Le sette distruttive come problema della patologia della vita sociale in Polonia. La problematica metodologico-criminalistica.
(di Maciej Szostak[i] – Traduzione dalla lingua polacca a cura di Jolanta Grębowiec Baffoni)
“ (…) Sali quassù,
ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito”.
Apocalisse di San Giovanni (4, 1)
La situazione della sicurezza pubblica dopo la modifica del sistema politico in Polonia nel 1989 e dopo l’introduzione del “libero mercato ideologico e religioso”, è per la Polonia una grande sorpresa ma nello stesso tempo anche un grande enigma. L’onda del terrorismo che è stata preannunciata dagli esperti e che di solito si origina insieme con la comparsa delle nuove frazioni politico-ideologiche, finora ha evitato la Polonia, tuttavia il nostro paese è stato travolto da un’onda diversa, ovvero quella delle nuove idee religiose, giunta con una forza gigantesca in tutte le sue forme. Il mercato ideo-religioso in Polonia risulta un ottimo luogo per le attività delle religioni nuove e per le attività delle istituzioni finora sconosciute in Polonia, proclamanti le nuove forme di attività religiose che, purtroppo, con tali attività non hanno niente in comune. Il territorio polacco è divenuto quindi una copertura perfetta per l’esercizio di tantissime organizzazioni criminali, che sotto la copertura di idee religiose celano il loro vero carattere e per tale motivo, in queste condizioni, la legge polacca sembra sostenerle.
Per questo ragione la problematica delle attività dei “nuovi movimenti religiosi” e dei nuovi tipi di “sette”, chiese, culti, unioni di fede, associazioni religiosi ecc., suscita sempre più emozioni e crea un problema sociale sempre più discusso.
In Polonia riscontriamo quindi la seguente situazione: da una parte esiste una sorta di “panico sociale”, rifiuto e pregiudizio nei confronti delle nuove sette religiose, che di solito vengono alimentate dalle notizie sensazionali dei mass media forniteci frequentemente sulle attività criminose e fortemente distruttive, informando per esempio che l’attività delle sette religiose dà origine al più grave pericolo della nostra epoca. Dall’altra parte, fino al 1998, dal punto di vista delle regolamentazioni, non è stato fatto nulla per diminuire o per fermare l’alto grado dei danni sociali causati dai comportamenti di questo tipo di gruppi. Soltanto nel mese di marzo del 2000, presso il Ministero degli Interni e dell’Amministrazione, è stato fondato il Gruppo Interministeriale per i Riconoscimenti dei Pericoli Connessi con le attività delle Sette e degli Altri Nuovi Movimenti Religiosi, cui il lavoro è stato concluso con un rapporto sui pericoli che presentano questi gruppi sociali, pubblicato in quell’anno.
La novelizzazione del decreto sulle garanzie della libertà di coscienza e di fede del maggio 1998, non ha frenato in grado sufficiente il processo di sviluppo delle sette (già abbastanza avanzato), ma ha determinato solamente la variazione della sua forma, cioè ha provocato una maggiore segretezza, eliminando soltanto alcune e poco pericolose attività dei gruppi, che non necessariamente avevano per obiettivo lo svolgimento dell’attività criminale.
L’obiettivo di questa riflessione è quindi l’analisi e il riconoscimento del problema e un tentativo di fornire un’eventuale risposta alla domanda se le sette religiose, con la particolare considerazione di quelle che funzionano sul territorio polacco, presentano un pericolo sociale o no. Se non lo presentano, quali sono fattori che fanno nascere il “panico sociale”? Invece se lo presentano, in che cosa esso sussiste?
Per questo motivo è necessario conoscere le caratteristiche e il funzionamento delle sette in modo più oggettivo possibile e soltanto in seguito, in base a queste conoscenze, formulare i giudizi di valore, costruire ed iniziare le eventuali azioni di prevenzione, poiché non prendiamo in considerazione ex definitione, che le formazioni dei nuovi gruppi di carattere religioso presentano un pericolo sociale. La tesi sulle attività pericolose di questi gruppi senza un riconoscimento oggettivo non potrebbe entrare nell’ambito della ricerca.
