Diritto Diritto bancario

Le nuove regole sull’anatocismo bancario (CICR, Delibera 3 Agosto 2016, n. 343)

Di Maria Giovanna Bloise

Premessa
Il 3 agosto 2016 sono entrate in vigore le nuove regole sull’anatocismo bancario, concernenti finanziamenti, mutui, scoperti e aperture di credito. La delibera è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 10 settembre 2016 n. 212. Specificamente, il Ministero dell’Economia (col D.M. 343/16), attuando l’art. 120 TUB come modificato dall’art. 25 del D.lgs. 342/99, dispone nuove direttive in materia di anatocismo bancario, sui contratti con gli istituti di credito, alle quali le banche devono necessariamente adeguarsi. Il suddetto articolo, nella sua nuova formulazione, attribuisce al CICR il potere di modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria.
In sostanza, cambiano conteggio ed esigibilità degli interessi debitori e di mora sui contratti con le banche, che verranno separati dal capitale.

Anatocismo e anatocismo bancario
Quando si verifica l’anatocismo? Quando il saggio di interessi viene applicato al capitale con gli interessi già maturati in precedenza e non soltanto al capitale. In siffatto modo si producono interessi su interessi e si finisce per raggiungere soglie elevatissime. I tassi anatocistici sono consentiti in tre casi: quando consentiti dagli usi e dalle consuetudini; a partire dalla domanda giudiziale; se sussiste un accordo posteriore alla scadenza degli interessi sui quali vanno calcolati altri interessi (art. 1283 c.c.). Il divieto di anatocismo (bancario e non) è, quindi, previsto e disciplinato dall’art. 1283 del Codice Civile. L’art. 1825 c.c., tuttavia, statuisce che “sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi o, in mancanza, in quella legale”.
Sia la dottrina sia la giurisprudenza concordano nel qualificare come corrispettiva la natura di detti interessi (tra gli altri si veda, in tal senso, SCOZZAFAVA – GRISI, Il conto corrente, Torino, 1985, pagg. 772 e 794; Cass. Civ. 26 ottobre 1976, sent. n. 3807), la cui misura è regolata dalla norma generale dettata dall’art. 1284 c.c.; per la giurisprudenza di merito, invece, la loro misura sarebbe prevista dall’articolo 1823 c.c. e gli stessi sarebbero dovuti nella stessa misura di quelli spettanti sulle rimesse (Tribunale di Trento, sent. 5 aprile 1963).
Giova specificare, inoltre, che gli interessi sulle rimesse vengono ad essere capitalizzati ad ogni scadenza del conto.
È ben noto, però, che le banche applicano gli interessi di cui sopra ogni tre mesi (gravando subito, e non a fine anno, sul correntista) e, pertanto, si parla di anatocismo bancario o capitalizzazione trimestrale degli interessi. Quando parliamo di anatocismo bancario, dunque, ci riferiamo alla capitalizzazione di interessi resi produttivi su di un certo capitale. Tali interessi possono essere anche scaduti o non pagati e vengono definiti dalle banche “interessi composti”.
Nonostante il divieto posto dal Legislatore, sia la Suprema Corte di Cassazione sia il decreto n. 342/1999 (insieme con la dottrina previgente) hanno tentato di salvaguardare le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina. La norma transitoria relativa al suesposto decreto è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza del 17 ottobre 2000, n. 425. Anche il supremo Collegio, con sentenza del 4 novembre 2004 n.21095, afferma l’illegittimità degli addebiti bancari per anatocismo (anche del passato), in quanto le clausole di capitalizzazione trimestrale, di cui sopra e precedenti al 1999, non sono mai state rispondenti ad un uso normativo ma solo negoziale e, dunque, in contrasto con il principio di diritto previsto dall’art. 1283 c.c.
Ed infatti, più di recente, la Cassazione (Cass. civ., sent. n. 9127/2015) ha ritenuto illegittime la capitalizzazione trimestrale e quella annuale degli interessi a prescindere dall’arco temporale in cui viene effettuate detta capitalizzazione. L’art. 1175 c.c., inoltre, predica la correttezza di entrambe le parti nell’esecuzione del rapporto obbligatorio.
La buona fede impone al debitore prestazioni e doveri di protezione ulteriori sia nell’interesse di terzi sia nel senso di coinvolgere il creditore, alla luce del fascio di obbligazioni connaturato, alla complessità del rapporto obbligatorio.
In pratica, fa sì che sia vietato al creditore di abusare del suo diritto e lo obbliga ad attivarsi al fine di evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell’inadempimento (BIANCA, Diritto civile, vol. IV, Milano, 1994, pag. 87; si veda anche Trib. Bologna, 21 luglio 1970, in Riv. dir. comm., 1971, II, pag. 277) e, nello stesso tempo, impone al debitore di adempiere alla prestazione dedotta nel titolo e tenta di salvaguardare gli interessi del creditore (non tutelati specificatamente dal rapporto obbligatorio).
Ad oggi, pertanto, la prescrizione dell’azione di ripetizione (che è di dieci anni) comincia a decorrere:
dalla data di versamento con natura solutoria;
dalla data di chiusura del conto (quando non siano effettuati versamenti o quando il versamento abbia natura ripristinatoria dell’affido utilizzabile).

