Direttore Scientifico: Claudio Melillo - Direttore Responsabile: Serena Giglio - Coordinatore: Pierpaolo Grignani - Responsabile di Redazione: Marco Schiariti
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(di Alessio Abbate)

L’individuazione del numero di cluster promozionali per un retailer che gestisce una rete di negozi su diverse aree territoriali è un tema affascinante e complesso al tempo stesso.

Si parla di cluster promozionali per intendere diverse ‘edizioni’ o varianti di volantino promozionale. In realtà, i cluster possono differire in maniera più o meno significativa in base alla tipologia di variazione (es., ‘varianti di nero’ o ‘varianti di colore’, numero di pagine, modalità d’impaginazione, ecc.) A ogni tipologia di variante corrisponde una determinata voce di costo (ad es., il costo è inferiore per le variazioni di nero rispetto a quelle di colore). La quantificazione delle diverse voci di costo (carta, stampa e distribuzione) costituisce pertanto un elemento critico del processo. A questi costi vanno aggiunti quelli di natura organizzativa: gestire volantini diversi comporta un costo del lavoro superiore, sia per il marketing, sia per l’ufficio commerciale. D’altra parte, se i volantini non sono in grado di rispondere efficacemente alle attese dei clienti nelle singole ‘piazze’ in cui il retailer opera, si generano invece dei costi opportunità lato cliente. L’obiettivo cui il retailer dovrebbe tendere è pertanto quello di bilanciare il presidio dell’efficienza (rispetto ai costi economici e organizzativi) legati alla gestione delle diverse edizioni di volantino rispetto all’efficacia lato cliente dei volantini.

L’analisi dei volantini dei competitor per ogni cluster gestito è una fase essenziale del processo. Quali variabili analizzare? Di seguito si riporta un esempio:

  • il numero di pagine complessivo,
  • la durata della promozione
  • il contenuto della copertina (prodotti o solo il tema?)
  • il contenuto dell’ultima pagina
  • l’indicazione dei prezzi di partenza e della percentuale di sconto
  • la presenza di spazi dedicati a fornitori
  • la modalità di evidenza dei prodotti con un maggiore contenuto promozionale
  • la composizione del paniere di prodotti con un maggiore contenuto promozionale
  • la sequenza delle diverse promozioni (es., ‘promozione per tutti’, ‘promozione solo i per i possessori di carta fedeltà’, ecc.)
  • la sequenza merceologica (o, eventualmente, per bisogno) dei prodotti
  • l’incidenza della numerica per settore e reparto
  • la variazione di incidenza della numerica nei diversi cluster
  • ecc.

Le variabili che definiscono i diversi cluster promozionali, normalmente, sono:

  • il format ( il ‘ruolo’) del negozio
  • l’area territoriale di cui il negozio fa parte (alla quale sono, di norma, associate linee prezzo omogenee)

La matrice di clusterizzazione assume pertanto una forma del tipo indicato nella seguente Figura:

Figura 1

Nell’esempio in Figura, la matrice di clusterizzazione è una 4×4. Ciò significherebbe gestire 16 diversi cluster promozionali. In base all’analisi dei costi e dei competitor, potrebbe rendersi necessario ridurre il numero di cluster da gestire. A tal fine, occorre ‘accorpare’ alcuni cluster. Il criterio di accorpamento può seguire una logica di integrazione verticale oppure orizzontale.

L’impatto sulle performance di queste scelte è molto diverso:

– accorpando verticalmente (es., super e superstore), si genera un costo dovuto alla fusione di linee prezzo che dipende dalla dimensione dei negozi (accorpare mini e super è normalmente più oneroso che accorpare super e superstore), mentre eventuali differenze in termini di prodotti possono essere gestite con una comunicazione in quarta di copertina (es., ‘alcuni prodotti sono disponibili solo nei superstore’);

– accorpando orizzontalmente (es., super Area 1 e super Area 2), il costo legato alle linee prezzo è maggiore, perché cambia la struttura competitiva nelle due aree territoriali, mentre le differenze tra prodotti non possono essere gestite agevolmente (es., ‘alcuni prodotti sono disponibili solo nell’Area 1’).

