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sospensione

(di Debora Mirarchi)

Premessa

Il cammino verso il riconoscimento della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado è stato lento ma, finalmente, sembrerebbe essersi concluso.

È, infatti, in fase di attuazione da parte del Governo, la legge delega per la riforma fiscale che prevede la sospensione dell’esecutorietà della sentenza di secondo esame in pendenza di ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. In particolare, per la sospensione de qua è prevista la possibilità di rivolgersi allo stesso giudice tributario che ha emesso la sentenza impugnata il quale, preso atto della proposizione del ricorso per cassazione, può disporre la sospensione dell’atto impugnato, previa valutazione della sussistenza dei presupposti ex lege quali il c.d. fumus boni iuris e il periculum in mora.

Ma, per arrivare a questo importante risultato ci sono voluti anni e numerosi sforzi della giurisprudenza che facendo ricorso allo strumento interpretativo, ha colmato un vuoto legislativo affermando l’applicabilità della tutela cautelare anche in ambito tributario.

In attesa di vedere cosa succederà effettivamente, è interessante ripercorrere le principali tappe che hanno consentito questo importante approdo.

La posizione della Corte Costituzionale

Il primo passo in tal senso è stato compiuto dalla Corte Costituzionale che con la sentenza del 17 giugno 2010, n. 217 si è pronunciata sull’interpretazione dell’art. 49, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e, in particolare, sull’applicabilità, al processo tributario, degli artt. 373 e 283 c.p.c.

La Consulta ha proposto una lettura costituzionalmente orientata della norma de qua, chiarendo che l’inapplicabilità ex art. 337 c.p.c. della sospensione della sentenza per effetto dell’impugnazione (regola generale) “non comporta necessariamente l’inapplicabilità al processo tributario anche delle […] «eccezioni» alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope legis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione”.

Questo, in sostanza, il ragionamento sotteso alla finalmente riconosciuta applicabilità dell’istituto della sospensione alla sentenza di secondae curae.

L’art. 49, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 stabilisce che “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.

Nel suddetto libro II, titolo III, capo I del codice di procedura civile è contenuta la disciplina generale applicabile alle impugnazioni, mentre nel richiamato art. 337 c.p.c. è disciplinato l’istituto della sospensione delle sentenze.

In particolare, l’art. 337 c.p.c. prevede che “l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407”.

In altri termini, l’art. 337 c.p.c., se da una parte dispone, in via generale, l’immediata esecutività delle sentenze, dall’altra, rinviando ad altri articoli del medesimo codice che sanciscono la facoltà di sospendere l’efficacia della sentenza di primo grado (art. 283 c.p.c.) e della sentenza di appello (art. 373 c.p.c.), introduce eccezioni alla predetta regola generale.

Secondo gli Ermellini, dunque, l’inapplicabilità dell’art. 337 c.p.c., così come disposta dall’art. 49, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riguarda esclusivamente la regola generale contenuta nella prima parte del primo comma dell’art. 337 c.p.c., ma non le eccezioni contenute nell’art. 283 c.p.c. con riferimento alla sospensione delle sentenze di primo grado e nell’art. 373 c.p.c. relativamente alle pronunce rese in appello.

Ciò significa che la sospensione dell’esecutività della sentenza di secondo grado, prevista dall’art. 373 c.p.c. (norma di carattere eccezionale), trova applicazione anche nel processo tributario.

Segnato il solco, la Corte Costituzionale ha, in seguito, ribadito il proprio orientamento con successivi pronunciamenti avallando la necessità di una misura cautelare nei confronti del decisum di secondo grado in attesa di una definitiva pronuncia del giudice di legittimità[1].

… e quella della Corte di Cassazione

Non senza difficoltà la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado è stata pacificamente riconosciuta anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che, superata qualche battuta di arresto[2], conformandosi ai principi statuiti dalla pronuncia della Corte Costituzionale, ha sancito che anche in materia tributaria si rende applicabile l’art. 373 c.p.c. e, pertanto in caso di “ricorso in cassazione avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale si applica la disposizione di cui all’art. 373, primo comma, secondo periodo, c.p.c.[3]. In particolare, la Corte di Cassazione ha voluto puntualizzare come la sospensione de qua sia subordinata a un attento esame, forse più rigoroso, dei presupposti di legge.

