Economia

Il mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) – terza parte

(di Marco Guenzi)

Nel presente articolo si porterà avanti l’analisi del mercato degli artisti emergenti, cioè di coloro che hanno appena trovato rappresentanza presso una galleria e si trovano così nella condizione di poter sviluppare una carriera professionale nel mondo dell’arte. Più in particolare si studierà il suo dimensionamento da un punto di vista geografico, la sua struttura da un punto di vista concorrenziale e come viene raggiunto l’equilibrio di mercato nel breve e lungo periodo. Nel prossimo articolo si concluderà la disamina sul comparto prendendo in esame le problematiche che gli artisti emergenti incontrano nello sviluppo della loro carriera e le politiche di tipo sociale ed economico che è possibile mettere in atto affinché si arrivi ad una situazione di maggior efficienza e meritocrazia nei meccanismi di produzione e scambio del settore.

La dimensione del mercato

Va innanzitutto riscontrato come l’Alternative Market non sia un mercato monolitico, ma sia formato invece da tante singole piccole realtà, in parte sovrapposte, facenti capo alle diverse aree economiche e geografiche in cui che compongono il mondo dell’arte, in cui operano tutta una serie di piccoli (in genere) intermediari che hanno una dimensione operativa limitata.

Tale dimensione operativa ha comportato fino a poco più di un decennio fa che la stragrande maggioranza delle gallerie (quelle di scoperta) avessero un raggio di azione circoscritto alla zona geografica di appartenenza. Solo poche gallerie infatti (quelle di maggiore rilievo, tradizionali o di brand) potevano permettersi di commercializzare, grazie ad una rete di contatti più estesa e sviluppata, artisti emergenti a livello nazionale e addirittura internazionale. Ciò era dovuto al fatto che le opere d’arte degli artisti emergenti tendono ad assumere di per sé una rilevanza locale, legata da una parte alla generale maggiore sensibilità dei collezionisti verso problematiche delle regioni di appartenenza (si pensi ad esempio ad un dipinto o una foto che rappresenta la propria città o la propria cultura); dall’altra, alle difficoltà e ai rilevanti costi (in relazione al valore commerciale delle opere) di allestire sedi espositive che fossero diverse dalla galleria stessa.

Negli ultimi decenni però tutta una serie di fattori ha determinato la tendenza generale dei mercati a svilupparsi in maniera sempre più globale, influenzando in parte anche l’Alternative Market. Diversi sono gli elementi che hanno contribuito all’espansione dell’ambito operativo delle gallerie di scoperta da un punto di vista geografico: in primo luogo una globalizzazione del gusto e una contaminazione tra le diverse culture, dovuta all’azione combinata dei diversi media (fenomeno denominato come post-modernismo dagli storici dell’arte), che ha determinato una omogeneizzazione dei contenuti artistici nelle diverse aree di produzione; in secondo luogo il decentramento geografico del mercato, che ha visto la nascita di nuovi poli di attrazione per l’arte contemporanea; terzo, l’affermarsi dei nuovi modelli commerciali delle fiere e delle collaborazioni tra gallerie; ultimo, ma non per questo meno importante, lo sviluppo di tutta una nuova serie di strumenti di marketing e vendita utilizzabili a livello globale che utilizzano Internet e il web.

Secondo gli storici dell’arte il Post-modernismo ha avuto origine nell’ultima metà del secolo scorso e si è diffuso soprattutto a partire dalla caduta del regime comunista, in seguito ai notevoli cambiamenti culturali determinati dalla fine del dualismo americano-sovietico che hanno comportato la nascita di un mondo multi-polare da un punto di vista culturale[1]. Il pensiero post-moderno ha sortito un effetto diretto sia sulla domanda, determinando un interesse dei collezionisti non più radicato strettamente su tematiche proprie del paese di appartenenza, ma rivolto anche a forme ed espressioni artistiche universali, sia sull’offerta, dando origine a forme di espressione contaminate da un punto di vista simbolico da elementi di altre culture e del passato, che diventano quindi globalmente riconoscibili e di conseguenza più facilmente commercializzabili in realtà economiche diverse da quelle di origine. Questo movimento di pensiero ha implicato un’apertura dei mercati, che ha significato un inter-scambio tra i diversi poli economici del mondo dell’arte.

