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La finanza di progetto: come realizzare opere pubbliche senza oneri finanziari per la PA

 

  1. Premessa

Quando si tratta di finanza di progetto, giova ricordare che – per quanto sia stato anzitutto il Legislatore stesso ad adoperare questo termine – definire la finanza di progetto come un contratto di PPP è improprio «poiché la finanza di progetto costituisce piuttosto uno strumento di tecnica economico-finanziaria utilizzato per il reperimento e l’acquisizione delle risorse necessarie a realizzare e gestire economicamente un’unità economica, o un progetto di investimento, in modo separato dal complesso patrimoniale e finanziario dei player del progetto stesso, in cui questi ultimi valutano il merito di credito dell’operazione sulla base dei flussi di cassa attesi/generati»1. Conosciuta altresì come project financing, nel nostro ordinamento la qualificazione giuridica della finanza di progetto, istituto di matrice anglosassone, è da tempo oggetto di dibattito dottrinale: già in vigenza del regime antecedente, molti autori erano soliti ricondurla alla concessione quale mera variante, trascurandone viceversa il valore di ulteriore modello collaborativo tra il settore pubblico ed il settore privato rispetto a quello concessorio2. Posto che affonda le sue radici nell’ambito civilistico, tuttavia, grazie alla sua assoluta duttilità, ha presto suscitato l’interesse della sfera pubblicistica, in quanto permette «alla Pubblica Amministrazione di realizzare servizi rivolti ai cittadini, contemperando la duplice esigenza di ridurre l’esborso finanziario e migliorare l’efficacia nella realizzazione e gestione di opere pubbliche»3 anche in un contesto di crisi finanziaria. Così, una volta adattatosi alle esigenze dell’economia statale, dopo una prima applicazione nel compartimento energetico ed infrastrutturale, «ha ulteriormente trovato larga applicazione in plurimi settori pubblici attraverso le forme di partenariato pubblico privato»4. Non a caso, mentre sul versante del diritto civile risulta perlopiù lasciato alla libertà previsionale dei privati e quindi sprovvisto di una disciplina legislativa ad hoc, per converso sul versante del diritto amministrativo trova alcune specifiche regole all’interno del Codice dei contratti pubblici, articoli 183 e 184 su tutti.

 

  1. Disciplina codicistica

Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano, la finanza di progetto viene generalmente ricondotta alla categoria del partenariato istituzionale, giacché nella stragrande maggioranza dei casi si pone in relazione con la costituzione di una società veicolo (cd. SPV – Special Purpose Vehicle), cui vengono ceduti l’imputazione e la titolarità del progetto nonché i rischi di realizzazione e gestione dell’opera o del servizio. Dopotutto, il PPP sotto forma di project financing deve il suo successo proprio alla possibilità di poter circoscrivere il rischio d’impresa limitatamente al capitale investito della SPV, al capitale di rischio erogato alla società medesima da parte di banche ed istituti di credito ed alle eventuali forme di garanzia disponibili. Invero, tale separazione giuridica, finanziaria ed economica tra i rischi e le responsabilità che fanno capo al progetto e quelli che fanno capo ai suoi promotori (cd. ring fence) rappresenta un incentivo fortissimo per gli investitori, tanto che oggi questa è spesso l’unica strada percorribile «per ovviare alle problematiche connesse al rischio di insolvenza dei costruttori e al reperimento dei capitali necessari per far fronte agli ingenti costi di costruzione di opere a rilevanza pubblica, non sostenibili da un unico soggetto privato o da una pubblica amministrazione»5.

Ad ogni modo, la vera peculiarità della fattispecie in esame è l’autofinanziabilità dell’operazione: le opere realizzate per mezzo della finanza di progetto, difatti, sono tendenzialmente in grado di garantire la restituzione del finanziamento elargito, oltre che la copertura dei costi operativi e la remunerazione del capitale di rischio, tramite i ricavi ottenuti, durante la fase di gestione, dalla vendita ad utenti terzi dei beni prodotti o dei servizi erogati (cd. cash flows). E da siffatta esigenza di generare flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito contratto per la realizzazione del progetto potrebbe, di primo acchito, desumersi la non applicabilità della finanza di progetto alle cd. opere fredde6; ma, per quanto più confacente naturaliter alle opere c.d. calde – in virtù della tariffazione sull’utenza finale –, in realtà il recupero del capitale investito tramite il flusso di cassa lo si può conseguire finanche nell’ipotesi in cui quest’ultimo derivi dal canone corrisposto dalla Pubblica Amministrazione.

A tutto ciò sembra poi ricollegarsi l’ultimo elemento distintivo della finanza di progetto che rimane da analizzare: l’accensione di garanzie adeguate a tutela dei promotori e dei soggetti finanziatori (cd. security package): in effetti la redditività e, di conseguenza, la buona riuscita di un’iniziativa di project financing «non dipende esclusivamente dal cash flow, ma anche dalla gestione dei rischi di insuccesso che possono manifestarsi nel corso della solitamente lunga durata del progetto»7. Del resto, va da sé che in qualità di società titolare di un contratto di partenariato pubblico privato, alla SPV si applicano gli articoli 185 e 186 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi dei quali la società di progetto gode sia della possibilità di emettere obbligazioni e titoli di debito (purché destinati alla sottoscrizione da parte degli investitori qualificati) sia di riconoscere ai crediti dei propri sovvenzionatori un privilegio generale sui beni mobili che possiede (per di più opponibile ai terzi, se trascritto).

