Diritto

Il valore normale nelle transazioni nazionali infragruppo

di Paolo Antonio Iacopino

1. Introduzione

Il rispetto delle norme che impongono il valore normale nelle transazioni economiche tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo di imprese è un tema molto sentito dagli operatori economici, dai professionisti e dall’Amministrazione Finanziaria. Nel tempo, infatti, l’attenzione rivolta alla fattispecie dai Funzionari dell’Agenzia delle Entrate e dai Militari della Guardia di Finanza nel corso delle verifiche fiscali è stata sempre crescente, anche in virtù di una precisa scelta degli organi centrali. In verità l’attenzione si è incentrata particolarmente sulle transazioni internazionali, tuttavia anche quelle interne offrono interessanti spunti di riflessione che qui si intende approfondire.

Il nostro sistema tributario prevede che i fatti economici della vita di un’impresa (cessioni di beni, prestazioni di servizi, ecc.) concorrano nella determinazione della base imponibile, sia ai fini dell’IRES che dell’IVA, in ragione del corrispettivo pattuito. Infatti, ai fini delle imposte dirette, l’art. 85, comma 1, del DPR 917/1986 (Testo Unico delle Imposte Dirette, di seguito TUIR) dispone che sono considerati ricavi i corrispettivi delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi, delle cessioni di materie prime, le indennità risarcitorie, ecc. Lo stesso tenore letterale lo troviamo nell’art. 86, comma 2, TUIR, secondo il quale la “plusvalenza è costituita dalla differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito (omissis) e il costo non ammortizzato”. Analogamente, ai fini IVA, costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che comportano il trasferimento della proprietà, ecc. (art. 2, comma 1, DPR 633/72) e servizi imponibili le prestazioni verso corrispettivo (art. 3, comma 1, DPR 633/72).

La scelta del corrispettivo come base di determinazione dell’imponibile è giustificata dal fatto che gli interessi contrapposti degli operatori economici garantiscono al legislatore che il prezzo di scambio dei beni ceduti e dei servizi prestati sia quello normalmente praticato in un mercato di libera concorrenza. La questione non è di poco conto in quanto le imposte, che permettono allo Stato di prestare i servizi pubblici, vengono calcolate sul reddito risultante dalla differenza tra proventi imponibili e costi deducibili.

Per tutelare la stabilità del sistema il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre delle disposizioni, che possiamo definire “di garanzia”, che regolamentano in modo specifico alcune situazioni nella quali le parti contrattuali, per via di un loro interesse comune e, quindi, non contrapposto, possono pattuire per le obbligazioni assunte un corrispettivo inferiore al valore di mercato, o addirittura possono non prevedere alcun corrispettivo, ponendo in essere un atto liberale. In assenza di queste norme il danno potenziale per l’Erario sarebbe enorme, visto che in questi casi nella determinazione della base imponibile non concorrerebbe più il reale valore del bene trasferito o del servizio prestato ma il corrispettivo pattuito che potrebbe anche essere inferiore al valore di mercato.

L’applicazione concreta di queste disposizioni, che di seguito analizzeremo, ha reso necessaria l’introduzione di una norma che stabilisse i criteri di determinazione del valore normale. Ai fini delle imposte dirette la norma di riferimento è l’art. 9 del TUIR, mentre per l’IVA è l’art. 14 del DPR 633/72. Dalla lettura delle disposizioni si evince chiaramente che il legislatore considera normale la transazione conclusa in un mercato di libera concorrenza, dove si incontrano gli interessi contrapposti degli operatori economici. Il principio è esplicitato stabilendo che per i beni quotati in mercati regolamentati o per i quali sono previsti dei listini specifici il parametro di riferimento è il valore di quotazione o il prezzo del listino. Negli altri casi occorrerà individuare una transazione comparabile. In tal senso l’art. 9 del TUIR stabilisce che per valore normale  “si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni   di   libera   concorrenza  e  al  medesimo  stadio  di commercializzazione,  nel  tempo  e nel luogo in cui i beni o servizi sono  stati  acquisiti  o  prestati,  e, in mancanza, nel tempo e nel luogo  più  prossimi”.

In linea teorica il principio è molto semplice. La questione si complica quando occorre  applicarlo per controllare se una transazione potenzialmente non indipendente sia stata conclusa nel rispetto del principio del valore normale. In questo caso la conoscenza degli istituti giuridici non basta. Infatti, bisogna conoscere le caratteristiche, anche tecniche, dei beni ceduti e dei servizi prestati per individuare la o le transazioni indipendenti da confrontare.