La giurisprudenza di merito

Non può tuttavia sottacersi che un ruolo di indubbia rilevanza nel riconoscimento della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza deve riconoscersi alla giurisprudenza di merito. Negli ultimi anni, infatti, nonostante gli oscillanti orientamenti della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, i giudici delle Commissioni tributarie hanno manifestato un convincimento chiaro. In più occasioni la giurisprudenza di merito “deve ritenersi in generale possibile la sospensione dell’efficacia esecutiva delle sentenze tributarie di primo e secondo grado, purché ne ricorrano i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora) cosi come indicati rispettivamente dall’art. 283 c.p.c. e dall’art. 373 c.p.c.[4].

L’applicabilità della sospensione in parola è stata anche affermata dalla Commissione tributaria centrale, sez. Milano, n. 620/2013, che, facendo tesoro dei principi sanciti dalla giurisprudenza precedente ormai univoca sul punto, ha affermato che “l’art. 49, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 è norma processuale per la quale deve ritenersi efficace il principio secondo cui lo jus superveniens è immediatamente applicabile. E di tale principio deve farsi applicazione anche nelle ipotesi di pronunce della Commissione Tributaria Centrale (…) giudice di merito di terza istanza”.

Note

[1] Corte Cost., 13 febbraio 2014 n. 25 e, conformemente, Corte Cost.,11 luglio 2012, n. 181.

[2]Nel processo tributario è esclusa ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 49 e 68, senza che ciò determini un’ingiustificata lesione del diritto di difesa, in quanto la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa….solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, ritenendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario, la respinga, negando in tal modo a cognizione piena la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell’inibitoria” (così Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21121).

[3] Cass., 24 febbraio 2012, n. 2845.

[4] Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XLVI, 31 maggio 2012, n. 27; Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXII, 8 marzo 2013, n. 9; Comm. trib. reg. Lombardia, sez. VI, 24 maggio 2011, n. 8; Comm. trib. reg. Lazio, sez. I, 24 gennaio 2012, n. 7; Comm. trib. reg. Lazio, sez. I, 1 febbraio 2011, n. 7; Comm. trib. reg. Lazio, sez. XIV, 6 luglio 2011, n. 24; Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XLVI, 18 gennaio 2011, n. 2; Comm. trib. reg. Emilia-Romagna, sez. I, 26 gennaio 2012, n. 23; Comm. trib. reg. Lazio, sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 3.

(di Debora Mirarchi)

La riforma della fase della riscossione del debito tributario è stata uno degli obiettivi degli ultimi esecutivi.

Complice il periodo di forte contrazione economica da più fronti e da diverso tempo si sono susseguite incessanti richieste a favore di una sistematica ridisegnazione e dei poteri e delle competenze affidate all’ente di riscossione anche attraverso la predisposizione di nuovi strumenti di dialogo con il contribuente e canali sempre più rapidi e accessibili per lo scambio di informazioni.

In tale ottica è stato messo un freno all’odiato quanto frequente fenomeno delle “cartelle pazze” attraverso una rivisitazione della procedura di sospensione dei ruoli e l’ampliamento del numero di ipotesi in cui essa può trovare applicazione.

Diverso è, invece, l’obiettivo che ha animato gli altri interventi di riforma.

Ci si riferisce al c.d. “condono” delle cartelle esattoriali, prorogato in extremis allo scorso 31 marzo 2014, con cui i contribuenti, destinatari di una cartella di pagamento, hanno potuto “regolarizzare” la propria posizione debitoria pagando, in una unica soluzione, gli importi iscritti a ruolo con uno sconto sugli interessi di mora (pari al 5,22% su base annua) e sugli interessi da ritardata iscrizione a ruolo che, per espresso rinvio dell’art. 30 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 602 al Decreto del Ministero delle Finanze sono fissi nella misura del 3,5% per gli anni 2010-2014.

Come tutte le sanatorie anche la definizione agevolata delle cartelle ha risposto a specifiche esigenze di cassa.

Sicuramente più apprezzabile, perché rivolta a determinate categorie di soggetti che versano in situazioni di difficoltà, è la previsione della impignorabilità della prima casa e della possibilità di pagare i debiti fiscali attraverso un piano di rateazione più lungo.

