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tax control framework

Libro: Compliance Fiscale

Come prevenire i rischi in ambito tributario ai fini della compliance

(di Claudio Melillo)

Ho appena terminato l’ultima mia fatica editoriale (con prefazione del Prof. Avv. Raffaello Lupi) dal titolo:

Compliance Fiscale – Strumenti e soluzioni per la prevenzione dei rischi fiscali.

Il mio libro ha un approccio molto pragmatico e contiene numerosi esempi, check list, schemi, modelli e casi reali tratti dalla mia esperienza professionale (15 anni come funzionario della Guardia di Finanza e 10 come Fiscalista). L’ultimo capitolo descrive un case history tratto da un progetto da me implementato presso un’impresa mia Cliente che spiega come si può realizzare un sistema di gestione e controllo del rischio fiscale sia ai fini dell’adesione alla cooperative compliance (per le imprese più grandi) sia ai fini della gestione virtuosa dei rapporti con il Fisco (per le PMI).

Si tratta di un’opera che testimonia la crescente importanza della cooperazione tra Fisco e Contribuenti e la conseguente necessaria attenzione alla riduzione dei rischi di natura fiscale e penal-tributaria derivanti dalle questioni interpretative. Non a caso, la sua pubblicazione si sovrappone alle recenti direttive sull’analisi dei rischi fiscali e sulla compliance per il triennio 2019-2021 emanate dall’Agenzia delle Entrate guidata dal Gen. Dott. Antonino Maggiore di cui alla circolare nr. 19/E dell’8 agosto 2019.

L’approccio del libro è multidisciplinare poiché l’impresa (principale oggetto della mia indagine) può essere investigata, sotto il profilo fiscale, solo se si comprendono correttamente tutti gli altri profili che la caratterizzano (es., organizzativo, legale, societario, contabile, finanziario, ecc.)

All’interno del libro ci sono anche alcuni preziosi contributi di due brillanti Ufficiali della Guardia di Finanza di Milano, di un manager di una prestigiosa Azienda e di un Avvocato del mio Studio.

Il libro è destinato a: commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, responsabili amministrativi e fiscali d’azienda, tax auditor, operatori dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, tax risk manager, tax compliance officer, ecc.

Per chi volesse acquistare l’opera edita da IPSOA Wolters Kluwer: ACQUISTA IL LIBRO (IN PROMOZIONE)

Per informazioni: compliancefiscale@economiaediritto.

La prevenzione del rischio fiscale finalizzata alla tax compliance sarà oggetto di confronto il 27 marzo 2019 pomeriggio nell’ambito dell’interessante convegno organizzato da AGAM in Via Freguglia a Milano.

Come sempre le tematiche interdisciplinari sono quelle che richiamano maggiormente l’attenzione dei professionisti dell’area economico-giuridica.

Il vecchio modello basato sull’improvvisazione e sull’intervento emergenziale non convince più, in virtù degli scarsi risultati finora registrati. Avere ben chiare le funzioni aziendali preposte alle attività fiscali è sempre più importante perché consente di costruire un tax control framework efficace e idoneo a tutelare il progetto di business dalle manipolazioni che incombono sul fronte fiscale.

(di Pietro Pavone)

Il contribuente ha ampio spazio di manovra per architettare potenziali condotte criminali in campo tributario, dal momento che determina autonomamente le imposte dovute e il controllo degli Uffici Finanziari è soltanto successivo ed eventuale.

L’ampia autonomia di cui gode il tax payer nel nostro ordinamento è, al tempo stesso, la sua croce e la sua delizia: un’impresa abituata ad operare in una prospettiva “aperta”, che tenga cioè conto dell’adattamento del business model alle mutevoli condizioni di scenario rappresenta un contribuente con un più elevato indice di pericolosità fiscale rispetto ad una realtà societaria, di contro, poco propensa al cambiamento.

L’analisi della rischiosità del cambiamento non può prescindere da considerazioni di ordine fiscale. Se la flessibilità strutturale, in ottica aziendale, viene per lo più analizzata in chiave di fattore che consentirebbe di limitare le conseguenze di fenomeni sfavorevoli e/o che permetterebbe di cogliere nuove opportunità, dalla prospettiva del Fisco una spregiudicata flessibilità di gestione (managerial flexibility) potrebbe essere letta come indice di una maggiore rischiosità fiscale.