Il presente articolo quindi (prendendo in considerazione tanti aspetti della problematica) dovrebbe comprendere la totalità delle informazioni che si possono avere su questo fenomeno, pertanto si dovrebbe trattarlo in modo interdisciplinare, per esempio nell’aspetto storico, terminologico, metodologico, descrittovo, dottrinale, legale, sociologico, psicologico e fenomenologico, ma soprattutto nell’asspetto che ci interessa di più, cioè nell’aspetto criminologico e criminalistico. Non è possibile analizzare le caratteristiche di questo problema dal punto di vista criminologico e criminalistico senza averlo analizzato negli aspetti elencati sopra, poiché partiamo dal pressuposto che l’analisi di questo fenomeno sul piano della criminologia e della criminalistica, ovvero delle discipline che si occupano dell’analisi dei fenomeni reali della vita sociale di carattere patologico (quindi le scienze empiriche che descrivono lo stato fattibile e reale dei fenomeni sociali di carattere ontologico) ci permette di avvicinare la sua essenza, tuttavia in riferimento alla nostra problematica la questione sembra discuttibile. Non è possibile riconoscere questo problema sul piano esclusivamente criminalistico (disciplina di carattere multidisciplinare), non servendosi di conquiste delle altre discipline in riferimento a questo problema.
La questione di attività delle sette religiose, soprattutto in riferimento a cosiddette manipolazione della psiche dell’altro uomo, ci induce a porci le domande se tali attività possono essere riconosciute nel senso ontologico e se si possono riscontrare al loro interno le caratteristiche di patologia sociale.
L’analisi dell’ambito criminologico-criminalistico sembra poter essere d’aiuto durante le azioni concrete di carattere proceduale, particolarmente nella fase di scelta dei metodi e delle forme di riconoscimento dei crimini compiuti da cosidette sette distruttive, ma anche nella fase di identificazione del materiale probatorio durante i procedimenti preliminari ai processi giudiziari, come anche nell’ambito di difesa sociale e nei metodi di prevenzione di questa forma del crimine.
Da queste riflessioni metodologiche (generali e particolari) riguardanti il riconoscimento dei problemi della ricerca e ostacoli nella modificazione delle ipotesi sui pericoli sociali scaturanti dalle attività delle sette distruttive, giungiamo alle segenti conclusioni:
1. Il riconoscimento del fenomeno delle sette religiose riscontra i seri problemi della ricerca già al livello semantico. Il termine setta è il termine relativo, non sufficientemte chiaro, il suo significato rimane indefinito, e nello stesso momento su di esso grava una divergenza assiologica. Per questo motivo l’utilizzo di questo termine potrebbe comportare gli abusi con le conseguenze nel suo uso in riferimento a diverse forme di attività sociale, ciò potrebbe comportare molti errori nell’ambito della classificazione giudiziaria.
Proponiamo quindi l’introduzione della distinzione terminologica consistente in difusione di due termini, cioè: la setta distruttiva e il nuovo movimento religioso, come termini assiologicamente diversi con i valori di estremità opposte, quindi con i significati diversi. Nel caso contrario, senza una precisazione dei significati (anche se questa precisazione si basa sulle associazioni sociali emotivo-intuitive, per esempio per una addizione dell’aggettivo distruttiva al sostantivo setta), non si potra avere, secondo noi, una divisione efficace dei termini setta e il nuovo movimento religioso. L’eliminazione del termine setta e l’introduzione al suo posto del termine il nuovo movimento religioso (per indicare tutte le nuove forme delle attività connesse con la sfera religiosa), è un’operazione puramente formale, che non prende in considerazione il significato “setta” al livello socio-emotivo. Di conseguenza è una operazione condannata all’insuccesso e che causa soltanto il caos dei termini. Eppure il termine “setta” non in tutte le società e non in tutte le culture esprime connotazioni negative. Tuttavia attualmente la situazione è analoga anche in riferimento al termine il nuovo movimento religioso, e riguarda almeno una parte dei documenti giuridici (soprattutto delle relazioni di carattere racomandativo) ex definitione che possiedono il carattere di prevenzione, nei quali gli autori stessi commettono incoerenze semantiche, concentrando l’attenzione esclusivamente sulle forme patologiche dei comportamenti connessi con le attività di cosidetti i nuovi movimenti religiosi, eppure esiste un gran numero di questi movimenti religiosi nei quali questo tipo di comportamenti non è stato verificato.
