Economia

Il segmento artisti affermati (Avant-Garde Market) – quinta parte

(di Marco Guenzi)

Nella precedente disamina del mercato degli artisti affermati (Avant-Garde Market) mancano all’appello alcuni importanti temi, che si intende affrontare nel presente articolo e nel prossimo: ci si riferisce a quelli che possono essere i fattori critici di successo di un artista e a come viene distribuito il surplus su questo mercato (si rimanda invece al prossimo numero la trattazione del problema, sempre più attuale, dell’autenticità delle opere d’arte e delle possibili misure di politica economica che possono essere messe in atto nel settore).

I fattori critici di successo degli artisti

Quali sono i fattori strategici per lo sviluppo della carriera di un artista fino ad arrivare ad un riconoscimento a livello nazionale ed internazionale? Questa questione risulta essere cruciale per tutti i soggetti del sistema: innanzitutto per gli artisti stessi (che risultano essere direttamente coinvolti); inoltre per le gallerie (che da questi traggono i loro profitti); poi per i collezionisti, i mercanti d’arte e gli investitori istituzionali (che devono prendere le decisioni con un’ottica d’investimento); infine per i rappresentanti della cultura (che devono effettuare le loro scelte in termini di interesse artistico).

Per analizzare il problema bisogna partire dalle considerazioni fatte trattando il segmento Alternative[1]. Si è visto che il panorama degli artisti emergenti che approdano a questo mercato è costituito in gran parte da artisti “di mercato”, cioè da coloro che sono espressione delle tendenze artistiche in atto. Le gallerie di scoperta infatti generalmente li prediligono in quanto essi producono un prodotto di sicuro e facile apprezzamento, conforme agli standard vigenti di natura estetica e di contenuto. Tali artisti rassicurano inoltre i galleristi di scoperta per un altro importante motivo: è improbabile, per i motivi che si esporranno, che essi possano avanzare nella carriera, facendo venire meno quell’azzardo morale di essere lasciati e quindi vedere persi i propri investimenti promozionali.

Se il fatto che ci sia una folta rappresentanza di artisti ripetitivi è in parte positivo, in quanto permette di abbassare il livello complessivo di rischio del Mercato Alternative e attrarre gli investimenti privati[2], tuttavia il meccanismo di scelta messo in opera dal sistema delle gallerie di scoperta di fatto finisce per operare un’adverse selection che penalizza gli artisti d’avanguardia (cioè innovativi) e nel suo complesso lo sviluppo culturale[3].

Gli artisti d’avanguardia non vengono infatti presi in debita considerazione in quanto essi risultano essere spesso troppo rischiosi per le gallerie di scoperta, sia per la tipologia di prodotto offerto (non apprezzabile dalla stragrande maggioranza dei collezionisti), sia per il rischio insito nella progressione naturale della carriera che vede l’abbandono della galleria di partenza. Purtroppo avere un prodotto di valore non gli assicura sempre l’ingresso nel sistema dell’arte.

In questo settore è pure marginale la rappresentanza della categoria degli artisti sensazionalisti, ma per una ragione del tutto diversa: per la natura stessa della loro arte. Per far clamore bisogna infatti per definizione differenziarsi notevolmente dalla massa e quindi soltanto pochi artisti riescono nell’intento. Gli artisti sensazionalisti, sebbene comportino anch’essi un alto moral hazard legato alla progressione di carriera, sono particolarmente apprezzati dai galleristi, in quanto offrono un prodotto facilmente riconoscibile e quindi vendibile.

E’ curioso notare che invece nel mercato Avant-Garde la composizione delle forze in campo si ribalta: gli artisti di mercato tendono a scomparire mentre prendono più spazio gli artisti sensazionalisti e d’avanguardia.

Si analizzino ora le ragioni di questo profondo cambiamento. Si è in precedenza messo in evidenza, facendo un’analogia tra carriera degli artisti e un Gran Premio di automobilismo[4], che tra i fattori più determinanti nella corsa verso l’affermazione (tralasciando naturalmente l’influenza della casualità) si ritrovano da una parte l’abilità del pilota, che corrisponde alla capacità della galleria di attuare una strategia di comunicazione in grado di dare visibilità all’artista, e dall’altra le caratteristiche tecniche dell’autovettura, ovvero il talento naturale dell’artista.