Quanto sinora esposto assume ancor più rilevanza se si pensa alla presenza, nel nostro settore fiscale, di uno speciale Organo di Polizia economico-finanziaria – la Guardia di Finanza –, che concretizza di fatto la sua azione mediante interventi ispettivi che vanno ben oltre il significato di semplici controlli amministrativi, assumendo, in concreto, le caratteristiche di una investigazione economico finanziaria, ancorché incentrata sugli aspetti tributari, da fare in ogni caso precedere, quale regola generale e fondante, “da una preventiva attività d’intelligence, comprensiva di ricerche informative, investigazioni, analisi ed elaborazioni, ovviamente calibrate, quanto ad estensione e livello di approfondimento, alle circostanze concrete di ogni caso specifico[1].

Tutt’altro che rari sono i casi, infatti, di basi imponibili abbattute per effetto di assetti organizzativi poco probabili, assunti dalle imprese più o meno consapevolmente.

L’operare con una struttura fiscale a rischio non è sempre conseguenza automatica di una volontà criminosa della società; più corretto sarebbe parlare, molte volte, di una forma di “colpa in organizzazione” che espone il contribuente a possibili rilievi da parte degli Uffici.

Per questo, la costante valutazione della pericolosità fiscale dei soggetti economici da parte degli organi accertatori è bene che sia bilanciata, con altrettanta continuità, da uno sforzo di trasparenza fiscale da parte dei contribuenti che possa dare contezza, soprattutto in termini probatori, delle reali ragioni economiche alla base di talune operazioni societarie.

La principale difesa del contribuente, il primo a muovere il passo nella partita con il Fisco, resta dunque la prevenzione.

È indubbio che l’accurata adozione ed effettiva implementazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, come da D.lgs, 231/2001, resta la migliore arma a disposizione del contribuente.

Il citato decreto, che ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità in sede penale degli enti in aggiunta a quella delle persone fisiche responsabili delle condotte illecite, fa riferimento ad una tipica logica di risk management per la costruzione del modello.

Sia per i reati commessi da soggetti in posizione apicale, che da sottoposti all’altrui direzione, il modello organizzativo assume un ruolo di estremo rilievo, in quanto dalla sua efficace adozione dipende la possibilità di positiva difesa, della società, in sede di procedimento penale, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste.

Da sottolinearsi che, in ogni caso, l’esonero dalle responsabilità dell’ente passa attraverso il giudizio d’idoneità del sistema interno di organizzazione e di controlli, che il giudice penale è chiamato a formulare nell’ambito del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito. Il sistema deve essere idoneo ad impedire reati della specie di quello verificatosi (compresi quelli fiscali), conseguendone una sorta di inversione dell’onere della prova dal momento che l’ente andrà esente da responsabilità qualora dimostri che il modello non poteva essere aggirato se non fraudolentemente.

Un apposito Organismo di Vigilanza ne cura l’effettivo funzionamento, l’adeguatezza e il costante aggiornamento: se cambia il business o, più banalmente, mutano i reati presupposto, in mancanza di un pronto aggiornamento, si creerebbero delle falle nel modello, a tutto vantaggio del Fisco in caso di reati tributari.

L’adozione di adeguati presidi organizzativi sta diventando, insomma, un requisito indispensabile per la prudente gestione della variabile fiscale. In questa direzione va letta la possibilità di implementazione di un Tax Control Framework ispirato al già auspicabile, in quanto non obbligatorio, modello 231.

Note

[1] Circolare n. 1/2008 – Istruzione sull’attività di verifica – della Guardia di Finanza.