Accanto a questo fenomeno si è potuto riscontrare una recente tendenza al decentramento della domanda verso i paesi emergenti (tra cui prima di tutti la Cina, ma non solo), dovuto alla formazione di nuove classi emergenti che richiedono sempre più beni artistici. Ciò ha determinato da una parte la nascita di nuovi centri di aggregazione del sistema dell’arte, in cui si sono venuti a concentrare artisti, gallerie, musei, biennali, fiere, collezionisti.

Questi fattori rappresentano in generale per le gallerie un’opportunità di ampliamento del proprio raggio di azione. Sul mercato Alternate tuttavia essi non hanno potuto sortire pienamente i propri effetti, poiché le opere d’arte di questo segmento hanno un basso valore commerciale che non permette di per sé alle gallerie di scoperta di sostenere costi per un’attività promozionale che vada oltre alla propria zona di pertinenza. In particolare le gallerie di scoperta si sono trovate di fronte alla difficoltà di allestire spazi espositivi lontano dalla propria sede, per ragioni sia ovviamente economiche, che organizzative.

Questa difficoltà è stata tuttavia in parte superata grazie alla forte diffusione sui diversi territori delle fiere[2], che hanno permesso a tali gallerie di incontrare la domanda al di fuori della zona di appartenenza.

Le fiere tuttavia, se da una parte facilitano l’attività espositiva e commerciale delle gallerie da un punto di vista organizzativo, dall’altra non le sgravano dagli oneri da un punto di vista economico, in quanto le spese di adesione (participation fee), trasporto, assicurazione e allestimento rimangono considerevoli per gallerie con pochi mezzi a disposizione. Inoltre spesso la possibilità di partecipare è preclusa dalle scelte dei comitati organizzativi, che volendo garantire una certa qualità alle fiere al fine di migliorarne l’immagine, operano una rigida selezione all’ingresso.

Per questo motivo anche tra le fiere si è venuta a creare (come d’altronde per gli altri attori ed istituzioni del sistema dell’arte) una segmentazione verticale in base al mercato di appartenenza: le gallerie di scoperta quindi tendono a limitare la propria partecipazione alle fiere di tipo “alternativo”(affordable art fair), piccole eventi locali o itineranti dove la selezione all’ingresso e le spese di partecipazione sono minime, e nello stesso tempo i visitatori sono alla ricerca di opere a prezzi abbordabili. Le gallerie invece più importanti hanno la possibilità di partecipare a fiere nazionali e internazionali.

Accanto alla partecipazione alle fiere i galleristi di scoperta hanno anche cercato di ampliare il proprio raggio di azione territoriale attraverso collaborazioni con altre gallerie[3]. Tali combinazioni si configurano in genere con la concessione di un mandato a vendere, in genere senza rappresentanza[4], le opere dei propri artisti su mercati diversi da quello di appartenenza. Spesso tali concessioni sono reciproche e la collaborazione si prefigura come scambio di artisti.

Le collaborazioni tra galleristi nascono da una conoscenza personale diretta o occasionale. Essi in genere operano in contesti diversi, come ad esempio in altri paesi (quindi non vengono a competere direttamente), e hanno tutta una serie di affinità in termini sia motivazionali (di modus operandi), sia di scelte dal punto di vista artistico (gli artisti rappresentati devono produrre lavori che siano in linea tra di loro). Da una serie di contatti poi nasce una collaborazione in cui la galleria che rappresenta direttamente l’artista concede all’altra un mandato a vendere, a prezzi concordati, in cambio di una percentuale sui ricavi[5].

La partnership tra gallerie può poi estendersi usando altri strumenti, come per esempio con la condivisione di stand alle fiere, che permette la suddivisione dei costi di partecipazione, oltre alla possibilità di presentare unitamente gli artisti delle due gallerie (tra cui quelli in comune rappresentanza).

Al di là degli sforzi messi in atto dalle gallerie per cercare di raggiungere un pubblico sempre più vasto è possibile riscontrare una difficoltà oggettiva delle opere degli artisti emergenti ad uscire da un’orbita locale: infatti il prodotto offerto sul mercato Alternative è relativamente poco differenziato dato che gli artisti sono da una parte poco riconoscibili (soprattutto quelli di “mercato”), in quanto tendono a seguire modelli comuni nei linguaggi espressivi e nelle tematiche affrontate e sono conosciuti solo da pochi addetti ai lavori (galleristi, critici), ma non dai collezionisti. Inoltre bisogna rilevare che il bene arte, per il fatto stesso di essere eterogeneo, comporta sul mercato la presenza di bassa trasparenza e forti asimmetrie informative, che rende più onerosa l’attività promozionale e commerciale. Ne risulta quindi che la domanda e l’offerta siano ancora (sebbene in misura minore del Junk Market) fortemente frammentate.

