Fisco Fiscalità internazionale

La tassazione dei dividendi percepiti da società di capitali

(di Roberto Pischedda[1])

Abstract

L’elaborato affronta la tassazione degli utili percepiti dalle società di capitali che adottano i principi contabili nazionali; in particolare viene trattata la disciplina della tassazione dei dividendi percepiti dalle società di capitali residenti nel territorio dello Stato con particolare riferimento alle possibili casistiche che gli operatori possono trovarsi ad affrontare in relazione alla provenienza dei dividendi di fonte italiana oppure estera con le relative ripercussioni in tema di tassazione ai fini IRES.

  1. La definizione di dividendo

Ai fini delle imposte dirette, la definizione di dividendo è contenuta all’interno dell’art. 44 comma 1 lett. e) del TUIR, secondo cui rientrano tra i redditi di capitale “gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti assoggettati all’imposta sul reddito delle società”.

Con riferimento alle società di capitali, soggetti passivi IRES, si applica il c.d. principio di commercialità. Tale principio è sancito dall’art. 48 del TUIR che così dispone: “non costituiscono redditi di capitale gli interessi, gli utili e gli altri proventi di cui ai precedenti articoli conseguiti dalle società e dagli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b) e dalle stabili organizzazioni dei soggetti di cui alla lettera d) del medesimo comma”.

Inoltre, detto principio trova conferma nel successivo art. 81 del TUIR, il quale prevede che “il reddito complessivo delle società commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73, da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito d’impresa”.

In sostanza, per le società di capitali, i redditi realizzati nell’ambito dell’esercizio dell’attività commerciale esercitata, ivi compresi i dividendi percepiti, da qualsiasi fonte provengano, sono considerati reddito d’impresa e si determinano apportando al risultato di esercizio le variazioni in aumento ed in diminuzione previste dalle disposizioni del TUIR concernenti tale categoria reddituale.

  1. Dividendi di fonte italiana

L’art. 89 del TUIR regola l’inclusione nel calcolo del reddito d’impresa degli utili derivanti dalla partecipazione in società.

A tal proposito occorre distinguere due categorie: gli utili derivanti dalle società tassate per trasparenza (in alcuni casi obbligatoria ed in altri facoltativa) e quelli derivanti dalle altre società.

L’art. 89, comma 1, del TUIR prevede la tassazione obbligatoria per trasparenza “per gli utili derivanti dalla partecipazione in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato [a cui] si applicano le disposizioni dell’art. 5”.

Il rinvio è effettuato, in particolare, al comma 1 del predetto art. 5, il quale prevede che i redditi delle società semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Di conseguenza, la tassazione per trasparenza implica che il reddito della partecipata sia imputato alla partecipante ancorché gli utili non siano stati distribuiti dalla partecipata e, ovviamente, i predetti utili non saranno fiscalmente rilevanti nel momento della loro effettiva percezione da parte del socio, costituendo questa una mera movimentazione finanziaria.

Un’ipotesi di tassazione per trasparenza facoltativa è prevista dall’art. 115 del TUIR che prevede la possibilità, a seguito di opzione esercitata dai soci, di imputare per trasparenza ai soci stessi il reddito imponibile delle società per azioni, in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione, aventi residenza fiscale in Italia, il cui capitale sia interamente posseduto da società di capitali e purché tutti i soci detengano direttamente una quota di partecipazione agli utili e una percentuale di diritti di voto in assemblea non inferiore al 10% e non superiore al 50%.

Il reddito della società partecipata viene attribuito interamente ai soci che risultano tali alla data di chiusura dell’esercizio della partecipata.

L’imputazione per trasparenza degli utili derivanti dalla partecipazione in società costituisce una deroga rispetto al principio generale di tassazione per “cassa” dei dividendi ai fini IRES.

Infatti, il comma 2 del citato art. 89 del TUIR prevede l’imposizione IRES degli “utili distribuiti”.