A questo punto la trasformazione del termine setta (rinunciandone del tutto) a favore del termine il nuovo movimento religioso, non ci sembra un’idea che potesse comportare i risultati attesi. Pertanto, in questa situazione non si può tenere in poco conto le emozioni sociali scaturienti dai termini precisi. Secondo la nostra opinione, proprio attraverso l’utilizzo della sfera emotiva del significato della lingua comune, è possibile influire sulle emozioni sociali e dare l’inizio al tentativo di controllarle in senso positivo, avendo per obiettivo quello di formare un quadro oggettivo dei fenomeni sociali controversi. In questo modo è possibile realizzare la precisazione dei termini, con un successivo riassestamento del fenomeno nell’aspetto semantico-assiologico, che secondo noi è utile sia al livello empirico, sia al livello teorico delle riflessioni scientifiche. Riassumendo, bisogna sottolineare ancora una volta che il problema delle sette distruttive è soprattutto il problema di natura semantica, quindi il suo riassestamento al livello semantico costitusce un fondamento per le future ricerche di questo fenomeno.
2. Le attività delle sette distruttive bisogna classificarle fra i fenomeni di carattere sociale. Tuttavia il problema di questa classificazione riguarda le concrete discipline scientifiche, poiché non è ammissibile la constatazione che le attività di questi gruppi costituiscono l’infrazione della legge (di una loro disciplina concreta), prima di aver esaminato se tale infrazione ha realmente avuto luogo. Pertanto non basta utilizzare i soli strumenti di ricerca delle scienze penali, incluso la criminologia, per un serio problema metodologico, poichè l’utilizzo di questi strumenti è possibile nel caso dell’infrazione concreta della legge e non dell’infrazione ipotetica.
Quindi il problema principale riguarda la sistematizzazione di questo fenomeno su un determminato livello di riflessione e contemporaneamente la designazione di una disciplina scientifica nell’ambito della quale questo fenomeno potrebbe essere riconosciuto in modo universale. Come abbiamo già ribadito, il problema presentato necessiterebbe la classificazione fra i fenomeni sociali, benché la sua specificità consiste nell’intraprendere delle azioni all’interno delle sette distruttive che ovviamente sfuggono alla classificazione dei comportamenti delle norme sociali, ciò sicuramente implica un serio problema metodologico. Non è nemmeno possibile classificarlo in modo univoco fra i fenomeni appartenenti alla patologia sociale, poiché tale operazione esigerebbe l’indicazione delle caratteristiche specifiche di tale patologia e la realizzazione di questo compito (prendendo in considerazione che il problema della patologia suscita numerose controversie) ci sembra un’operazione puramente nominale.
3.Il tema presentato implica soprattutto i problemi di natura metodologica ed è connesso con la scelta dei metodi di ricerca universali, permettenti il riconoscimento oggettivo di tale fenomeno. Secondo noi, il metodo idoneo è il metodo di analisi fenomenologica, cioè la descrizione diretta dei fenomeni sociali, senza loro influenze assiologiche e senza attribuizione di nessun giudizio, possibile da utilizzare in ambito di diverse discipline scientifiche, per esempio nelle scienze sociali, empiriche o penali.
4. Il problema dell’attività delle sette distruttive che necessità un’attenta considerazione e riflessione, consiste nella questione di prelevamento delle informazioni credibili da parte dei membi o degli ex membri di questo tipo di gruppi, e dalle persone che sono legate con loro in modo indiretto (per esempio da parenti, amici, vicini di casa). Come sappiamo, tali informazioni possiedono un basso valore di oggettività. Per la specificità, misteriosità ed elemento sensazionale che caratterizza l’attività di queste strutture, il problema delle sette distruttive presenta un ricco alimento per i mass media, che sotto le influenze di varie denunce (molto spesso basate sulle fantasie), creano un quadro falso di questo fenomeno, non conforme alla realtà. La causa di ciò consiste, secondo noi, nell’insufficienza del riordinamento di questo fenomeno, sia al livello sociale, sia a quello scientifico.
La libertà d’infomazione dei media presenta talvolta un serio problema di ricerca, poichè sulla base delle informazioni comunemente raggiungibili (anche se non conformi alla verità) viene creato un quadro sociale di questo fenomeno, cui la verifica ed una eventuale trasformazione, risulta impossibile. Tali informazioni iniziano a formare una correlazione sociale emotiva ai quei tipi di gruppi, di solito basata sulle informazioni non confermate. Questi comportamenti presentano un fattore sociale molto dannoso, poiché formano l’opinione pubblica errata, antagonizzando la società per esempio in simpatizzanti ed aversari degli alcuni nuovi movimenti religiosi. Lo spezzamento di questo tipo di influsso delle informazioni non vere, presentate in forma di sensazione, può avvenire attraverso l’elevazione della coscienza sociale, avente per obiettivo l’autoselezione dei comportamenti irresponsabili dei mass media, proteggendo in questo modo la società, ma anche i membri dei nuovi movimenti religiosi, dagli abusi.