Fortunatamente la diffusione di Internet e del World Wide Web, abbassando notevolmente i costi informativi, ha determinato per le gallerie operanti su questo mercato avessero nuove opportunità di commercializzazione dei propri prodotti.

Le gallerie possono innanzitutto creare sul web un proprio sito vetrina, accessibile in ogni parte del globo, dove presentare in maniera virtuale sia gli artisti rappresentati, sia le opere da essi prodotte. Il problema dei siti vetrina tuttavia consiste nella visibilità. Infatti questi siti hanno in genere una indicizzazione molto bassa, che per essere migliorata necessita notevoli investimenti in SEO (Search Engine Optimization) e SEM (Search Engine Marketing), prevedendo questi ultimi campagne pubblicitarie a pagamento (pay-per-click) presso i maggiori motori di ricerca. L’ambito operativo dei siti vetrina quindi in genere rimane quello di fornire un catalogo virtuale dei propri prodotti, per gli utenti che già conoscono la galleria e vogliano ricercarla.

Più interessante per le gallerie di scoperta invece risultano essere i portali di vendita d’arte contemporanea, i quali offrono un servizio di esposizione e vendita su siti meglio indicizzati e quindi più visitati, dove gli utenti possono prendere visione dell’offerta delle diverse gallerie, operare confronti in tempo reale sulle opere di maggior gradimento, per poi effettuare l’acquisto utilizzando piattaforme di e-commerce. Tali portali richiedono alle gallerie commissioni molto più basse rispetto ai costi delle fiere, e si presume con il tempo possano competere con queste ultime in termine di visitatori.

Infine alcune piccole gallerie ricorrono per la commercializzazione delle proprie opere a piattaforme di e-commerce generaliste, come ad esempio eBay, con il rischio però, vendendo quadri insieme a telefonini e prodotti per il bagno, di dare un’idea di opere d’arte di bassa qualità e quindi rovinare la propria immagine e quella dell’artista.

La struttura del mercato

Per capire quale struttura di mercato assuma l’Alternative Market, bisogna innanzitutto analizzare il prodotto che viene su di esso commercializzato. Si può dire che le opere degli artisti emergenti siano beni differenziati.

Tra i fattori che determinano la differenziazione dei prodotti si riscontrano nella letteratura economica la localizzazione, la qualità, la promozione e i servizi post-vendita[6]. Da un punto di vista della localizzazione si è visto nello scorso paragrafo che le opere d’arte degli artisti emergenti sono fortemente localizzate, riducendo quindi praticamente la concorrenza in un ambito geograficamente ristretto.

Per quanto riguarda la qualità bisogna rilevare che i lavori degli artisti sono beni intrinsecamente eterogenei, diversi gli uni dagli altri (se si escludono le copie, i multipli o le produzioni in serie), e quindi sia difficilmente descrivibili da un punto di vista artistico, che valutabili in base alle loro caratteristiche intrinseche. Ne conseguono, come già evidenziato, due specie di problemi: da una parte una bassa trasparenza del mercato, perché è difficile per il collezionista prendere visione e orizzontarsi nel marasma delle possibilità di scelta (sebbene la presenza di mezzi informatici abbia notevolmente migliorato questo aspetto), dall’altra la presenza di asimmetrie informative che rendono difficile per chi compra la valutazione della qualità dell’opera d’arte.

Questo problema viene affrontato con l’attività di promozione delle gallerie che svolgono la duplice funzione di signaling e di screening[7]. Per questo l’attività commerciale delle gallerie è fondamentale per la creazione del valore aggiunto di un’opera d’arte e di extra-profitti da suddividersi tra le controparti. Va rilevato che gli investimenti pubblicitari sull’Alternate Market sono esigui e non portano a un branding (quindi ad una forte differenziazione) degli artisti presenti nel comparto.

I servizi post-vendita consistono nel legame di collaborazione che si instaura tra gallerista e collezionista, che può comprendere ad esempio la possibile restituzione della merce (“se non soddisfatti, rimborsati”) o consulenze gratuite da parte del gallerista. In realtà bisogna constatare che, poiché in questo segmento i rapporti tra galleristi e collezionisti sono spesso saltuari, i servizi post-vendita sono in genere di marginale importanza.

In conclusione è possibile dire che le opere degli artisti emergenti, sono sì differenziate, ma non in maniera rilevante (come invece avviene per i settori sovrastanti Avanguarde e Classical Contemporary).