Analizzando il TUIR e il decreto IVA si evince che il principio del valore normale è generalmente utilizzato dal legislatore come parametro di determinazione della base imponibile in due ipotesi: nei rapporti economici (cessioni di beni e prestazioni di servizi) tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo di imprese e negli atti liberali in natura.

In verità l’unica norma di sistema che si riferisce al valore normale è l’art. 110, comma 7 del TUIR, meglio conosciuta come transfer pricing, secondo la quale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo d’imprese operanti in Stati o Territori diversi concorrono alla base imponibile secondo il valore normale e non in ragione del corrispettivo pattuito. La disposizione ha la funzione di tutelare le ragioni dell’Erario, evitando che a livello di gruppo si decida, mediante l’arbitraggio sui prezzi, in quale Stato o Territorio concentrare l’imponibile. Infatti, spostando la tassazione delle transazioni infragruppo dal corrispettivo al valore normale viene meno la possibilità di incidere sui prezzi.

Una norma analoga di sistema nei rapporti nazionali infragruppo non è prevista e non è nemmeno necessaria, in quanto lo spostamento dell’imponibile tra due soggetti residenti nel territorio dello stesso Stato è ininfluente per l’Erario.

Tuttavia il legislatore ha ritenuto opportuno trattare in modo isolato, sia ai fini dell’IRES che dell’IVA, alcuni fatti economici tra contribuenti “nazionali” applicando il principio del valore normale. La finalità delle disposizioni, come vedremo nel dettaglio, è sempre quella di evitare una contrazione delle entrate tributarie. Il riferimento è agli atti liberali in natura, alle cessioni di beni e prestazioni di servizi tra imprese che hanno regimi di determinazione dell’imposta differenti e alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra soggetti ammessi all’istituto del consolidato fiscale nazionale.

2. Atti liberali in natura

Degli atti liberali in natura, aventi ad oggetto beni e/o servizi, si occupa in modo specifico la disciplina del reddito d’impresa e dell’imposta sul valore aggiunto.

Ai fini delle imposte dirette l’art. 85, comma 2, TUIR dispone che “si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”. Lo stesso principio viene espresso nell’art. 86, comma 3 lett. c), TUIR, secondo il quale “le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se i beni sono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”. In questa ultima ipotesi il plusvalore tassabile è determinato dalla differenza tra il valore normale del bene ed il costo non ammortizzato dello stesso.

Le disposizioni si applicano solo alle cessioni di beni e non anche alle prestazioni di  servizi. Questa diversità di trattamento rappresenta una differenza con l’analoga disciplina dell’IVA che, come vedremo di seguito, prevede l’imponibilità sia delle cessioni gratuite dei beni che delle prestazioni gratuite dei servizi. La diversità di trattamento della fattispecie tra le due imposte può generare effetti impositivi differenti. Si consideri il caso di una società che concede a tutte le sue controllate nazionali l’uso gratuito di alcuni brevetti industriali. La concessione dei brevetti industriali è una prestazione di servizio. Ai fini IVA la prestazione gratuita del servizio rileverà quale operazione imponibile, mentre ai fini delle imposte dirette la concessione gratuita del diritto non dovrà essere tassata.

Le disposizioni sopra richiamate evitano che i beni aziendali escano dal patrimonio dell’impresa senza che venga assolta alcuna imposizione. È chiara la funzione di tutela dell’Erario in ipotesi dove, per via delle relazioni tra le parti, è assolutamente irrilevante l’aspetto oneroso. La norma regolamenta due casi distinti: l’assegnazione gratuita ai soci e la destinazione a finalità estranee all’impresa. La prima ipotesi è molto chiara e tende ad evitare che i passaggi di beni tra società e socio possano avvenire senza alcuna imposizione. Nel secondo caso è imponibile il valore del bene che esce dal patrimonio del donante al solo fine di incrementare il patrimonio del donatario. La ragione sta nel fatto che l’impresa, rinunciando all’utile che potrebbe conseguire alienando il bene anziché donarlo, persegue una finalità estranea all’attività d’impresa, che è il conseguimento di un profitto. Inoltre, se il donatario è un imprenditore dovrà far concorrere al reddito imponibile il valore normale del bene ricevuto gratuitamente. Infatti, per il testo unico sulle imposte sui redditi sono sopravvenienze attive, ex art. 88, comma 3 lett. B), TUIR, i proventi in natura conseguiti a titolo di liberalità. L’operazione nel complesso genera una doppia imposizione economica, stesso reddito (valore normale del bene donato) tassato due volte in capo a due soggetti diversi, la prima volta in capo al donante come ricavo e la seconda volta in capo al donatario come sopravvenienza attiva.