4. Per la specificità del fenomeno di sette distruttive, lo svolgimento delle ricerche quantitative con l’utilizzo dei metodi e delle tecniche sociologiche o empiriche, non comporta i risultati attesi. Le tecniche tradizionali di ricerche sociologiche, basate sulla “collaborazione” e sulla “buona volontà” della persona esaminata con l’ausilio dei metodi come: questionario, inchiesta, conversazione o analisi dei documenti di diverso tipo, non permettono, secondo noi, di ricostruire un quadro reale di questo fenomeno, visto che il problema delle ricerche sulle sette distruttive è connesso con le barriere psichiche dei membri di questi gruppi, che influiscono sui contatti con il mondo esterno. Da qui deriva un serio problema sul piano psicologico e metodologico che consiste in entrare in contatto con la persona osservata, che di solito rimane isolata dal mondo esterno. Invece le informazioni ottenute da persone terze contengono un grado di errore molto alto e di conseguenza la loro credibilità è molto bassa, ciò è dovuto alla sensazione e di elementi immaginari presenti nelle relazioni dei testimoni, creati ed amplificati per chiusura e misteriosità di questi ambienti.
La dinamica di sviluppo di questo fenomeno origina una grande divergenza dei risultati quantitativi comportando il disorientamento dell’informazione. Prendendo in considerazione la specificità di attività di varie sette distruttive e la loro diversità, secondo noi, le ricerche più adeguate sono quelle qualitative con la considerazione dell’aspetto psicologico e psicosociologico. Tali ricerche conducono alla conoscenza individuale dei casi concreti e trattano ogni persona esaminata come un’unità individuale. Sono quindi le ricerche volte alla conoscenza dei condizionamenti comportamentali dei singoli membri delle sette in relazione all’ambiente in cui essi vivono, in relazione al gruppo in cui svolgono i determinati ruoli sociali.
Tuttavia, queste ricerche riguardano un raggio d’azione limitato. Di solito sono “gli studi dei casi” in base ai quali non si può costruire nessuna conclusione di carattere generale. Riassumendo: bisogna affermare che l’analisi del fenomeno delle sette distruttive con i metodi tradizionali sembra molto complessa, difficile e non comporta i risultati di conoscenza attendibili. Per questo motivo sarebbe necessario iniziare un altro tipo di ricerca (e soprattutto cambiare le tecniche di ricerca), cui i risultati potrebbero costituire una base per formulare le conclusioni di carattere generale, come risposta ai bisogni di soluzioni concrete, sia al livello sociale, sia a quello scientifico.
5. In riferimento alle ricerche qualitative svolte nell’aspetto sociopsicologico, non è possibile riconoscere le azioni all’interno delle sette distruttive secondo uno schema metodologico prestabilito, per la specificità e la diversità dei loro sintomi. Le forme di attività di questi gruppi sono molto diverse, basate di solito sulle relazioni interpersonali intime, di conseguenza il riconoscimento delle intenzioni di diverse sette, per esempio in riferimento alle relazioni interpersonali con i membri nuovi, pone un processo di carattere sociopsicologico, molto serio e complicato. Da questo punto di vista, l’influenza negativa e distruttiva sulla psiche dei membri di questi gruppi, che consiste nell’utilizzo dei metodi di reclutamento non etici, rappresenta la più grave accusa contro queste organizzazioni. Tuttavia il riconoscimento delle caratteristiche di questi metodi di reclutamento, basati sull’utilizzo delle psicomanipulazioni, rappresenta un problema metodologico molto complicato, poichè le conseguenze di questo tipo di azioni si verificano di solito dopo molto tempo dal loro utilizzo, in forma delle azioni concrete, ontologiche, svolte dalle persone che si trovano sotto l’influenza “dell’idottrinazione”, invece l’affermazione dello stato della distruttività di queste azioni sulla psiche dei fedeli non sembra possibile ad un’osservazione. Per questo motivo è molto importante partire dall’introduzione delle azioni di prevenzione, avendo per obiettivo quello di superare le attività concrete di questi gruppi di carattere distruttivo. Invece sembra impossibile l’affermazione dello stato di distruttività di tali attività sulla psiche dei fedeli, in risultato di una osservazione. Per questo motivo è molto importante iniziare le azioni di prevenzione con l’obiettivo di precedere le azioni concrete di carattere distruttivo da parte dei gruppi di questo tipo. La separazione dei metodi di influenzamento sociale dalle tecniche di manipulazione psichica, sembra un’operazione teorica molto complicata e nello stesso molto difficile da applicare in pratica.