Da un punto di vista dell’analisi della concorrenza vanno valutate le barriere all’entrata che vengono a crearsi per le gallerie di scoperta, che poi fungono da gate-keeper per gli artisti. Gli investimenti necessari per una galleria al suo nascere sono nel loro complesso modesti ma non marginali, in quanto essa deve trovare uno spazio espositivo, pagare spesso un assistente e investire in promozione degli artisti: oneri che rappresentano costi fissi non recuperabili (sunk cost). Il settore è quindi caratterizzato da elevata, ma non perfetta, concorrenzialità.

A questo proposito va rilevato che la concorrenza nel settore non avviene tanto sui prezzi, che assumono piuttosto un valore simbolico della qualità dell’artista, quanto piuttosto sulla capacità di vendita delle gallerie, che da una parte devono rassicurare i collezionisti riguardo la tenuta dei valori economici e simbolici dell’opera in vendita e dall’altra devono, dando la parvenza di assecondare i desideri di questi ultimi, influenzare e conformare il gusto dei loro clienti, convincendoli ad acquistarla[8].

Sulla base delle considerazioni appena portate si concludere che l’Alternative Market abbia una struttura di mercato di tipo concorrenziale monopolistico[9], caratterizzato da bassa trasparenza.

L’equilibrio del mercato

Per analizzare l’equilibrio di mercato vanno studiati i comportamenti delle singole gallerie (e dei singoli artisti), da cui è poi possibile derivare la quantità totale domandata di opere di artisti emergenti e il relativo prezzo medio.

La teoria marginalista della concorrenza monopolistica prevede che gli artisti producano opere d’arte finché i loro costi marginali, uniti a quelli delle gallerie[10], non eguaglino i ricavi marginali, questi ultimi determinati in base alla richiesta specifica di opere dell’artista in rapporto ad un livello dei prezzi medi di settore di mercato.

Purtroppo l’analisi dell’equilibrio dell’Alternate Market, già di per sé complessa, risulta essere si complica per tutta una serie di caratteristiche peculiari di questo mercato.

Innanzitutto si rileva che la domanda del comparto Alternate, a causa dell’“effetto qualità” di Stiglitz[11], cioè che il prezzo risulta essere un segnale del valore del prodotto, assume inclinazione positiva. Così come la domanda di mercato anche la domanda individuale per i lavori dell’artista sarà positivamente correlata sia al prezzo che al prezzo medio di settore, da cui si può discostare in relazione alla sua capacità di differenziare il prodotto rispetto alla media.

Si è visto inoltre che l’offerta di opere d’arte, che sono un bene duraturo, quindi sia di consumo che di investimento, non è relegata solamente alla nuova produzione, ma anche a quella di opere precedentemente prodotte e rimaste invendute (dunque vacanti) sul mercato[12].

In aggiunta va rilevato che nella vendita di opere d’arte non sempre si ha un prezzo fisso di mercato, in quanto a volte le opere vengono vendute dalle gallerie tramite il meccanismo della contrattazione (haggling o bargaining), redigendo a volte liste di attesa che consentono di scegliere il migliore offerente (più da un punto di vista qualitativo che monetario), il che rappresenta un caso di discriminazione (imperfetta) dei prezzi di primo grado. Bisogna rilevare inoltre che spesso le gallerie operano contestualmente una discriminazione di secondo (sconti sulla quantità) e terzo (sconti ad personam) grado e che la domanda non è determinata dal livello dei prezzi ma piuttosto il livello dei prezzi serve a determinare la domanda.

Se per le prime due condizioni si rimanda all’analisi di domanda ed offerta portata avanti nello scorso articolo[13], per le discriminazioni (congiunte ed imperfette) dei prezzi va notato invece che l’equilibrio di mercato varia. In un mercato in cui i prezzi siano fissati da listino l’equilibrio deve soddisfare la condizione ricavo marginale = costo marginale. In caso di discriminazione perfetta dei prezzi l’equilibrio sortisce dal punto d’incontro tra il costo marginale e la curva di domanda individuale dell’artista (o meglio in questo caso dell’opera d’arte, in quanto i collezionisti di artisti emergenti sono più interessati all’opera in quanto tale che alla firma di chi l’ha prodotta). Ne risulta un equilibrio in cui la produzione è efficiente dal punto di vista paretiano (non si ha invece un’efficienza allocativa a causa della bassa trasparenza del mercato) e si ha una massimizzazione del surplus (senza dead weight loss). Si noti tuttavia che attraverso la discriminazione dei prezzi le gallerie non riescono, se non marginalmente nel breve periodo, ad appropriarsi del surplus del collezionista, in quanto la curva di domanda è inclinata positivamente[14]. Il collezionista infatti, quando viene convinto dal gallerista della validità delle proprie scelte, è disposto a pagare maggiormente le opere in modo da essere sicuro che esse siano di qualità e possano apprezzarsi, nella speranza che l’artista comprato possa progredire nella sua carriera.

