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modello 231

(di Pietro Pavone)

Il contribuente ha ampio spazio di manovra per architettare potenziali condotte criminali in campo tributario, dal momento che determina autonomamente le imposte dovute e il controllo degli Uffici Finanziari è soltanto successivo ed eventuale.

L’ampia autonomia di cui gode il tax payer nel nostro ordinamento è, al tempo stesso, la sua croce e la sua delizia: un’impresa abituata ad operare in una prospettiva “aperta”, che tenga cioè conto dell’adattamento del business model alle mutevoli condizioni di scenario rappresenta un contribuente con un più elevato indice di pericolosità fiscale rispetto ad una realtà societaria, di contro, poco propensa al cambiamento.

L’analisi della rischiosità del cambiamento non può prescindere da considerazioni di ordine fiscale. Se la flessibilità strutturale, in ottica aziendale, viene per lo più analizzata in chiave di fattore che consentirebbe di limitare le conseguenze di fenomeni sfavorevoli e/o che permetterebbe di cogliere nuove opportunità, dalla prospettiva del Fisco una spregiudicata flessibilità di gestione (managerial flexibility) potrebbe essere letta come indice di una maggiore rischiosità fiscale.

Quanto sinora esposto assume ancor più rilevanza se si pensa alla presenza, nel nostro settore fiscale, di uno speciale Organo di Polizia economico-finanziaria – la Guardia di Finanza –, che concretizza di fatto la sua azione mediante interventi ispettivi che vanno ben oltre il significato di semplici controlli amministrativi, assumendo, in concreto, le caratteristiche di una investigazione economico finanziaria, ancorché incentrata sugli aspetti tributari, da fare in ogni caso precedere, quale regola generale e fondante, “da una preventiva attività d’intelligence, comprensiva di ricerche informative, investigazioni, analisi ed elaborazioni, ovviamente calibrate, quanto ad estensione e livello di approfondimento, alle circostanze concrete di ogni caso specifico[1].

Tutt’altro che rari sono i casi, infatti, di basi imponibili abbattute per effetto di assetti organizzativi poco probabili, assunti dalle imprese più o meno consapevolmente.

L’operare con una struttura fiscale a rischio non è sempre conseguenza automatica di una volontà criminosa della società; più corretto sarebbe parlare, molte volte, di una forma di “colpa in organizzazione” che espone il contribuente a possibili rilievi da parte degli Uffici.

Per questo, la costante valutazione della pericolosità fiscale dei soggetti economici da parte degli organi accertatori è bene che sia bilanciata, con altrettanta continuità, da uno sforzo di trasparenza fiscale da parte dei contribuenti che possa dare contezza, soprattutto in termini probatori, delle reali ragioni economiche alla base di talune operazioni societarie.

La principale difesa del contribuente, il primo a muovere il passo nella partita con il Fisco, resta dunque la prevenzione.

È indubbio che l’accurata adozione ed effettiva implementazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, come da D.lgs, 231/2001, resta la migliore arma a disposizione del contribuente.

Il citato decreto, che ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità in sede penale degli enti in aggiunta a quella delle persone fisiche responsabili delle condotte illecite, fa riferimento ad una tipica logica di risk management per la costruzione del modello.

Sia per i reati commessi da soggetti in posizione apicale, che da sottoposti all’altrui direzione, il modello organizzativo assume un ruolo di estremo rilievo, in quanto dalla sua efficace adozione dipende la possibilità di positiva difesa, della società, in sede di procedimento penale, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste.

Da sottolinearsi che, in ogni caso, l’esonero dalle responsabilità dell’ente passa attraverso il giudizio d’idoneità del sistema interno di organizzazione e di controlli, che il giudice penale è chiamato a formulare nell’ambito del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito. Il sistema deve essere idoneo ad impedire reati della specie di quello verificatosi (compresi quelli fiscali), conseguendone una sorta di inversione dell’onere della prova dal momento che l’ente andrà esente da responsabilità qualora dimostri che il modello non poteva essere aggirato se non fraudolentemente.

Un apposito Organismo di Vigilanza ne cura l’effettivo funzionamento, l’adeguatezza e il costante aggiornamento: se cambia il business o, più banalmente, mutano i reati presupposto, in mancanza di un pronto aggiornamento, si creerebbero delle falle nel modello, a tutto vantaggio del Fisco in caso di reati tributari.

L’adozione di adeguati presidi organizzativi sta diventando, insomma, un requisito indispensabile per la prudente gestione della variabile fiscale. In questa direzione va letta la possibilità di implementazione di un Tax Control Framework ispirato al già auspicabile, in quanto non obbligatorio, modello 231.

Note

[1] Circolare n. 1/2008 – Istruzione sull’attività di verifica – della Guardia di Finanza.

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