Diritto

L’ostacolo alle funzioni di vigilanza

(di Federico Tosone)

Il D. Lvo. 11.4.2002 n. 61, contenente la riforma dei reati societari di cui al Titolo XI del Libro V del Codice Civile (artt. 2621 e ss. c.c.), ha offerto al nostro ordinamento giuridico una risposta legislativa di carattere sistematico e generale – con l’ambiziosa propensione di armonizzare e coordinare in un’unitaria disciplina l’eccessiva frammentarietà del contesto normativo previgente -.

Tra le norme introdotte con la suddetta novella spicca il disposto dell’art. 2638 c.c. in tema di “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”, avendo il legislatore predisposto una fattispecie penale onnicomprensiva cui ricondurre le molteplici previsioni già contenute in diverse leggi speciali di settore alla tutela delle attività delle Autorità di Vigilanza.

Eccezion fatta per la disposizione contenuta nel T.U.F. all’art. 170 bis – quale norma residuale – che, all’infuori dai casi di cui all’art. 2638 c.c., sanziona l’ostacolo alle funzioni di vigilanza attribuite ex lege al solo Istituto “Consob” con la reclusione fino a due anni e la multa da Euro 10.000,00 ad Euro 200.000,00.

In particolare, la norma in commento (art. 2638 c.c.) prevede due distinte fattispecie di reato proprio – ordinariamente configurabili ad opera di amministratori, direttori generali, dirigenti, sindaci o liquidatori di società – entrambe punite con la reclusione da uno a quattro anni.

La prima figura delittuosa, di cui al comma primo, punisce – in via alternativa tra loro – sia la comunicazione alle Autorità di Vigilanza sia l’occultamento con mezzi fraudolenti di fatti materiali non rispondenti al vero sulla reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria, delle società sottoposte a controllo – al precipuo scopo di ostacolare l’esercizio delle attività affidate alle medesime Istituzioni di diritto pubblico -.

Quest’ultima locuzione non lascia spazio a dubbi sulla natura dell’elemento soggettivo richiesto ai fini della configurazione del reato che qui ci occupa – identificato nello specifico scopo in capo al soggetto agente di ostacolare le funzioni istituzionalmente affidate alle Autorità di Vigilanza insediate in Italia (c.d. dolo specifico) -.

La seconda fattispecie delittuosa prevista dalla norma in commento e disciplinata al secondo comma dell’art. 2638 c.c., contempla un tipico reato di danno e/o di evento, richiedendo la causazione“in qualsiasi forma” di un effettivo ostacolo alle attività in concreto demandate alle medesime Autorità di Vigilanza.

In quest’ultimo caso, la condotta materiale richiede invece la copertura soggettiva del mero dolo generico – ancorché l’uso dell’avverbio “consapevolmente” faccia propendere per l’esclusione della sua forma più lieve, ovvero, quella del dolo eventuale -.

Rispetto ai numerosi procedimenti penali – ove i Giudici di merito e legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sull’applicabilità dell’art. 2638 c.c. – emerge il celeberrimo leading case del tentativo di “scalata” all’Istituto Bancario BNL ad opera dei soggetti apicali all’epoca in forza al Gruppo Unipol.

Com’è noto, l’Autorità Giudiziaria di Milano è stata chiamata a pronunciarsi sulla configurazione di una vasta sequela di fattispecie di reato tra loro connesse (manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F., ostacolo alle funzioni di vigilanza ex art. 2638 c.c. ed abuso d’informazioni privilegiate ex art. 184 T.U.F.), in occasione di un presunto accordo segreto intervenuto nel mese di maggio 2005 tra i vertici di Unipol ed un gruppo di azionisti di minoranza di BNL – quest’ultimi si sarebbero impegnati a non aderire all’OPS (offerta pubblica di scambio) di azioni BNL lanciata dal Banco di Bilbao – per ottenere il controllo societario del medesimo Istituto bancario senza dover sottostare alla regole dell’OPA (offerta pubblica d’acquisto) – obbligatoria nell’ipotesi di assunzione di una quota superiore al 30% del capitale sociale di BNL stessa -.

