanziaria in vista dei nuovi traguardi.

Programma:

  • I motivi per l’internazionalizzazione;
  • Le strategie più adatte per operare sui mercati internazionali;
  • Global niche, networking e neoregionalismo;
  • Strategie organizzative e modelli di management;
  • Scenari e variabili per la definizione delle strategie di impresa;
  • Strategia di globalizzazione e strategia (multi) domestica;
  • L’Internazionalizzazione delle imprese: il modello a stadi;
  • L’integrazione informativa a supporto della strategia di internazionalizzazione;
  • Grado e forme di internazionalizzazione;
  • Modelli di strutture per l’internazionalizzazione;
  • La produzione delocalizzata;
  • Il global sourcing e la virtual enterprise;
  • Le soluzioni organizzative per lo sviluppo internazionale;
  • Modelli organizzativi di imprese internazionali;
  • Il nuovo ruolo della Tesoreria nella strategia aziendale;
  • Un uso strategico delle risorse finanziarie per l’internazionalizzazione;
  • Il cash pooling;
  • La Payment Factory;
  • L’House Banking;
  • Analisi dei modelli operativi bancari in un contesto internazionale;
  • Overview dei servizi offerti da SACE;
  • Overview dei servizi offerti da SIMEST;
  • Cenni su altre forme di finanziamento disponibili.

SEMINARIO N. 3: I programmi europei come percorso privilegiato

Obiettivi:

Prendendo spunto dai finanziamenti a sostegno dell’internazionalizzazione offerti a livello Nazionale e Regionale, il corso fornisce una panoramica completa degli strumenti finanziari e di finanziamento dedicati dall’Unione Europea alle PMI. Il corso offre ai partecipanti una mappa esaustiva di riferimenti e strumenti che consentirà agli stessi di orientarsi in modo autonomo nella ricerca delle soluzioni più adeguate alla proprie esigenze di internazionalizzazione e ricerca di nuove opportunità.

Programma:

  • Dati di contesto: il livello di internazionalizzazione delle PMI, fattori agevolanti e barrieranti, benefici per le PMI;
  • Accenni alle opportunità, ai soggetti erogatori e alle modalità di accesso ai finanziamenti per l’internazionalizzazione a livello Nazionale e Regionale (Regione Lombardia);
  • Presentazione del Portale della Comunità Europea dedicato alle PMI;
  • Panoramica delle principali opportunità di finanziamento per le PMI europee:
    • Programmi tematici e modalità di accesso (es: COSME o HORIZON 2020);
    • Sostegni indiretti all’internazionalizzazione;
  • Servizi di supporto: agenzie europee e nazionali;
  • Case study: dall’idea allo sviluppo di progetto – comprendere l’articolazione di un bando, i formulari e i criteri di valutazione; utilizzare le banche date dei progetti e dei partner; il proprio ruolo nel progetto; strutturare il progetto in wp e deliverables; il budget; l’invio e il sistema di finanziamento e rendicontazione.

SEMINARIO N. 4: Come gestire gli aspetti legali e contrattuali

Obiettivi:

Per affrontare i mercati esteri e interagire con soggetti ubicati al di là dei confini nazionali occorre conoscere in dettaglio gli aspetti legali e contrattuali delle singole operazioni. Il seminario fornisce una serie di spunti operativi per approfondire tali aspetti e per attuare una politica di internazionalizzazione consapevole ed efficace.

Programma:

  • Mercati globali e sistemi giuridici;
  • I contratti internazionali e la legge applicabile;
  • La forma del contratto;
  • La lingua del contratto;
  • La conclusione del contratto: tempi e formalità;
  • I modi di soluzione delle controversie:
    1. l’arbitrato;
    2. la giurisdizione ordinaria;
  • Il riconoscimento delle decisioni straniere;
  • I contratti tra investitori e Stati e le problematiche connesse;

SEMINARIO N. 5: Come gestire la variabile fiscale

Obiettivi:

Nelle operazioni di internazionalizzazione la variabile fiscale rappresenta un elemento critico e, come tale, meritevole di particolare attenzione. Alla luce del quadro normativo assai complesso e mutevole, infatti, le imprese devono attuare un’attenta politica di Tax Governance e Tax Risk Management finalizzata al raggiungimento della Tax Compliance. Il seminario fornisce una serie di suggerimenti operativi per ridurre i rischi fiscali e far fronte in maniera efficace a tutte le problematiche fiscali delle operazioni aventi rilevanza internazionale.

Programma:

  • Gli indirizzi operativi dell’Amministrazione finanziaria in materia di contrasto dell’evasione ed elusione fiscale internazionale;
  • I rischi fiscali derivanti dall’internazionalizzazione;
  • La residenza fiscale (delle persone fisiche e giuridiche) e l’esterovestizione;
  • La stabile organizzazione (personale e materiale);
  • Il transfer pricing ed il concetto di “arm’s length price”;
  • I paradisi fiscali e la disciplina delle controlled foreign companies (CFC);
  • Le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (Modello OCSE);
  • Le verifiche fiscali dell’Amministrazione finanziaria;
  • Base Erosion and Profit Shifting (BEPS);
  • Tax Governance e modelli di International Tax Compliance;
  • La risoluzione delle controversie internazionali (MAP, ecc.);
  • Gli aspetti penal-tributari delle operazioni internazionali.

Il programma potrebbe subire modifiche e/o integrazioni in ragione di eventuali esigenze didattiche o organizzative.

Accreditamenti ottenuti:

  • Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano: 20 Crediti Formativi Professionali (CFP) riconosciuti agli iscritti (4 CFP per ciascun modulo);
  • Guardia di Finanza: Corso accreditato dal Comando Regionale Lombardia per l’aggiornamento professionale di 10 Funzionari dei Reparti operativi (es. Nucleo di Polizia Tributaria di Milano).

 

Date degli incontri:

  • 18/09/2015, orario 14:00-18:00 (Aspetti strategici e commerciali) – Dott. Roberto Bottiroli, consulente aziendale, Dott. Valerio Vicenzetto e Dott.ssa Anna Barbieri, MAP SpA.
  • 25/09/2015 orario 14:00-18:00 (Aspetti organizzativi) – Ing. Giancarlo Poggi, consulente aziendale, già Partner di Accenture SpA.
  • 02/10/2015 orario 14:00-18:00 (Aspetti finanziari) – Prof. Giorgio Beltrami, docente dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
  • 09/10/2015 orario 14:00-18:00 (Aspetti contrattuali) – Avv. Anna Pozzato, civilista esperta di contrattualistica internazionale.
  • 15/10/2015 orario 14:00-18:00 (Aspetti fiscali) – Dott. Claudio Melillo, dottore commercialista, tributarista e dottore di ricerca in diritto tributario.

Ospiti: Dott. Roberto Bottiroli, consulente aziendale; Avv. Raffaele Caso, fiscalista internazionale; Avv. Sergio Sottocasa Biani (in attesa di conferma).

Sede del Corso: Via Santa Maria Valle, 3 – c/o Regus Center.

Docenti e relatori:

  1. Claudio Melillo, Dottore Commercialista in Legnano e Milano e Dottore di Ricerca in Diritto Tributario;
  2. Giorgio Beltrami, Docente a contratto presso l’Università di Milano Bicocca;
  3. Giancarlo Poggi, Consulente aziendale, già Partner di Accenture SpA;
  4. Roberto Bottiroli, Consulente aziendale;
  5. Anna Pozzato, Avvocato civilista esperta di contratti internazionali e infragruppo;
  6. Valerio Vicenzetto, Presidente del CdA della Società MAP S.p.A. (in attesa di conferma);
  7. Anna Barbieri Venturi, Responsabile commerciale della Società MAP S.p.A. (in attesa di conferma);
  8. Lidia Komjanc, Esperta in operazioni di internazionalizzazione nei Paesi balcanici (in attesa di conferma);
  9. Raffaele Caso, Avvocato Tributarista in Milano;
  10. Col. t. SFP Cesare Maragoni, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia;
  11. Marco Cardillo, Funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Torino (in attesa di conferma);
  12. Sergio Sottocasa Biani, Avvocato Tributarista in Milano (in attesa di conferma).

Ulteriori informazioni:

Il presente intervento formativo, articolato in 5 incontri pomeridiani di 4 ore ciascuno, per un totale di 20 ore, è strutturato come un vero e proprio laboratorio (analogamente agli altri eventi formativi del Ce.S.E.D.) e mira al trasferimento di know-how da parte dei docenti e relatori nei confronti di discenti (professionisti, managers, funzionari del Fisco, imprenditori, praticanti, ecc.) interessati a conoscere strumenti e modalità operative di gestione delle operazioni di internazionalizzazione delle PMI.

Il corso ha contenuto prevalentemente pratico e costituisce un momento di crescita e di confronto costruttivo tra i docenti e i discenti, destinato a proseguire anche dopo il Corso, grazie all’attività di networking sviluppata dal Centro Studi.

Contributo (simbolico) di iscrizione: 150,00 Euro (75,00 Euro Soci Ce.S.E.D.).

PER ISCRIVERSI AL CORSO:

Scaricare il Modulo di iscrizione.

Il pagamento del contributo d’iscrizione al Corso n. 1 deve essere eseguito tramite bonifico bancario sul conto corrente intestato a “Centro Studi di Economia e Diritto” (IBAN: IT32 X031 5801 600C C102 2001 078) inserendo come causale: “Iscrizione al Corso n. 1“.

Dopo aver effettuato il bonifico è sufficiente inviare una e-mail all’indirizzo formazione@economiaediritto.it con la richiesta di partecipazione al Corso n. 1, allegando la ricevuta del bonifico bancario.

Coloro che intendono avere la riduzione del 50% sul contributo di iscrizione devono aderire al Ce.S.E.D. in qualità di Soci, seguendo le indicazioni riportate al seguente link:

DIVENTA SOCIO CESED

Gli appartenenti all’Amministrazione finanziaria (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate) che si iscriveranno al Ce.S.E.D. come Soci Ordinari Persone Fisiche, versando la quota minima di euro 100,00, avranno diritto a partecipare gratuitamente a tutte le iniziative di Alta Formazione, sia in presenza che on line (senza alcuna limitazione).

Dal 2015 il Ce.S.E.D., in collaborazione con il Comando Regionale della Guardia di Finanza della Lombardia, offre fino a 10 posti GRATUITI per la formazione professionale di altrettanti funzionari e/o dirigenti in servizio presso i principali Reparti della Lombardia.