L’attuazione di una efficace strategia di comunicazione dipende direttamente dalla capacità della galleria (e in secondo piano dell’artista) di districarsi nel complicato sistema dell’arte, caratterizzato da tutta una serie di convenzioni e regole antropologiche, sociali ed economiche tacite e consuetudinarie[5]. A tal fine l’artista e la galleria devono cercare di costruire il “capitale relazionale”, cioè tutta una serie di conoscenze e contatti necessari a manovrare le leve del sistema[6].

Da questo punto di vista le strategie promozionali messe in piedi dalle gallerie di scoperta sono deficitarie per il settore Avant-Garde, per il fatto che tali gallerie non hanno abbastanza appoggi. Un artista emergente che voglia affermarsi e progredire nella propria carriera si trova quindi spesso nella condizione di dover cambiare rappresentanza, accettando le proposte di collaborazioni da parte di gallerie più influenti, quelle tradizionali e di brand, che hanno apprezzato il suo lavoro.

Le gallerie tradizionali e di brand tuttavia sono molto attente a scegliere i loro artisti, poiché queste scelte si rifletteranno direttamente sulla loro immagine. Esse tenderanno a selezionare solo profili che presentano prospettive di successo, ovvero quegli artisti che secondo loro sono più talentuosi o riconoscibili. Da questo punto di vista gli artisti di mercato sono poco considerati, mentre ricevono maggiori attenzioni artisti di avanguardia e sensazionalisti.

Naturalmente è importante anche che sia l’artista stesso a valutare l’offerta della galleria: egli dovrà verificare innanzitutto di condividere i valori e il modus operandi del gallerista. Gli artisti sensazionalisti si trovano naturalmente bene con galleristi con forte piglio imprenditoriale (strategici) che sono soliti seguire strategie di pricing e comunicazione più aggressive (time-driven strategy) , mentre quelli d’avanguardia meglio si incontrano con coloro che svolgono questa professione più per passione (appassionati), che in genere attuano strategie promozionali e dei prezzi più conservative (demand-driven strategy).

Al di là di ogni considerazione di tipo strategico, a questo punto di carriera risulta determinante per l’artista nella scelta di una controparte valutare l’influenza che la galleria può avere nel sistema. Da questo punto di vista è facile farsi un’idea vedendo se essa è ammessa alle fiere più rinomate, se ha in portafoglio artisti affermati che espongono alle biennali e nei maggiori musei, quali sono i suoi prezzi medi di vendita, se agli eventi da questa organizzati partecipano importanti collezionisti, esponenti della cultura e del mondo glamour più in generale, se essa è inserita negli albi dei Who’s Who del mondo dell’arte.

Una volta iniziata la collaborazione con la nuova galleria, è bene che l’artista dedichi le sue energie soprattutto alla ricerca e alla produzione artistica, in modo da produrre opere che siano sempre innovative, lasciando al gallerista l’aspetto della promozione.

Una galleria che si rispetti, da parte sua, comincerà ad prendere contatti con il mondo della cultura (curatori e direttori musei) e del mercato (collezionisti) affinché l’opera dell’artista venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Da questo punto di vista la partecipazione a fiere di importanza internazionale può essere un buon palcoscenico per farsi conoscere, oltre naturalmente a rappresentare l’occasione di entrare a far parte di qualche collezione di rilievo. L’obbiettivo primario rimane comunque quello di essere visti da curatori che possono inserire l’opera dell’artista in rassegne importanti e nelle collezioni dei musei; così come il contatto con critici e giornalisti che scrivano delle recensioni sull’artista e sulle mostre da lui fatte su riviste specializzate di rilievo.

L’obiettivo della strategia di marketing è quello di focalizzare l’attenzione sul lavoro (e la figura) dell’artista, ormai riconoscibili dagli addetti ai lavori, in modo da renderli un punto di riferimento. Secondo Adler[7] il fattore chiave del successo di un artista consiste nell’innesco di esternalità di rete che facciano crescere in modo esponenziale la riconoscibilità dell’artista in modo da sostenerne fortemente la crescita professionale. L’economista sostiene che chi deve comprare un’opera d’arte (o più in generale un prodotto culturale) tende a ripetere le proprie scelte di consumo. Questo perché il fruitore di beni culturali ha un’utilità marginale crescente al consumo, perché più si diventa intenditori di qualcosa più lo si apprezza[8]. Così il collezionista che comincia a comprare un artista, tende a ripetere le proprie scelte (come d’altronde avviene al supermercato con i prodotti di marca). Ciò comporta che egli finisca così per non considerare artisti più bravi, di cui però non è a conoscenza.