 

1. Sospensione “automatica” delle cartelle di pagamento

La Legge 24 dicembre 2012, n. 228, c.d. Legge Stabilità 2013, ha introdotto e disciplinato la nuova sospensione automatica della riscossione di importi iscritti a ruolo dall’ente impositore ma, in realtà, non dovuti.

Nei casi in cui il credito vantato dall’Erario sia stato interessato da un provvedimento di sospensione giudiziale o amministrativa o da una sentenza di annullamento parziale o totale, da un provvedimento di sgravio o, ancora, sia intervenuta una causa di prescrizione o decadenza antecedente alla formazione del ruolo, la riscossione può essere temporaneamente sospesa con la semplice presentazione di un apposito modello.

Presentata la dichiarazione con la relativa documentazione a supporto, ai sensi dell’art. 1, comma 537, della Legge Stabilità 2013, “gli enti e le società incaricate per la riscossione dei tributi […] sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle some iscritte a ruolo”.

La nuova sospensione ha, da subito, riscosso grande entusiasmo merito anche dell’ampio spazio riservato da quotidiani, riviste specializzate e di settore che, nel commentare la novità in parola, hanno sottolineato, in particolare, la possibilità per il contribuente di sospendere la fase della riscossione con un semplice click.

E, in effetti, la portata innovativa della norma de qua è innegabile soprattutto se confrontata con l’ormai “vecchia” sospensione di cui alla Direttiva n. 10/2010, rispetto alla quale contempla una casistica più ampia.

La nuova procedura cautelare può, infatti, trovare applicazione in tutte le ipotesi già previste dalla vecchia Direttiva ma anche nei casi di sopravvenuta prescrizione o intervenuta decadenza del diritto di credito e in un numero indefinito di altri casi non ben definito grazie all’ampia e generica formulazione dell’art. 1, comma 538, lett. f).

Niente più inutili ricorsi cautelativi o istanze di annullamento in autotutela. Al contribuente spetta l’onere di presentare apposita domanda, correlata da idonea documentazione atta a dimostrare la non debenza del debito, per ottenere la sospensione automatica del ruolo. Il vero elemento di novità risiede, quindi, nella assenza, seppur nella fase iniziale, di preventiva valutazione da parte dell’ente impositore.

Gli importi iscritti a ruolo sono, infatti, temporaneamente sospesi sino all’esame dell’ente impositore, per il solo effetto della presentazione della dichiarazione da parte del contribuente

Con la nuova procedura, quindi, prima si sospende e poi, nelle more, si decide.

Le fasi successive alla presentazione della dichiarazione sono scandite da tempistiche precise: entro il termine di dieci giorni dalla presentazione della dichiarazione il concessionario della riscossione trasmette tutta la documentazione pervenuta all’ente creditore che ha sessanta giorni per verificare la debenza del credito.

In ogni caso l’ente impositore deve comunicare, entro 220 giorni, direttamente al debitore le proprie valutazioni sulla fondatezza del debito o anche sulla inidoneità della documentazione prodotta.

Medesima comunicazione deve essere inviata all’agente della riscossione.

Trascorso inutilmente il termine di 220 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore, l’agente procede all’annullamento tout court del diritto di credito e all’automatico discarico dei relativi ruoli.

2. L’impignorabilità della prima casa

L’art. 52 del c.d. Decreto del fare del 21 giugno 2013, n. 69 ha posto un importante limite alla pignorabilità della prima casa nei casi in cui il contribuente ometta di adempiere al proprio debito con l’Erario.

La predetta disposizione ha, infatti, riscritto l’art. 76 del D.P.R. n. 602/73, statuendo che l’agente della riscossione non può dare corso all’espropriazione di un immobile a condizione che:

  1. il contribuente debitore sia proprietario di un solo bene immobile,
  2. si tratti di immobile adibito ad uso abitativo,
  3. l’immobile non abbia le caratteristiche di “abitazione di lusso” di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969 o non sia classificato nelle categorie catastali A/8 (abitazioni in ville) ed A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici),
  4. il contribuente abbia la residenza anagrafica nell’unico immobile di sua proprietà.

