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(di Gianluca Bogialli)

Dopo la recente pubblicazione da parte della Banca Centrale Europea dei risultati sugli stress test condotti sui 130 istituti bancari dell’Euro zona, si inizia a percepire una ventata di ottimismo sulla solidità del sistema bancario. Questo sentore potrebbe però essere poco adeguato se si vanno ad analizzare i risultati nel dettaglio: con tutte le premesse del caso, gli istituiti bancari che escono positivamente da questo test farebbero bene a non dormire sugli allori, in quanto questo non è altro che uno degli N controlli che da qui in poi verranno effettuati sul sistema bancario del vecchio continente. Idealmente, infatti, i suddetti controlli all’avvicinarsi dell’ipotetico “worst scenario(1) ” economico ipotizzato da ECB, cresceranno in rigidità ed in frequenza;

La meccanica di svolgimento del test segue un processo volto a cogliere le vulnerabilità del sistema, colpendo l’economia con uno shock di 260 punti base il “common equity” (CET anche chiamato common equity tier 1) degli istituti bancari, ovvero la parte di capitale sociale più rilevante, la più “senior”, facendo decrescere il parametro da 11.1% a 8.5% in 3 anni. I principali driver(2) colpiti sono le perdite da rischio di credito e l’aumento dell’esposizione al rischio.

Di seguito il link al report sugli stress test, consultabile dal sito di EBA (European Banking Authority): https://www.eba.europa.eu/-/eba-publishes-2014-eu-wide-stress-test-results

Se pur con esito positivo, i risultati hanno messo in luce solamente un aspetto del rischio connesso al settore bancario, facendo un focus sul rischio sistemico nell’Area Euro, quello quindi non diversificabile, delineando comunque una Black-list di banche che ad oggi non raggiungono tutti requisiti patrimoniali dettati dagli standard internazionali.

Apparentemente questo ottimismo “forzato” e di facciata, sembra mettere in secondo piano quello che probabilmente i risultati non evidenziano adeguatamente; a tal riguardo la maggior parte dei governatori delle banche nazionali elogia il lavoro svolto dai propri controller nel monitorare i rischi nelle loro diverse tipologie, oltre che lo sviluppo implementativo dei sistemi di auditing(3) delle banche commerciali da essi promosso. Vengono quindi messi il luce dei risultati che, per gli esperti del settore erano potenzialmente noti da tempo, essendo semplicemente una estrapolazione dei rating dei singoli paesi e delle banche stesse, pesati per il rischio sistemico dell’Area Euro.

I sopracitati istituti bancari appartenenti alla black-list sono comunque una parte del sistema bancario che, cumulati, rappresentano un Gap in termini di requisiti patrimoniali pari a circa € 9,5 mld, su un totale complessivo di fabbisogno finanziario del sistema che si aggira intorno ai € 25 mld. Il deficit risulta distribuito su 25 istituti bancari, solo 13 dei quali rientrano appunto nella black-list, avendo i 12 istituti rimanenti, nel corso del 2014, già provveduto ad effettuare operazioni di rifinanziamento straordinario, volte a raggiungere una posizione finanziaria stabile entro il prossimo esercizio. Potenzialmente però questi 13 istituti i potrebbero, una volta collassati, trascinare con sé anche gli altri istituti risultati sicuri nell’analisi (o peggiorarne progressivamente la posizione finanziaria).

Di seguito è riportata la classifica dei peggiori 13 istituti bancari classificati per Gap in fabbisogno finanziario ed un grafico a torta sull’esposizione relativa del Gap, considerando la residenza delle banche a rischio analizzate:

