Diritto

L’applicabilità all’imprenditore agricolo professionale della causa di decadenza di cui all’art. 7 della legge n. 604 del 6 agosto 1954

di Irene Marostegan

La legge n. 604 del 6 agosto 1954, recante “Modificazioni alle norme relative alle agevolazioni tributarie a favore della piccola proprietà contadina”, ha disposto particolari agevolazioni in materia fiscale[1] per gli atti inerenti alla formazione o all’arrotondamento della c.d. piccola proprietà contadina, in presenza delle condizioni e dei requisiti fissati dal legislatore.

Ai sensi dell’art. 2 della predetta legge, tali agevolazioni possono essere riconosciute all’acquirente che dedichi abitualmente la propria attività manuale alla lavorazione della terra[2].

Dal dato normativo si evince con chiarezza che i soggetti destinatari dei benefici fiscali sono, essenzialmente, coloro che rivestono lo status di coltivatore diretto[iii], in quanto il “leitmotiv” posto alla base della disciplina agevolata è da rintracciarsi proprio nella diretta ed abituale dedizione alla coltivazione dei fondi agricoli.

Nel corso degli anni, il quadro normativo ha assunto una connotazione meno lineare: la novità principale è consistita nell’introduzione della figura dell’imprenditore agricolo professionale, ad opera del d.lgs. n. 99 del 29 marzo 2004.

Il legislatore ha definito l’imprenditore agricolo professionale come colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro[iv].

Al pari delle persone fisiche, anche le società sono state ammesse a godere della qualifica di imprenditore agricolo professionale, ma solo nell’ipotesi in cui, per le società di persone, almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (con la specificazione che, per le società in accomandita, la qualifica si riferisce ai soci accomandatari) e, per le società di capitali o cooperative, almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale[v].

La normativa riconosce agli imprenditori agricoli professionali – siano essi persone fisiche o società agricole – la possibilità di fruire delle agevolazioni fiscali e creditizie previste dalla legislazione vigente a favore della piccola proprietà contadina.

Da un lato, infatti, l’art. 1, comma 4 del d.lgs. n. 99 del 29 marzo 2004 stabilisce che «All’imprenditore agricolo professionale persona fisica, se iscritto nella gestione previdenziale ed assistenziale, sono altresì riconosciute le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La perdita dei requisiti di cui al comma 1, nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di imprenditore agricolo professionale determina la decadenza dalle agevolazioni medesime».

Dall’altro, l’art. 2, comma 4 del d.lgs. n. 99 del 29 marzo 2004 estende il regime agevolato anche alle società, specificando che «Alle società agricole di cui all’articolo 1, comma 3, qualificate imprenditori agricoli professionali, sono riconosciute le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La perdita dei requisiti di cui all’articolo 1, comma 3, nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di imprenditore agricolo professionale determina la decadenza dalle agevolazioni medesime».

Con l’equiparazione ai fini fiscali delle due figure (coltivatore diretto e imprenditore agricolo professionale), per gli interpreti si è posto il problema di comprendere se all’imprenditore agricolo professionale fosse integralmente applicabile la disciplina dettata per il coltivatore diretto.

Una soluzione fondata su un’analisi ragionata e ponderata del quadro normativo di riferimento induce a ritenere applicabile all’imprenditore agricolo professionale la normativa prevista per il coltivatore diretto, con la sola eccezione di quelle disposizioni che risultino del tutto incompatibili con lo stesso.

Un aspetto, in particolare, deve essere sempre tenuto in considerazione, come linea di discrimine tra queste due figure: il requisito della diretta ed abituale coltivazione dei fondi, imposto dalla normativa fiscale, avrà chiaramente modalità differenti di estrinsecazione, in rapporto alla natura stessa delle due categorie.

Scendendo più nel dettaglio, mentre in relazione alla figura del coltivatore diretto appare dirimente una verifica in ordine alla diretta e personale coltivazione del fondo, con riferimento alla categoria dell’imprenditore agricolo professionale il requisito fondamentale è stato individuato – da giurisprudenza e prassi  – nel concetto di conduzione del fondo, ovvero nella coltivazione del fondo non solo per mezzo del lavoro proprio e della propria famiglia (come per il coltivatore diretto), ma eventualmente anche per il tramite di manodopera salariata.

Tale inquadramento risulta, peraltro, più calzante con la natura dell’attività dell’imprenditore agricolo professionale, rispetto al quale viene in rilievo l’aspetto gestionale dell’attività di coltivazione: se si può legittimamente presupporre, con riguardo all’imprenditore agricolo professionale persona fisica, che lo stesso svolga in prima persona la coltivazione dei fondi, un simile ragionamento non è applicabile tout court alle società agricole.