L’impatto di una variazione dei cluster promozionali (in termini di numero e composizione) deve essere quantificato da un punto di vista economico. A tal fine occorre considerare le seguenti voci di costo:

  • costi legati agli aspetti organizzativi
  • costi legati all’efficacia dei volantini lato cliente
  • costi legati alla rete vendita
  • costi di marketing (carta, stampa, distribuzione)
  • costi opportunità (margine perso a causa del disallineamento fra linee prezzo e cluster promozionali)
  • investimento promozionale
  • ecc.

Attraverso la stima del rendimento medio promozionale atteso, è possibile infine rapportare il rendimento al totale dei costi per definire un indice di redditività. Questo indice è utile per confrontare le diverse alternative di composizione dei cluster.

 

(di Alessio Abbate)

La valutazione dei fornitori è un aspetto cruciale per il retailer. La definizione degli standard di fornitura e di un eventuale sistema di incentivi è alla base di un’efficace relazione tra il retailer e i suoi fornitori. I fornitori migliori potrebbero, infatti, perdere vendite, competitività e profitti a causa delle conseguenze della cattiva relazione tra i clienti finali e il retailer dovute all’inefficacia dei fornitori peggiori. La soluzione è implementare una relazione di business tra retailer e fornitori del tipo “win-win”. Attraverso lo sviluppo di un sistema di misurazione delle performance nei diversi step della supply chain, il retailer è in grado di soddisfare al meglio le esigenze dei propri clienti, in termini di qualità dei prodotti, assenza di rotture di stock, ecc.

Le scorecard dei fornitori sono strumenti utili per raccogliere le informazioni sulle performance dei vendor. Questi tool devono essere inclusi in un efficace sistema di business allo scopo di valutare i fornitori su base continua. A tal fine, i dati devono essere raccolti e analizzati per stabilire se è necessario attuare eventuali azioni correttive. Le scorecard aiutano a sviluppare una mentalità condivisa sulla missione, visione e strategia del retailer attraverso la valutazione del portafoglio fornitori e l’individuazione dei fornitori strategici per il retailer.

Attraverso le scorecard, i fornitori ricevono un feedback delle proprie attività, rispetto a un determinato benchmark, e sono pertanto spronati a migliorare l’efficacia delle proprie attività nell’ottica della soddisfazione del cliente (il retailer). Il programma deve essere in grado di identificare delle aree di miglioramento per i fornitori e un sistema di incentivi in cui la congruità rispetto ai requisiti comporta maggiori vendite per il fornitore e la non congruità, invece, minori vendite. Il retailer, in questo modo, è in grado di condividere i costi della non congruità all’interno dell’intera supply chain. In questa relazione di mutuo beneficio, il retailer deve fornire formazione, strumenti e supporto ai fornitori al fine di migliorare la relazione in termini di motivazione e awareness verso il programma.

Le scorecard possono essere uno strumento per aumentare l’efficienza della supply chain attraverso la razionalizzazione del numero dei fornitori, oppure per aumentare l’efficacia assortimentale del retailer attraverso l’inserimento di nuovi fornitori. Per l’attuazione del programma come criterio di selezione dei fornitori (preselezione assortimentale), è essenziale la mappatura delle variabili che definiscono la congruità dei potenziali fornitori in relazione ai benefici connessi alla creazione della scorecard (es., integrità dei prodotti, tempi di consegna, costi, qualità morfologica dei prodotti, ecc.) Queste variabili devono essere ponderate in base all’importanza per il retailer e misurati attraverso un opportuno set di KPI.

Ad esempio, la capacità produttiva del potenziale fornitore può essere misurata sulla base del numero dei negozi del retailer che il fornitore è in grado di coprire; le ‘referenze’ del fornitore possono essere valutante in base al numero e alla qualità delle insegne competitor in cui i prodotti sono già presenti, ecc.

Per la definizione di un vendor rating occorre poi raggruppare i KPI e le variabili in macro-indicatori per risalire ai benefici ricercati dal retailer. I tre macro-indicatori principali sono:

–          indicatori di processo, che comprendono, ad es., la capacità produttiva del fornitore, la logistica, ecc.;

–          indicatori di cliente, riconducibili essenzialmente alla qualità del prodotto, alla capacità distintiva, ecc.

–          indicatori economici, ossia prezzi d’acquisto e di vendita, contributi, margini, ecc.