Le norme in commento sono disposizioni antielusive specifiche, introdotte dal legislatore ancorché vi sia la presenza di un’altra disposizione che può contrastare lo stesso fenomeno. Il riferimento è all’art. 109 comma 5 TUIR, che prevede il principio dell’inerenza, secondo il quale i costi sono deducibili se riferiti ad attività o beni da cui derivano proventi imponibili o esenti. In assenza dell’art. 85, comma 2, TUIR il costo di acquisto o produzione del bene assegnato gratuitamente sarebbe indeducibile per via del principio dell’inerenza, in quanto non riferito ad alcun ricavo imponibile. Esiste, però, una differenza tra le due norme, e sta nel fatto che in base alla disposizione antielusiva concorre a formare il reddito il valore normale del bene (costo + mark-up) cui segue la deducibilità del relativo costo, mentre con l’applicazione del principio dell’inerenza mancando un provento, imponibile o esente, il costo di acquisto o di produzione dello stesso bene è indeducibile.

Le disposizioni antielusive di cui sopra si occupano delle sole cessioni gratuite di beni, per cui nel caso di prestazioni liberali di servizi trova applicazione il principio dell’inerenza.

Nel concetto di gratuità rientrano anche le c.d. vendite miste con donazione, meglio conosciute come donazioni indirette. Secondo parte della dottrina l’istituto rientra tra i negozi misti di cui all’art. 1322 del codice civile, in quanto la gratuità si innesta sulla causa onerosa tipica della vendita. Secondo altra parte della dottrina l’istituto rappresenta, invece, uno dei modi con i quali si attua, per via indiretta, l’arricchimento di altri, per la parte del valore della cosa che non riceve un corrispettivo adeguato. Per aversi la figura del negozio misto con donazione, non basta che vi sia sproporzione tra le due prestazioni, ma occorre che questa sproporzione sia voluta da colui che la subisce allo scopo di attuare una liberalità e che questa finalità sia nota ed accettata dall’altra parte. Si pensi al caso in cui una società cede ad un proprio socio un bene con uno sconto dell’80% sul prezzo al pubblico. È evidente, in questo caso, che lo spirito di liberalità prevale nell’economia della transazione, per cui trova applicazione il disposto dell’art. 85, comma 2, con l’effetto, per l’assegnante del bene, di far concorrere nella determinazione del reddito la differenza tra il valore normale della transazione e il prezzo pattuito.

Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono imponibili le cessioni gratuite di beni, ex art. 2, comma 2 numeri 4), 5) e 6), DPR 633/72, e le prestazioni gratuite di servizi, ex art. 3, comma 3, DPR 633/72, rese per il consumo personale o familiare dell’imprenditore o del professionista o destinati a finalità estranee all’attività d’impresa. Condizione di applicabilità della disposizione è che tali operazioni abbiano un valore unitario superiore ad € 25,82 e che l’imposta afferente gli acquisti sia detraibile. La funzione della disposizione è quella di tutelare le ragioni dell’Erario. Infatti, se queste cessioni non venissero tassate l’applicazione dell’imposta terminerebbe con la detrazione dell’IVA sostenuta per l’acquisto dei beni e servizi resi gratuitamente, senza che si verifichi il momento della tassazione sul consumatore finale . Ne consegue che se l’IVA sostenuta per i costi relativi ai beni o ai servizi resi gratuitamente non è detraibile l’operazione gratuita non è imponibile ai fini IVA. Le cessioni di beni rese gratuitamente sono imponibili all’atto del prelievo, mente le prestazioni di servizio gratuite concorrono alla tassazione nel momento in cui sono rese. La base imponibile è costituita dai costi di acquisto o produzione dell’operazione gratuita. In questo modo viene garantita esclusivamente la neutralità dell’IVA, escludendo dall’imponibilità il mark-up dell’operazione economica. L’imposta sulle operazioni gratuite non deve essere addebitata, a titolo di rivalsa, dal soggetto passivo di diritto al beneficiario della prestazione gratuita ma viene assolta direttamente dallo stesso contribuente mediante una variazione in aumento dell’imponibile dichiarato ai fini IVA, per un importo pari al costo della prestazione/cessione gratuita. In ultimo si specifica che tra le cessioni gratuite di beni rientrano, analogamente alle imposte dirette, le vendite miste con donazione.

