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(di Andrea Orabona e Giulia Piva)

L’art. 31 del D.Lvo 58/1998 definisce il promotore finanziario come la persona fisica che, previa iscrizione all’Albo speciale di riferimento, esercita in modo professionale “l’offerta fuori sede”, ovvero, l’attività di promozione e collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e servizi di investimento – a titolo di dipendente, agente o mandatario, del soggetto abilitato per il quale opera -.

Il promotore è pertanto quella figura professionale che si occupa di allocare presso i soggetti terzi/investitori i prodotti finanziari emessi dall’intermediario abilitato, operando nell’esclusivo interesse di quest’ultimo, per l’effetto, tale professionista svolge dunque un’attività di consulenza finanziaria nei confronti del pubblico dei risparmiatori, orientando in modo razionale e diligente le scelte e gli investimenti dei propri clienti – con cui viene ad instaurarsi un tipico rapporto di natura fiduciaria -.

Tuttavia, può accadere che il singolo promotore finanziario nell’esercizio della propria attività perpetri alcune condotte criminose ai danni degli stessi clienti/investitori – così contravvenendo ai propri obblighi e/o doveri professionali -.

Tra i comportamenti illeciti potenzialmente realizzabili dal singolo promotore rientrano indubbiamente quelli di cui agli artt. 646 e 640, comma 1, C.p., ovvero, i reati di appropriazione indebita e/o truffa contrattuale – realizzati, nel primo caso, tramite la sottrazione di fondi di proprietà degli investitori (anche, ad esempio, attraverso la distrazione degli stessi dalla destinazione originaria cui erano assegnati) e, nel secondo caso, tramite l’induzione (con artifizi e raggiri) degli stessi ad investire erroneamente i propri assetti patrimoniali per trarre un ingiusto profitto ai danni del cliente e/o dell’intermediario -.

In tali casi, l’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 58 del 1998, stabilisce che l’intermediario finanziario è corresponsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal proprio promotore – essendo sufficiente un mero nesso di occasionalità necessaria tra l’incarico affidato e l’illecito perpetrato -.

Lo stesso art. 31 TUF precisa altresì che la responsabilità solidale dell’intermediario abilitato opera anche qualora i danni provocati dal promotore siano conseguenti alla commissione da parte del medesimo di fatti/reato – potendo così il terzo/danneggiato citare in sede penale, quale responsabile civile, l’intermediario preponente ai fini del conseguimento del risarcimento del danno derivante dall’illecito commesso -.

In tali casi, e secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l’intermediario abilitato è oggettivamente responsabile per il fatto del promotore – a prescindere da un’eventuale culpa in vigilando per violazione degli obblighi di controllo o culpa in eligendo per le scelte effettuate dal singolo promotore -.

Tale responsabilità trova la propria ratio nella circostanza secondo cui il singolo promotore, operando nell’esclusivo interesse dell’intermediario, possa procurare allo stesso vantaggi ai quali dovrebbero necessariamente ricollegarsi dei rischi – anche qualora tra i due soggetti intercorra un mero rapporto di “occasionalità necessaria” tra incombenze affidate e fatto illecito del promotore, ovvero, ogni qualvolta il comportamento di quest’ultimo “rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito” -.

Senza sottacere come la responsabilità dell’intermediario abilitato trovi la propria giustificazione nella tutela del legittimo affidamento del terzo/investitore, il quale si trova indubbiamente in una posizione di netto svantaggio rispetto agli altri soggetti coinvolti che, contrariamente, operano abitualmente e professionalmente nell’ambito dell’intermediazione finanziaria.

L’imputabilità ai sensi dell’art. 31 TUF dell’intermediario finanziario per il fatto/reato del promotore, ancorchè derivante da responsabilità penale del medesimo collaboratore, è comunque di tipo prettamente civilistico – salvo la commissione ad opera dello stesso dei reati presupposto tali da far scattare la responsabilità amministrativa dell’ente ex D.Lvo 231/2001 -.

Il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 ha infatti introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti in relazione ad alcune fattispecie criminose tassativamente indicate dal legislatore, purchè siano commesse nell’interesse e/o vantaggio dell’intermediario ad opera di soggetti apicali, ovvero, sottoposti alla direzione o vigilanza della persona giuridica stessa.

Negli ultimi anni è stato notevolmente ampliato il catalogo dei reati-presupposto rilevanti ai sensi del d.lgs. 231/2001, realizzandosi un vero processo di proliferazione normativa che ha comportato l’introduzione di numerose fattispecie delittuose ricollegabili anche all’attività bancaria e finanziaria, ovvero, alla figura del promotore.

In proposito, tra i reati-presupposto che attribuiscono all’intermediario abilitato una responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lvo 231/2001 si ricordano, ex plurimis, i reati in materia societaria e di abuso del mercato, nonché le fattispecie delittuose di ricettazione e riciclaggio.