TAX LAB 2015

CORSI ACCREDITATI DALL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI MILANO – ANNO 2015:

Il Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D., in collaborazione con Melillo & Partners Studio Legale Tributario, avvia i “Laboratori di Economia & Diritto”, una serie di workshop formativi, a numero chiuso, pensati per stimolare l’interesse dei discenti (professionisti, imprenditori, manager, funzionari pubblici, laureati, ecc.) a partecipare a sessioni di studio fondate sull’esperienza, oltre che sulla teoria.

Durante i “Laboratori di Economia & Diritto” qualificati docenti metteranno la loro pluriennale esperienza al servizio dei partecipanti, affinché questi possano accrescere con facilità il loro bagaglio di competenze teorico-pratiche.

Nell’ambito dei “Laboratori di Economia & Diritto” rientra il Tax L@b 2015: Laboratorio di Fiscalità Internazionale, corso di alta formazione accreditato dall’ODCEC di Milano con il riconoscimento di 20 CFP, unitamente al quale, su richiesta, è possibile attivare ulteriori incontri di approfondimento in aula, orientati a rispondere a specifiche esigenze di problem solving (anche su proposta di ciascun partecipante).

  • TAX LAB 2015 (EVENTO ACCREDITATO DALL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DI MILANO PER 20 CFP) – PROGRAMMA – BROCHURE E MODULO DI ISCRIZIONE:
    • Rappresentante del Comitato Scientifico di E&D:
      • Prof. Avv. Claudio Sacchetto (Professore emerito di Diritto Tributario dell’Università di Torino).
    • Direttore Scientifico e Coordinatore del Corso:
      • Dott. Claudio Melillo, Dottore Commercialista in Milano (www.melilloandpartners.it) e Dottore di Ricerca in Diritto Tributario presso la Seconda Università di Napoli (www.claudiomelillo.it).
    • Relatori e Ospiti:
      • Dott. Luigi Busoni, Tax Manager Gruppo IKEA Italia;
      • Dott. Gianluca D’Aula, Tax Manager Gruppo ILLY Caffè (in attesa di conferma);
      • Avv. Sergio Sottocasa Biani, Tributarista in Milano;
      • Dott. Alessio Rombolotti, Analista di transfer pricing, Melillo & Partners Studio Legale Tributario;
      • Avv. Massimiliano Sammarco, Tributarista in Roma;
      • Dott. Marco Cardillo, Funzionario tributario presso l’Agenzia delle Entrate (in attesa di conferma);
      • Col. t. SFP Cesare Maragoni, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia;
      • Avv. Serena Giglio, Tributarista in Roma, Direttore Responsabile di ECONOMIAeDIRITTO.it;
      • Avv. Claudia Marinozzi, Tributarista in Milano, (in attesa di conferma).

gli eventi sono organizzati in collaborazione con:

La sede dei corsi per i Professionisti è Milano, Via Santa Maria Valle 3. I posti disponibili sono 65.

Tutti gli eventi sono stati accreditati dall’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano. Ai partecipanti verrà rilasciato apposito attestato ai fini del riconoscimento dei CFP.

La sede dei Corsi è Milano, Via Santa Maria Valle, 3.

Informazioni e prenotazioni:

Melillo & Partners Studio Legale Tributario

Via Santa Maria Valle, 3 – 20123 MILANO

Telefono: (+39) 02 00681087

E-mail: formazionecontinua@economiaediritto.it

ALTRI EVENTI SVOLTI NEL 2015:

  1. Arriva il Tax Risk Manager in azienda_Worskshop del 7 maggio 2015
  2. Digital innovation Social Communication_Workshop del 3 giugno 2015

*****

Sei interessato a sponsorizzare i nostri eventi formativi?

A fronte di un contributo a copertura parziale degli oneri organizzativi, Ti offriamo la possibilità di partecipare come relatore ad uno o più eventi nonché di effettuare uno speech di presentazione della Tua organizzazione e di esporre materiale promozionale durante gli eventi.

Per i dettagli contattaci all’indirizzo partnership@economiaediritto.it.

Finanziamenti

FONDI EUROPEI GESTITI DIRETTAMENTE DALL’EUROPA

> Ambiente, Azione per il Clima, Green economy (2)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Progettazione, pianificazione e conduzione di una valutazione delle esercitazioni per i moduli della protezione civile, le équipe di assistenza tecnica e di sostegno e le équipe della protezione civile dell’Unione europa (ECHO/B1/SER/2014/09).

  • Scadenza 9 febbraio 2015 NEW.

Call for application – Presentazione candidature: Premio europeo Natura 2000

  • Scadenza 21 gennaio 2015

> Audiovisivi, Cinema, Media (9)

Call for Proposals – Sovvenzioni: Sostegno alla programmazione televisiva di opere audiovisive europee (EACEA 24/2014)

  • Scadenza 13 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Sostegno allo sviluppo di pacchetti di progetti (slate funding) (EACEA 18/2014)

  • Scadenza 5 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Sostegno allo sviluppo di singoli progetti (EACEA 17/2014)

  • Scadenza 15 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Sostegno alla programmazione televisiva di opere audiovisive europee (EACEA 24/2014)

  • Scadenze 13 gennaio 2015; 28 maggio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Invito a presentare le proposte. Sostegno all’accesso ai mercati (EAC/S29/2014)

  • Scadenza 22 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Europa Creativa – Sottoprogramma Media. Sostegno alla distribuzione di film europei non nazionali – Sistema Agenti di vendita (EAC/S21/2013)

  • Scadenza 1 marzo 2016 (Reinvestimenti)

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Europa Creativa – Sottoprogramma Media. Sostegno alla distribuzione di film europei non nazionali – Sistema Cinema Automatic (EAC/S28/2013)

  • Scadenza 31 luglio 2015 (Reinvestimenti)

Eurimages: Fondo del Consiglio d’Europa a sostegno della coproduzione, distribuzione, sfruttamento e digitalizzazione di opere cinematografiche europee

  • Scadenza 15 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Sostegno alla distribuzione transnazionale dei film europei – Sistema di sostegno «agente di vendita» 2013 (EACEA/07/13)

  • Scadenza 2 marzo 2015 (reinvestimento fondo potenziale)

> Cooperazione con Paesi terzi (9)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Assistenza tecnica per l’integrazione della sostenibilità ambientale, compresi la biodiversità, il cambiamento climatico e la riduzione del rischio di catastrofi (EuropeAid/136473/DH/SER/Multi)

  • Scadenza 19 febbraio 2015 NEW

Call for proposals – Sovvenzione: Verso un futuro libero dalla violenza domestica nei Paesi dei Caraibi orientali e Barbados (EuropeAid/136243/DH/ACT/Multi)

  • Scadenza 28 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Servizi di assistenza tecnica internazionale per il progetto ADESEP (EuropeAid/136417/DH/SER/Multi)

  • Scadenza 16 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Creazione di un Meccanismo europeo per i difensori dei diritti umani (EuropeAid/136316/DH/ACT/Multi)

  • Scadenza 12 marzo 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Sostegno agli attori regionali impegnati nella tutela dei diritti umani negli Stati africani (EuropeAid/136394/DD/OPR/OUA)

  • Scadenza 2 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Switch Asia II – Promozione di modelli e abitudini di consumo e di produzione sostenibili (EuropeAid/136362/DH/ACT/Multi)

  • Scadenza 9 febbraio 2015

Call for proposals – Sovvenzione: Rinforzare il ruolo della società civile nella promozione dei diritti dell’uomo e delle riforme democratiche – Algeria (EuropeAid/136240/DD/ACT/DZ)

  • Scadenza 25 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Supporto tecnico all’attuazione e alla gestione di programmi di cooperazione transfrontaliera dello strumento europeo di vicinato (EuropeAid/136274/DH/SER/Multi)

  • Scadenza 12 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Bando Twinning in Internet. “Rafforzare le capacità dei servizi dell’Infrastruttura Nazionale di Qualità (INQ) e la Valutazione di Qualità (VQ) nella Repubblica di Serbia (EuropeAid/136447/IH/ACT/RS)

  • Scadenza 12 gennaio 2015

> Cultura, Turismo, Cittadinanza (7)

Call for Application – Presentazione candidature: Designazione della Capitale europea della cultura per il 2021 (EAC/A03/2014)

  • Scadenza 23 ottobre 2015 NEW

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Europa per i Cittadini. Asse 1 – Memoria Europea. Asse 2 – Impegno democratico e partecipazione civica (Gemellaggi di città, Reti di città, Progetti della società civile)

  • Scadenza 2 marzo 2015

Call for Application – Presentazione candidature: Premio europeo Carlo Magno della gioventù 2015

  • Scadenza 2 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Europa Creativa – Sottoprogramma Cultura. Supporto alle piattaforme europee (EACEA 47/2014)

  • Scadenza 25 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Europa Creativa – Sottoprogramma Cultura. Progetti di traduzione letteraria (EACEA 46/2014)

  • Scadenza 4 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Facilitare i flussi turistici transnazionali per gli anziani e i giovani nella bassa e media stagione (COS-TFLOWS-2014-3-15)

  • Scadenza 15 gennaio 2015

Premio Internazionale sull’Innovazione Culturale

  • Scadenza 5 febbraio 2015

> Energia, Efficienza energetica, Energie rinnovabili, Reti Trans-europee TEN-E (1)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Sostegno alle attività principali della piattaforma tecnologica europea sul riscaldamento e il raffreddamento rinnovabili (PP-2041/2014)

  • Scadenza 2 marzo 2015 NEW

> Giustizia, Sicurezza, Lotta alla violenza, Lotta alla droga, Diritti, Immigrazione (15)

Call for Proposals – Sovvenzione: Sostegno a progetti che promuovono l’indipendenza economica paritaria tra donne e uomini (JUST/2014/RGEN/AG/GEND)

  • Scadenza 31 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Contratto quadro per servizi tecnici e di supporto nel settore della sicurezza legata agli eventi chimici, biologici, radiologici/nucleari ed esplosivi (CBRNE) (HOME/2014/ISFP/PR/CBRN/0025)

  • Scadenza 28 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Crimini finanziari ed economici, corruzione e crimini ambientali (HOME/2014/ISFP/AG/EFCE)

  • Scadenza 30 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Prevenzione della radicalizzazione, del terrorismo e dell’estremismo violento (HOME/2014/ISFP/AG/RADX)

  • Scadenza 29 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Azioni di finanziamento volte a sostenere progetti transnazionali nell’ambito delle politiche comunitarie sulle droghe (JUST/2014/JDRU/AG/DRUG)