Il conto corrente bancario e la principale differenza col conto corrente ordinario
Il conto corrente bancario è il principale strumento negoziale col quale gli istituti bancari si assumono l’obbligo di svolgere un servizio di cassa per conto del cliente (a fronte della presenza di una disponibilità di denaro, da parte del cliente stesso, presso la banca).
Le principali norme che sanciscono il rapporto bancario di conto corrente sono gli artt. 1823-1860 c.c.; il D.lgs. n. 196/2003 sulla protezione dei dati personali; la legge c.d. “antiriciclaggio” n. 197/1991; la legge n. 386/1990 (sanzioni in tema di assegni bancari).
Il rapporto bancario di “conto corrente” è il contratto col quale le parti (cliente e banca) si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto (art. 1823 c.c.). La chiusura del conto è fatta nei termini stabiliti o, in mancanza, ogni sei mesi. Prima della chiusura, però, il correntista invia all’altro un estratto conto. Questo s’intende tacitamente approvato se non è contestato nel termine stabilito o in quello da considerarsi congruo (secondo le circostanze). È, tuttavia, possibile impugnarlo entro sei mesi dalla ricezione sia per errori di scritturazione o di calcolo sia per omissioni. Il suddetto contratto dev’essere redatto in forma scritta, a pena di nullità (che può essere eccepita dal cliente). Ancora, ai sensi dell’art. 1824 c.c. “sono esclusi dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione. Qualora il contratto intervenga tra imprenditori, s’intendono esclusi dal conto i crediti estranei alle rispettive imprese”.
In dottrina, con riferimento alla finalità del conto corrente ordinario, si registrano tre principali teorie. La prima tesi (FIORENTINO, Il conto corrente, in Tratt. Di Dir. Civ.,Torino, 1957 pagg. 22 e ss.; CARNELUTTI, Note sulla funzione del conto corrente in Studi di dir. Comm, 1917, pagg. 22 e ss.) sostiene che il conto corrente ordinario consiste nella concessione reciproca di credito. Altra parte della dottrina, invece, lo reputa una sorta di liquidazione per compensazione (MARTORANO, Conto corrente in Enc. Dir., IX, Milano, 1951, pag.69). Per altra teoria dottrinale (FERRO LUZZI, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: l’anatocismo bancario, postulanti e conseguenze, in Giur. Comm., I, 2001, pag. 3299), la funzione del conto corrente ordinario sarebbe quella di rappresentare un mezzo di pagamento (principale funzione della moneta).
Nel conto corrente bancario, a differenza di quello ordinario, opera il principio della costante disponibilità ed esigibilità del saldo, in quanto il correntista può disporre in ogni momento delle somme risultanti a suo credito (fatta salva l’osservanza di un termine di preavviso eventualmente pattuito).

