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Il “bancor” e il sogno keynesiano dell’internazionalismo economico

Indietro non si torna

Tra il 1 e il 22 Luglio 1944, a Bretton Woods nel New Hampshire, vennero fissate le coordinate economiche che avrebbero poi indirizzato i Paesi riemersi dal baratro della Seconda Guerra Mondiale.

Tra i 700 delegati dei 44 Paesi alleati che alloggiavano al Mount Washington Hotel vi era l’economista britannico John Maynard Keynes, la cui filosofia di fondo aveva indirizzato i lavori preparatori dei piani presentati da Gran Bretagna e Stati Uniti durante la Conferenza.

Sia il piano britannico proposto da Keynes, sia il piano americano proposto da Harry Dexter White, vice-segretario al Tesoro statunitense, avevano infatti come obiettivo quello di creare un sistema di cambi fissi che evitasse le svalutazioni competitive e il ricorso al protezionismo a cui si assistette negli anni fra le due guerre.

Keynes, infatti, già nei suoi celebri saggi “Le conseguenze economiche della pace” (“The economic consequences of peace”, 1919) e “Per una revisione del Trattato” (“A revision of the Treaty”, 1922) aveva denunciato gli errori commessi dalle potenze vincitrici alla fine della Prima guerra mondiale e criticato aspramente le pesanti riparazioni di guerra imposte alla Germania.

Fortemente contrario al ritorno del “gold standard” prebellico (si vedano sul tema “Le conseguenze economiche di Winston Churchill” del 1925 e il “Trattato sulla moneta” del 1930), cominciò quindi a formulare fin dal 1941 un progetto che il governo britannico trasmise poi agli Stati Uniti con l’intenzione di approvarlo in seno alla conferenza di Bretton Woods: il progetto di Keynes puntava a eliminare l’oro come mezzo di pagamento internazionale e proponeva la creazione di una “International Clearing Union” che avrebbe emesso una moneta sovranazionale, il c.d. “bancor”, in base alle esigenze dell’economia mondiale.

Il “bancor” e la “International Clearing Union”

Tale valuta, pensata come strumento di pagamento dei debiti internazionali, si sarebbe dovuta creare ex novo e avrebbe dovuto essere ancorata all’oro per poter essere accettata da tutti i Paesi partecipanti alla conferenza.

Secondo il progetto di Keynes, ogni banca centrale nazionale sarebbe poi stata titolare di un conto all’interno della International Clearing Union, che avrebbe svolto la funzione di “banca centrale globale” attraverso la quale ogni Stato avrebbe potuto saldare i propri debiti nella propria valuta, facendo riferimento al cambio stabilito in precedenza rispetto al “bancor”.

In sostanza, facendo in modo che le relazioni commerciali fra Stati aderenti si svolgessero nelle forme di un baratto tra “bancor”, questo sistema doveva servire come “camera di compensazione” per permettere alle varie economie di riequilibrare il valore della propria moneta, in vista di mantenere bilanciato il proprio conto economico rispetto il sistema internazionale.

Consapevole del fatto che gli errori commessi con il trattato di pace Versailles avevano propagato i loro effetti sino a spianare la strada ai regimi autoritari, Keynes aveva come obiettivo principale quello di evitare la situazione di grave squilibrio economico fra Stati a cui si assistette nel primo dopoguerra. Gli accordi di Bretton Woods dovevano servire a salvare, oltre che il capitalismo, anche il futuro dei rapporti internazionali.

Una rivoluzione mancata?

Come è ben noto, fu il piano dello statunitense White (sebbene modificato in corso d’opera: infatti anche White aveva teorizzato la creazione di una valuta internazionale, denominata”unitas”) ad uscire vincitore dalla conferenza interalleata: le due guerre mondiali avevano ormai indebolito senza rimedio le potenze europee e il ruolo di potenza egemone passò definitivamente agli Stati Uniti con l’approvazione del “gold-dollar standard”, il sistema monetario internazionale che permise l’adozione del “Piano Marshall” e che rimase in piedi per i “Trenta anni gloriosi” dell’economia mondiale.

Tuttavia, con l’approvazione a Bretton Woods del piano americano– sebbene ispirato ai principi di Keynes di stabilità e abbattimento del protezionismo – venne meno la speranza di scongiurare la supremazia di una singola valuta – e, di conseguenza, di una singola potenza – sulle altre, con il conseguente sbilanciamento delle relazioni internazionali.

Questa situazione di forte squilibrio internazionale sia politico che economico portò, nel lungo periodo, alla crisi del sistema stesso del “gold-dollar standard”, abbandonato infine nel 1971 durante la Presidenza di Richard Nixon.

Ancora oggi appare quanto mai sentita la necessità di un sistema monetario mondiale improntato sulle idee di internazionalismo e di bilanciamento economico portate avanti da Keynes: non è un caso che nel 2010, in seguito alla crisi economica mondiale iniziata due anni prima, sia stato lo stesso Fondo Monetario Internazionale (previsto proprio dal piano statunitense approvato a Bretton Woods) ad elaborare il piano strategico ”Reserve Accumulation and International Monetary Stability, con il quale si (ri)propone agli Stati aderenti l’adozione proprio del “bancor” keynesiano come moneta unica mondiale per gli scambi internazionali.

Alla data attuale, questa proposta del F.M.I. rimane ancora in attesa di essere esaminata e valutata

(A cura di Riccardo Ghio)


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a cura del Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D. Via Padova, 5 – 20025 Legnano (MI) – C.F. 92044830153 – ISSN 2282-3964 Testata registrata presso il Tribunale di Milano al n. 92 del 26 marzo 2013
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