Fig1-2Un punto di riflessione importante è quello legato al rischio di liquidità connesso al rischio di default: più il “worst scenario” utilizzato da ECB per il calcolo dello stress test si avvicina, più queste banche faranno fatica a scambiare sull’interbancario generando un ipotetico rischio di blocco della liquidità del sistema. Non essendo gli operatori dell’interbancario a conoscenza di quanto gli istituti nello specifico siano coinvolti a vicenda con le banche identificate dalla black list, si registrerà un netto calo nella propensione allo scambio di liquidità, anche a livello overnight(4), in quanto , potenzialmente, il capitale reperito potrebbe essere impiegato per chiudere delle posizioni in essere che le banche potrebbero detenere avendo come contropartita proprio questi istituti della Black-list, (probabilmente sotto forma di debito strutturato, al fine di celare l’identità della banca detentrice del debito reale), i quali, fallendo renderebbero insolvente anche il creditore inconsapevole.
Oltre a questa problematica c’è il classico esempio del “bank run(5)”, ovvero la corsa agli sportelli: queste banche infatti registreranno un evidente aumento del loro rischio reputazionale e saranno costrette a rivedere i propri modelli comportamentali per i depositi a vista, per tenere in considerazione il maggior rischio di perdita di capitale circolante (lato raccolta nel breve termine), dettato dal peggioramento in termini di tale rischio.
Un’altra evidenza che questi risultati mettono in luce, non è altro che lo scontato esito degli stessi, già incorporato per la maggior parte nei prezzi dei titoli prima dell’uscita dei risultati; era infatti lampante che i 13 istituti risultati non in linea con i requisiti minimi imposti, già da tempo non avevano una situazione di bilancio tale per cui si potesse pensare ad un esito differente, motivo per il quale, una buona parte di questi ultimi, nel corso del 2014 ha intrapreso manovre per migliorare la propria posizione finanziari in termini di capitale, sia in prospettiva di futuri controlli, sia in ottica Basilea 3.

L’ESPOSIZIONE ITALIANA AL PROBLEMA

In Italia gli istituti che mostrano carenze in termini di capitale sono:
– Mps: € 2.11 mld di Gap
– Banca Carige: € 0.81 mld di Gap
– Banca popolare di Vicenza: € 0.22 mld di Gap
– BPM: € 0.17 mld di Gap
Per le ultime due aziende i deficit sono già stati coperti da operazioni straordinarie diverse dall’aumento di capitale (rientrando quindi nelle 12 banche salvate dalla black-list), mentre le prime due dovranno strutturare dei contingent plan(6), per ovviare ai deficit osservati, rientrando di fatto nel gruppo degli istituti a rischio.
Da un’analisi approfondita condotta su Mps, si evince che l’istituto si trova in una posizione poco favorevole, detenendo una esposizione di deficit che è la più grande tra le 13 banche che non hanno superato il test, oltre che avendo già effettuato una ricapitalizzazione nell’estate 2014 per € 5 mld, le alternative più realistiche sono uno spin-off(7) di parte dell’azienda o il coinvolgimento di un altro partner bancario, ragionevolmente estero, che copra il fabbisogno di capitale.
Secondo l’A.D. di Mps gli esiti del test non avranno alcun impatto sulla gestione ordinaria della banca, in quanto la solidità della stessa è stata a suo tempo confermata dall’asset quality review di inizio esercizio, che fotografa la qualità dell’attivo di bilancio dell’istituto, ricordando quanto è già stato fatto da due anni e mezzo a questa parte per riportare in auge la banca.
Quello che probabilmente non viene adeguatamente considerato è che il mercato è inflessibile, non considera infatti quanto di buono è stato fatto; qualora sorgesse il sentore che Mps potesse risultare insolvente, pochissime controparti vorrebbero intraprendere rapporti d’affari con la stessa e i clienti provvederebbero subito a ritirare il proprio capitale sia sotto forma di deposito, sia di Bond.
A peggiorare la situazione ci sono le voci che parlano del prelievo forzoso sui conti correnti in casi estremi di rischi di collasso bancario, per gli istituti SIFI, ovvero le banche che trainano l’economia dell’euro zona, un’ipotesi che non solo violerebbe la tutela del fondo interbancario sui depositi a garanzia fino a 100 mila euro, ma anche evidenti regole di etica e del rapporto cliente-banca; qualora questo scenario dovesse concretizzarsi non farebbe altro che accentuare il rischio di bank run e mettere in difficoltà gli istituti bancari di tutta Europa, non soltanto i 13 della black list.