(di Claudio Melillo)

Negli ultimi anni lo scenario riguardante l’azione di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale posta in essere in ambito internazionale dalle Autorità fiscali dei vari Paesi si è evoluto sensibilmente. Grazie all’impulso degli organismi internazionali e, in particolare, dell’OCSE, è emersa una sana e lucida consapevolezza – a lungo sottovalutata dai singoli Stati – del dilagare di una pericolosa distorsione comportamentale che, se in passato, poteva riguardare teoricamente solo alcune organizzazioni multinazionali di rilevante dimensione oggi può essere ricondotta anche a quei contribuenti piccoli e medi che si rivolgono ai mercati esteri mediante operazioni di delocalizzazione complesse e forme di pianificazione fiscale particolarmente aggressive. È il caso di quei soggetti – siano essi persone fisiche che imprese – che, pur essendo inseriti nel tessuto economico e produttivo nazionale, elaborano fantasiose strategie di riorganizzazione su base transfrontaliera o transnazionale, apparentemente giustificate da ragioni economiche, ma in realtà finalizzate a sfruttare vantaggi fiscali talvolta assai significativi, a danno dell’Erario nazionale oltre che dei loro competitors. Si tratta di un fenomeno che prende le mosse evidentemente dal generale e irrefrenabile desiderio di ottenere un risparmio fiscale con metodi più o meno leciti ma che assai frequentemente sfocia in comportamenti patologici di tipo “criminale” e, dunque, punibili sotto il profilo penale, come testimoniano i dati raccolti ogni anno dalla Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. Tali comportamenti sono ormai oggetto di attenzione e analisi da parte di tutti gli organi istituzionali preposti alla tutela delle entrate erariali; inoltre, la loro dimensione è tale da giustificarne l’inclusione tra i fenomeni criminali veri e propri. È il caso di molti Stati, tra cui l’Italia, ove esiste una specifica disciplina (D.Lgs. n. 74/2000) che prevede sanzioni di natura penale a fronte di talune condotte ben definite. Considerata la particolare rilevanza del danno prodotto da siffatti comportamenti in termini di base erosion and profit shifting (per usare un’espressione utilizzata dall’OCSE) e sussistendo la reale necessità di arginare gli effetti devastanti dell’evasione e dell’elusione fiscale internazionale è opportuno avviare progetti di ricerca e studio – magari in seno alle università – in materia di “criminologia e criminalistica tributaria nazionale e internazionale”. È giunto cioè il momento di trattare con un approccio scientifico i fenomeni di devianza sociale che portano l’individuo a compiere attività che configurano, a determinate condizioni, illeciti tributari di natura penale. In tal senso si può definire la “criminologia e criminalistica tributaria”, come quel settore delle scienze criminologiche rivolte tipicamente allo studio delle principali tematiche di diritto e procedura penale che interagiscono con il diritto tributario e con la tecnica della verifica fiscale. L’obiettivo è quello di descrivere e ed analizzare scientificamente gli aspetti criminologici legati ai fenomeni dell’evasione fiscale (nazionale e internazionale), ponendo particolare attenzione agli effettivi contributi, in termini di prevenzione, che tale disciplina può fornire oggi all’interno del nostro sistema giudiziario e penal-tributario. Per ottenere un approccio efficace al problema occorre evidentemente essere esperti del settore e possedere una formazione interdisciplinare che spazia dalle nozioni economico-giuridiche di base alle competenze specialistiche di criminologia, criminalistica, diritto penale, procedura penale, psicologia, sociologia economica e così via. Questo consente agli operatori di agire al meglio e con cognizione di causa nel complesso contesto degli illeciti tributari aventi rilevanza penale, nell’ambito del quale, a determinate condizioni, i principi propri della “criminologia” trovano concreta applicazione.

L’Italia è dotata di potenzialità enormi sotto questo profilo in quanto le professionalità e le competenze sopra descritte già esistono. La Guardia di Finanza ne è un esempio concreto in quanto, oltre ad essere un Corpo militare, è anche un importante organo di polizia tributaria e giudiziaria, preposto ad operare nel settore tributario a tutto campo, anche quando le condotte dei contribuenti sfociano in comportamenti patologici aventi rilievo penale.

Nell’ambito del contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, l’Amministrazione finanziaria italiana, come è noto, definisce ogni anno gli obiettivi principali della sua azione, fissando le linee guida da seguire nell’attività di verifica fiscale. Negli ultimi anni, l’attenzione del Fisco italiano si è spostata in maniera evidente sulle operazioni a carattere transfrontaliero e transnazionale, in quanto ritenute a maggior rischio dal punto di vista fiscale. Questo differente orientamento rispetto al passato è stato indotto dal dibattito avviato dagli organismi internazionali e comunitari che si occupano, tra l’altro, di questioni tributarie.

