Diritto

La particolare tenuità del fatto all’esame dei giudici di legittimità

(di Federico Tosone)

Nonostante la recente entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 16 marzo 2015 – con cui il legislatore ha introdotto all’interno della parte generale del Codice Penale la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto – la Corte di Cassazione ha già avuto occasione di pronunciarsi sull’applicabilità retroattiva di siffatta causa di esclusione della punibilità in quanto norma sostanziale favorevole al reo.

Invero, con sentenza n. 5449 dello scorso 15 aprile, la terza sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dal liquidatore di una società di persone condannato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 D. Lvo 74/2000, pur confermando la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Milano, ha posto dei primi tasselli giurisprudenziali sull’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto così come disciplinato all’art. 133-bis C.p..

Il caso oggetto del vaglio dei giudici di legittimità consisteva nell’asserita illegittimità della sentenza della Corte d’Appello che riconosceva il medesimo liquidatore responsabile del reato di cui all’art. 11 D. Lvo 74/2000 in quanto quest’ultimo, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, aveva costituito un trust con il fine di rendere inefficace in tutto in parte la procedura di riscossione coattiva.

Secondo la prospettazione del ricorrente, la costituzione del trust – e la conseguente segregazione dei beni – doveva invece ritenersi legittima in quanto finalizzata alla soddisfazione dei creditori tra cui si annoverava anche l’Agenzia delle Entrate.

Tralasciando in tale sede le ragioni poste alla base dei motivi di ricorso presentato dai difensori del liquidatore, giova soffermarsi, invece, sulla richiesta avanzata da quest’ultimi in sede di udienza di cassazione, secondo cui, dovendosi ravvisare gli estremi della particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis C.p., così come introdotto dal D. Lvo 28/2015, la Corte avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza del medesimo istituto e, dando applicazione della suddetta norma al caso di specie – quale ius superveniens – disporre l’annullamento della sentenza impugnata.

La Corte di Cassazione ha anzitutto ribadito l’orientamento costante in giurisprudenza sull’art 11 D. Lvo 74/2000 – che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o su altrui beni in modo idoneo a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva -.

Infatti, ai fini della configurabilità del reato in questione, l’indirizzo costante in giurisprudenza volge nel senso di ritenere sufficiente la mera idoneità dell’atto simulato, o degli altri atti fraudolenti, ad impedire il soddisfacimento totale o parziale della del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto.

Si tratta, dunque, di un reato di pericolo in cui la condotta tipica consiste in qualunque atto – anche formalmente lecito – fraudolentemente finalizzato a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente e che, a fronte di un giudizio ex ante, risulti idoneo a rendere più complessa o inefficace una potenziale azione esecutiva da parte dell’Erario.

Ebbene, la Corte di cassazione rileva come la legittimità del trust liquidatorio non fosse mai stata messa in discussione dai giudici di merito i quali, invece, hanno ritenuto fraudolento lo scopo della sua costituzione e la finalità unica di sottrarre il patrimonio del contribuente alla procedura coattiva – stante l’inesistenza di qualsivoglia elemento atto a dimostrare la effettiva e concreta utilizzazione del trust per soddisfare i creditori della società ed, in particolare, l’effettuazione dei pagamenti tributari -.

Svolta tale doverosa premessa, si rende opportuno porre l’attenzione sulle motivazioni addotte dai giudici di legittimità sull’ultimo motivo di ricorso in seno alla ritenuta applicabilità al caso di specie della causa di esclusione della non punibilità della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis C.p..

A tal riguardo, la Corte rileva come all’interno del D. Lvo 28/2015 non venga prevista una disciplina transitoria in ordine all’applicabilità alle cause pendenti della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto – demandandosi così all’interprete l’analisi dell’ammissibilità di un’applicazione retroattiva del suddetto istituto.

Ciò premesso, la Corte afferma correttamente che la natura dell’istituto di nuova introduzione ha natura sostanziale da ciò derivando, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, C.p., l’astratta applicabilità anche ai procedimenti pendenti – quale legge più favorevole al reo -.

Viene precisato, inoltre, come la questione circa la particolare tenuità del fatto sia proponibile anche in sede di giudizio di legittimità tenuto conto di quanto disposto dall’art. 609, secondo comma, C.p.p. che consente alla Corte di Cassazione di decidere le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

Pertanto, nel giudizio di legittimità i giudici dovranno preventivamente verificare, in astratto, la sussistenza delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto procedendo, in caso positivo, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito.

Sicché, la sentenza in commento offre interessanti spunti interpretativi volti ad incoraggiare una lettura uniforme dell’art. 133-bis C.p. ivi evidenziandosi come la nuova norma contempli – oltre ai limiti oggettivi di applicabilità determinati sulla base della pena edittale astrattamente prevista (reati che prevedono una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni) – ulteriori requisiti rimessi alla discrezionalità giudiziale: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità della condotta.

Onde determinare il primo requisito – specificano i giudici – è necessario esaminare la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo da valutarsi secondo i criteri indicati all’art. 133 C.p. (ossia, natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa, intensità del dolo o grado della colpa).

Pertanto, solo ove sussistano congiuntamente i requisiti della particolare tenuità dell’offesa – determinata secondo i suddetti canoni esegetici ex art. 133 C.p. – e la non abitualità della condotta, i giudici potranno ritenere il fatto di particolare tenuità escludendo – per l’effetto – la punibilità della condotta incriminata.

Alla luce di quanto sopra esposto, i giudici di legittimità, dopo aver affermato l’astratta applicabilità dell’art. 133-bis C.p. in virtù del principio del favor rei, ne escludono contestualmente l’applicazione in concreto per l’assenza, nel caso di specie, dei requisiti imposti dalla suddetta norma giacché – sulla base della lettura del provvedimento impugnato – emergono molteplici dati inequivocabilmente indicativi di un apprezzamento già espresso dai giudici di merito in ordine alla gravità dei fatti addebitati al liquidatore della società tali da ritenere non configurabili i presupposti per la richiesta applicazione dell’art. 133-bis C.p..

In conclusione, si rileva come la sentenza in commento – al di là dell’affermata natura sostanziale della novella legislativa e la conseguente applicazione ai procedimenti pendenti in virtù del principio del favor rei – non appare particolarmente rilevante in relazione alla miriade di questioni interpretative ed applicative derivanti dall’istituto della particolare tenuità del fatto.

In tale circostanza – invero – i giudici di legittimità sembrano aver perso una notevole occasione per offrire un primordiale indirizzo esegetico in ordine alla compatibilità dell’istituto in commento con le soglie oggettive di non punibilità – onnipresenti nell’ambito dei reati tributari -.

Resta infatti ancora irrisolto il dubbio sollevato dai primi commentatori della novella se, in virtù del principio di non contraddittorietà dell’ordinamento giuridico, il superamento di siffatte soglie – espressione di un presunzione legale ex ante della gravità di un fatto – impedisca al giudice di considerare il medesimo fatto come particolarmente tenue ai sensi dell’art. 133-bis C.p..

Diversamente, potrebbe prospettarsi l’ammissibilità in via generale di una pronuncia di non punibilità della condotta per l’accertata particolare tenuità del fatto in quanto l’istituto in questione – disciplinato oggi all’art. 133-bis C.p., ossia nella parte generale del Codice Penale – dovrebbe ritenersi come principio sostanziale – con applicazione rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante a prescindere della previsione legale di soglie di punibilità del fatto tipico -.