  • Scadenza 20 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Sviluppo di una piattaforma digitale per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili (MGF) (JUST/2014/RPPI/AG/FGMU)

  • Scadenza 8 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Daphne – Progetti nazionali o transnazionali per il sostegno alle vittime di violenza e di reato (JUST/2014/SPOB/AG/VICT)

  • Scadenza 10 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Daphne – Progetti transnazionali legati ai bambini vittime del bullismo (JUST/2014/RDAP/AG/BULL)

  • Scadenza 10 marzo 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Lotta contro la criminalità informatica e gli abusi sessuali su minori (HOME/2014/ISFP/AG/CYBR)

  • Scadenza 16 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Scambio di informazioni ai fini dell’applicazione della legge (HOME/2014/ISFP/AG/LAWX)

  • Scadenza 14 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Azioni di sostegno ai progetti nazionali e internazionali volti a promuovere la cittadinanza dell’Unione Europea (JUST/2014/RCIT/AG/CITI)

  • Scadenza 4 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Progetti internazionali per rafforzare la capacità dei professionisti che operano nella tutela dei diritti minorili (JUST/2014/RCHI/AG/PROF)

  • Scadenza 15 gennaio 2015

> Imprese, PMI, Industria, Competitività, Start-up, Reti e cluster (20)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Promozione delle competenze di «e-leadership» in Europa (EASME/COSME/2014/013)

  • Scadenza 18 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio relativo all’eventuale duplice uso delle tecnologie abilitanti fondamentali (EASME/COSME/2014/019)

  • Scadenza 16 febbraio 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Sviluppo e attuazione di un quadro europeo per la professione nel settore delle TIC (EASME/COSME/2014/012)

  • Scadenza 11 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio sull’adeguatezza della regolamentazione del quadro legislativo che disciplina la gestione dei rischi delle sostanze chimiche (escluse procedure REACH), in particolare il regolamento CLP e la legislazione pertinente (375/PP/ENT/IMA/14/11917)

  • Scadenza 6 febbraio 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio relativo alla fattibilità di alternative ai rating del credito e allo stato del mercato dei rating del credito (MARKT/2014/257/F)

  • Scadenza 25 febbraio 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Sostegno della cooperazione internazionale tra le reti di imprese e di cluster attraverso l’ulteriore sviluppo della piattaforma europea di collaborazione tra cluster (EASME/COSME/2014/023)

  • Scadenza 13 febbraio 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di Servizi: Organizzazione di eventi tra paesi terzi e Unione europea durante l’esposizione universale di Milano 2015 (424/PP/ENT/SME/14/F/S608)

  • Scadenza 19 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Settore europeo delle calzature: oltre la moda – Campagna di sensibilizzazione (EASME/COSME/2014/021)

  • Scadenza 2 febbraio 2015

Call fo Proposals – Sovvenzione: Enterprise Europe Network – secondo bando (COS-EEN-2014-2-04)

  • Scadenza 29 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Quadro di valutazione relativo all’attrattività degli investimenti esteri diretti (IED) — studio in particolare sugli investimenti internazionali e sulla competitività per migliorare le catene di approvvigionamento transfrontaliere/intrafrontaliere nell’UE (EASME/EASME/COSME/2014/016)

  • Scadenza 28 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Prove interlaboratorio di fibre tessili, compresi test e servizi connessi per l’analisi tecnica della fibra «poliacrilato» (423/PP/ENT/IMA/14/1131)

  • Scadenza 12 febbraio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio per l’assistenza tecnica concernente la progettazione ecocompatibile per il gruppo di prodotti DG ENTR lotto 9 (419/PP/ENT/IMA/14/11931A)

  • Scadenza 9 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio sulle miscele di detergenti pericolose contenute in imballaggi solubili monouso (406/PP/ENT/IMA/14/119429)

  • Scadenza 23 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Programma COSME. Analisi dei fattori guida, degli ostacoli e dei fattori di disponibilità delle imprese dell’Unione europea per l’adozione di prodotti e tecnologie di fabbricazione avanzata (EASME/COSME/2014/014)

  • Scadenza 14 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Facilitare l’accesso al regolamento per Sistemi Aerei leggeri Pilotati Remotamente (COS-RPAS-2014-2-03)

  • Scadenza 18 febbraio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Prestazione di servizi di valutazione alla Commissione europea nel settore del commercio (TRADE/2014/01/01)

  • Scadenza 16 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio di sostegno per il controllo dell’adeguatezza nel settore dell’edilizia (408/PP/ENT/SME/14/A/N307C)

  • Scadenza 23 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon 2020, Strumento PMI (SME Instrument)

  • Fase I, Scadenze: 18 marzo 2015; 17 giugno 2015; 17 settembre 2015; 16 dicembre 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Progetti EuroTransBio per progetti di ricerca applicata e di sviluppo sperimentale caratterizzati da eccellenza e innovatività

  • Scadenza 30 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Facilitare i flussi turistici transnazionali per gli anziani e i giovani nella bassa e media stagione (COS-TFLOWS-2014-3-15)

  • Scadenza 15 gennaio 2015

> Istruzione, Formazione, Giovani, Sport (5)

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Erasmus+, Azione chiave 3: Supporto per la riforma delle politiche — Iniziative per l’innovazione delle politiche. Sperimentazione delle politiche nel settore dell’educazione scolastica (EACEA/30/2014)

  • Scadenza 20 marzo 2015 Pre-proposte (eForm) NEW

Call for Proposals – Sovvenzioni: Programma Erasmus+. Azione chiave 3: Sostegno alle riforme delle politiche — Iniziative emergenti. Progetti europei di cooperazione lungimiranti nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù (EACEA/33/2014)

  • Scadenza 24 febbraio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio sulla comparabilità delle prove linguistiche in Europa (EAC/45/2014)

  • Scadenza 21 gennaio 2015

Premio per la scuola 2014/2015: Inventiamo una banconota. Per le scuole primarie, secondarie di primo e di secondo grado

  • Scadenza 2 marzo 2015: termine per la presentazione dei progetti

 

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Erasmus+. Invito a presentare proposte 2015 (EAC/A04/2014)

  • Azione chiave 1, Scadenze: 4 febbraio 2015; 4 marzo 2015; 30 aprile 2015; 1 ottobre 2015; 4 marzo 2015; 3 aprile 2015

> Pesca, Ricerca marina e marittima (6)

Call for Proposals – Sovvenzione: Migliorare l’interoperabilità negli Stati membri per rafforzare la condivisione di informazioni nell’ambito della sorveglianza marittima (MARE/2014/26)

  • Scadenza 31 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio sulle migliori pratiche internazionali per la pianificazione dello spazio marittimo transfrontaliero (MARE/2014/40)

  • Scadenza 31 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Networking a sostegno della rete delle zone di pesca europee 2014–2020 — Unità di sostegno FARNET (MARE/2014/29)

  • Scadenza 9 febbraio 2015 NEW

Call for Proposals – Sovvenzione: Rafforzare la cooperazione regionale nella raccolta di dati nel settore della pesca (MARE/2014/19)

  • Scadenza 15 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Appalto per la prestazione di servizi a sostegno del monitoraggio e della valutazione della pesca e dell’acquacoltura nell’ambito di EMFF 2014–2020 — FAME (MARE/2014/02)

  • Scadenza 9 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Guardiani del mare (MARE/2014/24)

  • Scadenza 9 gennaio 2015

> Politica regionale e urbana (1)

Call for application – Presentazione candidature: Regiostars 2015 – Premio per i progetti europei più interessanti e innovativi nel contesto dello sviluppo regionale

  • Scadenza 28 febbraio 2015

> Protezione sociale, Lavoro e Mobilità, Integrazione, Cittadinanza (3)

Call for Proposals – Sovvenzione: Creazione di una rete sulla qualità e sui costi/benefici nell’assistenza a lungo termine e nella prevenzione della dipendenza (VP/2014/010)

  • Scadenza 31 marzo 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Sostegno a favore dell’istituzione di una «piattaforma a livello UE per agevolare la costituzione di un partenariato transnazionale, scambio di esperienze, sviluppo delle capacità e networking, e capitalizzazione e diffusione dei risultati pertinenti» (VT/2014/011)

  • Scadenza 5 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Programma Europa per i Cittadini. Asse 1 – Memoria Europea. Asse 2 – Impegno democratico e partecipazione civica (Gemellaggi di città, Reti di città, Progetti della società civile)

  • Scadenza 2 marzo 2015

> Reti di comunicazione, Internet, Information Technology (2)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Servizi di gestione di media online e social media (4 lotti) (COMM/DG/AWD/2014/389)

  • Scadenza 12 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: FIWARE Accelerator Programme – Settore Smart cities.Inviti a presentare proposte SOUL-FI (Startups Optimizing Urban Life with Future Internet)

  • Scadenza 26 giugno 2015

> Ricerca e Innovazione (20)

Call for Proposals – Sovvenzione: Programma Eurostars a supporto dei progetti di ricerca delle PMI che sviluppano prodotti, processi e servizi innovativi per guadagnare vantaggio competitivo a livello internazionale

  • Scadenza 5 marzo 2015 NEW

Call for Proposals – Sovvenzioni: EraNetMed – Invito a presentare proposte di ricerca sulle Energie Rinnovabili, le Risorse idriche e le connessioni tra loro per la Regione del Mediterraneo. Energie rinnovabili ed efficienza energetica (JC-ENERGY-2014); gestione delle risorse idriche (JC-WATER-2014); nesso energia-acqua (JC-NEXUS-2014)

  • Scadenza 2 febbraio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Progetti EuroTransBio per progetti di ricerca applicata e di sviluppo sperimentale caratterizzati da eccellenza e innovatività

  • Scadenza 30 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: CHIST-ERA. Invito a presentare proposte per progetti di ricerca 2014

  • Scadenza 13 gennaio 2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Azioni trasversali. Programma Scienza con e per la società

  • Scadenza 16 settembre 2015: H2020-GARRI-2015-1

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Eccellenza Scientifica. Programma Tecnologie emergenti e future (FET)

  • Scadenza 25 novembre 2014: H2020-FETHPC-2014

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Eccellenza Scientifica. Programma Infrastrutture di ricerca europee (comprese le infrastrutture digitali)

  • Scadenza 14 gennaio 2015: H2020-EINFRA-2015-1

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Eccellenza Scientifica. Programma Azioni Marie Sklodowska Curie per competenze, formazione e sviluppo della carriera (MSCA)

