Economia

Come dare e ricevere feedback, una via verso l’efficacia

di Ivana Colombo

1. Performance individuale e comportamento operativo

Nelle organizzazioni il feedback è l’insieme di informazioni che si danno ai collaboratori per aiutarli a realizzare gli obiettivi individuali, che discendono direttamente da quelli collettivi di impresa, di gruppo, in relazione ai loro modi di agire, senza fare commenti o critiche indirizzate alla loro personalità. Si discutono i fattori o gli elementi che caratterizzano il lavoro posto in essere, al fine di mettere in grado il destinatario di programmare e gestire al meglio i suoi compiti nel tempo.

2. Fornire un buon feedback (1)

Occorre tenere in considerazione che non è un rito da tenersi una volta l’anno, come succede ultimamente in alcune aziende italiane, mosse da imitazione di mode gestionali, o perché divenute parte di realtà internazionali; più che condividere lo spirito del riscontro e del monitoraggio operativo, ne subiscono l’imposizione, catalogando il processo frettolosamente e superficialmente come una stranezza del board.

Al contrario per ottenere un buon processo di feedback è significativa una rilevazione continua di ciò che è andato a buon fine, la rimozione dei processi errati, prima che diventino errori gestionali costosi e viceversa, affinando e sostenendo le procedure corrette.

È un processo che funziona a due vie, per il quale è molto importante che entrambi i canali (chi lo dà e chi lo riceve) siano disposti a comunicare, in modo aperto e costruttivo, capire le aspettative del ricevente e in ottica di reciprocità dell’emittente, senza scivolare nella polemica, rimanendo concentrati sulle fasi di discussione. Condizione base è che la sessione di feedback sia condotta in modo non minacciante, ben organizzato e ben documentato, agita costruttivamente e in sede riparata, sapendo porre l’accento sugli effetti sfavorevoli che hanno avuto le azioni inserite nel contesto, fornendo spunti riassumibili con le seguenti modalità:

● Impegnarsi con l’interlocutore ad approfondire le questioni più importanti

● Focalizzare l’attenzione sulle capacità della persona

● Fare esempi pratici su come migliorare le capacità

● Individuare insieme le azioni costruttive

● Verificare che la persona abbia capito

● Sollecitare il collaboratore a valutare da sola la propria performance

● Offrire aiuto in caso di necessità

● Ringraziare il destinatario del feedback, per l’ascolto e gli sforzi profusi e per quelli che vorrà destinare da quel momento in poi.

È fondamentale la capacità di ascolto da ambo le parti: chi lo fornisce deve assicurarsi di rapportarsi al meglio con colleghi e superiori, mentre chi lo riceve dovrebbe in particolare chiedere senza timore tutti i dettagli necessari a soddisfare il richiedente, accettare in modo costruttivo le critiche, attivare la comunicazione interpersonale per migliorare la performance individuale e di gruppo al fine di costruire collettivamente un migliore sviluppo organizzativo.

3. Identificare e fronteggiare le situazioni difficili

Il feedback agisce specificamente in due macro zone: la competenza tecnico professionale del lavoratore, la sua capacità di portare a termine (performance individuale) e in che modo (comportamento operativo) i compiti assegnatigli. Risulta a tal fine utile prendersi del tempo da dedicare a confronti periodici appositamente pensati tra manager e lavoratore, che operino insieme per dare a tutti i membri di una stessa organizzazione le informazioni necessarie a migliorare la performance e a sviluppare progressivamente il proprio potenziale e non per sottolineare gli errori commessi o impartire punizioni (2).

Si tratta al contrario di una rilevazione sistematica e conseguente analisi, quanto più accurata possibile, delle azioni pratiche utilizzate, che non hanno contribuito nel modo desiderato al conseguimento degli obiettivi individuali, che discendono direttamente da quelli collettivi aziendali, o di mission. Nell’organizzazione tutti hanno obiettivi condivisi, che si collegano alla mission, alla vision e alle strategie per il successo. Un modo efficace per farlo è stabilire un obiettivo generale e poi coinvolgere l’altra persona, chiedendole come farebbe a realizzarlo, spronandola a fornire suggerimenti, idee, consigli, considerazioni. Alcune situazioni di feedback possono rivelarsi particolarmente difficili, ma anche queste possono essere ricondotte a costituire momenti costruttivi di confronto, in particolare nella trattazione relativa a:

–          problemi personali: dover riorientare un collaboratore che si trova a fronteggiare specifici problemi personali può essere complicato, ma occorre sempre fare riferimento all’intenzione di aiuto nel migliore svolgimento del lavoro. Senza farsi carico del lavoro che il collaboratore non riesce a svolgere, può essere utile fare riferimento agli accorgimenti adottabili al fine di contribuire alla risoluzione del problema

–          persone difficili: porre sempre l’accento sui fatti specifici, non su quelli personali, anche se spesso persone di questo tipo tendono a essere fortemente reattive; occorre far sì che, con estrema pazienza da parte dell’esaminatore, l’interlocutore prenda consapevolezza delle azioni da intraprendere per migliorare la performance anziché trincerarsi dietro pretesti persecutori.