Sicuramente la risposta a questo problema bisognerebbe cercarla sul piano della psicologia e sociopsicologia tramite l’introduzione delle ricerche concrete, tese a ottenere le informazioni credibili sui modi di influenzamento psicologico che si possono scontrare all’interno delle sette distruttive. Probabilmente non è possibile svolgerre una ricerca criminalistica senza prendere in considerazione i risultati di queste analisi. Il problema dei comportamenti che si riscontrano nelle strutture interne delle sette distruttive consiste nelle relazioni interpersonali, ovvero sul piano interpsichico, quindi, secondo noi, l’introduzione delle ricerche socio-psicologiche risulta indispensabile nel tentativo di riconoscimento di questo fenomeno sociale.
6. La problematica socio-psicologica implica i seri problemi sul piano delle scienze penali. Si può rischiare l’affermazione che l’analisi del fenomeno delle sette distruttive, svolta nell’aspetto vittimologico, eziologico o socio psicologico, conduce alla “miniera di particolari problemi della ricerca”.
– Nell’aspetto vittimologico: il problema delle attività delle sette distruttive rimane strettamente connesso con gli argomenti della socio-psicologia. Tornando alle domande poste all’inizio delle nostre riflessioni, ci poniamo il problema se le persone soggette alla psicomanupulazione devono essere consapevoli della loro vittimizzazione per essere riconosciute come vittime, oppure non è necessario che la persona si renda conto di essere manipolata dagli altri. Sono problemi molto delicati ai quali bisogna tentare le risposte attraverso la loro analisi di natura teorica, complessivamente con il problema di riconoscimento della psicomanupulazione come azione ontologica e di dimostrazione di queste attività e della loro distruttività come infrazione della libertà della persona, fino ai problemi ancora più sottili come riflessioni sui suicidi dei membri delle sette apocalittiche e il riconoscimento dell’autosufficienza decisionale nell’autovittimizzazione estrema.
– Nell’aspetto eziologico vale la pena di iniziare la riflessione su due questioni riguardanti le cause della popolarità delle sette distruttive e le cause della dinamica dello sviluppo di questo tipo di gruppi e cercare di trovarne le risposte (le soluzioni) a questi problemi di ricerca, visto che le cause della popolarità delle sette distruttive costituiscono probabilmente uno degli argomenti più complessi di multi-casualità in riferimento a questo fenomeno sociale. Saper dare la risposta alla domanda sulle cause di popolarità e di sviluppo delle sette distruttive, comporterebbe le ricerche volte a trovare un antidoto contro le attività dannose di questi gruppi.
– È molto importante la riflessione sulla prevenzione che mira ai postulati aventi per obiettivo la riduzione dei pericoli da parte di questi gruppi, ma soltanto nel caso di un corretto riconoscimento (quindi corrispondente alla verità) di questo fenomeno. Secondo noi, si può effettuare la ripresa delle azioni metodologiche appropriate sul piano della criminalistica in forma delle cosiddette azioni operativo-distintive, che devono servire ad un riconoscimento oggettivo di questo fenomeno e alla sua classificazione come patologia o come norma sociale. Le ricerche criminalistiche quindi possono contribuire con la fonte d’informazione su forme, metodi e tecniche distruttive dei comportamenti riscontrati nelle sette religiose e descrivere il grado di pericolo di queste sette. Contemporaneamente possono portare un ricco materiale empirico per le riflessioni sul piano teorico (scientifico).
Riassumendo si può affermare che la risposta sui pericoli da parte delle sette distruttive rimane sempre una risposta non univoca e aperta. Una risposta univoca, nell’attuale stato della conoscenza, sembra impossibile. L’argomento è molto complesso per motivi di mancanza del suo riordinamento sul piano sociale e metodologico nell’ambito delle diverse discipline scientifiche.
