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Evasione fiscale: ma quanto ne sappiamo veramente?

Giurisdizione

Evasione fiscale: ma quanto ne sappiamo veramente?

(Dott.ssa Valeria Gobbin)

Premessa

Il tema dell’evasione fiscale è sempre di moda, ma mai come in questi tempi di manovra fiscale se ne sente parlare. La cosa non stupisce, visto che, sugli introiti derivanti da questa lotta, ormai si fa conto per far “quadrare” i conti dello Stato.

Ma cosa sappiamo realmente intorno a questo argomento?

La relazione che annualmente il Ministero dell’economia e finanze redige sugli esiti delle dichiarazioni dei redditi e sulla lotta all’evasione, ci consente di verificare con dati alla mano molte delle dicerie in materia, confermandole o smentendole, come ciascuno di noi potrà realizzare, anche avendo sotto gli occhi tutti i giorni esempi delle varie categorie di contribuenti, vedendo il loro tenore di vita, magari avendo fruito di qualche sconto sul “senza fattura” e simili. E magari potrà far riflettere circa una revisione dei comportamenti individuali, si conta in meglio, cioè collaborando con lo Stato nell’interesse di tutti.

 

Evasione fiscale: un bersaglio facile, a parole

Come già in passato, anche la manovra economica 2020 contiene disposizioni volte a contrastare l’evasione fiscale e si fa conto su circa 7 miliardi che potranno derivare dal recupero di evasione fiscale per integrare il finanziamento delle misure che il Governo intende attuare.

Si può dire che non c’è stata manovra economica degli ultimi anni che non abbia teorizzato un maggiore impegno nella lotta all’evasione e, da quanto dicono alcuni dati pubblicati, negli ultimi anni ci sono stati dei gettiti aggiuntivi, nell’ordine di quasi una decina di miliardi all’anno, derivanti proprio dalla lotta all’evasione. Si tratta comunque di ben poca cosa se la stima che viene presentata è di una evasione che si attesta sui 190 miliardi di euro all’anno.

Scrivere sul problema della lotta all’evasione si presenta come impresa abbastanza ardua, tanto se n’è già detto e scritto.

Tanti professori, economisti, esperti di vario genere si sono già espressi, con ricette di vario tipo, che sembrano, mentre vengono snocciolate, l’uovo di colombo, ma poi, di fronte a qualche domanda di dettaglio sull’attuazione pratica, emerge che questa non si palesa facile, né indolore da un punto di vista politico, né a costo zero, rendendosi necessarie risorse umane dedicate, tecnologia, formazione.

Ad esempio, quando si invoca il carcere per gli evasori, sembra una misura efficace e facile da mettere in pratica; poi si sente parlare un Magistrato che di queste cose se ne intende, come il Dott. Piercamillo Davigo in una recente intervista su La7, il quale dice che prevedere il carcere per gli evasori è una misura irrealistica. Secondo il Magistrato, è stimato che in Italia ci siano 12 milioni di evasori fiscali, e quindi significherebbe dover fare 12 milioni di processi, a cui poi si aggiunge la considerazione che per andare veramente in carcere occorre venire condannati ad una pena che, al netto di attenuanti e altre riduzioni, sia almeno superiore a quattro anni.

Quindi, quando si parla di carcere agli evasori, come misura dissuasiva, vuol dire intasamento dei tribunali e alta probabilità di arrivare a processi che si concludono con condanne che non comportano la detenzione.

Più efficaci senz’altro, anche perché’ hanno già prodotto dei risultati, le misure di tracciabilità dei pagamenti, di limitazione dell’uso dei contanti, e simili. Eppure, quando si tratta di ampliare queste misure, ci si arena di fronte alla necessità di intervenire per limitare se non addirittura annullare i costi aggiuntivi che derivano agli utenti.

 

Evasione ed elusione dell’imposta: si fa quello che si può!

Non si vogliono ripercorrere qui i motivi per cui da una parte si “giustifica” l’evasione, dall’altra le si dichiara guerra totale a “prescindere”, sapendo che, molto probabilmente, la verità sta nel mezzo, vale a dire che la drastica riduzione del fenomeno richiederebbe di disporre di un sistema fiscale meno pressante anche sotto il profilo degli adempimenti e giungle burocratiche, unitamente a una maggiore incisività nella lotta a chi evade.