  • Scadenza 13 gennaio 2015: H2020-MSCA-ITN-2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Eccellenza Scientifica. Programma Consiglio Europeo per la Ricerca (CER)

  • Scadenza 5 febbraio 2015: ERC-2015-PoC

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Leadership Industriale. Programma Innovazione nelle PMI

  • Scadenza 16 dicembre 2015: H2020-SMEINST-2-2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Leadership Industriale. Programma Accesso alla Finanza di Rischio

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 Pilastro Leadership Industriale. Programma Tecnologia Spaziale

  • 17 novembre 2014: H2020-PROTEC-2015

Call for Proposals – Sovvenzioni: Horizon2020 – Pilastro Leadership Industriale. Programma Nanotecnologie, materiali avanzati, biotecnologie e manifattura e processi avanzati

  • Scadenza 09 dicembre 2014: H2020-EeB-2015
  • 09 dicembre 2014: H2020-FoF-2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Società sicure

  • Scadenza 21 aprile 2015: H2020-DS-2015-1 NEW

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Società inclusive, innovative e riflessive

  • Scadenza 28 maggio 2015: H2020-INT-INCO-2015
  • 28 maggio 2015: H2020-INT-SOCIETY-2015

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Azione per il clima, efficienza delle risorse e materie prime

  • Scadenza 21 aprile 2015: H2020-SC5-2015-one-stage

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon 2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Trasporti intelligenti, verdi e integrati

  • Scadenza 15 ottobre 2015: H2020-GV-2015

Call for Proposals – Sovvezione: Horizon 2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Energia sicura, pulita ed efficiente

  • Scadenze
    • 3 marzo 2015: H2020-LCE-2015-1
    • 3 marzo 2015: H2020-LCE-2015-2
    • 3 marzo 2015: H2020-LCE-2015-3
    • 3 marzo 2015: H2020-LCE-2015-4

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon2020 – Pilastro Sfide per la Società. Programma Sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima nonché bioeconomia

  • Scadenze varie

Call for Proposals – Sovvenzione: Horizon 2020 – Pilastro Sfide per la società. Programma Salute, cambiamento demografico e benessere

  • Scadenze varie

> Trasporti e Mobilità, Reti trans-europee TEN-T (3)

Call for Tenders – Appalto di servizi: Gestione dell’Osservatorio europeo per i carburanti alternativi (MOVE/C1/2014-797/2015-67)

  • Scadenza 12 marzo 2015 NEW

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio di valutazione sull’applicazione della direttiva 2011/82/UE intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale

  • Scadenza 12 gennaio 2015

Call for Tenders – Appalto di servizi: Studio sull’autorizzazione e sulla promozione della preparazione dei progetti principali della rete transeuropea di trasporto (TEN-T), in particolare dei progetti riguardanti le vie d’acqua e dei progetti transfrontalieri (MOVE/B3/2014-751)

  • Scadenza 11 febbraio 2015

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FONDI EUROPEI GESTITI DALLE REGIONI ITALIANE

E FONDI NAZIONALI/REGIONALI

 

> Fondazione Unipolis – Progetti d’innovazione culturale e sociale (1)

Bando della Fondazione Unipolis: Culturability – spazi d’innovazione sociale

  • Scadenza 28 febbraio 2015

> Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) (3)

Bando Smart&Start Italia: Sostegno alla nascita e alla crescita delle start-up innovative in tutto il territorio nazionale

  • Domande a partire dal 16 febbraio 2015

Bando per la concessione di agevolazioni alle imprese per la valorizzazione dei disegni e modelli

  • Scadenza fino ad esaurimento delle risorse

MISE: Strumento agevolativo beni strumentali (“Nuova Sabatini”)

  • Aperto

> Regione Campania (1)

Avviso pubblico – Bando ‘Sportello per l’innovazione’. Interventi a favore delle PMI e degli organismi di ricerca.

  • Procedura a sportello

> Regione Emilia Romagna (4)

Bando Start up innovative 2014, per piccole imprese costituite dopo l’1 gennaio 2011

  • Scadenza 31 marzo 2015

Ingenium Emilia-Romagna II – Il fondo di investimento per le imprese innovative. Por Fesr 2007-2013, Asse 2, Attività II.1.3 – Fondo di capitale di rischio per le piccole e medie imprese innovative

  • Scadenza 31 dicembre 2015

Fondo rotativo di finanza agevolata per la green economy: Programma Por Fesr 2007-2013, Asse 3 Qualificazione energetico ambientale e sviluppo sostenibile – Agevolazioni per piccole e medie imprese

  • Fino ad esaurimento delle risorse

Avviso pubblico: Riconoscimento danni e concessione contributi in relazione a eventi alluvionali e trombe d’aria. Concessione di contributi alle imprese interessate

  • Scadenza 28 febbraio 2015

> Regione Lazio (11)

Fondo per il Microcredito (L.R. 10/06)

  • aperto

Fondo di Garanzia CCIAA di Roma

  • aperto

FONDO POR I.3 Lazio – Interventi nel capitale di rischio delle imprese. Bando per PMI industriali o di servizi che vogliono avviare programmi di sviluppo tecnologico e innovativo

  • Scadenza 15 maggio 2015 (per le PMI)

Fondo di Garanzia a favore delle PMI interessate dai Programmi Locali di Sviluppo Urbano (P.L.U.S.)

  • aperto

Fondo di Garanzia Spettacolo, Cultura, Editoria e Sport

  • aperto

Fondo per la nascita e lo sviluppo di Start-up innovative sul territorio del Lazio (art. 6 L.R. 13/2013)

  • dal 20 novembre 2014 fino ad esaurimento delle risorse disponibili

Avviso pubblico per la presentazione di progetti coerenti con il tema di EXPO MILANO 2015 ‘Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita’

  • a partire dalle ore 9.00 del 10 novembre 2014 e per i successivi 30 giorni

Bando POR FESR Lazio 2007- 2013: Horizon2020 Misure per favorire l’accesso ai Programmi dell’Unione Europea per il finanziamento della ricerca, dell’innovazione e della competitività

  • Scadenza 31 gennaio 2015

Bando Accesso al credito Lazio – Far crescere il patrimonio delle piccole e medie imprese

  • bando di prossima apertura

Bando Innovazione e Reti d’impresa Lazio – Fondo ‘Capitale di rischio’. Una partnership pubblico-privato per le imprese innovative

  • 15 maggio 2015 o fino a esaurimento delle risorse

Bando Start up Lazio. Fondo per prestiti partecipativi alle start up

  • 31 gennaio 2015 o fino a esaurimento delle risorse

> Regione Lombardia (6)

Avviso Pubblico per la selezione di progetti pilota finalizzati alla prevenzione e alla lotta contro la dispersione scolastica

  • Scadenza 16 gennaio 2015

Bando ricerca e innovazione e contributi per i processi di brevettazione. Edizione 2014

  • Scadenza 25 marzo 2015

Bando per individuare le migliori start up lombarde nei settori collegati al tema EXPO ‘Feeding the planet, Energy for life’ (Start up per Expo)

  • Scadenza 16 gennaio 2015

Bando Lombardia Concreta – Contributi al credito per le imprese del turismo e dell’accoglienza

  • Fino ad esaurimento delle risorse

Bando voucher per l’internazionalizzazione delle micro, piccole e medie imprese lombarde 2014

  • Scadenza 30 gennaio 2015

Avviso pubblico: Azioni di rete per il lavoro, rivolte a gruppi di lavoratori coinvolti in processi di crisi o in cerca di occupazione

  • Scadenza 31 dicembre 2015

> Regione Marche (2)

Avviso pubblico: Sostegno a progetti integrati di sviluppo delle PMI in fase di ricambio generazionale

  • Bando a sportello

Bando Regione Marche: Fondo di Ingegneria Finanziaria della Regione Marche – “Concessione di un Finanziamento agevolato per le Imprese del Comparto Culturale della Regione Marche”

  • Fino ad esaurimento delle risorse finanziarie

> Regione Piemonte (9)

Contributi per l’acquisto, installazione ed attivazione di parabole e modem per la connessione ad internet via satellite, in zone rurali

  • Bando a sportello

Agevolazioni agli investimenti innovativi delle Piccole e Medie Imprese per impianti di proiezione cinematografica digitale: impianti digitali, reti, audio e risparmio energetico

  • Bando a sportello

Agevolazioni per le PMI a sostegno di progetti ed investimenti per l’innovazione,la sostenibilità ambientale e la sicurezza nei luoghi di lavoro – Edizione 2014 (Bando Pmi 2014)

  • Bando a sportello

Strumenti finanziari a sostegno delle nuove imprese nate dai servizi forniti dagli sportelli provinciali per la creazione d’impresa (art. 42. l.r. 34/2008 e s.m.i.)

  • Bando a sportello

Agevolazioni per le micro e le piccole imprese a sostegno di progetti ed investimenti per l’innovazione dei processi produttivi – Edizione 2014 (Bando Micro 2014)

  • Bando a sportello

Interventi per la nascita e lo sviluppo del “lavoro autonomo” (art. 42. l.r. 34/2008 e s.m.i.)

  • Bando a sportello

Interventi per la nascita e lo sviluppo di “creazione d’impresa” (art. 42. l.r. 34/2008 e s.m.i.)