Ma come viene la sua prima scelta? In un mercato contraddistinto da un forte grado di asimmetrie informative, e quindi grandi difficoltà a individuare ciò che realmente gli interessa, il collezionista, per limiti di tempo e di fiducia nelle proprie capacità di apprezzamento, tenderà a comprare un artista di cui ha sentito dire.

Questo fenomeno spinge ad un forte processo selettivo secondo il quale solo chi riesce ad attrarre inizialmente su di sé l’informazione del mercato ha la possibilità di vedere riconosciuto il proprio lavoro, condensare la domanda, far crescere le quotazioni e quindi ottenere ancora maggiore eco, secondo una spirale al rialzo che porta ad un rapido successo[9]. Secondo questo approccio la notorietà è il fattore che maggiormente influenza la domanda di investimento in opere d’arte (art stock demand) e gli artisti che hanno maggiori probabilità di successo risultano essere quelli sensazionalisti. La figura 1 mostra la rapida ascesa della loro carriera[10].

Figura27-1

Tuttavia la sola strategia di comunicazione non basta per entrare a pieno titolo nei circoli ristretti del mondo dell’arte che conta ed ottenere un successo duraturo: essa deve essere unita alle capacità artistiche. La notorietà da sola infatti produce fuochi di paglia e il mondo dell’arte e dello spettacolo sono pieni di questi casi (si veda l’esempio dei talent show televisivi, che portano sul palcoscenico artisti che, spente le luci della ribalta, finiscono presto nel dimenticatoio; parimenti il mondo dell’arte è pieno di artisti che, grazie a generosi inviti, partecipano a biennali e poi scompaiono dalla scena artistica). Il talento, invece, permette di ottenere un consenso da parte della comunità artistica, che a sua volta serve a costruirsi una solida reputazione sul mercato.

Quando si parla di talento spesso si pensa ad una qualità innata. In parte infatti è così. Se si pensa ad esempio ai grandi campioni sportivi o a geni della musica, non si può far altro che ammirare qualità tecniche che sembrano non richiedere alcuno sforzo: in realtà quelle qualità si sono sviluppate attraverso un continuo esercizio, ripetuto così tante volte nel tempo da divenire un automatismo. Tale dedizione è difficile che sia solo frutto della forza di volontà, dell’auto-costrizione, ma è probabile piuttosto che trovi nutrimento nel piacere di dedicarsi a ciò che si fa. Si può quindi dire che il talento deriva sì da una predisposizione dell’individuo per una specifica attività, ma se quest’ultima non diventa una passione, esso non verrà mai scoperto (è quindi frutto della fortunata combinazione di trovare qualcosa che ci si diverte a fare e che poi, forse proprio per questo motivo, si riuscirà a fare meglio di altri, piuttosto che il contrario).

Da questo punto di vista si ritiene che l’obiettivo dell’artista sia quello produrre opere d’arte che siano sia innovative che espressive, in grado cioè di lasciare a bocca aperta lo spettatore, ampliare l’immaginario comune e di convogliare significati che permangano nel tempo, o come dice Sacco: “creare processi di senso”[11].

Secondo Rosen[12] il successo e i guadagni delle celebrities dipendono dal fatto che i beni culturali sono imperfetti sostituti. Chi ha più talento degli altri, offrendo a prezzi concorrenziali servizi culturali di maggior pregio (che potrebbero essere dischi, libri, film, spettacoli, o nella fattispecie mostre), tende a concentrare la domanda su di sé. Secondo tale teoria il talento viene fortemente ricercato e, attraverso il passaparola, agisce da cassa di risonanza, incrementando la domanda di art service e portando l’artista al successo. Gli artisti che avranno il maggiori riconoscimenti dovranno quindi essere quelli d’avanguardia: il loro cammino verso la consacrazione sarà però più graduale (si veda la figura 2)[13].

