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cuneo fiscale

(di Valerio Micheli)

È del 28 aprile la circolare dell’Agenzia delle Entrate con oggetto l’art. 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 – Riduzione del cuneo fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati, articolo che istituisce gli ormai noti 80 euro in più in busta paga promessi dal Governo Renzi per chi percepisce un determinato reddito annuo.

La finalità dell’intervento è quella di ridurre la pressione fiscale e contributiva sul lavoro nell’immediato e, strutturalmente, il cuneo fiscale. L’articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n.66 riconosce un credito ai titolari di reddito di lavoro dipendente (e taluni redditi assimilati a quello di lavoro dipendente), la cui imposta lorda sia di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro ad essi spettanti.

Il credito riconosciuto è di 640 euro per chi non supera i 24.000 euro di reddito e decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un reddito di 26.000 euro (da considerarsi al netto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze). Il credito è rapportato al periodo di lavoro nell’anno[1] e in relazione alla durata del rapporto di lavoro, considerando il numero di giorni lavorati nell’anno.

I presupposti per beneficiare del credito introdotti dall’art. 1-bis dell’art. 13 del TUIR (introdotto dal sopracitato decreto) sono tre e sono legati alla tipologia di reddito prodotto, al fatto che sussista un’imposta a debito (post detrazioni per lavoro) e all’importo del reddito complessivo.

Tra i beneficiari si annoverano i contribuenti il cui reddito complessivo è formato da redditi da lavoro dipendente[2]; da redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente[3] quali ad esempio compensi percepiti dai lavoratori soci di cooperative, compensi per lavori socialmente utili, le prestazioni pensionistiche (di cui al d.lgs. n. 124 del 1993) e altri.

Il contribuente dovrà avere un’imposta lorda di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti ex art. 13, comma 1 del TUIR[4].

Il contribuente, infine, dovrà essere titolare di un reddito complessivo per l’anno di imposta 2014 pari o inferiore ai 26.000 euro.

Quanto premesso esclude dal credito i contribuenti il cui reddito non è formato da quelli specificati dal comma 1-bis, quelli che non hanno un’imposta lorda superiore alle detrazioni sopra citate e chi – pur avendo un’imposta capiente – è titolare di un reddito maggiore ai 26.000 euro.

Il credito eventualmente spettante viene riconosciuto dai sostituti di imposta “in via automatica” e “ripartendolo fra le retribuzioni erogate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, a partire dal primo periodo di paga utile”. La circolare ricorda chi sono i sostituti di imposta tenuti ad applicare la ritenuta a titolo d’acconto, tra i quali si annoverano gli enti e le società indicati nell’art. 73, comma 1, del TUIR; le società e le associazioni indicate nell’art. 5 del TUIR; le imprese agricole; il curatore fallimentare, tra gli altri. Sono tenute a riconoscere il credito anche le amministrazioni dello Stato, della Camera dei deputati e del Senato, tra le altre.

La dicitura “in via automatica” comporta che i sostituti di imposta dovranno riconoscere il credito in aggiunta alla retribuzione erogata e senza richiesta da parte dei beneficiari. L’erogazione del credito avverrà a partire dal mese di maggio 2014, salvo impossibilità dovute a ragioni esclusivamente tecniche legate alle procedure di pagamento, che potranno far slittare la prima erogazione al mese di giugno.

La determinazione della spettanza del credito viene effettuata dai sostituti di imposta sulla base dei dati reddituali a loro disposizione, su dati previsionali e sulle detrazioni, oltre che a dati in loro possesso per effetto di comunicazioni da parte del lavoratore. Il decreto definisce puntualmente gli adempimenti dei sostituti di imposta e al comma 5 dell’art. 1 stabilisce che per l’erogazione del credito il sostituto utilizza l’ammontare complessivo delle ritenute disponibile in ciascun periodo di paga e, per la differenza, i contributi previdenziali dovuti.

Qualora i soggetti beneficiari abbiano remunerazioni non erogate da un soggetto sostituto di imposta, essi potranno richiedere il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2014. Si precisa che tale procedura di richiesta potrà essere anche seguita dai contribuenti per i quali il credito “ non sia stato riconosciuto (in tutto o in parte) dai sostituti d’imposta di cui agli articoli 23 e 29 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ad esempio perché relativo a un rapporto di lavoro cessato prima del mese di maggio”.

Qualora il sostituto di imposta abbia riconosciuto il credito a soggetti con reddito complessivo superiore ai 26.000 euro (derivante da redditi diversi da quelli erogati dal sostituto), questi dovranno comunicarlo al sostituto che, nelle buste paga che seguiranno la comunicazione, recupererà il credito non spettante. Il credito non spettante (in tutto o in parte) andrà restituito dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi.

La Circolare ricorda infine che il credito non concorre alla formazione del reddito e quindi le somme ricevute non sono imponibili ai fini delle imposte sui redditi (comprese addizionali regionali e comunali). Tali crediti, inoltre, non incidono sul calcolo dell’IRAP dei soggetti eroganti.