Le citate condizioni devono essere tutte rispettate: l’insussistenza di una sola di essere, anche se a prima vista di importanza secondaria, fa scattare il venir meno del beneficio con la possibilità per Equitalia di pignorare l’immobile prima casa.

3. Rate più numerose per pagare

Altra importante novità, in vigore già a partire dallo scorso novembre, riguarda la possibilità di “allungare” il complessivo piano di rateazione per il pagamento di debiti nei confronti dell’Erario sino al limite di 120 rate mensili. È quanto previsto dal Decreto del fare che all’art. 52 ha stabilito che le persone fisiche, le ditte individuali in regime fiscale semplificato e le imprese che si trovino in una “comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica” possono pagare il proprio debito nei confronti di Equitalia diluito in dieci anni.
Si tratta di una rateazione straordinaria accessibile per determinate categorie di soggetti che, oltre a trovarsi in una difficile situazione economica, devono dimostrare la sussistenza di specifici requisiti di carattere oggettivo individuati con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 6 novembre 2013.
Per accedere alla nuova forma di rateazione l’art. 3 del predetto decreto prevede che l’importo di ogni singola rata deve essere superiore, per le persone fisiche e le ditte individuali, a una soglia minima pari al 20% del reddito mensile, risultante dall’Indicatore della Situazione Reddituale (ISR) esposto nel modello Isee e al 10% del valore della produzione mensile per tutte le altre imprese. Queste ultime, inoltre, dovranno dimostrare che il loro indice di liquidità, risultante dal bilancio, sia compreso fra il valore 0.5 e il valore 1.
È interessante notare che per espressa previsione normativa dell’art. 4 del citato D.M.  “i piani di rateazione ordinari e i piani di rateazione  in  proroga ordinari già accordati alla data di entrata in vigore del presente  decreto, possono, su richiesta del debitore e in presenza  delle  condizioni  di  cui all'art. 3, essere aumentati fino a 120 rate”.
La c.d. dilazione straordinaria è, quindi, retroattiva.
Allo stesso modo è applicabile, in via retroattiva, la nuova causa di decadenza dalla dilazione dei ruoli prevista dall’art. 52, comma 1, lett. a), n. 2) del Decreto n. 69/13 che ha innalzato da due a otto il numero della rate il cui omesso pagamento determina il venir meno del “beneficio”. Lo ha chiarito l’Amministrazione finanziaria che con la recente risoluzione n. 32/E del 19 marzo 2014, al fine di evitare possibili disparità di trattamento, ha stabilito che la nuova causa di decadenza è applicabile anche a piani di rateazione già in essere.

4. Compensazione con debiti dello Stato

Dopo una lunga attesa le richieste delle numerose imprese che intrattengono rapporti di varia natura con lo Stato sono state ascoltate. Con il Decreto Legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è stato introdotto il nuovo articolo 28 quinquies al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 che prevede la compensazione di debiti dovuti sulla base di istituti definitori della pretesa impositiva e strumenti deflattivi del contenzioso con “i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati al 31 dicembre 2012 nei confronti dello  Stato,  degli  enti  pubblici  nazionali, delle regioni, degli  enti  locali  e  degli  enti  del  Servizio  sanitario nazionale  per  somministrazioni,  forniture  e  appalti”. La norma de qua si rivolge a professionisti o imprese che vantano crediti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni “per somministrazione, forniture,  appalti  e  servizi,  anche professionali, maturati  nei  confronti  della  pubblica  amministrazione  e certificati  secondo  le  modalità  previste  dai   decreti   del   Ministro dell’economia e delle finanze 22 maggio 2012 e 25 giugno  2012,  pubblicati, rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno 2012 e  nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 2 luglio 2012,  in ragione di attività o mansioni espletate nei confronti degli stessi enti statali”.

Tali soggetti possono compensare eventuali crediti con debiti fiscali con l’unico limite che “la somma scritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato”.



 

 

 

di Francesco Zappia

La “Revisione della disciplina del contenzioso tributario” avvenuta con l’emanazione del D.P.R. 636/1972 evidenziava una vistosa lacuna concernente la tutela cautelare di natura giurisdizionale, oggi disciplinata dall’art. 47 del D.Lgs 546/92, restando sempre valido, dunque, il solo rimedio di natura amministrativa,

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