Figura27-2

Il talento naturale serve quindi ad ottenere consenso e il consenso ad ottenere notorietà, che a sua volta si riflette sui prezzi di mercato. Tuttavia questo meccanismo di trasmissione non è così lineare a causa (tra le tante varianti) delle inefficienze del mercato.

Il problema del mercato dell’arte contemporanea è che i consumatori di questo bene non sono sicuri dei loro giudizi di merito. Alcuni studi hanno rilevato che la maggior parte degli individui non si astengono dal commentare (esprimendo e motivando il proprio apprezzamento) su dischi, libri o film, ma solo pochissimi si azzardano ad abbozzare un giudizio articolato davanti ad un quadro, un’installazione o un video[14]. I consumatori di arte contemporanea nella stragrande maggioranza quindi necessitano nelle loro scelte di consumo di acquisire segnali di valore esterni in grado di confermare il proprio punto di vista (ovvero di fattori di rinforzo dell’opinione).

Tali fattori sono rappresentati dalle argomentazioni portate avanti da parte degli opinion-makers, tra cui i galleristi di un certo peso.[15] Questi ultimi cercano di usare il loro potere d’opinione per convincere i loro potenziali acquirenti ad investire sui loro artisti. A tal fine cercano di giustificare il valore del prezzo di vendita con elementi oggettivi (sell out situations): la partecipazione a biennali, l’acquisizione delle opere da parte di musei o importanti collezionisti, il passaggio da una galleria di scoperta a una tradizionale con maggiori appoggi, la creazione di un mercato secondario e la quotazione ufficiale attraverso le attribuzioni all’asta, la partecipazione con successo a premi di rilevanza nazionale e internazionale. Può inoltre essere molto importante come fattore di rinforzo la creazione di una narrazione (script) intorno all’opera e all’artista: i collezionisti infatti amano prodigarsi in spiegazioni ed aneddoti che illustrino opere da loro acquistate, così da far sfoggio di raffinatezza, gusto e ampiezza di orizzonti culturali. Le opere con uno script si adattano inoltre bene alle collezioni museali: le narrazioni possono accompagnare ed arricchire le visite per mezzo di guide o audio-visivi.

Ad uno stadio più avanzato può essere il giudizio stesso del gallerista ad essere sostituito a quello del collezionista, in una sorta di rapporto fiduciario in cui il primo ci mette la faccia e il secondo il portafoglio. Tali dinamiche vengono in genere ad instaurarsi nel Mercato Avant-Garde per le gallerie di brand, il cui nome da solo serve a rassicurare i compratori[16].

Le strategie di marketing che le gallerie tendono a seguire tuttavia variano in funzione degli artisti rappresentati. Per gli artisti sensazionalisti esse fanno principalmente leva sul fattore clamore. Utilizzano infatti il fenomeno delle esternalità di rete, prodotte grazie ad una attenta strategia di comunicazione, in modo da far oltrepassare all’artista un certo livello soglia di notorietà. A quel punto il suo prodotto tende a diventare virale e le quotazioni crescono in maniera automatica. La comunità poi tende a vedere questi aspetti come fattori di rinforzo del talento degli artisti sensazionalisti, che spesso vengono successivamente anche considerati dalla critica, arrivando così ad una rapida affermazione.

Gli artisti d’avanguardia invece tendono a far valere il loro messaggio innovativo attraverso il canale culturale, ottenendo innanzitutto il sostegno da parte della comunità dei critici e dei curatori. Per essi la porta di entrata per raggiungere la soglia critica del successo non è rappresentata da operazioni di marketing ma dalla possibilità di esporre in contesti di un certo livello. Il processo di progressione di carriera è in questo caso molto più lento, ma in genere più solido.

La distribuzione del surplus

A prescindere da come si sia arrivati al successo, si potrebbe dire che il valore aggiunto (cioè il surplus) prodotto da un artista affermato è sicuramente maggiore di quello creato da un artista emergente. Se ciò è vero nella grande maggioranza dei casi, tuttavia non è sempre scontato. Un altro punto interessante è vedere poi come viene distribuito il surplus tra i differenti stake-holder che operano sul mercato.

