Diritto

Dolo eventuale e colpa cosciente tra dottrina e giurisprudenza in attesa dell’introduzione del nuovo reato di omicidio stradale

(di Paola Romito)

L’imputazione soggettiva delle fattispecie penali è regolata, all’interno del codice penale, dall’art. 43 rubricato “elemento psicologico del reato”, collocato al capo I, titolo III, libro I, il quale fornisce la definizione del delitto doloso, preterintenzionale e, infine, colposo.

Nello specifico, la suddetta disposizione stabilisce che il delitto è “doloso”, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; il delitto è “preterintenzionale”, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; ed infine il delitto è “ colposo”, o contro l’intenzione, qualora l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Nella ricostruzione dell’elemento soggettivo nelle singole fattispecie penali si deve, poi, tener conto delle disposizioni codicistiche di parte speciale, quale ausilio e strumento imprescindibile per l’interprete.

Ai confini tra dolo e colpa si pone il dibattuto contrasto in ordine alla dicotomia tra dolo eventuale e colpa cosciente, oggetto peraltro di una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in merito alla vicenda delle acciaierie Thyssenkrupp.

In una prima fase la categoria del dolo subiva una basilare scissione volta a distinguere il dolo diretto, raffigurabile ogniqualvolta l’evento fosse lo scopo dell’agente, da quello indiretto, ravvisabile nelle diverse ipotesi in cui il soggetto agente si fosse rappresentato la probabilità di verificazione dell’evento e ne avesse accettato l’eventuale realizzazione. Successivamente, la dottrina spinse per una qualificazione più rigorosa del dolo e propose una sorta di graduazione del coefficiente psicologico per eccellenza, dando vita ad una triplice distinzione del dolo sulla base del diverso grado di intensità della volontà. Si assisteva, quindi, a quella che ancora oggi vede distinguere il dolo intenzionale da quello diretto e da quello eventuale: dolo intenzionale sarebbe, in sostanza, la forma più grave di dolo in base al quale il soggetto si raffigura come certa la realizzazione dell’evento ed agisce proprio al fine di conseguirlo; dolo diretto sarebbe, invece, quello per il quale il soggetto si rappresenta come altamente probabile la conseguenza lesiva, a seguito della sua condotta ed agisce incurante del suo verificarsi; dolo eventuale sarebbe, infine, la forma più lieve di dolo, data dalla rappresentazione dell’evento illecito come meramente probabile.

Quest’ultima figura, come anticipato, ha suscitato notevoli problemi di ordine interpretativo ed applicativo con riferimento alla relativa natura e portata e, conseguentemente, alla distinzione con la figura della colpa cosciente (o con previsione) delineata dal combinato disposto di cui agli artt. 43 e 61 co.1 n.3 c.p.

La colpa cosciente, in particolare, raffigura un’ipotesi di circostanza aggravante comune riscontrabile quando nei delitti colposi si sia agito nonostante la previsione dell’evento.

Originariamente la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente riposava sulla natura dell’attività che aveva costituito reato: tale distinzione rimarcava il principio del versari in re illicita per cui le attività c.d. autorizzate dall’ordinamento (quali la circolazione stradale, l’attività sportiva, l’attività medica, ecc.) venivano abitualmente ricondotte alla colpa con previsione, mentre le attività di per sé illecite erano punite a titolo di dolo eventuale e, quindi, più aspramente.   Si era, in tal modo, venuto a creare una sorta di tacito accordo tra dottrina e giurisprudenza imperniato sulla formula dell’accettazione del rischio: rischio base consentito e colpa cosciente, rischio illecito e dolo eventuale.

Tale apparente equilibrio venne, però, rotto dalla sopravvenienza di nuovi fattori che alterarono la prassi giurisprudenziale fino ad allora unanimemente seguita. In particolare, si assistette a un’estensione del rimprovero penale in settori inizialmente inquadrati nell’area del rischio consentito (in particolare la circolazione stradale e l’attività medica); all’emersione di fenomeni a c.d. rischio ancipite, che non consentiva più una netta separazione tra rischio illecito e rischio autorizzato (si pensi alla condotta del soggetto sieropositivo che intrattiene rapporti sessuali non protetti). In tale contesto comincia a farsi strada una visione diversa di dolo eventuale, come strumento di prevenzione generale volto ad accentuare la funzione general preventiva svolta dalla pena (si punisce ad esempio più gravemente l’automobilista particolarmente incosciente).