I pesi assegnati alle singole variabili sono quindi sommati per ciascun macro-indicatore. Di norma, se la scorecard è utilizzata come criterio di selezione dei fornitori, gli indicatori di processo hanno un peso superiore rispetto a quelli di cliente e agli indicatori economici: la potenzialità produttiva, la tipologia di consegna, l’adeguatezza dei mezzi logistici, ecc. costituiscono sostanzialmente un prerequisito essenziale nella valutazione d’inserimento di un fornitore. Una ripartizione dei pesi potrebbe essere, ad esempio, la seguente:

–          Indicatori di processo 40%

–          Indicatori di cliente 35%

–          Indicatori economici 25%

Assegnando un giudizio al vendor rispetto a ciascuna variabile, il rating del fornitore è ottenuto dal prodotto del peso di ciascun macro-indicatore per il relativo giudizio. Ipotizzando, infatti, di voler costruire un rating “a tre lettere”, simile a quello utilizzato dalle agenzie che valutano il merito creditizio, la prima lettera può far riferimento agli indicatori di processo (40% dell’importanza), la seconda lettera agli indicatori di cliente (35% dell’importanza), e l’ultima lettera agli indicatori economici (25% del peso complessivo).

Ad esempio, un fornitore con giudizi ottimi negli indicatori di processo e in quelli di cliente e giudizi sopra la media per gli indicatori economici avrà un rating AAB. Un fornitore con giudizi sufficienti negli indicatori di processo e di cliente e mediocri per gli indicatori economici avrà un rating BBC, e così via.

Il rating in, altri termini, fornisce un giudizio sintetico rispetto all’opportunità di inserire un fornitore in assortimento. E’ possibile in ogni caso risalire alle singole variabili che compongono i giudizi sintetici, valutando i singoli punteggi.

(di Alessio Abbate)

L’analisi dei competitor per il retailer non è limitata alle rilevazioni dei prezzi a scaffale e al confronto dei volantini promozionali. Tutte le leve del retail mix sono oggetto di confronto nella prospettiva del cliente. Lo store check è condotto, infatti, con riferimento a diverse variabili: ambiente esterno al negozio, ambiente interno, assortimento, layout-display, promozioni, prezzi, comunicazione, personale e servizio casse. Attraverso queste analisi qualitative è possibile individuare i concorrenti significativi in termini di posizionamento competitivo.

L’individuazione dei competitor critici parte tuttavia dall’analisi della location dei negozi afferenti alle insegne della concorrenza. Prima ancora di analizzare i punti di forza e di debolezza dei concorrenti occorre, infatti, stabilire quali insegne costituiscono una ‘minaccia’ per il retailer. Il concetto di minaccia può essere declinato in maniera diversa: è possibile distinguere una minaccia numerica e una ponderata.

Per minaccia numerica si intende la percentuale del numero di negozi del retailer minacciata dall’insegna concorrente. Se, ad esempio, l’insegna competitor ‘alfa’ ha un indice di minaccia numerica del 50%, allora il 50% dei negozi del retailer ha come competitor l’insegna alfa.

Per minaccia ponderata, si considera invece la percentuale di fatturato dei negozi del retailer, minacciata dall’insegna concorrente. Se, ad esempio, l’insegna competitor ‘beta’ ha un indice di minaccia ponderata del 30%, allora il 30% del fatturato generato dai punti vendita del retailer è minacciato dall’insegna beta.

Dall’incrocio degli indici di minaccia numerica e ponderata è possibile costruire la matrice rappresentata nella seguente Figura, utile ai fini della clusterizzazione dei competitor e dell’individuazione dei concorrenti critici.

Figura 1

                                                                                        Fonte: Alessio Abbate

Il quadrante in basso a sinistra racchiude i competitor ‘non critici’. Queste insegne potrebbero costituire una minaccia per un singolo punto vendita del retailer, ma non rappresentano un pericolo significativo per l’intera rete. Di conseguenza, le azioni da adottare per contrastare questo gruppo di competitor riguardano le leve a disposizione del singolo negozio minacciato (promozioni di punto vendita, controllo e allineamento dei prezzi a scaffale per le referenze che non vanno a volantino, ecc.)

Il quadrante in alto a sinistra comprende i concorrenti ‘critici per fatturato’. Queste insegne costituiscono un potenziale pericolo per la rete del retailer in quanto, pur non aggredendo un elevato numero di negozi, minacciano punti vendita (tipicamente, i format più grandi) che veicolano una parte consistente del fatturato. Ne deriva la necessità di individuare delle leve specifiche per i negozi minacciati, con particolare riferimento alle promozioni, se questi punti vendita appartengono al medesimo cluster promozionale (volantino).