Si vuole invece, da cittadini che, magari anche obtorto collo pagano le tasse, andare a vedere, attraverso le informazioni messe a disposizione dal Ministero dell’economia e finanze, chi paga le tasse, come si calcola l’ammontare dell’evasione e, magari, farsi un’idea di chi non racconta la verità.

Chi non condivide le politiche di limitazione dei contanti, di obbligo di fatturazione elettronica ecc., che il governo pone in essere per contrastare l’evasione, spesso si giustifica dicendo che la grande evasione deriva dalle grandi imprese, non dai piccoli imprenditori o lavoratori autonomi.

In realtà, forse occorre distinguere tra capacità delle grandi imprese di utilizzare tutti gli strumenti giuridici possibili, leciti, per aggirare il fisco, e evasione fiscale vera e propria che consiste nel non far figurare il guadagno proprio omettendone la dichiarazione in violazione di specifiche norme fiscali.

Certamente le grandi imprese si possono permettere di pagare profumatamente avvocati, economisti, commercialisti, consulenti fiscali ecc. in grado di massimizzare il buon impiego delle loro risorse economiche, facendo pervenire il minimo possibile alla tassazione, cosa che il piccolo imprenditore non si può permettere perché’ il costo di questi “supporti” non è alla sua portata.

Questa “elusione” delle imposte richiede l’intervento del legislatore, per scovare e sanare gli squarci nella normativa che consentono la sottrazione alla tassazione di importi rilevanti, anche con allineamenti reciproci con le legislazioni degli altri paesi, oltreché’ con forme di collaborazione internazionale finalizzate a fornire dati e informazioni utili allo scopo.

È necessaria pertanto una volontà politica di porre in atto queste misure, la capacità di prevedere e quindi evitare le elusioni della normativa, senza arrivare a scrivere dei testi normativi che nella loro illeggibilità’ diventino poi fonte di scappatoie che si volevano evitare.

In secondo luogo, occorre che il fine diventi un obiettivo comune ai vari paesi, laddove invece oggi si assiste a legislazioni che mirano ad attirare imprese sul proprio territorio, offrendo una tassazione agevolata, accontentandosi di godere in tal modo di una parte limitata di possibili entrate, per cui vediamo imprese che spostano la sede sociale in un paese e la residenza fiscale in un altro. Un esempio a noi vicino la Fiat, che ha traslocato ad Amsterdam la sede legale e il domicilio fiscale a Londra.

Per non parlare poi dei tax ruling, vale a dire anticipazioni in materia fiscale attraverso cui gli Stati comunicano ad una società le modalità con cui verrà calcolata l’imposta sugli utili societari in quello Stato, al fine di invogliare a effettuare investimenti sul territorio: se questi accordi esistono davvero, si tratta di una truffa che lo Stato fa a stesso, diventando il primo trasgressore della propria normativa, a nulla valendo l’obiezione che in tal modo si assicurano posti di lavoro, quote di PIL ecc.. Se dovesse passare, per lo Stato, il principio più vecchio ancora di Macchiavelli, per cui il fine giustifica i mezzi, allora anche i piccoli evasori locali non dovrebbero essere perseguiti, quando attraverso l’evasione garantiscono posti di lavoro che poi a loro volta si trasformano in maggiori consumi e quindi, indirettamente, tasse per lo Stato.

Con un comunicato stampa del 22.3.2018, l’Agenzia delle entrate dovette precisare, in merito ad alcuni articoli che erano apparsi sulla stampa,  che i cosiddetti “tax ruling” sono accordi che violano gli standard internazionali codificati a livello Ocse e di Unione Europea, non stipulabili né mai stipulati dall’Amministrazione fiscale italiana e che gli  accordi previsti nel nostro Paese, così come negli altri Paesi Ocse, rientrano invece nella categoria degli A.P.A. (Advance pricing agreements), presenti in tutte le amministrazioni avanzate e in Italia disciplinati dall’Art. 31 ter del DPR 600/73  “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”.  Questi accordi sono finalizzati a fornire certezza preventiva relativamente ai criteri e ai metodi adottati per la determinazione dei prezzi di trasferimento (Transfer pricing).