Le direttive che disciplinano l’anatocismo bancario confermate dalla regolamentazione approvata dal CICR il 3/8/2016.
Le nuove regole sull’anatocismo bancario riguardano essenzialmente:
Gli interessi debitori e di mora;
La contabilizzazione e l’esigibilità.
Un elenco assai esiguo che esamineremo nei paragrafi successivi.

Le nuove regole sugli interessi debitori e di mora
L’art. 2 del DM in questione vieta, in sostanza, ogni sorta di anatocismo bancario. In pratica, gli interessi debitori non possono produrre altri interessi, eccetto quelli di mora. Gli interessi di mora decorrono dall’inadempienza del risparmiatore ovvero, trattandosi di interessi su interessi, si produce l’anatocismo (la nuova normativa non chiarisce la questione, determinando una sorta di vuoto legislativo).
L’articolo 3, invece, pone dei paletti, statuendo che nei rapporti di conto corrente o conto a pagamento è assicurata la stessa periodicità (non inferiore ad un anno) nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Pertanto, gli interessi devono essere annuali ed il conteggio viene effettuato il 31 dicembre.
Sussiste l’obbligo di informare il cliente almeno 30 giorni prima e lo stesso può autorizzare anche preventivamente l’addebito degli interessi sul conto, nel momento in cui divengono esigibili. Tale autorizzazione è revocabile in qualsiasi momento.

Le nuove regole su contabilizzazione ed esigibilità
Le novità rilevanti in materia di contabilità ed esigibilità sono le seguenti:
gli interessi debitori e creditori devono avere la stessa periodicità, mai inferiore a un anno;
gli interessi vanno conteggiati entro il 31 dicembre di ogni anno o entro il termine del rapporto per cui sono dovuti se questo termine è fissato durante l’anno;
gli interessi debitori non devono essere conteggiati separatamente dal capitale (per quanto riguarda le aperture di credito regolate in conto corrente o conto di pagamento e per gli sconfinamenti rispetto al fido accordato o su conti non affidati);
gli interessi maturati diventano esigibili il 1 marzo dell’anno successivo da parte del creditore (e il debitore è tenuto a pagarli);
in caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili.
La regola di cui al punto sub 1 vale anche per i contratti iniziati in corso d’anno; gli interessi debitori non devono essere conteggiati separatamente dal capitale, per quanto riguarda le aperture di credito regolate in conto corrente o conto di pagamento e per gli sconfinamenti rispetto al fido accordato o su conti non affidati. In questo modo gli interessi continueranno ad essere calcolati sul capitale e non sull’insieme di capitale e vecchi interessi.
Nel caso relativo al punto n.5, il cliente può autorizzare l’addebito sul conto e la somma addebitata è considerata sorte capitale. L’autorizzazione, come già detto, può essere revocata in ogni momento. Sui contratti in corso dopo l’entrata in vigore delle nuove regole, l’autorizzazione deve essere chiesta al cliente; gli interessi debitori non pagati possono diventare interessi moratori. La banca ed il cliente possono, però, accordare all’inizio del rapporto, e quindi alla firma del contratto, che i fondi accreditati sul conto vengano automaticamente utilizzati per estinguere il debito.

Conclusioni
Si segnala che le norme in commento sono volte a tutelare i clienti nei contratti bancari con gli intermediari e che le stesse vanno considerate quali clausole generali poste a garantire la tutela di cui sopra. Ed inoltre, le previsioni contenute nella delibera CICR sono derogabili solo e soltanto a condizioni più favorevoli per i clienti stessi (così come disposto dall’art. 127, co. I, T.U.B.).

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