Prima di affrontare queste questioni tuttavia è necessario ricordare la distinzione tra capitale culturale, simbolico ed economico (il termine stesso di surplus infatti può dare adito a diverse interpretazioni). Il primo indica il valore culturale del lavoro di un artista in riferimento alla storia dell’arte (e quindi costituisce una variabile di lungo periodo). Il secondo viene definito da Bourdieu come il valore che le cose assumono per i soggetti in base alle loro percezioni e rappresentazioni[17] (ed è quindi variabile di medio periodo riferendosi ad una determinata congiuntura storica e culturale). Il terzo corrisponde al valore di mercato a cui un bene è venduto. Da questo punto di vista[18] il valore economico fa riferimento al prezzo di equilibrio di mercato di breve periodo, ottenuto dall’incontro tra domanda (che a sua volta fa capo al valore simbolico) e offerta (che si confronta con i costi di produzione e commercializzazione), e influenzato nello stesso tempo da altri elementi (inefficienze) che assumono rilevanza sul mercato.

Si può quindi dire che il valore economico di un opera d’arte nel medio periodo fa riferimento, oltre che ai costi sostenuti per la produzione e la promozione, al suo valore simbolico (che secondo Velthuis a sua volta dipende dal prezzo, secondo un meccanismo circolare)[19]. Nel lungo periodo tuttavia il valore simbolico (e quindi il valore economico) tende a riflettere il valore culturale;[20] nel breve periodo invece esso può dipendere anche da fattori congiunturali (le inefficienze del mercato).

Sulla base di queste considerazioni la distribuzione del surplus non va analizzata sulla base del prezzo di vendita, ma tenendo conto di quelle che sono le prospettive di crescita dell’artista. Non solo: poiché l’acquisto di opere d’arte costituisce un investimento, soggetto a fluttuazioni di valore economico (o in conto capitale), non va soltanto considerato il rendimento effettivo (surplus) ma anche il rendimento atteso in correlazione al livello di rischio annesso all’investimento.[21]

Si consideri a proposito che il mercato Avant-Garde è molto selettivo e vede ridurre i contendenti secondo una legge logaritmica (questo vale d’altronde anche per i segmenti inferiori). Ciò significa che la stragrande maggioranza degli artisti che approdano a questo settore né arriveranno a quotazioni stratosferiche, né entreranno nei libri di storia dell’arte. Per questi artisti il capitale simbolico e culturale è già stato convertito in toto in capitale economico e paradossalmente il surplus da essi prodotto è minore di quello di artisti ai primi stadi della loro carriera che poi avranno un successo planetario.

Per chi investe in questo settore quindi è molto difficile determinare quali siano gli artisti eletti, destinati a diventare vere e proprie celebrities, pur trattandosi di una scelta che comprende soggetti che comunque hanno già ottenuto un certo riconoscimento da parte del sistema dell’arte.

Inoltre vanno considerati due ulteriori fattori che fanno aumentare il rischio di investimento . Uno: il livello dei prezzi di acquisto è già molto rilevante e non permette ad investitori senza grandi risorse finanziarie una alta diversificazione del portafoglio. Due: una rilevante parte degli investitori su questo mercato, che ricordiamo non essere regolamentato, è costituito da operatori che hanno una certa influenza nel sistema e che quindi sono in grado di influenzare fortemente a loro favore l’andamento delle quotazioni degli artisti, a discapito di chi non ha il loro potere. Tale azione di controllo può avvenire sia a livello di opinion-making, che in maniera più scorretta (sebbene lecita) attraverso turbative di mercato.[22]

Le possibilità di profitto per chi compra sul mercato Avant-Garde scemano poi ulteriormente nel caso egli decidesse di comprare sul mercato secondario all’asta o dai mercanti d’arte, i cui prezzi sono mediamente più alti, mentre acquistando direttamente dalle gallerie, che applicano in genere un mark-down, si presentano maggiori possibilità di margine.