Questi cambiamenti da un lato ampliarono la responsabilità dolosa, dall’altro evidenziarono critiche precedentemente non manifestate e, solo in questo nuovo contesto, evidenziate.

Sorse, quindi, la necessità di operare un rigido bilanciamento tra gli interessi in gioco che, se per un verso portavano a estendere la responsabilità dolosa in un’ottica di prevenzione generale, per un altro propugnavano una restrizione della stessa favorendo, per converso, una maggiore estensione della responsabilità per colpa.

Alla luce di tali premesse di ordine metodologico è possibile, quindi, affrontare più nel dettaglio il dibattito inerente alla dicotomia dolo eventuale e colpa cosciente, dando contezza delle varie teorie susseguitesi nel tempo e tuttora conviventi.

Ricorrente nell’analisi di questa delicata problematica è il riferimento al settore degli incidenti stradali causati da scelte macroscopicamente azzardate del conducente. Si assiste, difatti, sempre più di frequente a episodi omicidiari o lesivi ingenerati dalla violazione di regole cautelari preposte a salvaguardia dell’incolumità della circolazione stradale e degli utenti della strada, tanto da aver sollevato un fervido interesse nella collettività, suffragato costantemente da fenomeni mediatici, volto all’introduzione nel codice penale di un reato autonomo in relazione all’omicidio stradale che assorba la disciplina attuale che lo prevede come mera aggravante di omicidio colposo ex art. 589 co. 2,3 c.p..

A livello sostanziale, la prima teoria a farsi strada tra i cultori del diritto in merito alla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente è quella dell’accettazione del rischio che sancisce la riconducibilità al dolo eventuale in tutte le ipotesi in cui il soggetto, sebbene non sicuro che l’evento si verificherà, agisce accettando il rischio di cagionarlo; diversamente dalle ipotesi di colpa cosciente identificabili ogniqualvolta il soggetto preveda la verificazione dell’evento ma agisce, facendo affidamento sulla convinzione che esso non si verificherà, superando in tal modo il dubbio iniziale. Questa distinzione, in sostanza, viene modellata sulla base della diversa natura della previsione: nel dolo il rischio di verificazione dell’evento è incerto ma concretamente possibile; nella colpa la previsione dell’evento ha natura astratta.

Utilizzando questo criterio, ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il dolo eventuale in un celebre caso in materia di circolazione stradale (caso Beti). Nel dettaglio, la vicenda vedeva protagonista un automobilista alla guida di un SUV che, incurante delle più elementari norme in materia di circolazione stradale, aveva effettuato un’inversione in autostrada viaggiando, quindi, contromano e ad alta velocità, finendo per scontrarsi con un’auto che viaggiava in senso opposto e provocando la morte di quattro persone. La Suprema Corte, applicando il criterio dell’accettazione del rischio, evidenziava la persistenza nella condotta dell’agente e la correlativa assenza di qualsivoglia manovra di emergenza o tale da ridurre i rischi presumibilmente legati a tale condotta (per esempio segni di frenata), nonostante le molteplici segnalazioni da parte di altri automobilisti e le numerose collisioni sfiorate.

A questa teoria sono state mosse varie critiche, fondate principalmente sulla genericità caratterizzante la colpa con previsione, non autonomamente distinguibile da quella semplice. Si è del resto evidenziato come accettando questa distinzione si finirebbe per giungere ad un paradosso: nella colpa cosciente il soggetto esclude la possibilità di verificazione dell’evento ed agisce, per cui è come se l’evento non fosse mai stato previsto e ciò contrasterebbe con il dato normativo di cui all’art. 61 co.1 n.3 del quale “la previsione” costituisce elemento caratterizzante. La colpa così delineata sarebbe, infatti, colpa semplice perciò ascrivibile al dettato normativo di cui all’art. 43 c.p.

