Diritto Criminologia e criminalistica

La ‘crudeltà’ e le sue molteplici cause

(di Maciej Szostak[i] – traduzione dalla lingua polacca di Jolanta Grębowiec Baffoni)

Sarebbe opportuno iniziare il presente intervento con la definizione della “crudeltà” o almeno provare a delinearne il concetto.

Che cosa possiamo definire come crudeltà e che cosa non è definibile con questo termine?

Nella logica formale quando non esiste la possibilità o quando non esistono le competenze per fornire una definizione, la delimitazione dell’oggetto viene formulata attraverso la sua definizione per contrasto. Così potremmo fare anche nel nostro caso, comunque cerchiamo di avanzare l’argomento della crudeltà, senza anticipare i tempi.

Sicuramente la crudeltà è legata con il concetto del male e non del bene, è certamente qualcosa di dannoso al livello sociale, quindi si verifica nella società umana e non animale.

Il problema della crudeltà degli animali è interessante, tuttora aperto e pieno di incertezze, poiché finora non siamo in grado di rispondere alla domanda se gli animali possono essere crudeli. Non sappiamo se i loro comportamenti naturali (cioè le torture che noi troviamo senza senso), accadono per il bisogno della lotta per sopravvivenza, per il dominio nel branco o per acquistarsi i favori del rappresentanti del sesso opposto. Ma molto probabilmente il comportamento crudele non appartiene agli animali.

Per questo motivo la crudeltà bisognerebbe valutarla come comportamento tipicamente umano – come prodotto umano, astratto dal bisogno di sopravvivenza e dai condizionamenti, come concetto non caricato da nessuna azione.

Ora che abbiamo precisato che la crudeltà è connessa al male, poniamoci la domanda: “che cosa è il male?”

Nella cultura europea ”il male” secondo i più antichi sistemi filosofici del V e IV secolo a.C., è semplicemente una mancanza del bene e con questa caratteristica viene considerato da Socrate nel suo sistema dell’intellettualismo etico, come anche da Platone e Aristotele. Il male e le concezioni del male sono conosciute, probabilmente, dai tempi delle origini dello stesso male. Intendo dire che la concezione del male trova il principio nelle culture con il dominio delle religioni politeistiche, come per esempio nell’Antica Roma, nella cultura babilonese o nell’Egitto (in queste culture e religioni esistevano i dei responsabili per il male oppure identificati con il male), invece le concezioni del male presenti nella forma scritta delle riflessioni dei primi pensatori, ovvero dei filosofi della Grecia Antica citati in alto, nascono più tardi (dalla nostra prospettiva della storia della filosofia), ovvero verso il VI e V secolo.

Ma né questi, né prossimi sistemi filosofici (etici) dell’antichità, come per esempio epicureismo, stoicismo o neoplatonismo risolvono il nostro problema, anche se probabilmente ci avvicinano alla sua soluzione. Sappiamo già che la crudeltà non può essere messa in rapporto con il bene.

Nel Medioevo, nei tempi in cui nascono i grandi sistemi teologici, cioè il sistema di san Agostino e di san Tommaso, il fenomeno dello “sviluppo dell’epoca della crudeltà” sembra vivere la sua estensione. Oggi tutto ciò ci sembra paradossale: nei tempi del più grande dominio religioso e delle sue influenze, nascono i più insensati e i più crudeli modi di applicare la sofferenza alle persone.

Ma prima di passare alle riflessioni sul ruolo della cosiddetta Santa Inquisizione nella storia della crudeltà, vorremmo tentare di rispondere ancora una volta alla domanda “che cosa è la crudeltà”?

Secondo René Guyon, celebre studioso di questa problematica e professore della filosofia, la crudeltà è un’intenzionale e consapevole applicazione della sofferenza ad un essere vivente in grado di avvertire gli stimoli. La crudeltà è un piacere per colui che l’applica – dice René Guyon – è il piacere più disgustoso che si possa immaginare, poiché quel piacere nella sua essenza è una vigliaccheria, poiché consiste nel torturare esclusivamente una creatura più debole e indifesa.