Al riguardo, non può certamente dubitarsi dell’inclusione della figura del promotore finanziario tra i collaboratori dell’ente, ovvero, tra i soggetti sottoposti alla vigilanza e/o direzione dell’intermediario preponente – anche laddove intercorra tra i medesimi un rapporto d’agenzia, essendo sufficiente la mera sottoposizione alla dirigenza e controllo di soggetti apicali dell’ente stesso -.

Tuttavia il legislatore delegato, nonostante il realizzarsi del succitato processo di proliferazione delle fattispecie criminose ex D.Lvo 231/2001, ha escluso dal novero dei reati-presupposto le fattispecie di cui agli artt. 646 e 640, comma 1, C.p. – ovvero – i reati di appropriazione indebita e truffa semplice.

Nello specifico, è dunque presumibile che il singolo promotore nell’esercizio della propria attività di offerta fuori sede si appropri indebitamente di fondi allocati dagli investitori – così integrando il reato di appropriazione indebita – o, anche, tramite artifizi e raggiri, induca i medesimi ad incrementare erroneamente gli investimenti per trarre un ingiusto profitto per sé o per l’intermediario finanziario.

Ed è altrettanto pacifico che in tali casi il promotore agirebbe in ipotesi, quantomeno in via concorrente, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, così soddisfacendo i requisiti richiesti ai fini dell’imputabilità all’intermediario finanziario della responsabilità amministrativa dell’ente ex art. 5 D.Lvo 231/2001.

Non si comprendono pertanto le ragioni per cui il legislatore abbia escluso le fattispecie di appropriazione indebita e truffa semplice (condotte potenzialmente connesse all’attività dell’intermediazione finanziaria) dall’elenco dei reati rilevanti ai sensi della normativa 231/2001, così sottraendo l’intermediario finanziario dalla responsabilità amministrativa per l’illecito del promotore.

De iure condendo, la previsione di una responsabilità di cui al d.lgs. 231 del 2001 in capo all’intermediario abilitato – anche per le ipotesi di appropriazione indebita e truffa semplice – potrebbe invece determinare un maggior rigore nella selezione dei collaboratori, ovvero, dei promotori finanziari da parte degli istituti finanziari e, vieppiù, una maggior attenzione nell’organizzazione della persona giuridica, in vista della prevenzione dal rischio della commissione dei medesimi reati ad opera del “soggetto qualificato”.

(di Federico Tosone)

La fattispecie incriminatrice disciplinata dall’art. 184 T.U.F. (D. Lvo 24.2.1998 n. 58 “Testo unico dell’intermediazione finanziaria”), rubricata sotto il nome di abuso di informazioni privilegiate e meglio nota come “insider trading”,è stata oggetto della riforma relativamente recente introdotta con L. 18.02.2005 n. 62 che, recependo la Direttiva Comunitaria 2003/6/CE, ha radicalmente riformato la disciplina sanzionatoria apprestata dal legislatore in tema di abusi di mercato, così realizzando un impianto volto alla repressione delle condotte lesive del trasparente e corretto funzionamento degli scambi o traffici finanziari.

La disciplina degli abusi di mercato è stata inoltre oggetto dell’inasprimento sanzionatorio prodotto con l’entrata in vigore della L. 28.12.2005 n. 262 (disposizioni a tutela del risparmio) – che ha praticamente raddoppiato le sanzioni penali sottese alla disposizione di cui all’art. 184 del succitato Testo Unico -.

Tale fattispecie incriminatrice prevede la sanzione della reclusione da uno a sei anni e della multa da Euro 20.000,00 ad Euro 3.000.000,00 – per chiunque – essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi d’amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, ovvero, nell’esercizio di un’attività lavorativa, professionale o di una funzione, acquista, vende o compie altre operazioni, su strumenti finanziari – utilizzando dette notizie – ovvero comunica le medesime a terzi, ovvero raccomanda o induce altri al compimento delle medesime operazioni sulla scorta delle segnalazioni rilevanti.

Da un’attenta lettura della norma in commento emerge che la nozione di informazione privilegiata assume un ruolo chiave nel corretto inquadramento della fattispecie incriminatrice dell’insider trading.

L’art. 181 T.U.F. offre una definizione ad hoc del suddetto elemento normativo – prevedendo che si consideri privilegiata la sola informazione che abbia i caratteri della precisione (ossia riferita ad un quadro di circostanze esistenti o che possa ragionevolmente venire ad esistere nel breve futuro sulla base di in giudizio previsionale informato al criterio della ragionevole prevedibilità), della specificità (ossia che sia adeguatamente circostanziata e che si distingua dal semplice “rumor giornalistico”), della non pubblicità e dell’idoneità – se resa pubblica – ad incidere in misura notevole sul prezzo di un determinato strumento finanziario.

L’imprescindibile natura price sensitive dell’informazione privilegiata consente di estendere la categoria delle notizie rilevanti – non solo – a quelle di carattere squisitamente societario (c.d. corporate information) – ma bensì – alle segnalazioni afferenti il mercato finanziario in genere e tali da poter comunque incidere sul prezzo dello strumento di interesse (c.d. market information).