Nel quadrante in basso a destra sono presenti i competitor ‘critici per numero’. Queste insegne costituiscono un potenziale pericolo per la rete del retailer in quanto, pur non aggredendo una quota elevata di fatturato, minacciano un elevato numero di punti vendita (tipicamente, i format più piccoli). A differenza dei concorrenti ‘critici per fatturato’, questi competitor sono insegne che rappresentano un’alternativa per un elevato numero di clienti fidelizzati al retailer. Per questo motivo, occorre gestire i negozi minacciati con azioni rivolte principalmente alla fidelizzazione.

Nel quadrante in alto a destra si trovano i concorrenti principali del retailer, in quanto ‘critici per numero e fatturato’. Queste insegne costituiscono una minaccia concreta e immediata per il retailer, poiché sono potenzialmente in grado di aggredire un elevato numero di punti vendita che veicolano una parte consistente del fatturato. Nei confronti di queste insegne deve concentrarsi la gran parte degli sforzi del retailer con riferimento all’analisi dei competitor (store check) e all’individuazione delle opportune linee guida d’azione per tutte le leve del retail mix. In particolare, occorre focalizzare l’analisi su:

– promozioni (analisi dei volantini promozionali in termini di creatività, brand, prezzi e numero di prestazioni),

pricing (rilevazioni periodiche dei prezzi a scaffale, con particolare riferimento ai freschissimi),

– assortimenti (comparazione della consistenza assortimentale e del ruolo dei brand nella scala prezzi),

layout-display (confronto degli spazi promozionali, della capacità di evidenziare le stagionalità, della lettura dei criteri espositivi ‘lato cliente’),

– comunicazione a punto vendita (analisi della percezione della presenza dei primi prezzi, delle caratteristiche dei prodotti, ecc.)

– personale dei banchi serviti (analisi del livello di servizio, competenza, cortesia, pulizia, ecc.).

(di Alessio Abbate)

La definizione degli assortimenti per il retailer è strattamente connessa alle scelte strategiche riguardanti le altre leve del category mix (prezzo, promozione, display). Ogni scelta che impatta su una di queste leve incide necessariamente sulle altre. Ad esempio, l’introduzione di un nuovo prodotto in assortimento comporta (di norma) l’eliminazione di un altro prodotto, la verifica/revisione dei criteri espositivi per la categoria/segmento in esame, la verifica/modifica della scala prezzi e l’analisi della coerenza del nuovo prodotto rispetto al piano promozionale in essere. Per questo motivo, è opportuno considerare ciascun micro-processo di category (definizione assortimenti, pricing, definizione dei display, piano promozionale) in un’ottica sistemica, come rappresentato nella seguente Figura.

Figura 1

L’analisi degli assortimenti è condotta con riferimento ai dati interni e di mercato e comprende di norma i seguenti passaggi:

a)      analisi del dimensionamento dell’assortimento per la categoria

b)      analisi interna (20-80) delle performance

c)      confronto con il mercato di riferimento e analisi dei brand

d)     revisione dell’assortimento attuale.

La seguente Figura descrive sinteticamente le singole fasi del processo in analisi.

Figura 2

Gli aspetti critici del processo riguardano il confronto con i dati di mercato e sono brevemente descritti di seguito.

1)      Referenze ‘a peso variabile’: i dati di mercato per le referenze vendute ‘a peso fisso’ sono facilmente reperibili. Per quelle a peso variabile, ossia la gran parte dei freschissimi (ortofrutta, carni e pesce), le banche dati a disposizione sono scarse: occorre effettuare delle analisi sul campo che tengano conto delle caratteristiche morfologiche dei prodotti (calibro, pezzatura, taglio anatomico, ecc.)

2)      Albero merceologico: Il confronto con i dati di performance del retailer è possibile nel caso in cui l’albero delle categorie sia costruito in base all’albero ECR. In alternativa, occorre riclassificare parzialmente l’albero del retailer al solo scopo di effettuare le analisi, oppure limitarsi al confronto per le parti più ‘alte’ dell’albero.

3)      Potenzialità della B.I. del retailer: il confronto è agevolato dalla possibilità di importare i dati di mercato nella B.I. del retailer.

4)      Area geografica per il confronto: l’area geografica utile per il confronto non deve essere troppo estesa (per tenere conto dei comportamenti d’acquisto nei micromercati) né troppo ristretta (per essere statisticamente significativa).