Più precisamente, la tassazione per cassa riguarda unicamente il 5% degli “utili distribuiti” essendo previsto che essi “non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95% del loro ammontare”.

Il concorso del residuo 5% non ha, peraltro, la funzione di duplicare, sia pure in parte, il prelievo attuato sulla società erogante, ma è motivato, per ragioni di semplificazione, della possibilità di includere nel calcolo del reddito i costi di gestione della partecipazione, i quali, diversamente, in quanto riferibili a proventi non partecipanti alla formazione del reddito, avrebbero dovuto essere recuperati a tassazione con evidenti difficoltà per la loro corretta individuazione.

  1. Dividendi di fonte estera

Parimenti a quanto previsto in tema di utili di fonte italiana, anche con riferimento agli utili provenienti dalle società e dagli enti non residenti, è disposto dall’art. 89, comma 3, del TUIR, in linea di principio, l’assoggettamento a tassazione degli stessi nella misura del 95% secondo il principio di cassa (c.d. dividendi di fonte estera “white list”).

L’esclusione dalla base imponibile del 95% dei dividendi percepiti si applica al verificarsi della condizione prevista dall’art. 44, comma 2, lettera a) del TUIR, ovvero in presenza di partecipazioni al capitale o al patrimonio di società ed enti non residenti, rappresentate o non rappresentate da titoli, le cui remunerazioni sono costituite totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi. La disposizione in esame prevede, altresì, un’ulteriore condizione al fine di poter considerare le partecipazioni in società non residenti assimilate alle azioni, ovvero che la remunerazione di detti titoli e strumenti finanziari sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto emittente; a tal fine l’indeducibilità deve risultare da una dichiarazione dell’emittente stesso o da altri elementi certi e precisi.

Nel caso di partecipazione in società di persone non residenti, i proventi derivanti dalla partecipazione nelle predette società costituiscono dividendi sulla base del combinato disposto degli artt. 44, comma 2, lett. a) e 73, comma 1, lett. d) del TUIR.

Tale qualificazione comporta l’imposizione sui redditi dei soci secondo il principio di cassa anziché secondo il criterio della trasparenza, valevole per le partecipazioni in società di persone residenti.

I commi 2 e 3 del art. 89 del TUIR prevedono la detassazione del 95% in capo al percettore degli utili di fonte estera ad eccezione di quelli provenienti da soggetti residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato (c.d. “paradisi fiscali” o Paesi “black list”) che concorrono integralmente alla formazione della base imponibile IRES del socio nazionale percettore secondo il principio di cassa.

Per valutare se i dividendi percepiti provengono o meno da un Paese black list occorre utilizzare la “white list” indicata dall’art. 168-bis, comma 2, del TUIR, la quale individua gli Stati che contestualmente:

  • consentono un adeguato scambio di informazioni;
  • prevedono una tassazione non sensibilmente inferiore a quella italiana.

Le modifiche correlate all’introduzione dell’art. 168-bis del TUIR saranno operative successivamente alla pubblicazione sulla G.U. della nuova “white list”, in assenza della quale, valgono, ai fini della disciplina in commento, gli Stati a fiscalità privilegiata individuati dal D.M. del 21 novembre 2001.

La locuzione “provenienti” riconduce a tassazione integrale anche gli utili percepiti dal soggetto residente indirettamente tramite una o più sub-holding intermedie, sostanzialmente interposte.

Il regime di tassazione integrale è applicabile, quindi, non solo agli utili distribuiti direttamente dai soggetti residenti nel paradiso fiscale, ma anche a quelli generati nei Paesi a fiscalità privilegiata che giungono alla società residente in Italia tramite una o più società intermedie, qualificabili come conduit companies.