La crudeltà prova, secondo Guyon, la mancanza d’intelligenza e di carattere. Non si può parlare d’intelligenza là dove non c’è la comprensione e la compassione nel penetrare l’animo altrui: l’intelligenza è il bene e non il male. Che cosa vale la vita, se l’esperienza non ci insegna di essere buoni?

(Una posizione simile l’assumeva Socrate, nella sua concezione dell’intellettualismo etico sosteneva che l’uomo intelligente non si comporterà mai male, crudelmente, ciò significa che il male e la crudeltà trovano l’origine nell’inconsapevolezza dell’uomo).

Fra i crimini e gli omicidi il primo posto detiene la crudeltà. Guyon afferma che la crudeltà è un istinto raffinato delle rotture e della distruzione, poiché il suo istinto si origina dalla vita e distruggendola vogliamo che la creatura alla quale si toglie la vita soffra a più lungo possibile.

Oggi, guardando il passato, ma anche il presente, sembra che la crudeltà sia una specie di “arte”

sviluppatasi in tutte le epoche e quasi in tutte le nazioni e non è possibile stabilire a chi appartiene il primato.

Gli storici sostengono che il record della crudeltà è da conferire all’Assiria. Nella sua cultura l’uomo svelava un talento particolare di applicare la sofferenza con i più strani strumenti di torture. A titolo di esempio vorrei citare la tortura con “il cuscino di paglia” molto popolare in India. Essa consisteva in “lavoro” del boia che con l’utilizzo dei martelli di pietra, non troppo grandi, spezzava le ossa del condannato in piccoli pezzettini, senza togliergli la pelle. In seguito girava il corpo tenendolo per i capelli e comprimeva la massa del corpo formandone il cosiddetto cuscino. Si pensa che gli indonesiani dimostravano una capacità altrettanto alta nelle torture che nelle riflessioni metafisiche (torture che ovviamente non avevano nulla a che fare con gli insegnamenti del Buddha).

Tale considerazione trova il riflesso nelle parole di Helbing, secondo cui l’Asia non è soltanto la culla della religione, ma indubbiamente lì trova l’origine anche la tortura.

La tortura oltre ad essere diffusa in Assiria e in altri paesi dell’Asia, era conosciuta anche in Egitto. Ma sembra che proprio la tortura asiatica sia stata a invadere anche le terre europee. Infatti dall’Asia la tortura è passata alla Grecia e i greci si sono dimostrati dei bravi allievi. La loro crudeltà si rispecchia nella mitologia, dalla quale, a titolo di esempio, vorrei ricordare alcuni frammenti più popolari: Prometeo incatenato alla roccia; Marzio spellato da Apollo; la camicia infuocata di Dejanira; il letto di Procruste, il re Issione che fu condannato da Zeus, dio degli dei e degli uomini, all’inferno e alle sofferenze eterne nella ruota della tortura per aver corteggiato la sua moglie Giunone. Oppure il mito del pastore Melanhias, ecc.

L’idea di costringere qualcuno di parlare con l’ausilio delle torture risale alle origini del mondo e si potrebbe dire che è innata nell’uomo.

Oggi, con l’esperienza secolare alle spalle, vale la pena porci la domanda se le informazioni acquisite durante le torture possono essere considerate vere? Sicuramente no. Nonostante ciò, i numerosi esempi della storia dimostrano che la vigliaccheria prevaleva sulla riflessione e logica. La tortura è un “privilegio” della civilizzazione. Le stirpi germaniche ostrogoti, visigoti, e franchi l’hanno assunta dai romani.

Nella storia e nell’ambito puramente tedesco, la tortura “giudiziaria” non era conosciuta, almeno non veniva utilizzata metodicamente, principalmente veniva sostituita da cosiddetta ordalia, cioè dal tribunale divino. In Germania la tortura viene affermata soltanto con l’introduzione del diritto romano, che fu diffuso dagli imperatori tedeschi. Con questo fatto nel popolo tedesco si sviluppa e dilaga la finzione (ma qualche vota forse anche la credenza) di essere i legittimi successori degli imperatori romani, che gli “giustifica” di utilizzare la tortura come una pratica comune nel procedimento penale in Germania.