  • Bando a sportello

Bando regionale per la realizzazione di interventi volti a promuovere l’occupabilità di cittadini di paesi terzi in condizione di disagio occupazionale

  • Bando a sportello

Accesso alle agevolazioni per studi di fattibilità tecnica preliminari ad attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale riservate ai soggetti aggregati ai Poli di Innovazione – Bando Studi di fattibilità 2014

  • Scadenza 27 febbraio 2015

> Regione Puglia (1)

Avviso per la presentazione delle istanze di finanziamento per la realizzazione di progetti di promozione internazionale, volti alla penetrazione commerciale ed alla collaborazione industriale, a favore delle reti per ’internazionalizzazione, costituite da P.M.I. pugliesi

  • Scadenza 31 gennaio 2015

> Regione Sardegna (5)

Avviso pubblico: Servizi per l’innovazione. Sostegno alla realizzazione di idee e progetti di innovazione delle imprese

  • Scadenza 30 novembre 2015

IV Avviso per la selezione di progetti da ammettere al finanziamento del “fondo microcredito FSE”. POR FSE 2007-2013 Asse II occupabilità. Asse III inclusione sociale

  • Fino ad esaurimento delle risorse

Borse “Generazione Faber” – Secondo bando per l’assegnazione di borse di sperimentazione da spendere presso il FabLab di Sardegna Ricerche

  • fino ad esaurimento della dotazione finanziaria

Avviso Pubblico: Servizi ICT per il turismo. Bando per la presentazione delle domande di aiuti

  • Scadenza 31 marzo 2015

Bando Pubblico “Microincentivi per l’innovazione e la fabbricazione digitale”. Incentivi per la competitività delle piccole e medie imprese

  • Scadenza 31 gennaio 2015

> Regione Toscana (7)

Fondo di Garanzia per i giovani professionisti e le professioni

  • aperto (data inizio presentazione: 15 novembre 2014)

Bando FAS SALUTE 2014 – Sostegno alla realizzazione di progetti di ricerca in materia di qualità della vita, la salute dell’uomo, biomedicale, l’inustria dei farmaci innovativi

  • Scadenza 30 gennaio 2015

Bando FAR-FAS 2014 per il finanziamento di progetti di ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale realizzati congiuntamente da imprese e organismi di ricerca in materia di nuove tecnologie del settore energetico, fotonica, ICT, robotica e altre tecnologie abilitanti connesse

  • Scadenza 23 gennaio 2015

Fondo di Garanzia, Sezione 3 – Sostegno all’imprenditoria giovanile, femminile e dei lavoratori già destinatari di ammortizzatori sociali” (L.R. 21/2008)

  • aperto

Bando FAR-FAS 2014: Nuove tecnologie del settore energetico, con particolare riferimento al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili

  • Scadenza 23 gennaio 2015

Bando contenente le disposizioni tecniche e procedurali per l’attuazione della Misura C.2.2. “Sostegno alle attività di valorizzazione dell’ambiente e della fauna di interesse regionale” Azione a) “iniziative e attività di monitoraggio faunistico di interesse regionale in materia faunistico venatoria”

  • ventesimo giorno dalla pubblicazione sul B.U.R.T. n.41 parte III del 15 ottobre

Avviso pubblico per la concessione di incentivi a favore delle imprese di informazione (sostegno alle assunzioni)

  • Fino ad esaurimento delle risorse

> Regione Umbria (1)

Bando per il finanziamento di interventi volti all’innalzamento degli standard di qualità, nella ricettività alberghiera, extralberghiera e all’aria aperta

  • Scadenza 11 febbraio 2015

> Regione Veneto (3)

Bando Mettiti in moto! Neet vs Yeet – Le opportunità per i giovani in Veneto

  • Scadenza 30 giugno 2015

Bando per la concessione di contributi alle PMI per l’accesso ai servizi digitali in modalità cloud computing. POR 2007-2013 Parte FESR, Asse 4 – Linea di intervento 4.1. – Azione 4.1.3.

  • Scadenza 31 dicembre 2015

Avviso pubblico: Programma Operativo Regionale 2007-2013, Parte FESR. Asse 2. Energia – Linea di intervento 2.1. “Produzione di energia da08/01/2015 fondi rinnovabili ed efficienza energetica”. Azione 2.1.3 – Fondo di rotazione e contributi in conto capitale per investimenti realizzati da PMI e finalizzati al contenimento dei consumi energetici

  • Scadenza 30 giugno 2015

L’associazione temporanea di imprese è una particolare forma di collaborazione, temporanea e limitata, tra due o più imprese, con il fine di realizzare il lavoro, il servizio o l’oggetto dell’appalto [i].

Le origini di tale tipologia di cooperazione tra imprese, vista la mancanza di specifici interventi eteronomi almeno sino alla seconda metà del ‘900, si rinvengono nell’autonomia privata. Con l’intensificarsi degli scambi economici, le realtà imprenditoriali e societarie manifestarono un interesse sempre più impellente a sviluppare nuove forme di collaborazione, proprio per far fronte proprio a tali nuovi contesti economici [ii].

Casi di simili collaborazioni tra imprese hanno trovato terreno fertile negli ordinamenti di common law, a cui spesso hanno volto lo sguardo i sistemi di civil law con l’intento di rinvenire una risposta soddisfacente alle esigenze scaturenti dall’autonomia privata. Emblematica figura in tal senso è la joint venture [iii].

In Italia, inizialmente fu la Suprema Corte di Cassazione a cercare di delineare i contorni del fenomeno associativo temporaneo tra imprese [iv]. La prima sentenza in cui i Giudici della Cassazione si pronunciarono in merito a questa forma di collaborazione temporanea fu la n. 342 del 16 febbraio 1963 [v]. Tale decisione deve essere considerata leading case poiché, per la prima volta, si collocò il predetto fenomeno associativo al di fuori degli schemi tipizzati dal Codice Civile, evidenziandone proprio il carattere dell’atipicità.

In seguito, la larga diffusione nella prassi commerciale di varie tipologie di accordi temporanei tra imprese, l’approvazione in seno alla giurisprudenza della legittimità di tali accordi nonché l’emanazione della normativa comunitaria [vi], resero obbligatorio l’intervento da parte del legislatore italiano con una specifica disciplina della materia.

Le norme che recarono per la prima volta una disciplina dell’associazione temporanea di imprese nell’ordinamento italiano furono quelle di cui agli articoli 20 – 23 della Legge 8 agosto 1977 n. 584.

Questi i tratti fondamentali dell’istituto come delineati dal legislatore del ‘77: fu ammessa la partecipazione alle gare pubbliche da parte delle associazioni temporanee di imprese (art. 20, comma 1); venne previsto un regime di responsabilità solidale delle imprese raggruppate nei confronti della stazione appaltante (art. 21, comma 4); il rapporto contrattuale tra le imprese fu inquadrato nello schema del mandato (art. 22).

Dunque, il legislatore diede formalmente ingresso all’associazione temporanea di imprese nell’ordinamento italiano, preoccupandosi soprattutto di disciplinare la procedura di partecipazione delle imprese raggruppate alle gare pubbliche nonché di stabilire il regime di responsabilità nei confronti della stazione appaltante. Emerge quindi che obiettivo primario del legislatore fu quello di tutelare l’interesse della committente pubblica.

Tale impianto normativo ha subito nel corso degli anni molteplici modifiche [vii] fino a confluire oggi nel Codice degli Appalti pubblici del 2023 (D.lgs. n. 36/2023), il quale, sebbene abbia apportato notevoli cambiamenti nella disciplina, ha mantenuto inalterati i tratti fondanti di tale istituto [viii].

NOTE

[i] Cianflone-Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, XIV° ed., Giuffre Francis Lefebvre, Tomo I, 2019, 530.

[ii] F.L. Vercellino, Associazione temporanea d’impresa, in Digesto comm., Aggiornamento, 2003, 59, l’autrice approfondisce diffusamente le necessità che hanno comportato il ricorso a collaborazioni tra imprese di vario genere nei tempi moderni.

[iii] G. Di Rosa, L’associazione temporanea di imprese – il contratto di joint venture, Giuffre Francis Lefebvre, 1998, 7 e ss., l’autore afferma che con l’espressione joint venture si indica quel fenomeno giuridico per il quale alcune imprese si accordano per lo svolgimento di un comune affare, la cui primaria finalità è quella di offrire una “opportunità di integrare risorse complementari per la realizzazione di obiettivi di comune interesse”. Quindi, con il termine joint venture si individuano “le varie e diverse forme di associazione temporanea tra due o più imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di comune interesse”, la cui fonte si rinviene addirittura nella prassi commerciale inglese del primo Medioevo.

[iv] G. A. Ferretti, I raggruppamenti di imprese per la partecipazione agli appalti di opere pubbliche, cit., fa notare che già nel 1935 il Tribunale di Trieste si ritrovò a giudicare un caso in cui due imprenditori individuali si erano accordati con contratto innominato per svolgere l’esecuzione congiunta di alcuni appalti che avevano assunto per contro proprio, dividendo anche gli utili e le perdite.

[v] Cass. Civ., Sez. I, 16 febbraio 1963, n. 342, in Foro It., 1963, 1990 e ss.

[vi] Cfr. l’art. 21 della direttiva CEE 26 luglio 1971, n. 71/305, il quale così statuiva “I raggruppamenti d’imprenditori sono autorizzati a presentare un’offerta, La trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non può essere richiesta per la presentazione dell’offerta, ma il raggruppamento prescelto può essere obbligato a effettuare tale trasformazione qualora l’appalto gli venga aggiudicato.

[vii] Di seguito gli interventi legislativi di maggiore importanza: Legge n. 109 dell’11 febbraio 1994 (c.d. Legge Merloni); D.Lgs. n. 163/2006 (c.d. Codice degli Appalti del 2006); D.Lgs. n. 50/2016 (Codice degli Appalti del 2016).

[viii] Per un disamina circa il nuovo Codice degli appalti si veda: Cons. Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dellarticolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante Delega al Governo in materia di contratti pubblici”, Relazione agli articoli e agli allegati, in www.giustizia-amministrativa.it; G. Vercillo, Riflessioni intorno alle ragioni e agli obiettivi della nuova riforma dei contratti pubblici, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1, 2023, 229.

In macroeconomia per indicare il Pil, ovvero il prodotto interno lordo di un Paese, si utilizza spesso la seguente espressione matematica:

Y =  C + I + G + X – I

Dove:

Y = Reddito Nazionale prodotto (Pil)

C = Consumi aggregati

I = Investimenti aggregati delle imprese

G = Spesa pubblica

X = Esportazioni

I = Importazioni

I consumi e gli investimenti riguardano soprattutto famiglie e imprese. I consumi dipendono dal livello di reddito a disposizione. Se, ipoteticamente, una famiglia disponesse di un maggior reddito, la spesa per consumi tenderebbe a crescere. Lo stesso ragionamento può essere applicato per uno Stato: qualora il Pil aumentasse (ovvero ciò che nella formula precedente abbiamo indicato con Y), i consumi, nel nostro sistema economico di riferimento, aumenterebbero di conseguenza.

E’ facile comprendere, infatti, come durante una fase di espansione economica, i consumi crescano, mentre durante una recessione, a causa del minor reddito a disposizione dei consumatori, la spesa in consumi diminuisca.

Gli investimenti in nuovo capitale da parte delle imprese, invece, dipendono negativamente dal tasso d’interesse1. Se il tasso d’interesse dovesse diminuire, verosimilmente associato ad una politica monetaria espansiva, gli investimenti da parte delle imprese tenderebbero ad aumentare e, viceversa, se fossimo in presenza di tassi d’interesse crescenti, associati dunque ad una politica monetaria restrittiva, gli imprenditori auspicabilmente ridurranno i loro investimenti in capitale fisico, dato il maggior costo di finanziamento ad essi associato.

