Fisco Criminologia Tributaria

L’osservazione del contribuente

(di Pietro Pavone)

In un quadro di crescente illegalità fiscale e diffusa criminalità economico – finanziaria, le linee di azione del Fisco sono chiamate a rimodularsi costantemente affinché risultino adeguate ai nuovi indirizzi di politica economico – finanziaria del Governo.

Il dilagare del fenomeno evasivo è un male che affligge e consuma la società post-moderna, ciononostante lo spirito che anima il contrasto è ancora basato su materiali esigenze di cassa piuttosto che su di una rinnovata impostazione del problema. La sensazione è che si faccia della lotta all’evasione lo strumento per far quadrare i conti che non tornano, un po’ come quando il difensore ci mette una pezza salvandosi in calcio d’angolo.

Così non è difficile leggere o sentir parlare di nuove manovre concepite dal Governo da finanziarsi, in tutto o in parte, con quanto si riuscirà a recuperare dall’azione di contrasto all’evasione e tutti i provvedimenti di “clemenza” emanati negli ultimi anni (condoni, scudi fiscali e simili) rispondono alla medesima logica: trarre liquidità sfruttando quella che è una trasgressione di massa. Si consente ai contribuenti disonesti di sanare la propria posizione irregolare previo pagamento di una somma di denaro, arrivando perfino a disconoscere la pena che altrimenti risulterebbe applicabile.

Siamo all’assurdo.

Fin quando la lotta ai fenomeni evasivi ed elusivi, nazionali ed internazionali, continuerà ad essere il calcio d’angolo nel quale potersi rifugiare e non la vera partita da giocare, non faremo che perseverare nell’assecondare il problema, rinviandolo senza mai risolverlo.

In un auspicabile solco culturale criminologico, l’investigatore tributario si muove seguendo una metodologia dotata di caratteristiche di scientificità, basata sull’osservazione della realtà, consapevole del fatto che non basta scoprire i fenomeni criminali; occorre poterli misurare e comprendere nella loro manifestazione fenomenologica e tipologica.

In che modo? Anzitutto, volendo realmente comprendere quale sia il motore dell’evasione, occorre interrogarsi su quale sia l’assetto personologico che sottende il gesto evasivo, ad esempio principiando dall’analisi dei più piccoli dettagli che trovano spazio sulla scena del crimine.

È di fondamentale importanza l’osservazione del contribuente nella fase antecedente l’eventuale contestazione. In breve, come si comporta il soggetto durante l’accesso dei verificatori in azienda?

La letteratura poliziesca “made in Guardia di Finanza” ci propone aneddoti che riportano scene di panico e di confusione in sede di accesso dei finanzieri in società, ricavandosene che a rilevare non è solo il modus operandi seguito dal contribuente nella commissione del fatto (cosa è stato fatto in passato), bensì anche come vengono gestiti gli effetti di un dato reato e come ci si presenta all’appuntamento con il Fisco.

Si rende necessario, dunque, focalizzarsi sui dettagli dell’azione che si ipotizza potenzialmente criminosa, senza mai escludere dal campo d’interesse l’analisi della personalità del soggetto agente. Nel caso di una multinazionale, ad esempio, collocare il teatro del delitto in un contesto geografico più ampio può fornire importantissimi orientamenti d’indagine perché apre ad un’analisi di tipo comparato delle diverse giurisdizioni che, date le tematiche di fiscalità internazionale, riesce spesso ad essere decisiva.

La personalità del trasgressore in campo tributario, peraltro, è desumibile anche dai suoi precedenti fiscali. È quanto ribadito dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano con la sentenza n. 8321/05/14 del 14 ottobre 2014.

Ovviamente, in un’ottica di auspicata reciproca collaborazione, quando si tratta di ricostruire la base imponibile di realtà imprenditoriali molto strutturate, ad esempio nel caso in cui la verifica riguardi fenomeni di esterovestizione di società formalmente localizzate all’estero o configurazione in Italia di una stabile organizzazione di impresa estera, in una circolare della Guardia di Finanza di recente emanazione che integra le disposizioni contenute nella circolare n. 1/2008 sull’attività di verifica fiscale, è precisato che: “in queste circostanze, possono oggettivamente sussistere per il contribuente effettive difficoltà a reperire tempestivamente tutta la documentazione necessaria, specialmente se quantitativamente consistente e da far pervenire dall’estero o comunque da richiedere a terzi.

Occorre pertanto valutare in concreto tutte le particolarità del caso specifico ed escludere l’evidenza di intenti meramente dilatori o ostruzionistici, per poi prendere in esame responsabilmente la possibilità di concedere al contribuente, nello spirito di una leale e reciproca collaborazione, un congruo termine per provvedere alla consegna dei documenti richiesti.

In ogni caso, è importante che di tutte le richieste formulate avanzate dai verificatori, della loro reiterazione, dei termini eventualmente assegnati e dei riscontri forniti dal contribuente – anche in caso di inottemperanza – sia data ampia e dettagliata esposizione nei verbali di verifica giornalieri e nel processo verbale di constatazione, allo scopo di fornire all’Agenzia delle Entrate un quadro completo degli elementi utilizzati per la ricostruzione del reddito e delle modalità della loro acquisizione…”.

In definitiva, quando il contribuente gioca sulla residenza, sotto il profilo investigativo, un articolato lavoro di intelligence degli organi ispettivi dell’Amministrazione finanziaria potrebbe dimostrare che la società esterovestita operi effettivamente nell’ambito del territorio italiano, col rischio di provocare denunzie alla Procura della Repubblica per il reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi/IVA, ex. Art. 5 d.lgs. 74/2000.

In questa prospettiva, sarebbero destinatari delle denunzie penali gli organi amministrativi delle società, vale a dire gli amministratori dell’impresa esterovestita e, in concorso con quest’ultimi, quelli dell’impresa estera che controlla l’impresa esterovestita.

Per quanto attiene allo sviluppo delle indagini, va rilevato che gli indizi volti a ricostruire l’esterovestizione della società italiana vengono spesso ricavati dalla lettura delle comunicazioni di posta elettronica acquisite dagli organi ispettivi, in cui spesso si rinvengono indirizzi e direttive disposte dalla società controllante estera alla società figlia.

Ancora una volta è la preliminare attività di intelligence il vero valore aggiunto: l’approccio investigativo che contraddistingue una verifica fiscale compiuta nei confronti di una società estera che presenti, in maniera più o meno evidente, elementi di collegamento con il territorio italiano è un approccio altamente invasivo dal punto di vista del contribuente: la ricerca si estende infatti ai dati informatici, compresa la corrispondenza via mail, la cui elaborazione può portare ad informazioni decisive per il prosieguo delle indagini, in quanto determinanti ai fini della corretta individuazione della sede del management societario[1].

Non di rado – si deve ammettere – l’attività d’indagine degli organi ispettivi subisce una paralisi.

Talvolta, gli ingenti sforzi di individuare e ricostruire schemi di elusione delle imposte come quello sopra descritto incontrano un limite nella mancanza di collaborazione da parte delle amministrazioni fiscali dei Paesi esteri c.d. non collaborativi, con l’evidente rischio di vanificare i risultati di un complesso lavoro d’indagine.

Note

[1] Fonte www.moneylaundering.it