E’ interessante a questo punto rilevare che sull’Altenative Market, non essendo un mercato perfettamente concorrenziale dove i competitors sono price-takers, non esiste una vera e propria curva di offerta[15], in quanto la quantità di opere messa sul mercato viene a dipendere dalla domanda individuale per le opere dell’artista e quindi dal prezzo praticabile dalla galleria. Quest’ultimo a sua volta viene a relazionarsi al prezzo medio di mercato, rispetto cui però può discostarsi in base alle capacità combinate della “joint-venture” galleria-artista di farsi apprezzare dai collezionisti, creando l’opportunità di extra-profitti[16].

Tuttavia, come si è avuto modo di evidenziare[17], le gallerie fissano un livello dei prezzi non in funzione della domanda, ma in relazione alla loro capacità di sostenere una costante crescita nel tempo delle quotazioni degli artisti. Ciò significa che, in presenza del quality effect di Stiglitz per cui le quotazioni sono un importante indice del valore degli artisti, la prassi di fissare via via prezzi più elevati per le opere di un artista (aumento che deve essere parallelamente giustificato da un miglioramento del suo curriculum) sortisce l’inconsueto effetto di incrementarne la domanda. Viene così ad instaurarsi una inusuale relazione di causa-effetto, inversa rispetto ai mercati tradizionali. Solitamente infatti le imprese, secondo i principi del marketing, stabiliscono il livello dei prezzi di un prodotto in base alle previsioni di vendita (demand driven strategy).

Tutto ciò causa nel segmento Alternative un fenomeno peculiare: le gallerie sono incentivate, per massimizzare i propri profitti, a far produrre ai propri artisti il più grande quantitativo di opere nel minor tempo possibile, e creare poi tutta una serie eventi che certifichino il loro progredire di carriera (selling-out situations), così da far lievitare velocemente le quotazioni (price driven strategy). Tale strategia assomiglia a quella di un fantino che sprona incontrollatamente il proprio cavallo durante una corsa all’ippodromo, con il rischio però di stroncarlo prima che arrivi al traguardo. Nella fattispecie il “rischio” che corre l’artista è che, producendo opere in serie, perda di capacità innovative e la sua qualità artistica scada, compromettendo così anche il prosieguo della sua carriera. Il “traguardo” invece è rappresentato dal riuscire a produrre (e a vendere) un quantitativo tale che saturi la domanda dei collezionisti (che come si vedrà a breve coincide con l’equilibrio di lungo periodo). Una saturazione del mercato (soprattutto se i lavori dell’artista finiscono nelle mani giuste, cioè in collezioni private importanti o come proprietà dei musei) è infatti funzionale a dar visibilità all’artista. Più questi infatti dissemina le proprie opere, più il suo nome fa eco; più riecheggia il suo nome, più sale la considerazione del sistema nei suoi confronti; più un artista è considerato, più sono giustificabili aumenti delle sue quotazioni (come d’altronde succede per il mercato discografico e librario, dove la notorietà significa successo e guadagni).

Esiste tuttavia un ulteriore elemento che complica l’analisi. Le gallerie di scoperta, nella loro corsa verso la saturazione del mercato, devono tener conto di un azzardo morale, e cioè che gli artisti, sulla brezza del successo ottenuto, scelgano un fantino migliore, decidendo di passare ad una galleria più importante (tradizionale o di brand), in questo modo la galleria di scoperta riesce a rientrare negli investimenti promozionali effettuati (che come si è visto rappresentano sunk cost). Per cautelarsi da questo rischio può ricorrere a diverse misure, come ad esempio l’acquisto in stock dei lavori dell’artista in modo poi da rivenderli[18], ottenendo un capital gain se l’artista, ottenuto il successo e viste aumentare le sue quotazioni, dovesse decidere di interrompere la collaborazione. Ma un’altra possibile strategia è quella di instaurare con l’artista emergente una solida relazione di lungo periodo, per cui il suo successo viene condiviso con la galleria, e entrambi progrediscono parallelamente nella gerarchia del sistema dell’arte. Quest’ultima strategia, messa in atto da galleristi in genere “appassionati” o “strategici”, per cui il profitto immediato non è una priorità (al contrario di quelli “speculatori”)[19], comporta che la produzione dell’artista vada in sintonia con il suo istinto creativo e la sua ascesa delle quotazioni sia progressiva (time driven strategy).