Le obiezioni predette hanno portato la dottrina all’elaborazione di varianti e correttivi, fra queste ha acquistato autonoma valenza quella relativa all’affidamento ragionevole sulla non verificazione dell’evento che distingue il dolo eventuale dalla colpa con previsione, a seconda che il soggetto agente riponga un affidamento irragionevole o ragionevole in ordine alla verificazione dell’evento. La colpa con previsione, cioè, viene ravvisata se il soggetto agisce confidando nella presenza di specifiche circostanze impeditive relative ad esempio alla propria abilità, all’adozione di contromisure, nonché all’intervento di fattori impeditivi esterni (anche dipendenti dalla condotta altrui) in base alle quali ritenga ragionevolmente di poter escludere la verificazione dell’evento; diversamente residuando il dolo eventuale. In questo contesto, cioè, oggetto del consenso non è il rischio ma l’offesa, la lesione al bene protetto, l’evento.

In tema di circolazione stradale, ad esempio, a un soggetto giovane alla guida di un’auto di grossa cilindrata che, superando i limiti di velocità collideva con un’auto investendo un pedone, la Corte di Cassazione riconosceva la sussistenza dell’elemento colposo perché, non essendo provata una volontà diversa, non era possibile ritenere che l’agente avesse voluto l’evento.

Autorevole dottrina, critica questa tesi che, ancorando la colpa con previsione alle ipotesi in cui il soggetto è persuaso sulla non verificazione dell’evento, la ritiene ai confini con un’interpretazione contra legem della norma che, invece, prevede l’aggravante proprio in virtù della previsione dell’evento. Ci si chiede, del resto, che sorte avrebbero quelle ipotesi in cui un soggetto per negligenza, leggerezza o disattenzione confidi genericamente nella non verificazione dell’evento senza però fare affidamento su specifici fattori impeditivi.

È stata poi prospettata un’ulteriore teoria che distingue le due ipotesi in base ad un bilanciamento di interessi, da alcuni infatti denominata teoria economicistica.

Tale teoria muove dall’analisi del dolo nel dettato di cui all’art. 43 c.p. quale sintesi di rappresentazione e volontà, e dalla considerazione che tale ultimo requisito manca nella colpa, laddove è riscontrabile al più, una previsione dell’evento. In base a tale riscontro è possibile concludere che nel dolo eventuale la condotta sarebbe sempre frutto di una deliberazione volitiva perché il soggetto subordina il sacrificio eventuale di un bene giuridico altrui al perseguimento di un proprio scopo egoistico mercé un bilanciamento di interessi (quelli altrui e quelli propri) che viene effettuato in anticipo. Nella colpa cosciente, invece, manca l’elemento volitivo perché il soggetto si determina ad agire, nonostante la previsione dell’evento, per imprudenza o negligenza. Questa teoria, quindi, pone su uno stesso identico piano rappresentativo il dolo e la colpa: il soggetto si rappresenta la possibilità di verificazione dell’evento ed agisce. Ciò che muta è, invece, la “componente di calcolo” implicita nella deliberazione ad agire perché nel dolo il soggetto sceglie volontariamente i propri interessi a scapito di quelli altrui. Tale teoria divergerebbe da quella sull’accettazione del rischio proprio per quest’ultima componente imprescindibile: il soggetto accetta il rischio ed accetta contestualmente la verificazione del danno come possibile prezzo.

Nel settore degli incidenti stradali generati da violazione macroscopiche di regole cautelari, la giurisprudenza è grossomodo orientata verso la riconduzione alla colpa con previsione. Questa rappresenta, infatti, una tipica fattispecie colposa, caratterizzata da una palese violazione delle regole cautelari, quali ad esempio mettersi alla guida in stato di ebbrezza, invadere goliardicamente la corsia di marcia opposta, superare i limiti di velocità, sfidare le proprie capacità e limiti.