Seguendo i principi base del feedback si può avere ragione anche della persona più difficile.

4. Prendere la mira e aggiustare il tiro, la progettazione del feedback

Il tutto nell’ottica di sviluppare strategie alternative che possano ottenere l’efficacia dei comportamenti diretti al miglioramento della performance, senza perdere di vista gli obiettivi aziendali, al contrario allineandoli (rinforzo), nell’intento di migliorare via via i risultati (3).

Va tenuta presente a questo proposito che la funzione principale del feedback in relazione agli elementi esposti è di fornire aiuto e sostegno, ricordando che l’intervento di comunicazione riguarda le azioni, non gli atteggiamenti posti in essere dal lavoratore, è orientato a ricalibrare gli obiettivi individuali in prospettiva di quelli aziendali e si riferisce sempre al comportamento futuro. Non è mai producente attaccare le caratteristiche o le capacità del lavoratore. È più efficace concentrarsi sugli atti che siano da riorientare o rinforzare, fornendo al riguardo esempi specifici circa le cause che incidono sui risultati, essendo propositivi sugli atteggiamenti da adottare, fornendo spunti per aiutare il ricevente il feedback a sviluppare piani d’azione continuativi ed efficaci.

5. Il feedback a 360°

Il feedback a 360° (o multi-degree feedback) (4) è una tecnica utilizzata nell’ambito di progetti di formazione e sviluppo, principalmente per la valutazione delle prestazioni. Ha come scopo la valorizzazione delle competenze, misurate per mezzo di questionari di auto-valutazione e di etero-valutazione. I questionari sono somministrati anche a chi lavora col soggetto che riceve il feedback, come: il capo, i membri del team, i pari, i clienti. Anche alla base del feedback a 360° si trova l’idea che fornire un feedback costruttivo sia uno stimolo per la crescita individuale e che di conseguenza andrebbe incoraggiato. In realtà non sempre questa leva viene adeguatamente utilizzata, perché le consuetudini e le regole di un’organizzazione possono ostacolare una comunicazione tra colleghi aperta, che sia di supporto all’altro e orientata allo sviluppo.

I principi da seguire per offrire un feedback dinamico, che spinga a riflettere su come si sta operando e a favorire il cambiamento si possono ricondurre a:

● prestare attenzione al momento in cui si fornisce il feedback, assicurandoci che l’altro sia pronto a riceverlo;

● fare riferimento a comportamenti che abbiamo osservato in determinate circostanze, in modo specifico e senza dare un giudizio sulla persona;

● decidere insieme l’azione, prevederne l’impatto, verificare che il risultato sia quello desiderato;

● comunicare come abbiamo personalmente percepito il comportamento dell’altro;

● ricordare che un feedback negativo (5) potrà forse essere di sfogo al momento, ma non serve a nulla, non è né produttivo, né costruttivo.

6. Problem solving creativo

Non va sottovalutato infine che il feedback è un momento centrale della comunicazione aziendale. Il modo più interessante di procedere è ricevere informazioni dal collaboratore in merito agli ostacoli che incontra nello svolgimento delle proprie mansioni in termini di raggiungimento degli obiettivi assegnatigli.

Se concepito e strutturato in questi termini (reale scambio di informazioni, ascolto reciproco), il feedback può diventare uno strumento formidabile di sviluppo aziendale, secondo il principio che spiega che nessuno conosce il problema meglio di chi ci sta sopra quotidianamente: in un clima di sufficiente fiducia, suggerimenti e confronti con il management possono realmente creare un plusvalore per quell’azienda capace di porre in essere una catena di accorgimenti capaci di fare una vera e propria differenza in termini competitivi.

 I primi a cogliere il vantaggio intrinseco di questo modo di operare e a metterne in pratica appieno i principi sono stati i manager della Toyota negli anni ‘80 (6), fermamente convinti che il valore aziendale si crea attraverso la collaborazione fedele delle maestranze e del management e che il valore aziendale sia qualcosa di economicamente produttivo, oltre che soddisfacente per tutti coloro che dell’azienda fanno parte, meglio ancora, si sentono parte. I vantaggi in termini competitivi rilevati si sono rivelati considerevoli in termini di fatturato, inoltre il costante aggiornamento, lo studio, la competenza, sono fattori di buon esempio fondamentali per la creazione di un gruppo forte e vincente.

Note

(1)     Il significato letterale della traduzione dal termine inglese è retroazione, ovvero l’effetto di un atto, di un comportamento, su colui che l’ha provocato. Vedi Poertner S.- Massetti Miller K. (1996), L’arte di dare e ricevere feedback, Franco Angeli, Milano.