UNA RIFLESSIONE TECNICA SULL’ESPERIMENTO CONDOTTO

Per quanto riguarda la tecnicità del test condotto, risulta utile fare una semplice considerazione sulle correlazioni tra i gruppi bancari, poco valorizzate nei risultati, per poter comprendere fino in fondo la validità degli output forniti. Si è infatti ipotizzato uno scenario particolarmente avverso all’economia, con un teorico peggioramento costante per tutti i suoi driver; quello che però non è stato messo in rilevo adeguatamente sono i possibili impatti derivanti dalle correlazioni tra i singoli istituti, diretta conseguenza dei rapporti di business tra le banche stesse. Questi dati, evidentemente strategici, non sono reperibili e calcolabili ex-ante come fatto con il sopracitato stress test.
Quello che quindi è possibile desumere dai risultati degli stress test è che 117 banche sulle 130 analizzate, sarebbero in grado di affrontare uno scenario di crisi, il quale, seppur poco probabile, è comunque possibile, evidenziando di fatto una generale solidità del sistema bancario, al netto di tutte le assunzioni e delle variabili endogene disponibili oggi.
Il vero problema è che le crisi tipicamente sopraggiungono in modo inaspettato e ci colpiscono dove siamo più sicuri di essere solidi, spesso smontando i modelli proprio nelle assunzioni o identificando variabili non considerate precedentemente, rendendo inaffidabili stress test come quello condotto.
Starà ora alle banche effettuare un’adeguata due diligence(8) sui propri asset , cercando di strutturare dei piani di emergenza efficaci per affrontare scenari di questo tipo. Scenari improbabili ma non impossibili.

Note

1) worst scenario: è lo scenario particolarmente avverso all’economia utilizzato da ECB per calcolare la situazione di crisi nella quale la ipotetica banca potrebbe trovarsi.

2)driver: fattori macroeconomici che muovono (trainano l’economia), oppure i fattori chiave (economici), colpiti da uno shock economico, determinanti per la determinazione dello scenario economico nel periodo successivo.

3) Sistemi di auditing: sistemi di controllo interni agli istituti bancari, volti a verificare la correttezza delle metriche e le tecniche utilizzate per il calcolo dei fattori di rischio e le esposizioni.

4)Tassi overnight: è i tasso che remunera le operazioni svolte con cadenza giornaliera, spesso tasso di riferimento per operazioni sul mercato interbancario.

5)Bank Run: fenomeno della corsa agli sportelli: quando i correntisti o in generale i clienti di una banca, vengono a conoscenza del probabile default della stessa, tendono a voler ritirare la propria ricchezza presso l’istituto, fino ad esaurimento del denaro: potenzialmente gli ultimi clienti che si presenteranno presso la banca, potrebbero non trovare abbastanza ricchezza per poter riavere il proprio denaro, generano panico e quindi una vera e propria corsa.

6) Continget plan: letteralmente piani di emergenza; le banche devono strutturali per poter dimostrare che in caso di economia particolarmente avversa, sarebbe in grado di non fallire.

7) Spin off: cessione di parte degli asset (sportelli) ad un altro istituto bancari.

8) Due diligence: controllo capillare su tutti i conti dell’azienda volto a cercare eventuali problematiche ed imprecisione.

(di Alessio Rombolotti)

Le basket-options sono contratti, eseguiti fra banca e cliente, utilizzati per i vantaggi fiscali[1] e finanziari offerti. Il loro funzionamento prevede che la banca venda al cliente un prodotto denominato “opzione” il cui rendimento è rappresentato dai profitti generati da un paniere (basket) di titoli finanziari tenuti in un apposito conto. Il paniere però non è fisso, continua a cambiare di composizione in funzione delle operazioni di vendita e acquisto effettuate direttamente dal cliente, anche se il conto e i titoli sono tenuti in nome della banca. Il cliente è tenuto a rispettare alcuni vincoli imposti dalla banca sulle operazioni di trading e solitamente partecipa col 10% del capitale necessario per comprare i titoli mentre la banca finanzia il 90%.