 

  1. Procedure di affidamento

Quanto al primo modello procedurale, l’articolo 183, comma 1 concerne la realizzazione di interventi che in un modo o nell’altro, seppur in linea di massima, è già l’amministrazione stessa a ritenere attuabili tanto sotto il profilo dell’interesse pubblico, quanto di quello economico. Pertanto, è quest’ultima ad assumere l’iniziativa pubblicando un bando e ponendo a base di gara non più un mero ‘studio di fattibilità’, bensì un vero e proprio ‘progetto di fattibilità’ dell’opera in progetto: una serie di indagini, studi ed elaborati che, in linea con quanto disposto dai commi 5 e 6 dell’articolo 23 del Codice dei contratti pubblici, avvalorano la fattibilità tecnica, amministrativa e finanziaria dell’operazione8. Successivamente, spetta agli operatori privati interessati presentare le loro offerte (costituite da progetto definitivo, relativo piano economico-finanziario e bozza del contratto), le quali vengono valutate alla luce del consueto criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (rapporto qualità/prezzo): tra queste la PA individua la migliore, conferendo di conseguenza al soggetto privato che l’ha presentata la qualifica di ‘promotore’. Giunti a questo punto, però, l’aggiudicazione e quindi la stipulazione del contratto di concessione non sono ancora sicure: precisamente, il buon esito della procedura è subordinato all’accettazione, da parte del promotore, di tutte le eventuali modifiche al progetto definitivo che l’amministrazione ritiene indispensabili. Tra l’altro la PA, in caso di diniego, ha la possibilità di chiedere ai concorrenti che seguono via via in graduatoria l’accettazione, alle medesime condizioni, di quelle stesse modifiche al progetto definitivo presentato dal promotore che quest’ultimo ha invece rifiutato.

La seconda procedura di affidamento della finanza di progetto, all’opposto, si basa esclusivamente sull’iniziativa degli operatori economici, dacché inerisce alla realizzazione, come precisato dal Correttivo mediante concessione o anche altro contratto di PPP, di lavori pubblici o di pubblica utilità non inseriti in alcun atto di programmazione della stazione appaltante. Nello specifico, a norma dell’articolo 183, comma 15 i soggetti privati possono presentare le loro proposte (al pari delle offerte, costituite da progetto definitivo, relativo piano economico-finanziario e bozza del contratto), le quali devono poi essere obbligatoriamente valutate dall’amministrazione aggiudicataria entro tre mesi: l’operazione proposta dal privato, difatti, può essere oggetto di gara solo nel caso in cui soddisfi effettivamente l’interesse pubblico. In seguito, qualora il riscontro sia positivo9, l’amministrazione pubblica un bando e pone il progetto di fattibilità dell’opera a base di una gara a cui viene innanzitutto invitato l’operatore economico, ora divenuto promotore del progetto; del resto, possono ovviamente prendervi parte finanche altri operatori privati presentando le loro rispettive offerte – che ove espressamente consentito dal bando, possono altresì comprendere varianti al progetto di fattibilità su cui è incentrata la gara –. Dopo, allorché non risulti vincitore, il promotore dispone in ogni caso di un diritto di prelazione, che se esercitato entro il termine di quindici giorni, al di là di tutto, gli consente di divenire parimenti aggiudicatario della procedura; questo, però, solo a patto di impegnarsi a dar seguito al progetto alle medesime condizioni offerte dal migliore offerente, rimborsandogli per di più l’importo delle spese sostenute per la predisposizione della propria offerta10. Al contrario, nell’ipotesi in cui il promotore decidesse di non esercitare la prelazione, egli ha tuttavia diritto a vedersi corrispondere, da parte dell’aggiudicatario, quanto speso per elaborare la sua proposta.

(A cura di Ilaria Baisi)

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Note

1 M. Viggiani (2018), Le forme di partenariato, in Cabiddu M.A. – Colombo M.C. (a cura di), Appalti Pubblici, Milano, Il Sole 24 Ore Editore, p. 25.

2 N. Lugaresi (2001), Concessioni di costruzione e gestione e project financing: problemi applicativi nella scelta del promotore e del concessionario, Riv. trim. appalti, pp. 647 ss.

3 V. Montani (2018), Il project financing. Inquadramento giuridico e logiche manutentive, Torino, Giappichelli, p. 2.

4 Ibidem.

5 Ivi, p. 6.

6 Sul punto, M. G. Lanero – G. Velluto (2006), Gli aspetti legali del project finance, in S. Gatti (a cura di), Manuale del project finance. Come disegnare, strutturare e finanziare un’operazione di successo, Roma, Bancaria Editrice, p. 448.

7 V. Montani, op. cit., p.14.

8 Cfr. G. Santi (2019), Il partenariato pubblico-privato ed il contratto di concessione nella normativa europea e nazionale. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale ed il baratto amministrativo. Il contraente generale, in Mastragostino F. (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Torino, Giappichelli, p. 194.

9 A tal proposito, è interessante richiamare quanto chiarito in Cons. St. sez. V, sentenza n. 1139, 13 marzo 2017: «L’amministrazione non mai è obbligata a proseguire aggiudicando il contratto, nemmeno nel caso in cui abbia già dichiarato la proposta di pubblico interesse ed identificato conseguentemente il promotore privato. Giunti a questo punto, pur non conservando una facoltà di recesso ad nutum, la scelta in questione rimane, a tutti gli effetti, una tipica manifestazione di discrezionalità amministrativa la quale implica, per definizione, valutazioni circa l’operazione tali da non poter essere coercibili nell’ambito di un giudizio di legittimità».

10 In misura comunque non superiore al 2,5% del valore dell’investimento come risultante dal progetto di fattibilità presentato.


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