La norma, avente finalità antielusive, non opera se:

  • la società che percepisce gli utili presenti un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate dimostrando che dalle partecipazioni non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli individuati nel decreto di cui all’art. 168–bis del TUIR (art. 167 comma 5 lettera b) del TUIR); in caso di esito positivo all’interpello presentato, il socio residente assoggetterà a tassazione solo il 5% del dividendo erogato (viceversa, in caso di esito negativo, il socio residente dovrà assoggettare a tassazione l’intero ammontare del dividendo percepito rimanendo così assoggettato alla norma generale);
  • gli utili distribuiti siano imputati per trasparenza al soggetto residente in base alla disciplina prevista in materia di società estere controllate e collegate (artt. 167 e 168 del TUIR) che prevale sulla normativa relativa alla tassazione dei dividendi.

Alla disciplina citata, come poc’anzi riferito, si affianca quella che prevede l’imputazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle società estere controllate (art. 167 TUIR) o collegate (art. 168 TUIR) che risiedono in Stati a fiscalità privilegiata.

In particolare, l’art. 167 TUIR trova applicazione nell’ipotesi in cui la società estera, residente in un Paese a fiscalità privilegiata, sia controllata da un soggetto residente (c.d. Controlled Foreign Companies, regime CFC). Il controllo può essere esercitato nelle forme previste dall’art. 2359 c.c., ovvero:

  • partecipazione di maggioranza al capitale sociale con diritti voto superiori al 50%;
  • partecipazione con diritti di voto che consentono un’influenza dominante;
  • l’esercizio del c.d. controllo contrattuale, attuato mediante vincoli contrattuali.

Ai sensi dell’art. 167 TUIR, i redditi della società estera, ancorché non distribuiti, sono immediatamente attratti ad imposizione in capo alla società controllante residente in proporzione alla quota di partecipazione agli utili nel periodo d’imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio della controllata non residente.

Va precisato che il reddito della società controllata estera non si assume in base alla determinazione fiscale estera, ma viene rideterminato in base alle disposizioni interne del TUIR in materia di reddito d’impresa.

Per ogni società estera controllata si procede ad una gestione fiscale separata ed i redditi imputati alla società controllante residente sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media di tassazione del reddito complessivo netto, comunque non inferiore al 27%.

L’art. 167 comma 7 del TUIR precisa che, ovviamente, “gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma 1 [le società controllate residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata, n.d.r.] non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo comma 1, anche negli esercizi precedenti”.

La ratio di tale disposizione è quella di evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalla società estera CFC nel caso in cui il suo reddito sia stato precedentemente tassato per trasparenza in capo alla società controllante residente.

Un trattamento fiscale simile a quello previsto per le CFC è previsto dall’art. 168 TUIR per le società estere collegate da società residenti. In particolare si tratta delle società estere residenti in paradisi fiscali in cui un soggette residente in Italia detiene una partecipazione agli utili maggiore del 10% o del 20%, a seconda che si tratti di società quotate o meno.

Il reddito della partecipata estera è imputato al socio residente in proporzione alla percentuale di partecipazione; in particolare è determinato per un importo pari al maggiore tra:

  • l’utile prima delle imposte risultante dal bilancio della partecipata (da redigere anche in assenza di un obbligo di legge);
  • la quota di riferimento del socio della somma determinata in base all’applicazione di coefficienti di rendimento riferiti alle categorie di beni che compongono l’attivo patrimoniale della società estera (art. 168, comma 3, TUIR).

Il reddito della partecipata è imputato per trasparenza in capo alla società residente nel periodo d’imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio della controllata non residente.

In capo alla società residente il reddito imputato è soggetto a tassazione separata con l’aliquota media di tassazione del reddito complessivo netto e comunque non inferiore al 27%.

Cosi come per il regime CFC, i dividendi distribuiti dalla partecipata collegata non concorrono a formare il reddito della società residente per la quota corrispondente all’ammontare dei redditi assoggettati a tassazione separata.

La tassazione per trasparenza ai sensi degli artt. 167 e 168 del TUIR non trova applicazione a seguito di dell’avvenuta dimostrazione, a seguito di apposita istanza di interpello presentata dal socio residente:

  • che la società non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento (art. 167, comma 5 lett. a), del TUIR); oppure
  • che dalla partecipazione detenuta non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata (art. 167, comma 5 lett. b) del TUIR).

