L’interpello disapplicativo è una facoltà del contribuente
(di Marco Cardillo)
La Cassazione Civile, Sez. VI – 5 – con la sentenza n. 16183 del 15/07/2014 ha ribadito il principio secondo cui la procedura di interpello ex art. 37 bis, comma 8 del D.P.R. n. 600 del 1973 costituisce per il contribuente la facoltà di conseguire una certezza nei rapporti con l’Amministrazione Finanziaria, in caso di risposta positiva di quest’ultima.
La materia del contendere verteva sul fatto che l’Amministrazione Finanziaria non aveva riconosciuto un rimborso di un credito IVA ad una società considerata “non operativa”: riteneva infatti essenziale, per il rimborso del credito IVA o della sua eventuale compensazione tramite modello F24, la presentazione dell’istanza di interpello da parte della società “non operativa”, in quanto le società e gli enti non operativi possono solo riportare il credito all’anno successivo.
La Suprema Corte di Cassazione ha espresso, invece, il principio di diritto che al contribuente è sempre consentito di fornire in giudizio la prova delle condizioni che consentono di superare la presunzione posta dalla legge a suo danno, come anche precisato dalla sentenza n. 17010 del 05/10/2012. Si è precisato così che a carico del contribuente non è previsto nessun obbligo di presentazione dell’interpello per il superamento della presunzione delle disposizioni anti-elusive.
Nel caso di specie, il contribuente ha così potuto fornire argomentazioni utili a vincere le presunzioni di legge in giudizio, vedendosi riconoscere il diritto al rimborso del credito IVA.
Risulta opportuno sottolineare che parte della giurisprudenza (1) considera impugnabile il diniego di disapplicazione della normativa sulle società di comodo,, ai sensi dell’art. 19, comma 1 lettera h) del D.Lgs. n. 546/1992, in quanto qualificabile come diniego di agevolazione fiscale.
Pertanto sarebbe demandato al giudice tributario la valutazione di legittimità dell’atto e di conseguenza quest’ultimo dovrebbe entrare nel merito della domanda di disapplicazione e rilevare la sussistenza dei presupposti per la disapplicazione della normativa anti-elusiva. Quindi secondo questa interpretazione giurisprudenziale l’impugnazione del diniego di disapplicazione dovrebbe avvenire nei termini di legge previsti; nel caso in cui non fosse proposto il ricorso nei termini, il contribuente non potrà contestare in un momento successivo l’atto di diniego.