La spesa pubblica, la terza componente riportata precedentemente, rappresenta la domanda per beni e servizi esercitata dal settore pubblico.

Lo Stato, come ogni azienda privata, dispone di un suo bilancio, caratterizzato da entrate e spese. Le entrate statali, per la quota maggiore, corrispondono alle imposte e alle tasse versate direttamente dai contribuenti. La spesa pubblica, invece, si può suddividere in due tipologie differenti:

  1. Spesa per investimenti;
  2. Spesa pubblica corrente.

La spesa pubblica per investimenti riguarda l’ammontare di liquidità stanziato dallo Stato per finanziare opere di investimento come ponti, autostrade, reti ferroviarie ecc., che possano essere una misura di volano economico per il Paese.

La spesa pubblica corrente riguarda la spesa sostenuta dallo Stato per garantire pensioni, stipendi ai dipendenti pubblici, onorare il servizio del debito ecc..2

Se lo Stato dovesse registrare un incremento della spesa rispetto alle entrate, allora parleremmo di disavanzo di bilancio (anche identificato come deficit). Mentre se l’imposizione fiscale fosse superiore alla spesa pubblica si registrerà un avanzo di bilancio (anche noto come surplus).

Bilancio dello Stato: Entrate – Uscite

Entrate > Uscite: Avanzo di Bilancio

Entrate < Uscite: Deficit di Bilancio

Se uno Stato sperimentasse un deficit di bilancio, affinché possa recuperare la liquidità mancante, dovrà inasprire l’imposizione fiscale o emettere obbligazioni, incrementando così il suo debito pubblico.

Il debito pubblico è dato dalla somma di tutti i deficit di bilancio dello Stato moltiplicati per il servizio del debito, ovvero il tasso medio d’interesse applicato allo stock di debito in essere.

In formule matematiche potremmo scrivere:

ΔB = (G – T) + rB

In cui:

ΔB = Variazione dell’ammontare di debito pubblico.

(G – T) = Se positivo (ovvero se G > T) parliamo di deficit di bilancio, mentre se negativo (ovvero G < T) registriamo un avanzo di bilancio.

r = tasso d’interesse medio sul debito pubblico.

B = Stock esistente di debito pubblico.

Ciò che è importante da ricordare, nell’analisi economica, non è tanto l’ammontare assoluto del debito pubblico, quanto la sua sostenibilità. Un debito è sostenibile qualora lo Stato riesca a onorarlo nel tempo, impedendone una crescita duratura in futuro.

Gli economisti sono soliti misurare il debito pubblico di uno Stato in rapporto al Pil (Rapporto debito/Pil). Se tale rapporto fosse elevato, lo Stato si troverebbe lungo un sentiero di insostenibilità, ed è bene perciò che il rapporto sia il più contenuto possibile.

In termini matematici:

Indichiamo con i il tasso di interesse reale applicato al debito pubblico mentre con g il tasso di crescita reale dell’economia.

Se i>g, il debito pubblico dello Stato è su un sentiero di insostenibilità finanziaria, mentre qualora i<g, il debito pubblico dello Stato si dimostrerebbe essere insostenibile.

E’ bene anche ricordare come l’inflazione, nel breve periodo, tenda a ridurre il rapporto Debito/Pil dal momento che, gonfiando il Pil, contribuirà a far calare il denominatore. Nel lungo periodo, però, quando lo Stato dovrà rinnovare i titoli giunti a scadenza, per far fronte alla maggior inflazione e incorporare così le richieste degli investitori, dovrà corrispondere maggiori interessi sui titoli obbligazionari.

Tornando all’equazione che lega il Pil alle varie variabili macroeconomiche, ci manca adesso analizzare le ultime due variabili: X e I.

Uno Stato, oltre a produrre internamente beni e servizi, può anche esportare all’estero parte della sua produzione o importare da altri Stati prodotti e materie prime. Se uno Stato importasse più beni e servizi di quelli che effettivamente esporta, sperimenterà un disavanzo commerciale mentre, nel caso opposto, sarà in una posizione di avanzo commerciale.

La presenza di un disavanzo commerciale fa si che lo Stato necessiti di valuta estera per acquisire beni e servizi al di fuori dei confini domestici; dunque vedrà un aumento del suo debito estero. Ciò rappresenta sicuramente un problema per il Paese dal momento che, indebitandosi con il resto del mondo, vedrà fluire valuta verso l’estero.

Pensiamo al caso Stati Uniti e Cina per comprendere meglio la questione. Gli Stati Uniti, sin dagli anni ‘70, vivono ampiamente al di sopra delle proprie possibilità produttive ed economiche.

Il 15 agosto 1971, il presidente degli Stati Uniti d’America, Richard Nixon3, in diretta televisiva, annunciò alla nazione, e al mondo intero, la fine del regime di Bretton Woods. Il sistema monetario, definito con gli accordi di Bretton Woods, prevedeva che ogni Paese potesse convertire la propria valuta dapprima in $ e successivamente in oro. Gli Stati Uniti erano, e continuano ad essere tutt’oggi, i leader del sistema finanziario mondiale. Essi, durante il periodo del gold exchange standard, garantivano la convertibilità del dollaro attraverso le riserve auree. Una volta cessato tale accordo le valute, come le conosciamo oggi, non sono più garantite da alcun matallo prezioso (come oro o argento), ma dalle autorità di politica monetaria. Parliamo, infatti, di moneta fiduciaria o anche detta “fiat money”, dal momento che il valore nominale della valuta deve essere accettato da tutti i soggetti economici, nonostante il suo valore economico reale non corrisponda con ciò che effettivamente è riportato sulla banconota (valore nominale).

Come detto precedentemente, gli Stati Uniti hanno un ampio disavanzo commerciale con il resto del mondo, soprattutto con la Cina, e ciò gli consente di importare molti più beni e servizi di quanto effettivamente non riescano ad esportare, garantendo così, ai cittadini americani, un livello di benessere ben superiore a quelle che risultano essere le reali capacità produttive dell’economia. La Cina, al contrario, così come la Germania in Europa, è un’economia che ha adottato un modello di crescita incentrato sulla teoria growth‐led export, ovvero tramite politiche mercantilistiche che puntano tutto sulle esportazioni. La Cina, infatti, è leader nella produzione di input e semilavorati, indispensabili nella catena globale del valore, a basso costo e ciò le conferisce una posizione di vantaggio assoluto nello scenario internazionale.

Gli Stati Uniti, perciò, consumando più di quello che effettivamente producono internamente (ciò che gli economisti definiscono assorbimento interno), hanno bisogno di reperire valuta estera per poter completare tali transazioni. Ciò non fa altro che sorgere un debito nei confronti dell’estero che, prima o poi, inevitabilmente dovrà essere saldato. Gli Stati Uniti, per importare beni e servizi dalla Cina, avranno bisogno di reperire yuan cinesi e perciò, nei mercati finanziari, venderanno dollari in cambio di renmimbi cinesi. Esulando le transazioni che riguardano le altre valute, e focalizzando la nostra attenzione esclusivamente sui rapporti commerciali Usa-Cina, nel caso in cui le importazioni superino le esportazioni, il dollaro americano tenderà a deprezzarsi nei confronti del renmimbi cinese e, nel lungo periodo, ciò favorirà le esportazioni affinché il saldo della bilancia dei pagamenti possa tornare in equilibrio. Nel lungo periodo, qualora la bilancia dei pagamenti e i disequilibri nella bilancia commerciale non vengano saldati, ciò potrebbe condurre anche al default dello Stato, dal momento che si troverebbe in una situazione di indebitamento (privato e pubblico) insostenibile, non disponendo della liquidità per poter saldare tali debiti.

Il caso americano, nonostante un debito e un disavanzo pubblico preoccupanti, non desta particolare preoccupazione tra gli economisti, nonostante i moniti più volte evidenziati riguardo la necessità di intraprendere un graduale percorso di riduzione del disavanzo commerciale.

Lo stesso Donald Trump, negli anni della sua presidenza, intraprese una vera e propria guerra commerciale con la Cina, imponendo dazi a molti prodotti affinché si contenessero le importazioni di tali beni e si stimolasse la produzione interna.4

Gli Usa, nonostante qualsiasi altro paese avrebbe dichiarato insolvenza qualora fosse in una situazione macroeconomica simile, godono del cosiddetto privilegio esorbitante. Tale privilegio consiste nel fatto che il dollaro rappresenta la valuta di riserva internazionale per eccellenza. La maggior parte delle riserve delle Banche centrali mondiali sono caratterizzate da titoli di stato americani (treasury bills), in quanto il dollaro americano gode, da parte dei mercati finanziari, di fiducia e stabilità.

La Cina e tutti i partner commerciali, perciò, sono ben contenti di poter vendere i loro prodotti agli Stati Uniti in quanto, ricevendo in cambio dollari, si assicurano una valuta di riserva accettata a livello internazionale. Lo stesso discorso non vale per paesi economicamente deboli come l’Argentina che, dati persistenti disavanzi commerciali, ha sperimentato forti deprezzamenti del pesos e ha dovuto ricorrere a prestiti da parte delle principali istituzioni finanziarie (come il Fondo Monetario Internazionale) per riequilibrare la bilancia dei pagamenti.5

La Cina è, ad esempio, il principale detentore di titoli di stato americani. Vendendo prodotti agli Stati Uniti ottiene in cambio dollari, i quali vengono investiti in titoli di stato americani e, sostanzialmente, ritornano nelle casse federali statunitensi.

Gli Usa riescono così a finanziarsi autonomamente, data la posizione di leader ricoperta a livello internazionale, e ciò garantisce sostenibilità al debito pubblico e alla bilancia dei pagamenti.

L’elemento chiave, nella teoria economica, è perciò rappresentato dalla fiducia. Gli Stati Uniti dispongono di questo incredibile privilegio poiché il dollaro è, da sempre, simbolo di stabilità ed è sinonimo di un’economia forte, in salute e resiliente.

Questo privilegio cesserà quando, a livello mondiale, assisteremo a un nuovo ordine mondiale nella geopolitica internazionale e finanziaria. Sin quando il dollaro rimarrà la valuta chiave del sistema finanziario mondiale gli Usa continueranno a godere di tale vantaggio. Negli ultimi anni alcune valute, come lo yuan cinese, stanno provando a insediare il dollaro americano e, nonostante molte autorità di politica monetaria inizino a considerare tale valuta come fonte di riserva, la strada per insediare e spodestare il dollaro è ancora lunga.