(2)     Harris J.O. (2008), I feedback. Obiettivi, risultati, interazione, cambiamento, Collana Target, Sperling & Kupfer, Milano. “[…] Quando si parla di feedback, si parla dei risultati di una squadra e dei singoli individui che la compongono e soprattutto di una persona che ha un compito che può apparire ingrato: quello di comunicare alle persone che lavorano sotto la sua guida I feedback, fornendo un giudizio sul loro operato e sui risultati che hanno ottenuto. Sapere dare (e ricevere) feedback è una delle abilità principali in qualsiasi contesto lavorativo perché significa aiutare la crescita e il cambiamento dei propri collaboratori favorendo l’impegno e la collaborazione, strumento fondamentale a cui poter ricorrere di tanto in tanto per cercare di comprendere meglio i meccanismi mentali e le dinamiche individuali che influenzano le relazioni interpersonali, familiari e sociali, che comunemente ci troviamo ad affrontare nel corso della vita. […]”.

(3)     Scardovelli M. (1998), Feedback e cambiamento, Collana Studi e ricerche, Borla Editore, Roma.

(4)     Il Feedback 360° restituisce al manager ricevente un quadro prospettico chiaro, definito e allo stesso tempo ampio e sufficientemente oggettivo di come viene visto dagli altri, in azienda, su comportamenti e atteggiamenti di cui potrebbe non essere consapevole. Questo tipo di feedback agisce nella cella “cieca” della Finestra di Johary (Luft, J.; Ingham, H., 1955), quella che corrisponde a caratteristiche evidenti agli altri, a chi osserva, ma non visibili da parte degli osservati. La restituzione all’interessato della valutazione proveniente da diverse fonti e prospettive può costituire quindi un momento delicato per il ricevente il feedback. Tale esperienza infatti va ad interessare il complesso universo personale costituito dall’insieme di aspettative, di credenze, dall’immagine di sé e della possibile discrepanza tra auto ed etero percezione. E’ per questo che a presentare il report al valutato debba essere un facilitatore che sia esperto di individual development in generale e di questa metodologia in particolare. Fonte: ww.aidp.it, Associazione Italiana per la direzione del personale. Vedi Peacock T. (2009), Feedback a 360°, Giunti Organizzazioni Speciali, Collana Management Pocketbook, Firenze.

(5)     Una ricerca del professor Andrew Miner, Iowa State University, nel 2005 ha messo in luce come un impiegato reagisca con energia sei volte più grande alle osservazioni negative del manager rispetto a quelle positive, per cui la cautela da usare nel caso di una critica deve tenere conto anche di fattori psicologici di questo tipo.

(6)     O pratica del kaizen, all’efficienza dei fattori produttivi attraverso lo sviluppo di sistemi di gestione finalizzati al contenimento dei costi di produzione. Il termine è stato introdotto in letteratura da Masaaki Imai, economista giapponese consulente sulla gestione della qualità. Nel 1986 ha fondato il Kaizen Institute, per aiutare le aziende occidentali a introdurre i concetti, i sistemi e gli strumenti del Kaizen. Nello stesso anno ha pubblicato, in Giappone, il libro sulla gestione aziendale Kaizen: lo spirito giapponese del miglioramento, tradotto in 14 lingue, che descrive la filosofia di business che supportava i successi dell’industria giapponese negli anni ‘80 con particolare riferimento alla Toyota (da cui il termine che identifica il filone del Toyotismo, fenomeno inteso come “miglioramento continuo”. Il kaizen come strategia comportamentale si riferisce ad una pratica diretta al miglioramento costante dei processi manifatturieri, ingegneristici e di business management secondo una logica bottom-up (dal basso verso l’alto) che recentemente ha trovato applicazione anche nella sanità, nel coaching e in altre industrie non manifatturiere quali istituti bancari ed industrie del terziario avanzato. Il kaizen come approccio per i sistemi di gestione per la qualità si interseca con concetti come il Lean manufacturing (produzione snella), il Total Quality Management (TQM – Gestione della qualità totale), il Just in time (JIT – abbattimento delle scorte), il kanban (metodo per la reintegrazione costante delle materie prime e dei semilavorati), la riprogettazione dei processi aziendali. La vision della strategia kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi, da perseguire sistematicamente giorno dopo giorno, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità, di matrice prettamente occidentale. La base e la forza del rinnovamento consistono nell’incoraggiare ogni singola persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo dà origine a un processo di selezione e miglioramento dell’intera organizzazione. Va da sé che occorre destinare del tempo all’analisi e alla valutazione dei suggerimenti “provenienti dal basso”, ma nell’industria giapponese tutto ciò viene tenuto in gran conto: i suggerimenti arrivano ad essere nell’ordine di diverse migliaia all’anno. I suggerimenti più meritevoli, quelli che vengono scelti e applicati con successo, ricevono riconoscimenti pubblici e gratifiche economiche, innescando così un circolo virtuoso che alimenta il consolidarsi della conoscenza del valore che un’azienda riesce a creare per distinguersi dalle altre. Nessuno conosce meglio il problema di chi ci sta sopra tutti i giorni, la capacità di ascolto del management può fare la differenza.