L’Art. 31 ter sopra citato, intitolato “Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale”, è in vigore dal 23.03.2017 e, francamente, la sua lettura lascia spazio al pensiero che, tramite detti accordi, si possano creare le condizioni per invogliare l’investimento nel paese. Significativo in tal senso, che si parli di preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo e la precisazione del periodo di validità degli accordi stessi.

È più difficile invece pensare alla grande impresa che compra e vende in “nero”, perché nella sua complessa organizzazione questi passaggi non potrebbero non lasciare tracce.

 

I dati del Ministero dell’economia e finanze sulle dichiarazioni dei redditi assoggettati a IRPEF

Guardando ai dati forniti dal Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) sui redditi 2017 “Statistiche sulle dichiarazioni dei redditi – Analisi dei dati IRPEF”:

  • I contribuenti che hanno assolto all’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi Irpef sono 41.211.336, per un reddito complessivo dichiarato di 838 miliardi di euro; di questi contribuenti, 10,5 milioni di essi hanno una imposta netta pari a 0, in quanto si tratta di dichiarazioni di importi di reddito compresi nelle fasce di esonero dall’Irpef, oppure per effetto delle detrazioni tale da azzerare l’imposta lorda. Se poi si aggiungono anche i soggetti che hanno l’imposta interamente compensata dal bonus degli 80 euro, la somma di coloro che di fatto non versano Irpef sale a 12,9 milioni;
  • Le tipologie di reddito maggiormente dichiarate sono quelle relative al lavoro dipendente (53,5 % del reddito complessivo) e pensioni (30,2%).

Guardando a coloro che pagano, si rileva che:

  • I soggetti con redditi fino a 15000 euro rappresentano il 28% dei dichiaranti;
  • I soggetti con redditi da 15mila a 20mila Euro rappresentano il 17,94%;
  • I soggetti con redditi da 20mila a 26mila Euro rappresentano il 20,37%;
  • I soggetti con redditi da 26mila a 35mila Euro rappresentano il 17,26 %;
  • Tutti insieme costoro versano complessivamente il 44.1% di imposta netta;
  • I soggetti con redditi da 35mila a 70mila Euro rappresentano il 12,85% dei contribuenti, che versano il 27,36%di imposta netta.

Poi abbiamo:

  • I soggetti con redditi da 70mila a 100mila Euro rappresentano il 2,05%;
  • I soggetti con redditi da 100mila a 200mila Euro rappresentano l’1,22%;
  • I soggetti con redditi da 200mila a 300mila Euro rappresentano lo 0,18%;
  • I soggetti con redditi oltre 300mila Euro rappresentano lo 0,12 %;
  • Complessivamente costoro versano il 28,54% dell’imposta netta.

Ancora qualche dato:

  • I contribuenti con redditi prevalenti da lavoro dipendente sono 20.929.435;
  • I contribuenti con redditi prevalenti da pensione sono 13.321.184;
  • I contribuenti imprenditori sono 1.360.329, di cui 30.700 dichiarano un reddito complessivo superiore a 100.000,00 Euro;
  • I contribuenti proprietari di fabbricati sono 1.832.527;
  • I contribuenti lavoratori autonomi abituali con partita iva sono 566.698, di cui oltre 82.500 dichiarano un reddito complessivo superiore a 100.000,00 Euro;
  • I contribuenti che partecipano in società di persone e assimilati sono 1.197.350, di cui oltre 13.300 dichiarano un reddito superiore a 100.000,00 Euro;
  • I contribuenti appartenenti ad altre tipologie sono 1.703.813.