Si può quindi concludere che nel breve periodo la scuderia-galleria cercherà di produrre il più possibile in base alle capacità creative e produttive del proprio cavallo-artista e inoltre secondo le proprie strategie di gara. Quale strategia è più efficace? Dipende dalle qualità del proprio cavallo. Solo se è un purosangue, un artista innovativo in maniera esplosiva (quindi con costi marginali poco crescenti), è possibile farlo andare al massimo. Altrimenti (se l’artista ha un processo creativo lento e quindi costi marginali fortemente crescenti) è meglio andare di andatura, ma arrivare comunque al traguardo, anche se non per primi. Una volta arrivato al traguardo (cioè saturato il mercato), non importa la posizione, il passo successivo sarà iscriversi insieme ad una corsa più importante, il gran premio Avanguarde Market, riservato ad artisti e gallerie oramai affermati. E lì la competizione riparte da zero e gli artisti giunti tardi alla meta potranno recuperare posizioni importanti, come il paradosso di Zenone della lepre e della tartaruga insegna[20].

Da un’analisi grafica è possibile quindi constatare che nel breve periodo (figura 1), l’equilibrio di mercato differisce in base al meccanismo di determinazione dei prezzi. Se, come spesso avviene nel settore Avanguarde, i prezzi sono predeterminati attraverso l’utilizzo di listini, che, rendendo ufficioso il valore delle opere, permettono alle gallerie di instaurare un rapporto più chiaro (e quindi duraturo) con i collezionisti, l’equilibrio sarà in corrispondenza del punto in cui i costi marginali incontrano la curva dei ricavi marginali (punto Qe1). Nel caso invece la galleria utilizzasse come meccanismo di fissazione dei prezzi la contrattazione e gli sconti sulla quantità e ad personam (discriminando quindi sui prezzi), l’equilibrio si sposterebbe verso destra (punto Qe2), dove i costi marginali incontrano la curva di domanda. Il prezzo di equilibrio risultante, che sia Pe1 o Pe2, potrà discostarsi dal prezzo medio di mercato creando per l’impresa la possibilità di creazione di extra-profitti (area grigia).

21.1

Si noti che il meccanismo di fissazione dei prezzi attuabile tramite listino determina una quantità e un prezzo di equilibrio minore rispetto alla discriminazione dei prezzi e quindi meglio si adatta ad artisti con curve di costo marginale fortemente crescente (cioè dalla bassa produttività e lenta creatività) tali da intersecare la curva dei ricavi marginali e a strategie di tipo time driven. La discriminazione dei prezzi tramite contrattazione invece meglio si addice ad artisti fortemente produttivi e dalla creatività esplosiva (i cui costi marginali sono poco crescenti così da intersecare la curva di domanda) e a strategie di marketing di tipo price driven.

Va infine rilevato che il livello di produzione non necessariamente corrisponde alla quantità di opere venduta. Parte delle opere, sebbene potenzialmente richieste, rimangono infatti vacanti sul mercato in considerazione del fatto che il mercato è poco trasparente e vi sono per i collezionisti difficoltà a reperire lavori di loro gradimento. Si viene quindi a causare un accumulo di stock da parte delle gallerie, che finiscono nei loro magazzini.

Lo stock invenduto, che può essere considerato alla stregua delle scorte di prodotti finiti per un’impresa, sebbene abbia un impatto diretto sui costi, non influisce sui ricavi. Da questo punto di vista vi è convenienza per le gallerie a richiedere agli artisti che essi producano meno rispetto ai livelli di equilibrio. D’altra parte però per il collezionista l’ampia scelta di opere a disposizione lo invoglia a sceglierne almeno una di suo gradimento, rendendo così conveniente (specie quando non si hanno, o si riescono a piazzare, vecchi lavori) una produzione oltre al livello di equilibrio al fine di creare un assortimento tale da assecondare la domanda e quindi vendere di più.