Chiaramente, infatti, in caso di società che goda della qualifica di imprenditore agricolo professionale, diverrà onere dalla società stessa, per il tramite della propria compagine sociale, procedere all’abituale coltivazione dei terreni, secondo il principio generale dell’immedesimazione organica.

Una conferma di tale ricostruzione si può evincere dall’art. 1, comma 3-bis del decreto n. 99 del 26 marzo 2004, dove, a chiari fini antielusivi, è specificato che la qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell’amministratore ad una sola società.

La legge, dunque, vieta che un imprenditore agricolo professionale attribuisca tale qualifica a più di una società, richiamando indirettamente il requisito primario di tutte le norme agevolative in campo agricolo, ossia la necessità dell’abituale e diretta coltivazione dei terreni acquistati con i benefici fiscali.

Una volta inquadrato l’ambito normativo di riferimento, occorre rapportare la figura dell’imprenditore agricolo professionale alla casistica decadenziale dettata dal legislatore in materia di piccola proprietà contadina.

Viene in rilievo, in proposito, l’art. 7 della legge n. 604 del 6 agosto 1954, rubricato “Decadenza dalle agevolazioni. Conseguenze”, dove si prevede la decadenza dai benefici fiscali in caso di cessazione della coltivazione del fondo da parte dell’acquirente, nei cinque anni successivi all’acquisto[vi].

Un esempio può agevolare la presente trattazione.

Si consideri la società Alfa, in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, la quale il 18 dicembre 2012 acquistava due terreni (denominati X e Y), richiedendo le agevolazioni fiscali previste per la piccola proprietà contadina. In data 30 novembre 2013 la società Alfa, che nel frattempo aveva condotto direttamente tali terreni per il tramite della propria compagine sociale, affittava il fondo X ad un soggetto terzo, il Sig. Gamma.

Come si è avuto modo di illustrare in precedenza, l’intero impianto normativo relativo alle agevolazioni fiscali nel comparto agricoltura è focalizzato su un requisito primigenio ed imprescindibile: la dedizione abituale alla conduzione diretta dei terreni.

Sul punto, sono state effettuate già alcune precisazioni, relative soprattutto al principio di immedesimazione organica vigente in campo societario.

Alla luce delle predette considerazioni, è da ritenere che se una società, in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, richiede l’agevolazione della piccola proprietà contadina e poi concede in affitto gli stessi terreni ad un soggetto terzo, incorra ex lege nella decadenza dai benefici fiscali, integrando l’ipotesi (codificata a livello normativo) di cessazione della conduzione dei terreni nei cinque anni successivi all’acquisto.

La concessione in affitto ad un altro soggetto dei terreni acquistati con le agevolazioni della piccola proprietà contadina deve essere considerata, infatti, una tipica ipotesi di cessazione della coltivazione/conduzione diretta, richiesta specificatamente dalla normativa di settore, in quanto tale determinante la decadenza dai benefici fiscali.

E’ immediatamente evincibile la ratio sottesa a tale considerazione, in quanto, a seguito della stipula di un contratto di affitto, l’originario acquirente perde la disponibilità materiale dei terreni acquistati in via agevolata.

Nell’esempio prima riportato, la società Alfa dovrà, pertanto, ritenersi decaduta dalle agevolazioni fiscali limitatamente al fondo X, oggetto del contratto d’affitto, per venir meno del requisito della conduzione diretta del fondo nel quinquennio dall’acquisto.

La ricostruzione sopra indicata, orientata ad estendere all’imprenditore agricolo professionale le ipotesi decadenziali dettate in tema di piccola proprietà contadina, trova un ulteriore supporto nell’interpretazione logico-sistematica dell’intera normativa di dettaglio.

Ampliando il focus sulle disposizioni dettate per il settore agricolo, viene in rilievo il d.lgs. n. 228 del 18 maggio 2001, il quale, all’art. 11, comma 3 dispone: «Non incorre nella decadenza dei benefici l’acquirente che, durante il periodo vincolativo di cui ai commi 1 e 2, ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l’attività di imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile [omissis]».

Il tenore di tale disposizione risulta immediatamente comprensibile, avuto riguardo alla connotazione dell’attività propria di un coltivatore diretto, il quale esercita la conduzione dei terreni mediante il lavoro proprio e della sua famiglia: quindi, sembra condivisibile che l’alienazione del fondo o la concessione in godimento dello stesso a favore dei familiari indicati nella norma non integri un’ipotesi di decadenza dalle agevolazioni fiscali.

Ora, partendo da tale assunto, il fatto che il legislatore abbia previsto una specifica causa di esclusione dalla decadenza, solo e soltanto nel caso in cui l’alienazione o la concessione in godimento sia rivolta a favore del coniuge dell’acquirente o dei parenti stretti, lascia intendere che ogni altra cessione del bene costituisca, viceversa, un’ipotesi di decadenza, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 604 del 6 agosto 1954.