 

 

 

(di Alessio Abbate)

La definizione del pricing per il retailer è un aspetto cruciale, in quanto incide sia sui margini del distributore sia sulla percezione di convenienza da parte del cliente del sistema d’offerta dell’insegna.

Il processo di definizione del prezzo per ciascuna categoria consiste nei seguenti passaggi:

a)      definizione dei competitor da monitorare;

b)      definizione dei criteri per la costruzione del paniere di referenze da rilevare;

c)      organizzazione delle attività di rilevazione;

d)     decisione commerciale sull’adeguamento prezzi.

a. Definizione dei competitor da monitorare

Un retailer con una rete molto estesa e un elevato numero di competitor non ha la necessità di confrontarsi con tutte le insegne della concorrenza per adeguare i propri prezzi. Occorre invece mappare i competitor più aggressivi, sulla base del numero dei punti vendita ‘minacciati’ e del valore del fatturato a rischio.

b. Definizione dei criteri per la costruzione del paniere di referenze da rilevare 

Occorre per prima cosa definire i ruoli delle categorie in termini di pricing. A tal fine è necessario valutare il comportamento d’acquisto dei clienti (sensibilità nei confronti del prezzo, della qualità-marca o del rapporto qualità/prezzo) e il grado di maturità del settore (es., livello di presenza di innovazioni di prodotto).

Quante referenze includere nel paniere oggetto di rilevazione? Il numero totale di referenze da includere nel paniere dipende dal settore-canale di riferimento ed è funzione della strategia aziendale. Il numero può essere tuttavia stabilito secondo un processo bottom-up, a partire dal numero di referenze che generano l’80% del fatturato: la ripartizione per ciascun settore/reparto/categoria/famiglia deve essere guidata dall’incidenza di vendita della categoria nel periodo. Per il reparto dalla sua incidenza nel settore, e così via.

Ogni quanto tempo occorre ricostituire il paniere? La scelta del tasso di rotazione del paniere dipende dalle stagionalità delle categorie incluse: nell’ortofrutta, ad esempio, in media per due mesi costituiscono un buon periodo per la revisione del paniere. La frequenza di rilevazione, generalmente mensile, è funzione dei tempi di reazione/adeguamento listini al pubblico dei competitor (es., nell’ortofrutta normalmente la frequenza di rilevazione è settimanale).

Quali referenze includere nel paniere? La regola ‘base’ delle referenze che definiscono l’80% delle vendite, può costituire un ottimo punto di partenza. I clienti, infatti, non ricordano i prezzi di tutti i prodotti che acquistano, ma ricordano di più i prezzi dei prodotti che acquistano spesso. Maggiore rotazione per il retailer potrebbe tuttavia significare un elevato livello di penetrazione della referenza nel mercato, non necessariamente un elevato livello di frequenza di acquisto. Per questo motivo, occorre integrare l’analisi dell’incidenza sulle vendite con i dati di CRM-fidelity. Oltre alle referenze risultanti dalle analisi quantitative, è opportuno includere anche le aperture di scala e i prodotti a marchio.

c. Organizzazione delle attività di rilevazione

Per i freschissimi (ortofrutta, carni, pescheria, salumeria-gastronomia), la rilevazione è generalmente svolta dai capi reparto, coordinati dallo Specialista Merceologico/ispettore o dal buyer. Si tratta infatti di un settore i cui prodotti non sono facilmente confrontabili e occorre considerare assieme al prezzo gli aspetti qualitativi legati alla morfologia dei prodotti (es., calibro, pezzatura, taglio anatomico, ecc.) Per gli altri settori, di norma, la fase operativa della rilevazione è affidata ad agenzie esterne.

d. Decisione commerciale sull’adeguamento prezzi

Sulla base dell’output delle rilevazioni, il category manager definisce la politica di pricing in base alla scala prezzi della categoria, per poi negoziare il prezzo d’acquisto dei singoli prodotti con il fornitore in funzione del margine obiettivo. Le decisioni alternative inerenti il prezzo sono tre, come mostrato in seguito:

1)  politica aggressiva verso il competitor più forte: la scelta è vincente in caso di possibilità di applicare una strategia di leadership di costo, altrimenti conduce soltanto ad una guerra di prezzi;

2)  politica di allineamento verso il competitor più forte (o verso il prezzo medio su piazza);

3) politica non aggressiva (prezzo superiore alla media dei competitor per recuperare margine): la scelta è vincente in caso di possibilità di applicare una strategia di differenziazione (fornendo ad esempio maggior servizio in termini di pulizia, ordine, personale, freschezza, ecc.), altrimenti il cliente può giudicare il retailer fuori mercato e preferire la concorrenza.