Così, ad esempio, in occasione dell’incontro del G20, svoltosi a Mosca il 19 e il 20 luglio 2013, l’OCSE ha presentato il cosiddetto Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), un ambizioso e lungimirante progetto di contrasto dell’evasione fiscale internazionale, condiviso da numerosi Paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Francia e Italia che si è reso necessario per la crescente consapevolezza, da parte dei singoli Stati, che l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti, trovano la loro ragion d’essere nelle asimmetrie esistenti tra i vari sistemi tributari, generando quei fenomeni di “doppia non imposizione” che consentono a taluni soggetti di ottenere indebiti vantaggi fiscali, talvolta, attraverso condotte punibili con sanzioni di natura penale.

In questo contesto, assume particolare importanza la cooperazione internazionale tra diverse Autorità fiscali per lo scambio di informazioni o per lo svolgimento di verifiche simultanee. A titolo esemplificativo (e non esaustivo) è importante segnalare il recente accordo denominato Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA), adottato dall’Italia e da altri Paesi per favorire, in base al principio di reciprocità, lo scambio automatico di informazioni bilaterale finalizzato a favorire la tax compliance a livello internazionale e l’applicazione di una legislazione condivisa.

In Italia, sotto il profilo operativo assume notevole rilevanza anche e soprattutto l’attività investigativa e repressiva della Guardia di Finanza. In particolare, il “Nucleo Speciale Entrate” del Corpo ha messo a punto un’azione di contrasto all’evasione fiscale internazionale denominata “Planet“, che mira a colpire diverse forme di evasione perpetrate attraverso articolate e, talvolta, complesse e artificiose strutture societarie.

Il progetto “Planet”, attualmente in corso, si pone l’obiettivo di sviluppare una efficace lotta a fenomeni quali:

  • la sottrazione di redditi imponibili al regime fiscale nazionale, attraverso la cosiddetta esterovestizione societaria e le residenze fiscali fittizie delle persone fisiche;
  • le stabili organizzazioni “occulte”, materiale e personale;
  • il ricorso ai paradisi fiscali per erodere materia imponibile che, altrimenti, sarebbe tassata in Italia;
  • l’uso e l’abuso delle agevolazioni previste dalle direttive comunitarie “madre figlia” e “interessi e canoni” e dalle convenzioni contro le doppie imposizioni (i.e., treaty shopping);
  • la delocalizzazione dei redditi in Paesi a ridotta fiscalità, attraverso società controllate e/o collegate (i.e., Controlled Foreign Companies);
  • l’utilizzo distorto dei trust;
  • il trasferimento di utili tra società ubicate in Paesi diversi e appartenenti al medesimo gruppo, attraverso politiche aggressive di transfer pricing.

Il progetto “Planet” è di particolare attualità non solo perchè riguarda tematiche prioritarie nelle politiche fissate dal Ministro dell’Economia e delle finanze nell’atto di indirizzo del 2013 ma soprattutto perché, in un momento caratterizzato da una grave congiuntura economica come quella attuale, non risulta agevole distinguere i soggetti che, legittimamente, attuano politiche virtuose di tax governance da quelli che invece intraprendono strategie speculative di aggressive tax planning a danno dello Stato e dei loro competitors.

I fenomeni sopra elencati sono estremamente insidiosi in quanto non emergono evidentemente ad una prima verifica della documentazione contabile. Ciò impone ai verificatori di andare oltre le apparenze, interpretando gli indizi ed effettuando numerosi riscontri. Ne consegue la necessità per le imprese più esposte al rischio di controllo – vale a dire quelle che operano con l’estero (o che intendano farlo) – di adottare idonee politiche di tax governance e di tax risk management, dotandosi strumenti di gestione e controllo del rischio fiscale (es., tax control framework) idonei a garantire la tax compliance, vale a dire il pieno rispetto delle norme fiscali.