Se variazioni dello stock di opere in magazzino non hanno quindi un riflesso diretto sull’andamento dei prezzi, esse d’altra parte sia sono predittive di questi ultimi (un aumento delle opere invendute fa presagire una tensione immediata dei prezzi verso il basso, mentre una sua diminuzione è segnale di una ripresa della domanda per l’artista[21]), sia influenzano la curva di offerta, spostandola verso destra, ponendo quindi, sempre essa sia accompagnata da selling-out situations, le basi per una graduale crescita delle quotazioni dell’artista.

Nel lungo periodo invece (si veda la figura 2), l’offerta risulta essere perfettamente rigida e tangente alla domanda nel suo punto di massimo.

21.2

Poiché secondo la teoria marginalista della concorrenza monopolistica nel lungo periodo in presenza di profitti di settore nulli (legati all’ipotesi di assenza di barriere all’entrata che comporta l’ingresso nel settore di nuove gallerie) la curva di domanda è tangente a quella del costo medio[22], in questo caso curva di offerta, curva del costo medio e curva dei costi marginali verrebbero a coincidere. La rigidità delle curve dei costi è qui spiegabile con gli elevatissimi i costi opportunità nel caso la produzione si discostasse dal livello di equilibrio. Si noti che in questo caso se i profitti sono nulli, invece vi è per galleria e artista la possibilità di ottenere degli extra-profitti (area grigia).

Tale equilibrio è giustificato dal fatto che le gallerie, per massimizzare i profitti con una curva di domanda ad inclinazione positiva, cercheranno di massimizzare l’output (S segnato), in cui il ricavo marginale è massimo (o meglio tendente all’infinito). Da un punto di vista economico, infatti, la produzione (o meglio lo stock di opere messe in vendita) nel lungo periodo non può eccedere il punto di massima domanda, altrimenti le quotazioni degli artisti comincerebbero a scendere compromettendone la carriera. Passo obbligato per l’artista per uscire da questa situazione di impasse sarà quello di essersi affermato nel sistema attraverso tutta una serie di successi professionali, in modo da farsi rappresentare da una galleria tradizionale e poter passare al settore sovrastante, l’Avanguarde Market[23].

Note

[1] Cfr. Poli F. – Bernadelli F. (2007), Arte Contemporanea. Dall’informale alle ricerche attuali, Mondadori, Segrate.

[2] Cfr. Guenzi M. (2014), “La struttura del sistema dell’arte contemporanea (terza parte)”, Economia e Diritto, n. 5 e Poli F. (2011), Il sistema dell’arte contemporanea, Laterza, Bari.

[3] Ad un livello più alto, come si vedrà, le collaborazioni tra gallerie hanno finalità diverse, ovvero quelle di sostegno e orchestrazione dei prezzi di vendita degli artisti rappresentati.

[4] Il mandato senza rappresentanza comporta una cessione delle opere direttamente dall’artista al collezionista, per cui le due gallerie svolgono solo una doppia attività di intermediazione, per conto dell’artista ma in nome proprio,così da rendere riservate le proprie relazioni con i collezionisti. A proposito di tale mandato scrive Fanti: “La prassi è la seguente. Terminata l’opera, in forza di un mandato senza rappresentanza l’artista consegna la stessa alla galleria d’arte affinché si adoperi a venderla a un collezionista. La galleria d’arte, identificato il cliente e concluso l’affare, procede a vendere (ovvero a trasferire la proprietà de) l’opera in nome proprio ma per conto dell’artista, coerentemente con il mandato senza rappresentanza ricevuto, incassa il corrispettivo della vendita dall’acquirente e regola monetariamente l’operazione con l’artista, versando a quest’ultimo il corrispettivo stesso e trattenendo quanto pattuito a titolo di commissione per l’esecuzione del mandato. Sul piano del diritto civile, la proprietà del bene si trasferisce direttamente dall’artista al collezionista all’atto del trasferimento della proprietà dell’opera d’arte a quest’ultimo da parte della galleria d’arte in forza del mandato senza rappresentanza (contratto di commissione, ex 1731 e ss. del codice civile) tra quest’ultima (commissionaria) e l’artista medesimo (committente). Sempre in forza del mandato la galleria incassa il corrispettivo per la vendita dell’opera d’arte eseguita per conto dell’artista. La galleria d’arte non è mai proprietaria dell’opera, benché la stessa sia consegnata in deposito presso la galleria stessa a fini espositivi e comunque per l’esecuzione del mandato.” (Fanti G. (2012), “Per le gallerie del mercato primario: l’ABC sul regime IVA”, Art&Law, Studio Negri-Clementi e Associati, n.10).