Nel mercato Avant-Garde (come d’altronde avviene per gli altri segmenti) il surplus relativo ad artisti che si trovano all’apice della propria carriera viene interamente accaparrato dai venditori (artisti e gallerie, collezionisti, mercanti d’arte e, in veste di intermediari, mediatori e case d’asta). Va notato che la ripartizione degli utili tra artisti e gallerie tende tuttavia ad essere differente, e più a favore dei primi rispetto al segmento Alternative. Ciò in ragione del loro maggior potere contrattuale e dei margini molto elevati delle gallerie (le gallerie tradizionali sostengono in rapporto ai ricavi minori costi rispetto a quelle di scoperta, potendo sfruttare gli investimenti effettuati precedentemente da queste ultime), che sono quindi disposte a maggiori concessioni a favore degli artisti.

Per quanto riguarda invece quei pochi artisti destinati ad ascendere al mercato Classical Contemporary (o High End) e quindi divenire celebrità, tenendo conto delle quotazioni stratosferiche fori dalla norma che tali artisti riusciranno a raggiungere, il capitale simbolico e (talvolta)[23] quello culturale non sono stati ancora convertiti in capitale economico. Fermo restando il surplus destinato al venditore, chi compra questi artisti ha quindi davanti grandissimi margini di profitto, almeno nel medio periodo: se egli saprà rivenderli al momento giusto, si può dire che egli avrà fatto Bingo.

Note

[1] Cfr. Guenzi M. (2015), “Il mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) – quarta parte”, Economia e Diritto, n. 10.

[2] Cellini R., Cuccia T. (2003), “Incomplete Information and Experimentation in the Arts: A Game Theory Approach”, Economia Politica, Il Mulino, Bologna, n.1 pp. 21-34.

[3] Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: il problema della selezione avversa degli artisti”, Economia e Diritto, n. 11.

[4] Guenzi M. (2015), Op. Cit..

[5] Da questo punto di vista il mercato dell’arte può essere definito il più grande mercato mondiale non regolamentato di tipo lecito. Sarebbe naturalmente auspicabile una istituzione al suo interno di codici etici scritti e una regolamentazione per via legislativa che permetta di sanare gli evidenti conflitti di interessi che si vengono a creare nel suo interno, come invece avviene nei mercati finanziari. La mancata regolamentazione ha un impatto diretto sulla qualità dello sviluppo culturale, oltre naturalmente ad avere un risvolto economico, in quanto un mercato inefficiente produce minor surplus.

[6] Sacco P. (2005), “La selezione dei giovani artisti nei mercati delle arti visive”, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 42-75.

[7] Adler (1985), “Stardom and Talent”, American Economic Review, Vol. 75, pp. 208-212.

[8] Cfr. anche Stigler G. – Becker G. (1977), “De Gustibus Non Est Disputandum”, American Economic Review, Vol. 67, pp. 76-90.

[9] Si avrà modo di vedere meglio questo aspetto quando si prenderà in esame il mercato Classical Contemporary.

[10] Nella figura 1 sono rappresentati due possibili andamenti della carriera degli artisti sensazionalistici: il caso di un successo immediato, quando gli artisti riescono nell’intento di ottenere diffusione virale del proprio lavoro, e quello di un medio successo, quando ciò non avviene.

[11] Sacco così spiega cosa intende per «processi di senso»: “La qualità di un’opera d’arte visiva non dipende tanto da ciò che essa mostra quanto piuttosto da ciò che evoca, dove naturalmente il potenziale evocativo va misurato sulla base delle categorie mentali e della cultura condivisa della piccola élite di specialisti che, secondo la pittoresca ma efficace espressione di Tom Wolfe, «assegna le coppe ai vincitori».” (Sacco P. (2005), Op. Cit.).

[12] Rosen (1981), “The Economics of Superstars”, American Economic Review, Vol. 71, pp. 845-858.

[13] Nella figura 2 sono rappresentate le diverse vie che può prendere la carriera di un artista d’avanguardia: di successo graduale, di successo tardivo (in caso di riscoperta), di medio successo (a causa di un talento non eccezionale) e di insuccesso (a causa del fenomeno dell’adverse selection).

[14] Thompson D. (2014), The Supermodel and the Brillo Box, Back Stories and Peculiar Economics from the World of Contemporary Art, Palgrave MacMillian, New York.