La questione non è di poco conto se si pensa che le verifiche fiscali in materia di esterovestizione, o di transfer pricing, tanto per fare esempi concreti, conducono spesso a rettifiche significative del reddito dichiarato, tali da far assumere alla condotta sottostante una rilevanza penale. Ciò, naturalmente, non implica in senso assoluto che tutte le imprese che subiscono una rettifica significativa del reddito in ragione – per esempio – di una presunta esterovestizione abbiano effettivamente evaso le imposte, poiché, data la complessità della disciplina fiscale dei rapporti internazionali, può ben accadere che talvolta vengano adottate, sia da una parte che dall’altra, decisioni fuorvianti in ragione della notevole discrezionalità cui si prestano le valutazioni relative ai predetti temi. Risulta, tuttavia, indubbio che il profilo penalistico e criminologico insorge quando il contribuente ha la possibilità, grazie politiche di pianificazione fiscale aggressiva, di ottenere grandi vantaggi in termini di abbattimento di imposte. Appare altresì evidente come per un contribuente spregiudicato che non teme la responsabilità penale sia molto più facile ricorrere a soluzioni sofisticate che producano effetti in diverse giurisdizioni, piuttosto che agire mediante i tradizionali artifici evasivi (ben noti al Fisco) che non garantiscono vantaggi rilevanti e che possono essere agevolmente individuati dai verificatori.

Anche in questo caso, la “criminologia tributaria” potrebbe fornire risposte utili a spiegare, in termini scientifici, i meccanismi che inducono il contribuente a porre in essere taluni comportamenti contra legem aventi rilevanza penale. Ciò consentirebbe, altresì, di programmare ogni anno una più efficace azione di contrasto dell’evasione fiscale internazionale, a beneficio degli esperti della Guardia di Finanza che operano nell’ambito del progetto “Planet” e dei futuri progetti antievasione. Risulta, infatti, fondamentale per gli operatori del Fisco avere a disposizione adeguati strumenti teorici ed applicativi per operare nell’ambito criminologico e criminalistico tributario, sulla scorta di tecniche investigative aggiornate e adeguate competenze nelle metodiche riguardanti la sicurezza e la prevenzione degli illeciti tributari di natura penale, anche in ragione del fatto che, ormai, i fenomeni dell’evasione e dell’elusione fiscale non sono più limitati ai rapporti interni ad un singolo Stato ma travalicano i confini nazionali e si intersecano con una complessa articolazione di flussi di difficile individuazione.

Il progetto “Planet” è la prova di come l’Amministrazione finanziaria sia in grado di calibrare efficacemente l’azione investigativa e repressiva in base ad un’attenta analisi del livello di rischio fiscale attribuibile a ciascuna categoria di contribuenti e ai diversi comportamenti posti in essere da questi ultimi. Di conseguenza, considerate le fattispecie evasive ed elusive più diffuse, è ragionevole pensare che i rapporti con l’estero saranno sempre più oggetto di interesse in sede di verifica fiscale. In questo contesto, alla luce della profonda crisi che attanaglia le imprese italiane, è opportuno, da un lato, che i contribuenti pongano in essere politiche trasparenti di tax governance basate su adeguati modelli di tax compliance e, dall’altro, che il Fisco adotti un atteggiamento equilibrato, basato sull’analisi preventiva del rischio fiscale, in modo da operare preliminarmente una netta distinzione tra le diverse categorie di soggetti passivi d’imposta: gli onesti, gli evasori e i criminali.

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Con il presente articolo, prende il via un ambizioso progetto di ricerca del Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D. sul tema della “Criminologia Tributaria“, coordinato e diretto dal sottoscritto, che troverà spazio nell’omonima Rubrica di questa Rivista, oltre che su un sito dedicato (www.criminologiatributaria.it), e sarà oggetto di riflessione e studio sia in ambito nazionale che internazionale.

Sono ammessi a partecipare al progetto, previa selezione per titoli e colloquio:

  • Docenti, ricercatori, dottori di ricerca e laureati;
  • Dipendenti della Guardia di Finanza.

La richiesta di partecipazione può essere redatta su carta libera e trasmessa a mezzo posta elettronica, all’indirizzo:

ricerca@economiaediritto.it.

 

Claudio Melillo

Direttore Scientifico del Ce.S.E.D.

Coordinatore del progetto di ricerca sulla “Criminologia Tributaria

cmelillo@economiaediritto.it

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