In caso di accoglimento positivo dell’interpello da parte dell’Agenzia delle Entrate, vengono disapplicate le disposizioni che prevedono la tassazione per trasparenza e gli utili tornano ad essere imponibili secondo il criterio di cassa con la seguente precisazione:

  • se viene dimostrata soltanto l’esimente di cui all’art. 167 comma 5 lett. a) del TUIR è possibile disapplicare l’imputazione per trasparenza dei redditi della partecipata residente in un paradiso fiscale ed i dividendi erogati sono interamente imponibili (per cassa) in capo al soggetto residente percettore;
  • se viene dimostrata l’esimente di cui all’art. 167 comma 5 lett. b) del TUIR, essa vale oltre che per l’imputazione per cassa degli utili anche per l’imponibilità parziale del 5% (con esclusione, quindi dal reddito del 95%).

La disciplina del regime CFC trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i soggetti controllati sono localizzati in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata (c.d. CFC “white list”), qualora ricorrano le seguenti condizioni (art. 168, comma 8-bis, del TUIR):

  • sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia;
  • hanno conseguito proventi derivanti per più della metà dai c.d. “passive income”, ovvero
    1. dalla gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie;
    2. dalla cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica;
    3. dalla prestazione di servizi infragruppo, ivi compresi i servizi finanziari.

La norma, quindi, attrae al regime di trasparenza fiscale anche i soggetti localizzati in Paesi o territori non a fiscalità privilegiata laddove sussistano i seguenti presupposti:

  • l’esistenza di un rapporto di controllo;
  • la tassazione inferiore alla metà di quella italiana;
  • la maggior parte dei ricavi derivano da “passive income”.

La società controllante residente può chiedere la disapplicazione della norma in esame tramite la presentazione di un apposito interpello all’Agenzia delle Entrate in cui venga dimostrato che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire in indebito vantaggio fiscale.

In caso di accoglimento positivo dell’istanza di interpello i dividendi saranno assoggettati a tassazione nel limite del 5% del loro ammontare.

  1. Credito per le imposte pagate all’estero

Quando una società residente in Italia percepisce un dividendo da una società estera, il provento potrebbe essere assoggettato a tassazione non solo nel nostro Paese, ma anche nello Stato di residenza della società erogante.

Per eliminare la doppia imposizione, l’Italia ha sottoscritto delle Convenzioni bilaterali con diversi Stati esteri volte a consentire di recuperare l’imposta versata all’estero oppure a ridurre (o eliminare) il prelievo dello Stato della fonte.

Con riferimento alla normativa interna, l’art. 165 TUIR prevede che il contribuente possa detrarre dall’imposta sui redditi dovuta in Italia un credito per le imposte versate all’estero.

Ai sensi dell’art. 165 comma 1 del TUIR, la detrazione è, però, ammissibile “fino a concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.

L’imposta dovuta in Italia costituisce, quindi, il limite massimo entro cui può essere operata la detrazione; infatti, se le imposte versate all’estero superano quelle dovute in Italia, si genera una limitata doppia imposizione del provento e l’eccedenza di imposta estera non è recuperabile.

Inoltre, il credito per le imposte pagate all’estero può essere scomputo dall’IRES dovuta in Italia se il reddito estero concorre alla formazione del reddito complessivo da dichiarare in Italia. A tal fine, l’art. 165, comma 10, del TUIR stabilisce che se un reddito estero concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.

Di conseguenza, l’imposta estera in caso di utili di fonte estera può essere detratta dall’IRES per un ammontare pari:

  • al 5% del totale in caso di utili tassati in misura ridotta;
  • al 100% del totale in caso di utili imponibili in misura piena in Italia.
  1. Tabella riepilogativa

tabella

Note

[1] Dottore commercialista – Revisore legale dei conti in Genova