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[1] Cfr. comma 2, art. 1 del decreto. Considerando che il credito è rapportato al periodi di lavoro nell’anno, qualora il rapporto di lavoro abbia la durata dell’intero anno, alcuni “correggono” il tiro del Governo: anziché 80 euro, su base annua il “beneficio” è di 53,33 euro (640/12 = 53,33. Sono 80 in quanto l’importo di 640 verrà erogato in 8 dei 12 mesi del 2014).

[2] Cfr. art. 49, comma 1, TUIR.

[3] Cfr. art. 50, comma 1, TUIR.

[4] L’importo di dette detrazioni è stato modificato dall’art. 1, comma 127, della legge 147/2013 (legge di stabilità per il 2014) e per la loro determinazione il reddito complessivo va assunto al netto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze.

(di Mauro Merola)

Recentemente il Governo ha operato una serie di interventi normativi che si pongono l’obbiettivo di favorire il rilancio economico del nostro Paese attraverso la riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale”.

Il cuneo fiscale può essere definito come l’insieme di imposte ed altri oneri, connessi al lavoro dipendente, che costituisce la differenza tra il costo del lavoro – sostenuto dall’unità produttiva (ente, azienda o lavoratore autonomo) – e lo stipendio netto che affluisce nelle tasche del lavoratore dipendente.

La serie eterogenea di voci che compongono il cuneo fiscale è costituita in sostanza da due componenti:

a) una di tipo fiscale, prevalentemente Irpef ed Irap;

b) una di tipo parafiscale, vale a dire previdenziale ed assistenziale (soprattutto accantonamenti per la pensione e per la buonuscita).

Tale insieme di oneri va, pertanto, ad appesantire il costo del lavoro, provocando una sensibile differenza tra il valore di quest’ultimo e lo stipendio netto erogato al singolo lavoratore.

Con il decreto legge, approvato dal Consiglio dei Ministri del 18 aprile 2014, non viene solo previsto un taglio dell’Irpef per i lavoratori dipendenti, ma parallelamente, nell’ottica della riduzione del cuneo fiscale, anche un taglio dell’Irap del 10,2% per aziende e professionisti.

Per effetto di tale taglio, l’aliquota Irap si riduce dello 0,4%, comportando una riduzione dell’aliquota Irap dal 3,9% al 3,5% per le aziende private ed i professionisti. Quest’anno, tuttavia, i benefici saranno dimezzati per effetto dell’acconto 2014 fissato al 3,7%.

L’intervento sull’Irap, descritto sopra, non sembra in grado di risolvere o, per lo meno, ridimensionare il problema della perdita di competitività dell’Italia. La causa principale di ciò è riconducibile all’elevato costo del lavoro per unità di prodotto (i.e., CLUP).

Infatti, nell’era Euro, l’Italia ha accumulato un notevole GAP pari al 23% sul CLUP verso la Germania, che è riuscita, negli ultimi dieci anni, a garantire una crescita costante delle propria economia svalutando il costo del lavoro.

Riducendo l’Irap è possibile ridurre il CLUP, ma tale effetto non andrebbe vanificato da una riduzione parallela dell’Irpef per cui il problema della competitività economica resterebbe invariato.

Le misure prospettate dal Governo sono indirizzate ad intervenire in parte sull’Irpef ed in parte sull’Irap.

Ai fini Irpef, infatti, è stato prospettato un taglio del cuneo fiscale pari a 10 miliardi di euro per dieci milioni di persone; il meccanismo prevede l’attribuzione di un credito di imposta, a partire dalle buste paga relative al mese lavorativo di maggio 2014, per i lavoratori dipendenti ed assimilati che guadagnano tra 8.000 e 24.000 euro lordi e, di conseguenza, comporta un aumento della retribuzione netta a favore degli stessi (incremento di 80 euro in più al mese).

Ai fini Irap, invece, è stata prospettata una riduzione del cuneo pari a circa 0,4 punti in percentuale.

In definitiva, gli interventi indicati dal Governo determinerebbero una esigua riduzione del costo del lavoro nei limiti della sola quota Irap corrispondente allo 0,4%. Per quanto detto sopra, appare difficile che una misura del genere possa comportare un recupero di competitività economica dell’Italia rispetto agli partner europei.

Tuttavia, è indubbio che il calo sensibile dell’Irpef potrebbe favorire una ripresa dei consumi interni, garantendo maggiore liquidità ai lavoratori dipendenti.

L’utilizzo della leva fiscale per l’abbattimento del cuneo fiscale sicuramente è una soluzione interessante. Infatti, appare difficile poter ottenere lo stesso risultato intervenendo sulla componente parafiscale (previdenziale ed assistenziale), in quanto ciò comporterebbe un ridimensionamento del sistema pensionistico; detti tagli si ripercuoterebbero sulle aspettative future dei lavoratori.

In futuro, sarebbe prospettabile una riforma strutturale dell’Irap relativamente alla componente del costo del lavoro e degli oneri finanziari. Appare assurdo che imprese che chiudano il proprio bilancio in perdita siano tenute a pagare comunque l’Irap in quanto la base imponibile di detta imposta prescinde dal risultato di esercizio.

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