in alcuni casi, però, si è in presenza di violazioni così gravi da comportare un significativo scostamento dalle regole di ordinaria prudenza che dovrebbero essere alla base della circolazione stradale, così da far presupporre l’accettazione concreta dell’evento che caratterizza il dolo eventuale. Una svolta decisiva da parte della giurisprudenza, volta al riconoscimento del dolo eventuale piuttosto che della colpa cosciente, è iniziata nel 2011 con la nota pronuncia Ignatiuc che fa uso della teoria del bilanciamento di interessi, da ultimo analizzata. Il caso pratico vedeva un conducente, alla guida di un veicolo rubato ed in fuga da un controllo di polizia, superare vari incroci nonostante il semaforo rosso nel pieno centro di Roma, cosicché andava a schiantarsi contro un’auto provocando la morte di una persona e due feriti gravi.

Applicando la teoria predetta al caso richiamato si evidenzia come l’accettazione del rischio di causare un incidente sia riscontrabile indifferentemente imputando all’autore il dolo eventuale o la colpa con previsione, ciò che li distingue è la sussistenza di un quid pluris ravvisabile nel dolo, relativo ad una deliberazione che l’autore ha adottato prima di agire, subordinando consapevolmente un determinato bene (la fuga) ad un altro (la possibilità di causare incidenti).

Anche questa teoria non è andata esente da critiche, perlopiù mosse con riguardo a difficoltà di ordine probatorio.

Il profilo probatorio, infatti, sul quale si incardina la successiva qualificazione in dolo eventuale e colpa cosciente, non è di agevole risoluzione: per poter accertare se il soggetto agente abbia agito con dolo eventuale o con colpa cosciente è, infatti, doveroso valutare tutte le circostanze comportamentali, psichiche ed effettuali ravvisabili nel caso concreto, operazione che risulta tutt’altro che semplice.

La differenza principale tra dolo eventuale e colpa con previsione si coglie, però, a pieno dal punto di vista processuale. In sede di formulazione dell’imputazione, infatti, con specifico riferimento ad esempio agli eventi letali determinati nel settore degli incidenti stradali, fermo restando l’applicazione delle norme previste dal d.lgs. n. 285/92 in tema di circolazione stradale, qualora il p.m. ravvisasse nella condotta del soggetto agente l’elemento psicologico del dolo eventuale ascriverebbe a questi il delitto di omicidio volontario, punibile ai sensi dell’art. 575 c.p. “con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Diversamente, nel caso in cui si ravvisasse la colpa con previsione, la formulazione dell’imputazione sarebbe incentrata sul delitto di cui all’art. 589, seppur aggravato dal co. 2 “se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale” con conseguente applicazione della pena della reclusione da due a sette anni, ovvero dal co. 3 “se il fatto è commesso con violazione delle norme della disciplina sulla circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope” con relativa applicazione della pena detentiva da tre a dieci anni, nonché dalla circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 n.3 per aver agito nonostante la previsione dell’evento.

L’evidenziata netta differenza sanzionatoria, nonché il drammatico crescente numero delle c.d. “vittime della strada” sta spingendo negli ultimi anni verso la prospettazione di una figura unica cui ricondurre il c.d. omicidio stradale che preveda la certezza della pena per chi causi incidenti mortali sotto effetto di alcool o di droghe ed il cui iter sta volgendo al termine .

Allo stato attuale l’esame per l’introduzione del reato di omicidio stradale e di quello di lesioni personali stradali attende l’approvazione della Camera dopo “il passaggio del testimone” dello scorso giugno da parte del Senato, a seguito dell’approvazione del tanto agognato ddl.

Giova del resto dar conto di come l’attenzione verso una più “sicura sicurezza stradale” non si esaurisca qui, restando infatti in cantiere la legge delega di riforma del Codice della strada, ora all’esame del Senato, nonché una serie di ulteriori progetti, finalizzati a colmare diverse lacune dell’ordinamento attuale.

In attesa di un testo definitivo di riferimento ci si interroga su quali potranno essere gli esiti di questo travagliato iter normativo: di certo costituire un deterrente in più da considerare prima di mettersi alla guida, destinato a coinvolgere anche i meno coscienziosi, nonché un simbolico riconoscimento a favore di tutte le famiglie che hanno perso i propri cari a causa di incidenti stradali.