Una delle più terribili carte nella storia della crudeltà e nello stesso momento la più buia carta nell’esercizio della Chiesa è sicuramente rappresentata dall’attività della Santa Inquisizione, sorta nel XIII secolo. Un impulso fondamentale al suo sviluppo fu l’origine di cosiddetto catarismo, eresia manichea che principalmente conquistò quasi tutto il sud della Francia, avanzando sempre più al sud. La Chiesa di fronte alla paura di perdere il proprio dominio decise di utilizzare i mezzi particolari della spietata severità e della crudeltà.

Le prime condanne degli eretici furono eseguite nel 1022 in Orleans, con la morte sul rogo di tredici persone. Da quel momento tali esecuzioni furono sempre più frequenti. I roghi con gli eretici bruciavano in ogni luogo dell’Europa.

La seconda carta della crudeltà è costituita dai processi alle streghe e agli stregoni. L’accanimento con cui venivano sterminate soprattutto le streghe (uno stregone su dieci streghe) è il risultato delle

più profonde delle superstizioni, quindi dell’ignoranza che crea la paura e propaga la morte. La morte purificatoria, quindi particolarmente sofferta.

L’ultima carta buia nella storia della crudeltà, ma purtroppo sempre attuale, è l’eterna relazione con gli animali. Su questo problema vorrei soffermarmi un po’ di più. Secondo Roman Zdziechoeski, famoso filosofo polacco e grande conoscitore della crudeltà, il fattore comune che unisce tutte le creature viventi sulla terra è proprio la sofferenza e il dolore. Da questo fattore comune a noi tutti si potrebbe trarre una semplice conclusione, che in base alla conoscenza della propria sofferenza, ogni creatura dovrebbe saper comprendere un altro essere vivente, perciò non applicargli il dolore.

Ma ogni giorno della nostra esperienza umana dimostra che la situazione è totalmente opposta. L’uomo, essere “pensante”, ha causato lo squilibrio nelle proporzioni dell’ambiente naturale, nella natura, uccidendo o per il guadagno materiale oppure comunque senza un motivo giustificabile. L’uomo, sotto questo punto di vista, è l’unica creatura capace di uccidere per cause diversi dalla fame, traendo spesso il piacere dalla stessa percezione della sofferenza altrui, dunque a contrario degli animali: un leone sazio o uno squalo non attaccano mai per un solo piacere di uccidere.

Il panico dell’uomo di fronte agli squali, ha causato le uccisioni di massa di questa specie che, come confermano le ultime ricerche, è molto vicina ai mammiferi. Tali uccisioni sono completamente inspiegabili, poiché le statistiche dimostrano che su tremila affogamenti, solo uno è provocato dall’attacco dello squalo. Invece l’uomo incapace di nuotare non ha paura di sfidare l’acqua; il panico si crea al momento dell’incontro con lo squalo nel suo habitat naturale, attribuendo a questa creatura l’immagine di un essere spietato e assassino.

Un altro problema che riguarda i nostri simili, cioè i mammiferi marini, tocca le bestiali uccisioni dei delfini, la cui intelligenza è stata più volte apportata all’intelligenza dell’uomo (non per caso le leggende antiche citano i delfini come uomini dell’Atlantide). Vale la pena di osservare in questo luogo, che esistono le ricerche psicologiche che misurano l’intelligenza rapportando la lunghezza della spina dorsale alla superficie della corteccia cerebrale dell’animale. Dunque: nei casi dei delfini tale rapporto è quasi identico ai risultati ottenuti nella specie dell’homo sapiens. Tuttavia, nonostante l’affinità che l’uomo condivide con il delfino, nonostante la conosciuta fiducia e la sollecitudine dei delfini nei confronti della nostra specie, questi animali affascinanti e amichevoli vengono uccisi con la singolare ferocia e spietatezza proprio dall’uomo. In questo luogo vorrei citare soprattutto le crudeltà dei pescatori delle Isole delle Pecore, che ogni anno svolgono la caccia a questo mammifero, giustificandola con l’antica tradizione. In questo tipo di “festa” durante la quale i delfini catturati e intrappolati fra le barche dei pescatori vengono uccisi a colpi degli arpioni, partecipano le famiglie intere: padri, madri e figli, tramandando ulteriormente la crudele usanza.