Come è noto, le norme attributive di agevolazioni fiscali sono, per definizione, di stretta interpretazione e non suscettibili di applicazione analogica.

Infatti, solo al legislatore è riservata la tipizzazione delle fattispecie agevolative, le quali, nel rispetto del principio della riserva di legge ex art. 23 Cost., devono essere stabilite con atti normativi aventi la medesima efficacia di quelli che disciplinano il presupposto d’imposta, con divieto di estensione analogica. Del resto, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al Codice Civile, l’analogia non è ammessa per le leggi che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi e «in diritto tributario la giurisprudenza considera eccezionali le disposizioni che contengono norme di favore»[vii]. Il divieto di analogia, pertanto, «vale anche per le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni, le quali si pongono come norme di deroga rispetto alle norme impositrici»[viii].

Conseguentemente, tornando al tema della presente trattazione, la tipizzazione di un’unica ipotesi di esclusione dall’operatività della decadenza determina, implicitamente, che ogni casistica non riconducibile alla stessa debba essere qualificata alla luce della normativa di riferimento, con riconduzione al dettato dell’art. 7 della legge n. 604 del 6 agosto 1954.

Sul punto ha avuto modo di esprimersi anche la giurisprudenza di legittimità: infatti, la Suprema Corte ha ribadito che l’art. 7, comma 1 della legge n. 604 del 6 agosto 1954, laddove prevede la decadenza dalle agevolazioni fiscali relative all’acquisto della piccola proprietà contadina nell’ipotesi di avvenuta alienazione del fondo prima del decorso del termine fissato dal legislatore, non ammette eccezioni soggettive o di altro genere, al di fuori di quelle esplicitamente previste dalla legge stessa[ix].


[1] Costituite dall’applicazione dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria in misura fissa, anziché proporzionale, e dall’esenzione dall’imposta di bollo.
[2] L’art. 2 della legge n. 604 del 6 agosto 1954, rubricato “Requisiti per l’applicazione delle agevolazioni tributarie”, recita testualmente: «Le agevolazioni tributarie previste dall’art. 1 sono applicabili quando:1) l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta sia persona che dedica abitualmente la propria attività manuale alla lavorazione della terra;2) il fondo venduto, permutato o concesso in enfiteuti sia idoneo alla formazione o l’arrotondamento della piccola proprietà contadina e, in ogni caso, in aggiunta a eventuali altri fondi posseduti a titolo di proprietà od enfiteusi dall’acquirente o comunque dagli appartenenti al suo nucleo familiare, non ecceda di oltre un decimo la superficie corrispondente alla capacità lavorativa dei membri contadini del nucleo familiare stesso;3) l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta nel biennio precedente all’atto di acquisto o della concessione in enfiteusi non abbia venduto altri fondi rustici oppure abbia venduto appezzamenti di terreno la cui superficie complessiva non sia superiore ad un ettaro con una tolleranza del 10 per cento salvo casi particolari da esaminarsi dall’ispettore provinciale dell’agricoltura in modo da favorire soprattutto la formazione di organiche aziende agricole familiari».
[iii] L’art. 31 della legge n. 590 del 26 maggio 1965, recante “Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice” definisce i coltivatori diretti come coloro che «direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame».
[iv]  Si veda in proposito l’art. 1 del citato d.lgs. n. 99 del 29 marzo 2004.
[v]  Si veda l’art. 1, comma 3 del citato d.lgs. n. 99 del 29 marzo 2004.

[vi]  L’art. 7, comma 1, della legge n. 604 del 6 agosto 1954 dispone testualmente: « Decade dalle agevolazioni tributarie l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta il quale, prima che siano trascorsi cinque anni dagli acquisti fatti a norma della presente legge, aliena volontariamente il fondo o i diritti parziali su di esso acquistati, ovvero cessa dal coltivarlo direttamente».
[vii] Così Tesauro F. (2011), Istituzioni di diritto tributario. 1- Parte Generale, Torino, UTET Giuridica, p. 58.
[viii] Si veda ancora Tesauro F., cit., p. 60.
[ix] Si veda in merito Corte di Cassazione, sentenza n. 13219 del 26 ottobre 2001; in senso conforme, Corte di Cassazione, sentenza n. 1226 del 29 gennaio 2001.
Sul divieto di analogia delle norme di esenzione ed agevolazione fiscale, indipendentemente dal tipo di tributo, la giurisprudenza della Suprema Corte è costante: ex multis si veda Corte di Cassazione, Sezione 1^, sentenza n. 1350 del 14 dicembre 1991; id. Sezione 5^, n. 26106 del 30 novembre 2005; id. Sezione 5^, n. 6542 del 18 marzo 2009; id. Sezione 5^, n. 6925 del 25 marzo 2011; id. Sezione 5^, n. 22279 del 26 ottobre 2011.