Il futuro ci rivelerà cosa succederà; al momento la posizione degli Stati Uniti, come guardiani del mondo, è indiscutibile.

Note a piè di pagina:

1 Consideriamo, per una maggiore chiarezza espositiva, il tasso d’interesse riguardante le decisioni di politica monetaria da parte della Banca Centrale.

2 Tali spese è bene che siano monitorate attentamente da parte delle autorità di politica fiscale e monetaria.

3 Richard Nixon è stato il 37° presidente degli Stati Uniti d’America, accusato di impeachment durante lo scandalo Watergate.

4 Le politiche economiche protezionistiche hanno l’obiettivo si stimolare la produzione interna riducendo le importazioni dal resto del mondo per riequilibrare gli squilibri nella bilancia dei pagamenti. I dazi, ad esempio, fanno si che i prodotti esteri, oltre al loro prezzo di mercato, vedano un incremento di prezzo pari al dazio imposto. In questo modo lo Stato, attraverso tale politica economica, vuole condizionare le scelte dei consumatori e indirizzarli verso i prodotti domestici.

5 Le principali istituzioni finanziarie mondiali come il Fondo Monetario Internazionale e il Meccanismo Europeo di Stabilità (anche noto come MES), concedono prestiti e finanziamenti ti a Stati in difficoltà macroeconomica prevedendo però delle condizionalità particolarmente stringenti. Tali condizionalità prevedono che i Paesi membri debbano contenere la spesa pubblica, inasprire l’imposizione fiscale e ad attuare importanti riforme strutturali del sistema economico-sociale. In questo modo, gli Stati comprenderanno che chiedere finanziamenti ha una componente molto onerosa e solamente riordinando gli squilibri nella finanza pubblica, in futuro, potranno garantire un’economia resiliente.

Il salario minimo è il salario sufficiente secondo la Costituzione.

Una Repubblica democratica fondata sul lavoro (articolo 1 della Cost.), è fondata sul lavoro se dà a chi lavora anche un’adeguata retribuzione.

L’attività economica Non può svolgersi (…) in modo da recare danno alla dignità umana (articolo 41 della Cost.). La dignità è il diritto al rispetto. Ancora il rispetto della persona richiede che il suo lavoro sia retribuito adeguatamente.

L’articolo 36 della Cost. stabilisce che la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Il contadino che con il lavoro manuale sa piantare e far crescere ogni specie di pianta, sa ricavare il formaggio dal latte o il vino dall’uva, o il calzolaio che con la materia e il lavoro manuale sa fare un paio di scarpe, compiono lavori di notevole qualità e che richiedono molto tempo.

Lavoro di notevole qualità è quello dell’insegnante che ogni giorno studia per rendere agevole la comprensione della lezione ai propri allievi ed allieve.

Lavoro di notevole qualità e che richiede tanto lavoro è quello di chi essendo amministratore di un Comune o al governo del Paese svolge la propria funzione non per il bene proprio o di questa o quella parte della città o del Paese ma per il bene comune.

Lavoro di notevole qualità e che richiede fatica è quello dell’operatore ecologico che pulisce bene la strada a cui è addetto.

Vorrei significare che la quantità e la qualità di un lavoro non dipende dal lavoro in sé, ma da come qualsiasi attività viene svolta, poiché se è svolta bene e quindi con qualità è faticosa ed è utile, mentre se è svolta senza dedicare ad essa il tempo dovuto è in generale priva di qualità ed è poco utile, se non risulti finanche dannosa a chi se ne dovrebbe avvalere.

Libera e dignitosa significa innanzi tutto libera dal bisogno e decorosa.

Nel rapporto di lavoro subordinato privato – ove non esiste un diritto soggettivo del lavoratore alla parità di trattamento – il principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione va parametrato alla quantità (in numero di ore) del lavoro prestato e alla qualità (come valutata dalle parti collettive) della prestazione. In particolare, la circostanza che, nella stessa azienda, vi possano essere soggetti che, esplicando le medesime mansioni, siano retribuiti in misura diversa secondo le retribuzioni del contratto nazionale ovvero di uno specifico contratto aziendale non viola il principio di proporzionalità, non potendo essere affidata al giudice la valutazione della giustezza del corrispettivo, salva la violazione del diverso principio della sufficienza della retribuzione (06/8310) [Commentario Breve al Codice Civile, Edizione per prove concorsuali ed esami, 2019, a cura di G. Cian, articolo 2099, V. Il principio di parità di trattamento retributivo, punto 1, p.2837].

Il precetto dell’art. 36 Cost., il quale impone che la retribuzione sia proporzionata alla quantità e   qualità del lavoro prestato e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, non è derogabile né dal contratto individuale né dal contratto collettivo nazionale o aziendale, e pertanto il giudice può procedere all’adeguamento anche della retribuzione corrisposta alla stregua della disciplina collettiva, sempreché dia adeguata motivazione del suo convincimento (89/513)”.

Ai fini del giudizio circa l’adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice di merito deve accertare la natura e l’entità qualitativa e quantitativa delle prestazioni lavorative del dipendente, nonché le effettive esigenze del medesimo e della sua famiglia per un’esistenza libera e dignitosa: a tale scopo, può fare riferimento, come espressione parametrica delle condizioni di mercato, al contratto collettivo di categoria, ove questo non sia direttamente applicabile, o ad altro contratto che concerna prestazioni lavorative affini o analoghe (16/26953)” [Commentario cit., articolo 2099, VI. La determinazione della giusta retribuzione ex art.36 Cost., punti 1, 2, pp.2837-2838].

L’articolo 4 della Cost. riconosce a tutti cittadini il diritto al lavoro e pone il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Non c’è chi non comprenda che un diritto o un dovere per essere tale deve essere tutelato nei confronti del titolare, e un aspetto di tale tutela è una giusta retribuzione secondo la legge.

L’articolo 3, secondo comma, Cost., stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Se le condizioni retributive del lavoratore o della lavoratrice non consentono di dare alla famiglia una casa decorosa e una vita decorosa e ai figli l’opportunità di un’istruzione adeguata chiediamoci che senso ha la cittadinanza. La quale dal punto di vista formale è un complesso di norme che disciplina, ad es., l’acquisto o l’elezione della stessa, ma nella sostanza è la condizione che permette o no di sentirci parte della società civile e partecipi delle sue potenzialità. In un tempo nel quale l’economia ha un peso nella nostra vita, come mai era accaduto, per l’affermarsi del principio settecentesco dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, occorre costruire il diritto alla cittadinanza più complicato, quello alla cittadinanza economica.

Diamo uno sguardo alla Direttiva (UE) 2022/2041, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione, la cui attuazione da parte dei Paesi membri è prevista entro il 15 novembre 2024 (art. 17 – Recepimento e attuazione).

Il PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

Considerando quanto segue”:

(5)” La direttiva rimanda al pilastro europeo dei diritti sociali, proclamato a Goteborg il 17 novembre 2017 dal Parlamento europeo, dal Consiglio dell’Unione europea e dalla Commissione. Del quale (‘pilastro’), il principio 6. Retribuzioni, del Capo II, dichiara: “a. I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. b. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, (…) La povertà lavorativa va prevenuta”.

E il principio 1. Istruzione, formazione e apprendimento permanente, del Capo I, recita: “Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro”.

Sappiamo che I capaci e meritevoli, anche se privi dei mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (art.34 Cost.), ma il principio 1. del Capo I citato parla di ogni persona che se pure non capace meritevole se appartenente a una famiglia che abbia un reddito adeguato potrà avvalersi di un’istruzione e formazione di qualità, mentre non potrà avvalersene, nelle stesse condizioni, se il reddito della propria famiglia non è adeguato. La possibilità dell’accesso ad un’istruzione di qualità per i figli del lavoratore o della lavoratrice è ragionevolmente elemento decisivo per stabilire quale debba essere il salario sufficiente secondo la Costituzione.

(7) Migliori condizioni di vita e di lavoro, anche attraverso salari minimi adeguati ed equi, apportano vantaggi ai lavoratori e alle imprese dell’Unione, come pure alla società e all’economia in generale, e sono un presupposto fondamentale per conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile. (…)”.

(8) (…) I salari minimi che garantiscono un tenore di vita dignitoso, (…), possono contribuire (…) a sostenere la domanda interna e il potere d’acquisto, a rafforzare gli incentivi al lavoro, (…)”.

(10) Donne, lavoratori giovani, migranti, lavoratori poco qualificati, lavoratori con disabilità, hanno più probabilità di percepire salari bassi. Considerato l’elevato numero di “donne nei lavori a bassa retribuzione, il miglioramento dell’adeguatezza dei salari minimi contribuisce alla parità di genere, (…)”.

(19)” Le disposizioni dell’art.153 del TFUE prevedono che l’Unione per conseguire gli obiettivi della promozione dell’occupazione e del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di cui all’art.151 del TFUE sostenga e completi l’azione dei Paesi membri, ma non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, a quello di sciopero né a quello di serrata (5° paragrafo). Conformemente all’art.153, paragrafo 5, del TFUE la direttiva non mira ad armonizzare il livello dei salari minimi in Europa né ad istituire un meccanismo uniforme per la determinazione del salario minimo. Ogni Paese è libero di stabilire per legge un salario minimo o attraverso la contrattazione collettiva. La direttiva non stabilisce il livello delle retribuzioni che rientra nel diritto delle parti sociali per mezzo di accordi nazionali in tal senso e nella competenza dei Paesi membri.   

(25) Gli Stati membri caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una piccola percentuale di lavoratori a basso salario e salari minimi elevati. (…)”.

(28)” I salari minimi sono reputati adeguati se sono equi rispetto alla distribuzione salariale del Paese considerato e in quanto consentano un tenore di vita dignitoso al lavoratore con un rapporto di lavoro a tempo pieno. “(…) un paniere di beni e servizi a prezzi reali stabilito a livello nazionale può essere utile per determinare il costo della vita al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso. Oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio, si potrebbe tenere conto anche della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali. È opportuno considerare la fissazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali separatamente dai meccanismi di sostegno al reddito. (…)”.

(34)” I lavoratori dovrebbero aver facile accesso con i mezzi informatici alle informazioni sui salari minimi e sulla tutela assicurata dal salario minimo prevista dai contratti collettivi al fine della trasparenza delle condizioni di lavoro, e in particolare i lavoratori con disabilità, secondo la direttiva 2016/2102, art.1.