[5] Tale percentuale è in genere la metà della provvigione di vendita. Se la galleria che vende ottiene il 50% del prezzo, il 25% di quest’ultimo viene poi corrisposto alla galleria che rappresenta l’artista.

[6] Begg D. – Vernasca G. – Fisher S. – Dornbush. R. (2011), Economia, Mc-Graw Hill, Milano.

[7] Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: le asimmetrie informative nel processo di contrattazione”, Economia e Diritto, n. 10.

[8] Velthuis O. (2011), “Art Markets”, in Towse R. (2011) (a cura di), A Handbook of Cultural Economics, Edward Elgar, Cheltenham, pp. 33-42.

[9] Un esempio chiarirà meglio il concetto di concorrenza monopolistica. Nel mercato delle bevande il prodotto non è unico, ma ci sono tantissime opportunità di consumo (prodotti sostituti). La Coca-Cola™ tuttavia rappresenta un prodotto molto diverso da tutti gli altri, per motivi di gusto e soprattutto di immagine (brand).

[10] I costi marginali di un artista, come si è visto, fanno capo ai tempi e ai costi di produzione, nonché alle risorse e al tempo necessario per creare opere innovative che siano apprezzate da parte del sistema dell’arte, quindi in ultima analisi dalla sua capacità di compiere un’attività di ricerca artistica. Le gallerie da parte loro hanno come costi marginali quelli di trasporto ed assicurazione, che tutto sommato sono però ridotti. Per questo motivo le gallerie, che invece sostengono notevoli costi fissi non recuperabili, tra cui l’affitto della sede, i costi di gestione e amministrazione, i costi di promozione, nonché i costi di organizzazione di mostre e stampa di cataloghi e a volte dell’assunzione a busta paga dell’artista, sono particolarmente interessate a incentivare al massimo la sua produzione al fine di ammortizzare i sunk cost. Sarà quindi l’artista stesso a dover comunicare alla galleria il proprio limite di capacità produttiva, nell’interesse comune di preservare o migliorare gli standard qualitativi che gli sono riconosciuti (e di riflesso alla galleria).

[11] Cfr. Stiglitz J. (1987), “The causes and consequences of the dependence of quality on price”, Journal of Economic Literature, Vol. 25, N. 1 , pp. 1-48 e più specificatamente Guenzi M. (2015), “La natura della domanda e la segmentazione del mercato dell’arte”, Economia e Diritto, n. 13.

[12] Guenzi M. (2015a), “Conformazioni dell’offerta sui mercati dell’arte contemporanea – seconda parte”, Economia e Diritto, n. 5.

[13] Guenzi M. (2015), “Il mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) – seconda parte”, Economia e Diritto, n. 9.

[14] Il surplus del consumatore è in questo caso rappresentato dall’area sopra il prezzo di equilibrio Pe che circoscrive la quantità di equilibrio Qe e la curva di domanda.

[15] In concorrenza perfetta la curva di offerta viene invece a coincidere con il tratto della curva dei costi marginali superiore ai costi variabili nel breve periodo e ai costi medi nel lungo.

[16] Lo scostamento percentuale tra il prezzo di vendita della galleria rispetto al prezzo medio di mercato è detto mark-up (qui da intendersi in senso diverso dal mark-up del monopolio), e si può misurare come Pe-Pmkt/Pe.

[17] Cfr. Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: il meccanismo di formazione dei prezzi”, Economia e Diritto, n.12.

[18] L’acquisto in blocco dei lavori dell’artista spesso viene effettuata mettendo l’artista a libro paga, in modo da pagargli una specie di stipendio mensile, in cambio della proprietà delle opere.

[19] Cfr. Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: il problema della selezione avversa degli artisti”, Economia e Diritto, n. 11.

[20] Cfr. Guenzi M. (2015), “La teoria della produzione del valore artistico – seconda parte”, Economia e Diritto, n. 3.

[21] Cfr. Guenzi M. (2015a), Op. Cit..

[22] Cfr. Chamberlin E. (1933), The Theory of Monopolistic Competition: A Re-orientation of the Theory of Value, Harvard University Press, Harvard, e Robinson J. (1933), The Economics of Imperfect Competition, Macmilian, Londra.

[23] Si noti infine che il limite superiore dell’Alternative Market, che lo separa dall’Avanguarde Market, corrisponde al livello del prezzo di equilibrio di mercato nel lungo periodo (sebbene questi due mercati possono in parte sovrapporsi per artisti con quotazioni fuori della norma).