Dall’esposizione emergono delle differenze di trattamento della fattispecie tra la disciplina delle imposte dirette e quella dell’IVA, che possono essere così sintetizzate:

  • Ai fini delle imposte dirette rilevano solo le cessioni gratuite di beni, mentre nell’IVA rilevano anche le prestazioni di servizi rese senza corrispettivo;
  • Ai fini delle imposte dirette non è prevista una soglia minima di inapplicabilità della disposizione, mentre ai fini IVA l’imponibilità rileva solo per le operazioni economiche di valore unitario superiore ad € 25,22;
  • Ai fini delle imposte dirette la base imponibile è costituita dal valore normale, comprensivo del costo e del margine di guadagno, mentre ai fini IVA la tassazione è prevista esclusivamente per il costo d’acquisto o di produzione dei beni e dei servizi.

3. Cessioni di beni e prestazioni di servivi tra imprese che hanno differenti regimi di determinazione dell’imposta

La disciplina del reddito d’impresa e quella dell’IVA prevedono, per alcune tipologie di attività, regole di determinazione dell’imposta differenti rispetto ai regimi ordinari. Il legislatore, per evitare una contrazione delle entrate pubbliche, ha ritenuto opportuno, in alcuni casi,  regolare i rapporti economici tra soggetti che hanno regimi fiscali diversi.

3.1. Tonnage tax

Nella disciplina del reddito d’impresa è previsto un regime forfetario di determinazione dell’imponibile per alcune imprese marittime, meglio conosciuto come tonnage tax. Questo istituto, introdotto con il D.Lgs. 344/2003, rappresenta uno strumento fondamentale di sostegno all’industria armatoriale, ed è finalizzato a contenere l’esodo degli armatori nazionali verso Paesi terzi aventi fiscalità più convenienti. Al regime premiale possono aderire solo le società di capitali residenti che utilizzano navi destinate all’esercizio di attività commerciali e della pesca, ad operazioni di salvataggio e di assistenza in mare con un tonnellaggio superiore alle 100 tonnellate. L’imponibile è calcolato in via forfetaria sulla base di un reddito giornaliero per ciascuna nave, applicando al tonnellaggio dell’imbarcazione i coefficienti previsti dall’articolo 156 del TUIR per scaglioni di tonnellaggio netto. Il risultato così ottenuto viene poi moltiplicato per un coefficiente correttivo che varia in relazione all’età della nave. L’obiettivo è quello di premiare gli operatori con navi di più recente costruzione, incentivando il tal modo il rinnovo della flotta.

Il regime forfetario di imposizione rende irrilevanti per le imprese soggette alla tonnage tax i costi sostenuti nell’esercizio. Il legislatore, per evitare l’arbitraggio dei prezzi tra imprese soggette al regime forfetario e imprese sottoposte al regime ordinario, al solo fine di trasferire costi in favore di queste ultime, ha introdotto l’art. 160, comma 2, TUIR, secondo il quale  “alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi fra le società il cui reddito e’ determinato anche parzialmente ai sensi dell’articolo 156 e le altre imprese, anche se residenti nel territorio dello Stato, si applica, ricorrendone le altre condizioni, la disciplina del valore normale prevista dall’articolo 110, comma 7”  

Questa disposizione di garanzia prevede che i rapporti economici tra imprese controllate e/o collegate, anche se entrambe residenti nello Stato, sono imponibili al valore normale e non in base al corrispettivo se una delle due (imprese) è soggetta alla tonnage tax. Questa è l’unica ipotesi di transfer pricing interno prevista dal nostro TUIR. Con il richiamo al valore di mercato si ottiene l’effetto di evitare arbitraggi sui costi. Invece, nessuna cautela è stata prevista nei rapporti tra soggetti non appartenenti allo stesso gruppo. Il motivo sta nel fatto che gli interessi contrapposti degli operatori economici garantiscono al legislatore che la determinazione del prezzo avvenga al valore normale.