(37) (…) Poiché gli obiettivi della presente direttiva non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della loro portata e dei loro effetti, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del TUE”. Secondo tale principio nei settori che non sono di esclusiva competenza dell’Unione, questa interviene nella misura necessaria al conseguimento degli obiettivi, ossia nel rispetto del principio di proporzionalità (articolo 5, paragrafi 1, 3, 4, TUE).

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI

Nell’art.1 – Oggetto e ambito di applicazione – la direttiva dichiara:

“1. Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive, la presente direttiva istituisce un quadro per:

  1. a) l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose;
  2. b) la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
  3. c) il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi”.

Agli atti con cui i Paesi membri danno attuazione alle “misure relative ai salari minimi dei marittimi stabilite periodicamente dalla commissione paritaria marittima o da altro organismo autorizzato (…)” non si applicano le disposizioni del II Capo della presente direttiva. Tali atti “lasciano impregiudicato il diritto di contrattazione collettiva e la possibilità di adottare livelli salariali minimi più elevati” (5°paragrafo).

L’art. 3 – Definizioni – recita: “Ai fini della presente direttiva” si intende per:

1) ‘salario minimo’: la retribuzione minima stabilita per legge o da contratti collettivi che un datore di lavoro, anche nel settore pubblico, è tenuto a pagare ai lavoratori per il lavoro svolto durante un dato periodo;

2) ‘salario minimo legale’: un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, ad esclusione dei salari minimi determinati da contratti collettivi che sono stati dichiarati universalmente applicabili senza alcun margine discrezionale quanto al contenuto delle disposizioni applicabili da parte dell’autorità dichiarante.

5) ‘copertura della contrattazione collettiva’: la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo, calcolata come rapporto tra il numero di lavoratori coperti da contratti collettivi e il numero di lavoratori le cui condizioni di lavoro possono essere disciplinate da contratti collettivi conformemente al diritto e alle prassi nazionali”.

L’art.4 – Promozione della contrattazione collettiva nella determinazione dei salari – al 1° paragrafo, recita: “(…) gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali: d) al fine di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, adottano misure, se del caso, per proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o intendono partecipare alla contrattazione collettiva da qualsiasi atto di interferenza reciproca (…)”.

Il Paese membro, se il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore alla soglia dell’80%, “prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali” o attraverso un accordo con le medesime. Il Paese membro definisce un piano d’azione che promuova la contrattazione collettiva, dopo avere consultato le parti sociali od un accordo con le medesime o, quando vi sia stata una richiesta congiunta delle parti sociali, come da queste concordato. Il piano è reso pubblico e notificato alla Commissione europea (2° paragrafo).

CAPO II SALARI MINIMI LEGALI

Secondo l’art.5 – Procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati – I Paesi membri in cui sono contemplati salari minimi legali istituiscono procedure per la loro determinazione ed aggiornamento; determinazione e aggiornamento che “sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere. (…)” I Paesi membri “possono decidere il peso relativo di tali criteri, (…), tenendo conto delle rispettive condizioni socioeconomiche nazionali” (paragrafo1). I criteri di cui al 1° paragrafo comprendono almeno i seguenti elementi: “a) il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; b) il livello generale dei salari e la loro distribuzione; c) il tasso di crescita dei salari; d) i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività” (2° paragrafo).

Ogni Paese membro istituisce organi consultivi “per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali” (6° paragrafo).

Ai sensi dell’art. 6 – Variazioni e trattenute – gli Stati membri che autorizzino salari minimi diversi per specifici gruppi di lavoratori o trattenute che riducono la retribuzione a un livello inferiore a quello del salario minimo legale previsto, provvedono a che tali variazioni e trattenute rispettino il principio di non discriminazione e quello di proporzionalità, “il quale comprende il perseguimento di un obiettivo legittimo” (1°paragrafo).

All’art. 7 – Coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali – la direttiva stabilisce che i Paesi membri “adottano le misure necessarie a coinvolgere la parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali (…)”, anche mediante la loro partecipazione negli organi consultivi di cui al 6° paragrafo dell’articolo 5. Coinvolgimento che riguarda ad es. “la selezione e l’applicazione dei criteri” di cui all’art.5 “per la determinazione del livello del salario minimo legale (…)” (paragrafo 1, lettera a).

L’art. 8 – Accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali – prevede che gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali, effettuino, per mezzo degli ispettori del lavoro o degli organismi responsabili dell’applicazione delle disposizioni sui salari minimi legali, controlli ed ispezioni (1°paragrafo, lettera a).

CAPO III DISPOZIONI ORIZZONTALI

Ai sensi dell’art. 9 – Appalti pubblici – gli Stati membri pongono in essere misure volte a garantire che le imprese e quelle che per esse operano in subappalto, “nell’aggiudicazione e nell’esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione”, si uniformino agli obblighi riguardanti i salari, posti dal diritto dell’Unione, da quello nazionale, dai contratti collettivi e dalle norme internazionali in materia di lavoro.  

All’art. 10 – Monitoraggio e raccolta dei dati – la direttiva prevede che i Paesi membri raccolgano dati al fine di “monitorare la tutela garantita dal salario minimo” (1°paragrafo). I Paesi membri comunicano alla Commissione europea ogni due anni i seguenti dati e informazioni: “a) il tasso e lo sviluppo della copertura della contrattazione collettiva; b) per i salari minimi legali: ì) il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti da tale salario minimo legale; ìì) una descrizione delle variazioni e delle trattenute esistenti e dei motivi della loro introduzione, nonché la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni, (…); c) per la tutela garantita dal salario minimo prevista esclusivamente dai contratti collettivi: ì) le retribuzioni più basse previste dai contratti collettivi che coprono i lavoratori a basso salario o una loro stima, se le autorità nazionali competenti non dispongono di dati accurati, e la percentuale di lavoratori da esse coperta, o una loro stima” in mancanza di dati accurati; ìì) il livello dei salari versati ai lavoratori non coperti dai contratti collettivi e il suo rapporto con il livello dei salari versati ai lavoratori coperti dai contratti collettivi.” (2° paragrafo). La Commissione europea analizza i dati e le informazioni di cui al paragrafo 2 e il piano d’azione di ciascun Paese di cui al 2° paragrafo dell’art. 4, riferisce al riguardo ogni due anni al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea e pubblica i dati e le informazioni trasmessi dai Paesi membri (3°paragrafo).

L’art.11 – Informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo – stabilisce che gli Stati membri provvedano a rendere le informazioni sui salari minimi legali e quelle attinenti alla tutela garantita dal salario minimo prevista dai contratti collettivi universalmente applicabili facilmente e completamente accessibili, anche ai lavoratori e alle lavoratrici con disabilità.

Secondo l’art. 12 – Diritto di ricorso e protezione da trattamento e conseguenze sfavorevoli – gli Stati membri provvedono affinché ai lavoratori, inclusi quelli il cui rapporto di lavoro è terminato, venga garantito il diritto di ricorso nel caso di violazione del diritto al salario minimo legale e alla tutela garantita dal salario minimo, ove tali diritti siano preveduti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi (1°paragrafo). I Paesi membri pongono in essere le misure volte a proteggere i lavoratori e i loro rappresentanti “da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro” o “da qualsiasi conseguenza sfavorevole” che derivi da un reclamo diretto al datore di lavoro o da una procedura finalizzata al rispetto della tutela garantita dal salario minimo ove tale tutela sia prevista dal diritto nazionale o dai contratti collettivi (2° paragrafo).

Ai sensi dell’art.13 – Sanzioni – i Paesi membri prevedono sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, nelle ipotesi di “violazione dei diritti e degli obblighi” che derivano dall’attuazione della direttiva, “nella misura in cui tali diritti ed obblighi siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi”. Nei Paesi in cui non sono previsti salari minimi legali (come è ad es. tuttora in Italia) le norme sanzionatorie “possono contenere o limitarsi a un riferimento alla compensazione e/o alle penalità contrattuali” stabilite dalle disposizioni sull’applicazione dei contratti collettivi.

CAPO IV DISPOSIZIONI FINALI

L’art. 16 – Non regresso e disposizioni più favorevoli – stabilisce che la direttiva non rappresenta un motivo “per ridurre il livello generale di protezione” che uno Stato membro già offra ai lavoratori.

La direttiva non pregiudica la prerogativa di ogni Stato membro di “promuovere o consentire” una contrattazione collettiva più favorevole ai lavoratori, e “non deve essere interpretata in modo da impedire a uno Stato membro di aumentare i salari minimi legali”.

Fatto a Strasburgo, il 19 ottobre 2022”.

Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto ed alla riduzione delle disuguaglianze retributive,” (Direttiva 2041/2022, art.1 paragrafo 1), servono risorse ovvero scelte.

La Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili (articolo 2, Cost.), tra cui il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art.53, Cost.).

Consideriamo di quanto potrebbero aumentare le retribuzioni e le pensioni di ogni lavoratore e di ogni lavoratrice se la fedeltà fiscale si realizzasse.

Si ipotizzi di restituire ai consumatori il 70% del costo della pubblicità.

Il consumatore ottiene una detrazione sul prezzo pari al 70%, calcolato sulla parte del prezzo del prodotto riferibile al costo della pubblicità del prodotto acquistato. Calcolare quanto del prezzo del prodotto è riferibile alla pubblicità del medesimo richiede di calcolare quanto un produttore spende in pubblicità per ogni unità di prodotto immesso sul mercato.

Si fa un esempio numerico, assumendosi che il costo della pubblicità sia uguale al 5% del prezzo di mercato del prodotto. Per cui si ha:

3,5 centesimi sono il 70% di 5 centesimi, assunti questi come spesa per la pubblicità di un prodotto che ha il prezzo di 1 euro.

Tizia spende in 12 mesi 3.000,00 euro.

Moltiplicando euro 3.000,00 x 0,035 euro, si ottengono euro 105,00 (che sono il 70% del costo della pubblicità che Tizia risparmia perché tale costo le viene detratto dalla spesa di 3.000,00 euro).

105,00 euro corrispondono pressoché al 70% della spesa pubblicitaria pro capite (questa è la spesa che in un anno le marche sostengono per raggiungere ogni consumatore).

Con l’aumento dei redditi di tutte le famiglie aumenterebbe il volume degli scambi, diminuirebbe il numero delle famiglie disagiate e si amplierebbe l’ambito del ceto medio.

Ne deriverebbe una maggiore partecipazione democratica, fortemente indebolita da un progressivo rifiuto del voto ad ogni livello di governo.

Ma le risorse o complicate scelte indicate hanno una condizione complicata: il primato del diritto e dunque della politica.

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