Sul punto – invero -, la giurisprudenza di merito è orientata a ritenere configurata la fattispecie penale in esame ogni qual volta le condotte in essa descritte abbiano ad oggetto anche informazioni privilegiate relative ad un emittente diverso da quello rispetto al quale i soggetti attivi – di cui si discuterà in seguito – ricoprono un posizione di collegamento istituzionale o funzionale in ragione della propria attività lavorativa e/o professionale.

Sul versante delle condotte tipiche previste dalla fattispecie criminosa, esse sono sussumibili in tre distinte categorie, precipuamente indicate nella norma: i) la vendita, l’acquisto ed ogni altra operazione, realizzata direttamente o indirettamente, per conto proprio o di terzi, su strumenti finanziari; ii) la comunicazione dell’informazione privilegiata ad altri soggetti al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio (c.d. tipping); iii) la raccomandazione o l’induzione al compimento ad opera di terzi di taluna delle operazioni di cui sopra (c.d. tuyautage).

È tuttavia la corretta identificazione dei soggetti attivi del reato di insider trading a destare le maggiori perplessità – soprattutto in riferimento a tutte quelle persone fisiche che possono aver avuto accesso all’informazione privilegiata in maniera indiretta, ovvero, de auditu -.

Prescindendo da coloro che assumono l’informazione privilegiata in ragione della qualità di membri di organi d’amministrazione dell’emittente (c.d. corporate insider) o che l’acquisiscono in esecuzione di attività delittuose (c.d. criminal insider) – maggiori dubbi interpretativi sono sorti attorno a quelle figure che apprendono la notizia rilevante a causa dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione, di un ufficio e/o di una funzione (c.d. temporary insider). –

Benché nella giurisprudenza penale di legittimità la riconducibilità a quest’ultima categoria dei ragionieri/commercialisti, avvocati e consulenti finanziari non sembra in discussione, non è altrettanto agevole attribuire un connotato concreto alla locuzione “nell’esercizio[…]di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio”.

Infatti, si è affermato espressamente che soggetto attivo del reato di abuso di informazioni privilegiate possa essere non solo chi abbia un ruolo all’interno della società emittente dei titoli – cui le informazioni si riferiscono – ma che debba considerarsi “ufficio privato” anche la carica di amministratore di una società controparte contrattuale dell’emittente stesso nell’ambito di un’operazione economica non ancora nota al pubblico, la cui conoscenza deve ritenersi riservata e price sensitive (Cass. Pen, Sez. V, 31.7.2006, n. 26943, in questo caso la Cassazione ha confermato la decisione dei Giudici di merito che avevano condannato ai sensi dell’art. 184 T.U.F., il soggetto che – nella sua qualità di amministratore delle società acquirenti nell’ambito dell’operazione di trasferimento di ramo d’azienda da parte di un noto gruppo industriale – aveva utilizzato l’informazione privilegiata circa l’imminente trasferimento del ramo di azienda per agevolare attività speculative di parenti ed amici sui titoli del gruppo alienante il ramo).

Di talchè, ai fini dell’applicabilità della norma in esame rileva anche la distinzione tra insider primari, ovvero, i soggetti contemplati dall’art. 184, comma primo, T.U.F., ed insider secondari, ovvero, coloro i quali apprendono la notizia in modo interposto e/o mediato, rileva tacitamente ai fini della configurabilità della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 184 T.U.F., in quanto solo per gli insider primari il legislatore ne ha previsto l’applicazione – sanzionando diversamente le condotte abusive degli insider secondari con il solo illecito amministrativo previsto dell’art. 187-bis Testo Unico dell’intermediazione finanziaria -.

Senza sottacere in proposito che – addirittura – per l’identificazione dei soggetti riconducibili all’una e/o all’altra categoria non si è ritenuto decisivo neanche operare un rinvio alla diposizione dell’art. 115bis T.U.F. – che prevede in capo agli emittenti quotati, ed ai soggetti in rapporto di controllo con essi, l’obbligo di istituzione di un registro delle persone/fisiche che in ragione dell’attività lavorativa, della professione o delle funzioni in concreto assunte, hanno l’occasione di accedere alle informazioni privilegiate dettagliatamente disciplinate dall’art. 114 del medesimo Testo Unico.

Emerge dunque l’estrema difficoltà del legislatore nazionale nell’addivenire ad una regolamentazione – maggiormente comprensibile e determinata – nella repressione dei complessi fenomeni di market abuse nell’ambito dei mercati finanziari.

La già fisiologica precarietà di quest’ultimi avrà influito sulla descrizione normativa della fattispecie incriminatrice di abuso di informazioni privilegiate ex art. 184 T.U.F., avendo il legislatore optato per un tecnica legislativa lontana dalla tradizione giuridica codicistica continentale – ossia volta alla produzione di norme generali ed astratte – ma che mira a descrivere in modo analitico e specifico tutte le possibili condotte tipiche, conferendo così maggiore certezza al contenuto precettivo della norma ma pregiudicandone al contempo la propria capacità di adattarsi – per mezzo del sindacato giudiziale – alla mutevole realtà dei mercati finanziari.

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