Se nel corso del tortuoso iter giudiziario si è assistito a continui capovolgimenti interpretativi sulla configurazione della diversa ipotesi di aggiotaggio ex art. 185 T.U.F., diametralmente opposto è stato l’esito per l’imputazione di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità di Vigilanza ex art. 2638 c.c. sempre confermata in tutti i gradi di giudizio in capo ai soggetti apicali aventi poteri direttivi in seno al Gruppo Unipol – sino al vaglio di legittimità avanti la Suprema Corte di Cassazione -.

Infatti, il Tribunale di Milano, già con sentenza del 31 ottobre 2011, aveva ritenuto sussistente l’ipotesi di reato in commento, rilevando la realizzazione di un concreto ostacolo alle funzioni di vigilanza devolute ex lege alla Consob – attraverso la risposta dei vertici di Unipol alle richieste di chiarimenti ricevute dall’Autorità di Vigilanza in data 23 maggio 2005 – ove gli imputati avrebbero, negato l’esistenza di un interesse concreto al controllo di BNL stante la finalizzazione dell’acquisto del nuovo pacchetto azionario alla sola tutela dell’investimento già realizzato ad opera del medesimo Gruppo Assicurativo.

Tale linea argomentativa veniva definitivamente confermata, successivamente al giudizio avanti la Corte d’Appello di Milano, dalla motivazione alla sentenza della Suprema Corte di cassazione del 6 dicembre 2012 – tale da offrire all’operatore un’analisi approfondita, benché non immune da vizi interpretativi, sulla nozione normativa di “ostacolo in qualsiasi forma alle funzioni di vigilanza”.

Nell’occasione, i giudici di legittimità si sono spinti a statuire che la responsabilità per il reato di cui all’art. 2638, comma secondo, c.c., dovesse prevalentemente rilevarsi nella mendace e/o omessa comunicazione di una finalità d’acquisto di azioni BNL diversa da quella reale, ovvero, coincidente con il controllo dell’Istituto Bancario ad opera del Gruppo Assicurativo Unipol.

Così stando le cose, l’elemento oggettivo del reato in commento potrebbe addirittura sottendere – in maniera eccessivamente estensiva – la realizzazione di ogni mezzo o forma comunque idonea a ridurre l’effetto o ritardare il compimento delle attività di controllo demandate alle Autorità pubbliche di Vigilanza.

Quest’ultimo orientamento appare ormai consolidato nei più recenti orientamenti giurisprudenziali che, tuttavia, non hanno prestato la dovuta attenzione sul tema dell’eventuale irrilevanza penale del silenzio mantenuto dai soggetti apicali di società sulle reali intenzioni inerenti ad una determinata operazione finanziaria.

Di talché è evidente che l’anticipazione della tutela del bene giuridico sotteso all’art. 2638 c.c. e protetto dall’applicazione di quest’ultima norma – qual è il regolare svolgimento delle funzioni di vigilanza rispetto al corretto funzionamento dei mercati finanziari – possa porsi in stridente contrasto con i principi di offensività e sussidiarietà che ad oggi governano i principi sostanziali del diritto penale moderno.

Si auspica, pertanto, che – come correttamente affermato da una più attenta giurisprudenza di legittimità con la pronuncia n. 40164 del 2010 – nelle Aule di Giustzia si giunga alla repressione della sola condotta di occultamento alle Autorità pubbliche di Vigilanza di fatti che siano rilevanti per la situazione economica, patrimoniale o finanziaria, delle società sottoposte a controllo, e, vieppiù, allorquando detto nascondimento sia quantomeno realizzato con mezzi fraudolenti e non si risolva nel mero silenzio serbato dai soggetti attivi del reato su fatti secondari e/o accessori alle circostanze medesime.