La misura del rapporto umano con gli animali, secondo Guyan, è rappresentata dalla lingua. L’uomo attraverso la parola “animale” esprime il sinonimo di nullità e di vigliaccheria, eppure molto spesso al posto di parole crudeltà o di spietatezza viene usato il termine bestialità. Considerando queste mie riflessioni dal punto di vista della crudeltà dell’uomo verso gli animali, giungo alla conclusione che gli animali più di qualcun altro avrebbero il pieno diritto di utilizzare il termine “uomo” come il sinonimo di spietatezza e di vigliaccheria.

Alla fine ancora una riflessione che riguarda probabilmente le basi delle radici della crudeltà.

Vale la pena di chiedersi: quali sono i principi della tortura applicata come atto di riparazione del torto?

Il primo atto legale in questo ambito sembra essere il codice di Hammurabi (circa 1700 a.C.) chiamato “giusto” e da cui deriva la regola “occhio per occhio, dente per dente”. Secondo me questo codice sta alle basi di arrogarsi il diritto di fare la giustizia sociale, secondo il proprio senso di giustizia.

Tuttavia già 360 anni prima del codice Hammurabi esisteva il primo codice scritto dall’uomo, si tratta del codice del re dei summeri UR-nammu, che affermava che non si può fare del male all’uomo nella stessa misura che abbia fatto lui, per la sua azione inadeguata, quindi ingiusta. Non bisogna punire la violenza con la violenza, l’omicidio con l’omicidio. Questo codice era conosciuto ai contemporanei del re UR-nammu ma come dimostra la storia, l’uomo, nella sete di sangue, preferiva scegliere il codice Hammurabi.

Oggi la normativa moderna del codice del re UR-nammu ha trovato l’applicazione nel codice penale polacco e in quasi tutta l’Europa, nella cosiddetta umanizzazione della legge, riprendendo anche le teorie di Kant. Kant, creatore delle teorie che fino ad oggi costituiscono un preciso modello per le codificazioni, affermava che l’uomo è in grado di raggiungere la più alta forma della giustizia sociale attraverso l’utilizzo, nella regola, di cosiddetta ritorsione penale cioè del codice del Hammurabi. Hegel in questo ambito ha creato un sistema dialettale e nonostante che quel sistema fosse molto valido nelle concezioni, è stato utilizzato per i più spregevoli sistemi che annientavano la dignità umana, quali: marxismo-leninismo, comunismo e nazismo.

Considerando queste riflessioni pongo un’altra domanda: “la crudeltà quindi esiste nella natura umana, è una condizione acquisita o innata?

Le diverse concezioni della psicologia e della filosofia e delle altre scienze sociali che si occupano di questa problematica, si pongono la stessa domanda. Dagli albori della scienza che si occupa del problema degli atti malvagi, gli studiosi sono divisi nelle opinioni sulla crudeltà umana: alcuni sono convinti che l’uomo nasce geneticamente appesantito dalle tendenze a compiere gli atti crudeli, gli altri ritengono che la spietatezza è una tendenza acquisita.

La psicologia moderna afferma che la crudeltà è l’insieme delle caratteristiche personali acquisite e innate, che si manifestano nei luoghi, nei tempi e nelle condizioni precisi.

Alla fine di queste riflessioni vorrei esprimere la speranza che quel che chiamiamo la storia della crudeltà rimanga nelle nostri menti soltanto come un triste racconto dei tempi passati, e ci insegni come la storia dovrebbe saper trarre le conclusioni costruttive, quindi giuste, riguardanti la realizzazione della nostra umanità, l’umanità buona per noi e per tutta la realtà del più grande fenomeno della natura quale l’intelligenza dell’uomo. Soltanto in questo avremo la possibilità di diventare uomini veramente umani.

Note

[i] Maciej Szostak è il professore straordinario presso La Cattedra di Criminalistica della Facoltà di Legge, Amministrazione ed Economia dell’Università di Wroclaw e di Istituto di Medicina Legale presso l’Università Medica dell’Università di Wroclaw (Polonia)