Il prezzo delle referenze va impostato per ogni linea prezzo, avendo cura di far coincidere il numero di linee prezzo con il numero di cluster promozionali.

 

(di Alessio Abbate)

La classificazione proposta nell’articolo precendente in merito alle leve marketing del retailer può essere utile ai fini della comprensione del vantaggio competitivo (marketing-based) del distributore.
Di seguito è mostrato un esempio per il caso di Poundland, il principale retailer a ‘prezzo fisso’ in Europa .

1. Assortimento
La gamma dei prodotti in Poundland comprende circa 3.000 referenze, afferenti a 17 categorie merceologiche che spaziano dal Food, ai prodotti per la cucina, alle idee regalo, alla cura della persona, alla detergenza, agli articoli di cartoleria e cancelleria, alle bevande, alle batterie, al pet care, ai libri, CD e DVD, giocattoli, prodotti per la cura dei bambini, farmaci, articoli stagionali, DIY (articoli per il fai da te), e articoli per feste. In Poundland i prodotti alimentari occupano orientativamente il 15% di spazio espositivo a scaffale e generano circa il 30% del fatturato.
In realtà, dei 3.000 articoli, circa 1.000 sono grandi marche, spesso importate dall’estero. Questo rapporto di un terzo tra grandi marche e assortimento complessivo è sempre preservato, nonostante l’assortimento sia in continua evoluzione e le stagionalità e festività fortemente enfatizzate sul punto vendita – dal Natale, alla Pasqua, ai prodotti per il giardinaggio in primavera, agli articoli per il campeggio e ai giocattoli estivi per bambini. Non è difficile capirne il motivo: il consumatore medio ha una profonda fiducia nelle grandi marche e queste in Poundland hanno un ruolo di ‘traffico’ e un potente ‘effetto cross-selling’. In altri termini, la gente entra in Poundland attratta dalle grandi marche vendute a un pound e poi acquista anche altro. Ma se tutto questo è fonte di un’incredibile rotazione e genera traffico nei negozi Poundland, quali sono le categorie/marche che procurano margine ‘sostenendo’ la vendita delle grandi marche e delle promozioni? E soprattutto, come è possibile generare un adeguato margine vendendo tutto a un pound? In effetti gli altri due terzi delle referenze in assortimento sono a marchio proprio e quindi ad elevato margine percentuale. Il Prodotto a Marchio Poundland è stato in realtà sostituito da una serie di marchi di fantasia come Beauty Nation, Kitchen Corner e Toolbox. Quando Poundland individua un gap di vendite nel mercato, introduce il marchio proprio o un marchio di fantasia. La gamma Sweet Heaven, per esempio, è stata una risposta diretta alla perdita di mercato di Woolies nelle High Street.

2. Prezzo
Il prezzo fisso (tutto a un pound) facilita sia il retailer nella definizione dei criteri espositivi (non esiste una ‘scala prezzi’), sia il cliente nella selezione dei prodotti: a parità di prezzo, la scelta ricade sulle combinazioni marche/varianti/formati. Uno dei principali punti di forza di Poundland è proprio la coerenza dei prezzi tra tutti i prodotti in base alle quantità di prodotto contenuto nella confezione: per un pound è possibile acquistare, ad esempio, una confezione da 11 pile Kodak, oppure una da 5 pile Sony, ovviamente più longeve.
Come fa il prezzo a restare fisso a un pound a distanza di oltre 20 anni dall’apertura del primo negozio? Quali sono le aree di eccellenza della catena del valore di Pondland che permettono questo successo? Una prima risposta è riconducibile alla proattività e alla forza contrattuale dell’ufficio commerciale di Poundland. Mentre la maggior parte dei retailer aspetta che i fornitori si propongano, Poundland analizza nel dettaglio chi contattare per avviare una trattativa commerciale. Se per un prodotto in assortimento gli sforzi commerciali non riescono a garantire il mantenimento del margine necessario, il prodotto va fuori assortimento: in questo modo l’assortimento evolve, ma il modello resta fisso. Talvolta, per preservare il margine e tenere fisso il prezzo finale di un prodotto, occorre cambiarne il confezionamento. Questo non sempre significa ridurne la dimensione del packaging e, di conseguenza, la quantità di prodotto che vi è normalmente contenuto: accade anche che il retailer riesca ad abbattere i costi di confezionamento riducendo il numero di imballi (spesso ridondanti) normalmente contenuti in una confezione. La crescita di Poundland dimostra che il consumatore è a caccia del ‘valore’ e i produttori ne sono consapevoli: sono in molti i fornitori che riconfigurano il proprio prodotto e il packaging per Poundland in modo che, ad esempio, la confezione di 170 grammi di After Eights si possa acquistare per un pound da Poundland, e Poundland è anche l’unico posto in cui sia possibile acquistarne una di quelle dimensioni. Attraverso questa strategia inoltre i fornitori, oltre ad assicurarsi livelli record di rotazione, possono monitorare esattamente il percorso dei propri prodotti, le quantità vendute e il prezzo finale di vendita applicato dal retailer.