La struttura del contratto è ideata per far apparire che sia la banca a detenere la proprietà dei titoli, anche se le operazioni e le decisioni di acquisto e vendita, entro i vincoli definiti, sono prese in completa autonomia dal cliente, che per tali operazioni utilizza il sistema informatico di trading della banca. I clienti sono hedge-funds che beneficiano di tutti i profitti generati dalle operazioni, ma che da una parte redigono un accordo di consulenza con la banca per la gestione del paniere e dall’altra aprono una specifica società che appare come detentrice dell’opzione, in questo modo ll fondo cerca di sostenere, senza molto successo, che trader e detentore dell’opzione siano indipendenti.

Queste basket-options vengono esercitate oltre 365 giorni dalla loro creazione e questa tempistica permette la tassazione relativa ai capital-gains di lungo termine, ben minore di quella sulle plusvalenze finanziarie prodotte nel breve termine[2]. Quindi il detentore dell’opzione ha pagato il premio che gli da il diritto di acquisire tutti i profitti generati dalle operazioni di trading, che però sono profitti prodotti da acquisti e vendite molto frequenti, mediamente 100,000 (centomila) operazioni al giorno, chiaramente generati nel breve termine. Quando il detentore esercita l’opzione la banca gli trasferisce i profitti in un’unica transazione, che essendo avvenuta oltre l’anno appare caratterizzabile come transazione di lungo termine.

Ovviamente ci sono anche i rischi derivanti dalle eventuali perdite. Formalmente sono assunti dalla banca, che però, veicolando sul proprio sistema informatico gli ordini di compra-vendita, è in grado di bloccare le operazioni qualora le perdite raggiungessero il valore del prezzo dell’opzione pagato dal cliente. In questo modo la banca incassa tutte le commissioni sulle numerose transazioni senza essere esposta ad un rischio significativo.

Ma un favorevole trattamento fiscale non è il solo scopo delle basket-options, anche la possibilità di superare i limiti d’indebitamento imposti dagli enti regolatori è un beneficio di questi prodotti. Dopo la crisi del ’29 il Congresso americano impose un tetto ai broker-dealers[3], che impedisce di prestare ai propri clienti non più di un dollaro per ogni dollaro depositato sul conto dallo stesso cliente, quindi un leverage-ratio di 1:2. Con le basket-options il conto è intestato alla banca e il capitale per acquistare il 90% dei titoli appare utilizzato per proprio conto e non è quindi contabilizzato come debito dal cliente. In realtà la banca sta finanziando il cliente, determinando un effettivo leverage-ratio di 1:10. C’è da dire che solitamente i profitti medi di un’operazione sono bassi e gli hedge-funds hanno bisogno di aumentare il leverage-ratio per mantenere una redditività soddisfaciente.

l’Internal Revenue Service[4] ha chiarito in una nota che le basket-options non “funzionano” come opzioni e non vanno trattate fiscalmente come tali, il GLAM (generic legal advice memorandum) ha indotto le banche americane ad interrompere la vendita di basket-options per fini fiscali, fondamentalmente obbligando l’esercizio dell’opzione prima della scadenza dell’anno, ma continuano ad essere utilizzate per mantenere un leverage-ratio superiore al tetto imposto dai regolamenti.

[1] Nelle giurisdizioni fiscali in cui esiste un significativo differenziale fra tassazione sui capital-gains a breve termine e tassazione su quelli a lungo termine.

[2] Negli Stati Uniti l’aliquota di lungo termine è 15/20% mentre le plusvalenze di breve termine sono soggette all’aliquota corrente del contribuente, indicativamente 35/40%.

[3] Un broker-dealer è una società autorizzata a comprare e vendere titoli finanziari per conto proprio (dealer) e per conto di clienti terzi (broker).

[4] L’Internal Revenue Service (IRS) è l’Autorità Fiscale degli Stati Uniti.

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Codice del Consumo                                                                                                           Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206

Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa
Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n.445

Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni
Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 346

Approvazione del testo delle imposte sui redditi
Decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917

Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale
Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 347

Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro
Decreto Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131

Disciplina dell’imposta di bollo
Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642

Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia                                                       Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385

Testo unico in materia di intermediazione finanziaria                                                          Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58

 

 

 

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