Il problema di una giusta lettura della problematica è il problema della sua valutazione con l’utilizzo delle relative proporzioni, conformemente all’aspetto in cui esso viene risolto e al livello di riflessioni in cui viene condotto.
La risposta, quindi, a questo problema dipende dalla ripresa dei provvedimenti adeguati, miranti al suo riconoscimento attraverso la scelta di una disciplina scientifica adeguata e nel suo ambito dei metodi e delle tecniche di ricerca universali, che potrebbero rendere possibile il riconoscimento di questo fenomeno. Il problema di scelta di una disciplina scientifica che disponesse di un adeguato apparato concettuale e contemporaneamente di un adeguato apparato metodologico, cui l’utilizzo permetterebbe di effettuare il riconoscimento dei nuovi fenomeni sociali caratterizzati da inclinazioni patologiche, presenta un importante problema per le ricerche epistemologiche moderne.
I problemi fondamentali nascono soprattutto per la specificità di questi fenomeni e soprattutto per le loro molteplici cause e per l’interdisciplinarità, ciò implica le difficoltà nel trovare i metodi di ricerca universali cui l’utilizzo permetterebbe di effettuare il riconoscimento di questi fenomeni. Per questo motivo la scelta della criminalistica come scienza con i principi di carattere interdisciplinare, permette una riflessione metodologico-epistemologica in riferimento al problema di ricerca dei fenomeni delle sette distruttive. La criminalistica dispone di metodi adeguati e di mezzi che permettono una riflessione al livello teorico conoscitivo. Questa riflessione è basata sui fatti confermati empiricamente mediante le tecniche di ricerca elaborate da questa disciplina, quali le attività operativo-distintive in forma semplice e complessa. I risultati di queste azioni protocollate a norma di legge, dovrebbero essere trattati come fonte di informazioni credibili e costituire le fondamenta per le ulteriori riflessioni sul piano teorico (scientifico). Tuttavia il problema che sorge dopo lo svolgimento delle attività operativo-distintive (la raccoltà delle informazioni) ci pone davanti alla domanda sulla scelta dell’ambito nel quale dovrebbero essere divulgati i risultati, se tali attività sono state intraprese come segrete.
Il compito delle forze pubbliche è il mantenimento e la prevenzione dell’ordine pubblico, quindi la questione appartiene alle competenze di questi organi. In gran parte sono proprio le forze pubbliche a svolgere la distinzione dei nuovi fenomeni sociali di inclinazioni patologiche, mediante le azioni concrete di carattere empirico, che dovrebbero avere l’influenza sulla formazione dell’opinione pubblica sui pericoli sociali connessi per esempio con le attività delle sette distruttive, sulla base dei risultati ottenuti nelle ricerche condotte da loro (le azioni operativo-distintive).
Il ruolo delle forze della polizia inteso in questo modo, costituisce la proposta di riordinamento del “disordine dell’informazione” riguardante questo fenomeno. Il ruolo della criminalistica che per il principio consiste in individuazione dei fenomeni appartenenti alla patologia sociale in riferimento alle sette distruttive, presenta un fattore essenziale di classificazione di questo fenomeno o come norma o come patologia sociale e potrebbe fornire le indicazioni delle caratteristiche di tale patologia, cui l’esplicazione sembra particolarmente difficile. La criminalistica si può trattarla come un’alternativa teorico conoscitiva, come una disciplina che dispone di un’insieme dei metodi e delle tecniche di ricerca, come per esempio
le azioni operativo-distintive (se l’oggetto di ricerca sono i fenomeni sociali, altrimenti le tecniche sono diversificate) che permettono di distinguere questo fenomeno sociale in forma oggettiva, secondo i prinicipi di verità materiale. I risultati delle ricerche criminalistiche (in questo caso mediante la conduzione delle attività operativo-distintive concrete) permettono di classifacare questo fenomeno come norma o come patologia sociale, ciò sembra avere grande importanza nei processi epistemologici sul piano delle attività empiriche come anche delle riflessioni teoriche (scientifiche) e presenta un prezioso valore di prevenzione dai potenziali pericoli che risultano la conseguenza delle attività di questo tipo di gruppi.
Note
[i] Maciej Szostak è il professore straordinario presso la Cattedra di Criminalistica Facoltà di Legge, Amministrazione ed Economia dell’Università di Wrocław e presso l’Istituto di Medicina Legale presso l’Università Medica dell’Università di Wroclaw (Polonia)