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Giurisprudenza tributaria: l’orientamento in materia di Euroritenuta si consolida

Il giorno 20 dicembre 2019 è stata depositata l’ennesima sentenza – in questo caso della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – riguardante lo spinoso tema del rimborso della c.d. “Euroritenuta”. Trattasi del rimborso che dovrebbe spettare ai soggetti che, aderendo al regime della “Voluntary Disclosure”, come nel caso in esame, subiscono una vera e propria doppia imposizione del reddito di capitale considerato. Il giudice del gravame rimane fermo nelle convinzioni che, progressivamente, si stanno diffondendo in ambito giurisprudenziale, accordando la tutela al Contribuente, leso nei suoi diritti da un’ipotesi di doppia imposizione.

 

Premessa

Nel caso di specie, il Contribuente aveva impugnato, dinanzi al giudice di prime cure, il diniego tacito dall’Agenzia delle Entrate “avente ad oggetto il rimborso delle somme versate quali euroritenute in Svizzera”.

Nello specifico, il Contribuente, aderente al regime della “Voluntary Disclosureex D.Lgs. 15 dicembre 2014, n. 186, sosteneva di aver subito congiuntamente e sulla base della medesima base imponibile il prelievo erariale svizzero (i.e., Euroritenuta alla fonte) ed italiano (i.e., imposte dovute sulla base della disclosure citata).

Tale doppia imposizione sarebbe vietata sia dall’art. 14 della Direttiva 2003/48/CE, istitutiva dell’Euroritenuta, sia dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Confederazione Elvetica.

L’Agenzia delle Entrate, di contro, asseriva che, nel caso di specie, non sarebbe stato possibile attribuire il credito d’imposta per le ritenuta subita all’estero, poiché l’art. 165 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), fonte di riferimento, prevede espressamente che per il riconoscimento del credito di imposta estero, deve essere presentata dichiarazione dei redditi in Italia.

 

Le conclusioni della CTR Lombardia

La Commissione, riprendendo quanto stabilito dal giudice di prime cure, ha dichiarato che, seppure non sia applicabile al caso di specie a causa delle sue peculiarità, il meccanismo di compensazione e/o rimborso ex art. 165 TUIR (previsto per le componenti che concorrono a formare direttamente il reddito non assoggettate a regimi impositivi) e il mancato riconoscimento del medesimo da parte dell’Agenzia delle Entrate rappresenta una vera e propria doppia imposizione che viola quanto previsto dall’art. 14 della Direttiva istitutiva dell’Euroritenuta, di cui si riporta letteralmente il testo: “Lo Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo assicura, a norma dei seguenti paragrafi 2 e 3, l’eliminazione di tutte le doppie imposizioni che potrebbero derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 11”. Pertanto, il meccanismo del credito d’imposta, quale strumento risolutore delle doppie imposizioni che l’Italia ha deciso di adottare, deve essere sostituito da un rimborso completo del valore delle ritenute alla fonte subite all’estero, in forza del principio di preminenza del diritto UE rispetto a quello interno.

Il fatto che il reddito non sia stato indicato in dichiarazione dal Contribuente, quale presupposto per l’attribuzione del credito d’imposta ex art. 165 TUIR, non può fungere da giustificativo per la mancata eliminazione della doppia imposizione; inoltre, il meccanismo stesso dell’Euroritenuta, che trasforma in sostituti d’imposta gli Stati nei quali sono detenute le consistenze finanziarie, è stato introdotto in determinati contesti proprio per evitare la doppia imposizione sul medesimo imponibile.

Nel ribadire ciò, si fa stretto riferimento anche alla circolare 20 luglio 2017, n. 21/E dell’Agenzia delle Entrate, nella quale si evidenzia che “il credito di imposta pagata all’estero benché non menzionato in dichiarazione, può, secondo la stessa circolare dell’Amministrazione finanziaria, essere riconosciuto anche in caso di “ravvedimento operoso lungo” e pure in presenza di contestazioni da parte del Fisco”.

Sembra, dunque, che la stessa Agenzia delle Entrate, in un precedente documento di prassi, abbia condiviso la tesi avanzata ora in giudizio dalla controparte, in forza di un più generale principio di cooperazione che sempre più permea i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria e il Contribuente.

In conclusione, l’accoglimento dell’istanza del Contribuente sancisce l’ennesima “sconfitta” per l’Agenzia delle Entrate, forse fin troppo affezionata al tenore letterale di una norma di rango nazionale che, secondo il diritto europeo ed internazionale, perde di efficacia nei confronti di fonti aventi portata superiore.

(A cura di Rocco Pietro Di Vizio)


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