3. Display-Layout
La struttura dei negozi Poundland è piuttosto spartana, con corridoi ‘larghi’ quanto quelli di un normale convenience store.
Il prezzo fisso facilita sicuramente il retailer nella definizione dei criteri espositivi: non esiste una scala prezzi ‘nominale’: esistono in realtà diversi formati, per cui una scala prezzi ‘per unità di misura’ è comunque presente per alcune categorie merceologiche, in particolare nella detergenza e nella pulizia della casa. Gli altri retailer devono continuamente ragionare sulla scala prezzi e monitorarla nel corso del tempo – in base ai nuovi inserimenti, ai delisting e al pricing dei competitor – e devono poi assicurarsi che la scala prezzi sia leggibile opportunamente sui display dei negozi. Poundland invece deve semplicemente ‘spostare’ merce dai magazzini ai punti vendita, senza preoccuparsi dei criteri di lettura dei display per prezzo – in quanto i clienti sanno sempre quanto costa ciascun prodotto – e avendo cura di posizionare opportunamente a scaffale il prodotto a marchio. In Poundland l’acquisto di impulso dei prodotti a marchio proprio è infatti una fondamentale fonte di valore ed è pertanto opportunamente stimolato attraverso la leva display.

4. Promozioni e Comunicazione
La meccanica promozionale di Poundland non può che essere ‘2 prodotti a 1 pound’, oppure ‘3 a 1 pound’, talvolta addirittura ‘4 a 1 pound’. Le categorie maggiormente coinvolte dalle promozioni ‘folli’ sono patatine in busta, cioccolata e bevande analcoliche, e si trovano spesso in testata di gondola. Nel non food la vendita di più prodotti (2 o 3) a un solo pound avviene normalmente in continuativo e riguarda principalmente categorie come i deodoranti per ambienti e i farmaci generici, come ibuprofene e paracetamolo. Quanto alla comunicazione, Poundland ricorre raramente alla comunicazione esterna al punto vendita: i principali strumenti di comunicazione adottati dal retailer riguardano la cartellonistica interna al negozio e il passaparola. I sacchetti per la spesa, a differenza di altri discount come Lidl, sono gratuiti e, a differenza dei competitor minori, contengono elementi di comunicazione dell’insegna.

 

(di Alessio Abbate)

Lo store check è normalmente inteso come una metodologia di analisi dei punti vendita (principalmente della propria rete, raramente di un competitor) in termini di assortimento, display, promozioni, prezzi, comunicazione. Nella gran parte dei retailer lo store check è implementato attraverso la compilazione di semplici check list descrittive da parte dei capi area, il cui destinatario principale è tipicamente il capo negozio.

di Alessio Abbate

La grande distribuzione alimentare soffre sempre più a causa della concorrenza degli hard discount, nonostante questi ultimi nel 2012 siano stati messi sotto accusa dalla Children’s Food Campaign (CFC) che criticava la massiccia presenza a scaffale di snack-spazzatura nel canale.

di Alessio Abbate

Comprendere i reali e mutevoli bisogni degli acquirenti non è un compito facile. Non sempre i retailer riescono a ‘incrociare’ opportunamente i dati estratti dai sistemi interni di misurazione delle performance (fatturato, rotazioni, margini, ecc.) con i dati di mercato e con le informazioni provenienti dai programmi di loyalty o dalle analisi (desk e field) della concorrenza.

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