[15] Tra i diversi opinion-makers è possibile elencare, oltre ai maggiori galleristi, i grandi mercanti d’arte e collezionisti, i direttori dei maggiori musei, i curatori di biennali e i critici riconosciuti a livello internazionale, che con la loro attività supportano la creazione di valore aggiunto (surplus). Questi influenti individui hanno di fatto il potere di fare delle profezie che si auto-avverano (si pensi ad un curatore che stima un artista, vede per lui una possibile crescita di carriera, e quindi lo invita ad una biennale). Forse proprio per questo motivo sono così tenuti in considerazione dagli altri addetti ai lavori, che però in questa maniera, privandosi di una propria autonomia di opinione, aumentano ulteriormente l’influenza di questi personaggi.

[16] Thompson D. (2014), Op. Cit..

[17] Secondo Bourdieu: “J’appelle capital symbolique n’importe quelle espèce de capital (économique, culturel, scolaire ou social) lorsqu’elle est perçue selon des catégories de perception, des principes de vision et de division, des systèmes de classement, des schèmes classificatoires, des schèmes cognitifs, qui sont, au moins pour une part, le produit de l’incorporation des structures objectives du champ considéré, c-à-d de la structure de la distribution du capital dans le champ considéré.” (Bourdieu P. (1994), Raisons Pratiques Sur la Théorie de L’Action, Seuil, Paris).

[18] Si presenta qui un’accezione diversa da quella utilizzata dalla teoria marginalista, da Ricardo e da Marx, per i quali esso costituisce un fattore di produzione. Cfr. Lunghini G. (1991), “Capitale”, Enciclopedia delle scienze sociali, Volume I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.

[19] Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton).

[20] Cfr. Guenzi (2015), “La teoria della produzione del valore artistico (prima e seconda parte)”, Economia e Diritto, nn. 14-15.

[21] La teoria degli investimenti del Capital Asset Pricing Model (CAPM) stabilisce che rendimento atteso e rischio delle attività finanziarie, ma anche di altro tipo, sono correlati tra di loro linearmente in maniera positiva. Cfr. Sharpe W.F. (1964), “Capital Asset Prices: a Theory of Market Equilibrium Under Conditions of Risk,” Journal of Finance, vol. 19 n. 3, pp. 425-442 e Fama E. and MacBeth J. (1973), “Risk, Return and Equilibrium: Empirical Tests,” Journal of Political Economy, vol. 81, 115-146.

[22] La possibilità di essere opinion-maker è più marcata nel mercato dell’arte, non essendoci una legislazione precisa che vieti i conflitti di interesse. Il mercato inoltre non risulta essere nemmeno disciplinato a livello informativo, vietando ad esempio, come avviene nei mercati finanziari, operazioni di insider-trading e aggiotaggio. Infine, non essendo previsto un meccanismo di controllo per il bulk-selling di un artista (come ad esempio l’offerta pubblica di vendita), è possibile turbare il mercato offrendo grandi quantitativi di opere di un artista, capitalizzando le vendite e facendo irrimediabilmente precipitare le quotazioni in una spirale al ribasso. Famoso è il caso del collezionista Charles Saatchi che vendette in blocco la sua collezione relativa alla Transavanguardia Italiana (Thomson D. (2009), Lo squalo da 12 milioni di dollari, La sorprendente economia dell’arte contemporanea, Mondadori, Milano). La pratica di disinvestimento nei confronti di un artista, di cui si possiede un ingente quantitativo di opere, in grado quindi di influenzarne il mercato, viene tuttavia in genere portata avanti in maniera graduale e tacita. Ciò per una serie di motivi: 1) perché il tempo di dismissione e di reperimento delle controparti è normalmente molto lungo 2) per evitare di allarmare subito gli operatori e riuscire a piazzare le opere prima che si inneschi la spirale al ribasso sui prezzi 3) perché sul mercato dell’arte contemporanea allo stato attuale non ci sono strumenti per speculare al ribasso (non esistono derivati né è possibile vendere allo scoperto), come invece avviene sui mercati finanziari.

[23] Si avrà modo di vedere, studiando il segmento High End, che in realtà solo una piccola parte degli artisti oggi di grande successo verrà a lungo andare realmente riconosciuta da un punto di vista culturale e riuscirà a rimanere nei libri di storia dell’arte, mentre ci sarà la possibilità per altri artisti, rimasti nel dimenticatoio, di riacquisire tardivamente i meriti di cui erano stati ingiustamente privati.