 

Come si misura l’evasione e quanto vale

Il Ministero dell’economia e finanze, sul “Rapporto sui risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione,” ci informa che per la misurazione della dinamica della tax non compliance, vale a dire, grosso modo, del mancato adempimento agli obblighi tributario, il gap tax (cioè la stima dell’evasione fiscale)  elaborato, calcolato come il divario (gap) tra le imposte effettivamente versate e le imposte che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un regime di perfetto adempimento agli obblighi tributari previsti a legislazione vigente, rappresenta una proxy dell’evasione fiscale. Si precisa che l’art. 10 bis 1., comma 4, lett. b) della L. 31.12.2009, n. 196, richiama l’utilizzazione di una metodologia di misurazione dell’evasione fiscale contributiva, riferita a tutti i principali tributi e contributi, basata sul confronto tra i dati della contabilità nazionale e quelli acquisti dall’Anagrafe tributaria e dall’Inps.

Dai dati esposti risulta che, per il triennio 2014-2016, si stima un gap complessivo medio per anno di 109,7 miliardi di euro, di cui 98,3 miliardi riferiti a mancate entrate tributarie e 11,4 mancate entrate contributive.

Guadando qualche dato nel dettaglio, si rileva che il mancato incasso di Irpef ascrivibile a lavoro autonomo e impresa, Ires, Iva, Irap, vale 84 miliardi annui, mentre solo per I.M.U. per immobili diversi da abitazione principale, l‘evasione vale 5,1 miliardi annui.

Guardando alla propensione all’evasione, il gap relativo alle entrate tributarie si attesta come media, nel triennio 2014-16, sul 21,9% annuo.; su questo dato, la parte riferibile al gap relativo all’Irpef per lavoro autonomo e impresa, è quantificato nel 68,3%, mentre l’Irpef per lavoro dipendente non dichiarato misura il 3,7%, l’Iva 27,2%, Irap, 21,5%, l’I.M.U. sulle abitazioni diverse da abitazione principale il 26,6%.

Sempre nella relazione del M.E.F. in merito agli “indirizzi sulle strategie per il contrasto dell’evasione”, si legge che tale lotta sarà perseguita attraverso un piano strategico, un’ampia riforma fiscale basata sulla semplificazione delle regole e degli adempimenti nonché’ su una nuova e più efficace alleanza tra contribuenti e amministrazione finanziaria.

Parlare di semplificazione delle regole, sembra più facile a dirsi che a farsi, avendo presente qualcuno degli ultimi provvedimenti legislativi: il riferimento è in particolare al decreto legislativo sul reddito di cittadinanza, che dev’essere letto un po’ alla volta e prendendo appunti, tanto è complicato.

Sul fronte dell’alleanza tra contribuenti e amministrazione finanziaria, nella relazione si specifica che la stessa concerne, tra l’altro, l’introduzione di incentivi fiscali in misura tale da far emergere “un contrasto di interessi” tra le parti.  C’è da contare che vengano messe in campo misure che veramente rendano non conveniente per il consumatore finale colludere con l’evasore, ma il riferimento alla lotteria degli scontrini non fa ben sperare!

 

Conclusioni

Che l’evasione avesse il proprio fulcro nel lavoro autonomo e di impresa non è una novità e i dati sopra esposti confermano una realtà che ciascuno di noi ha l’occasione di riscontrare direttamente frequentemente, nelle varie occasioni per cui può necessitare delle prestazioni di appartenenti a queste tipologie di professionisti.

Molte volte l’evasione è il mezzo attraverso il quale assicurarsi delle entrate che garantiscono un certo tenore di vita che una corretta dichiarazione dei redditi dimezzerebbe. L’evasione è, in tali casi, la spia di una incapacità di fare impresa al livello a cui aspira l’interessato, il quale quindi supplisce a questa sua inadeguatezza con il sottrarre la parte che dovrebbe dare alla collettività, che gli garantisce l’ordine pubblico, la salute, le strade e le infrastrutture anche attraverso le quali realizza il suo business, magari gli garantisce anche l’esenzione dal ticket sanitario e l’asilo nido gratuito per i figli, borse di studio e altre provvidenze che il lavoratore dipendente, con un reddito lardo pari a quello che lui non dichiara, deve solo contribuire a garantire ma non ne è ammesso al godimento perché troppo “ricco”.

E allora il contrasto all’evasione diventa anche una misura atta a riequilibrare la corretta concorrenza, supplendo a quello che il libero mercato, falsato dal gioco sporco dell’evasore, non riesce fare, vale a dire far uscire coloro che non riescono ad essere competitivi.

 

 

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