3.2. Il valore normale ai fini IVA nelle transazioni economiche verso corrispettivo

Uno degli istituti più importanti dell’imposta sul valore aggiunto è la detrazione dell’imposta, che permette ai soggetti IVA di sottrarre dal tributo dovuto all’erario l’imposta assolta sugli acquisti. Il diritto alla detrazione è pieno per i contribuenti che effettuano operazioni imponibili e non imponibili, ed è escluso per i contribuenti che effettuano solo operazioni esenti. Nel caso in cui il contribuente effettui congiuntamente operazioni imponibili o non imponibili, che danno diritto alla detrazione, ed operazioni esenti, che escludono la detrazione, l’IVA assolta sugli acquisti potrà essere detratta in percentuale (c.d. pro-rata di detraibilità). La percentuale di detrazione è determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti.

L’esistenza di diversi regimi di detrazione dell’imposta ha indotto il legislatore ad introdurre una norma di garanzia finalizzata a regolare i rapporti tra soggetti sottoposti a regimi differenti di detrazione del tributo. In tal senso l’art. 13, comma 3, DPR 633/72 dispone che sono imponibili in base al valore normale:

  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili effettuate da una società nei confronti di un’altra società che ha un diritto di detrazione limitato, per effetto del pro rata di detraibilità, quando i due soggetti sono legati da un rapporto di controllo o di collegamento (art. 13, comma 3 lett a). Con la norma si vuole evitare che la società che ha un regime di detrazione limitato pattuisca con un’altra società del gruppo un prezzo d’acquisto delle operazioni imponibili inferiore al valore di mercato, al fine di limitare la tassazione piena in capo alla seconda cui corrisponde una detrazione limitata in capo alla prima;
  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi esenti effettuate da una società che ha un diritto di detrazione limitato, per effetto del pro rata di detraibilità, nei confronti di un’altra società, quando i due soggetti sono legati da un rapporto di controllo o di collegamento (art. 13, comma 3 lett b). Con la norma si vuole evitare che la società che ha un regime di detrazione limitato pattuisca con un’altra società del gruppo un prezzo delle operazioni esenti inferiore al valore di mercato, per poter usufruire di una percentuale di detrazione dell’imposta maggiore;
  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili effettuate da una società che ha un diritto di detrazione limitato, per effetto del pro rata di detraibilità, nei confronti di altra società, quando e i due soggetti sono legati da un rapporto di controllo o di collegamento (art. 13, comma 3 lett c). Con la norma si vuole evitare che la società che ha un regime di detrazione limitato pattuisca con un’altra società del gruppo un prezzo delle operazioni imponibili superiore al valore di mercato, per poter usufruire di una percentuale di detrazione del tributo maggiore.

4. Cessioni di beni e prestazioni di servizi tra soggetti ammessi al consolidato fiscale nazionale

L’istituto del consolidato fiscale nazionale (artt. da 117 a 129 TUIR) consente la dichiarazione di un unico imponibile fiscale per le società che sono legate da determinati vincoli partecipativi. Il reddito di gruppo deve essere dichiarato dalla c.d. consolidante, che è la società che direttamente o indirettamente controlla la maggioranza assoluta delle azioni e dei diritti di partecipazione agli utili delle altre società aderenti alla fiscal unit.

L’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo comporta la determinazione di un reddito complessivo globale, dato dalla somma algebrica dei redditi e delle eventuali perdite di tutte le società aderenti alla tassazione di gruppo. L’eventuale perdita di gruppo potrà essere riportata a nuovo solo nell’ambito del consolidato da parte della controllante. Invece, le perdite fiscali relative agli esercizi anteriori all’accesso alla tassazione di gruppo possono essere utilizzate , ex art. 118 comma 2, TUIR, solamente dalle società cui si riferiscono.

Il legislatore per tutelare il principio del divieto di compensazione delle perdite pregresse ha introdotto nell’art. 37bis, comma 3, DPR 600/73 (disposizioni antielusive) la lettera f-bis, secondo la quale sono potenzialmente elusive le “ cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo di cui all’articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi”.

La finalità della disposizione è quella di contrastare arbitraggi sui prezzi delle cessioni e delle prestazioni di servizi tra soggetti aderenti alla fiscal unit, finalizzati ad incrementare il reddito della consolidante o della consolidata che ha perdite pregresse da scomputare. Infatti, se le cessioni di beni e le prestazioni di servizi venissero pagate ad un prezzo maggiore o minore rispetto a quello di mercato si otterrebbe l’effetto di aggirare il divieto dell’art. 118, comma 2, TUIR incrementando il reddito del soggetto che ha perdite pregresse da compensare.