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domanda

(di Marco Guenzi)

In questo e nei prossimi articoli si presenterà un modello teorico di riferimento che presenta il funzionamento del mercato dell’arte contemporanea nel suo complesso. In questa sede si esamineranno le componenti della domanda del bene arte, andando ad evidenziare come in funzione di quest’ultima il mercato si articoli in diversi segmenti autonomi, ognuno rispondente a fattori diversi. A tal fine sarà interessante cercare di capire: 1) se la domanda è omogenea o eterogenea e in questo secondo caso secondo quali criteri è possibile segmentarla 2) quali sono i fattori micro e macro-economici che la influenzano 3) quale forme essa assume e perché 4) quali sono le relazioni che intercorrono tra le diverse componenti. Nei prossimi articoli si andrà poi ad analizzare il mercato nei suoi singoli comparti dal punto di vista delle politiche dell’offerta, delle forme di concorrenza e delle regole di determinazione dei prezzi, per vedere infine i meccanismi di aggiustamento che lo regolano e che ne determinano le ciclicità da un punto di vista sia economico che culturale.

Le componenti della domanda

Quando si parla di domanda va considerata la natura del bene. L’opera d’arte si è visto essere particolare in quanto conserva una doppia natura: di bene di consumo (art service) che può essere fruito attraverso una sua visione diretta e di bene di investimento (art stock) che una volta acquistato mantiene il suo valore nel tempo.

Vista la sua duplice natura, la domanda di opere d’arte va suddivisa nelle sue due componenti, che verranno studiate in maniera autonoma.

La domanda di art service

La domanda di art service rappresenta il desiderio di apprezzamento di opere d’arte da un punto di vista psicologico, estetico e culturale da parte di una collettività, indipendentemente dal fatto di possederle. Questo desiderio fa capo da una parte al grande pubblico, costituito dalle diverse categorie di operatori nel mercato dell’arte, nonché dai semplici appassionati, che prendono visione di ciò che succede in questo mondo attraverso l’attività espositiva in musei pubblici o privati, spazi istituzionali, biennali, gallerie e fiere. Dall’altra esso è espresso dai collezionisti che intendono apprezzare un’opera in maniera non condivisa a costo di doverla acquistare.

Il grande pubblico, sebbene non prenda parte alle decisioni del sistema, ha un impatto sul mercato in quanto è in grado di influenzare gli interessi e l’evoluzione del gusto tramite il meccanismo del passaparola. Ma da cosa dipende il gusto del pubblico? Esso viene a dipendere dalle preferenze individuali (che sono legate a fattori psico-sociali), ma soprattutto dalle scelte dei direttori dei musei e del sistema, cioè dall’offerta culturale esistente.

Sia il consumo che il gusto del pubblico infatti, come evidenziato da diverse teorie economiche[1], vengono a dipendere dal consumo pregresso. Questo fenomeno si basa sul fatto che l’utilità marginale al consumo risulta essere crescente, così da poter apprezzare qualcosa sempre di più quanto più la si sperimenta, come nel caso dell’estimatore di vini. In tal caso viene a crearsi un meccanismo di assuefazione, quello di affinamento del gusto, sicché la domanda di art service tende a crescere insieme all’accumulo di cultura iconografica.

In particolare la teoria delle preferenze endogene evidenzia che il gusto tende ad assuefarsi a ciò che già conosce e vede in continuazione. La domanda di art service (come d’altronde quella di art stock) si orienta quindi verso ciò di cui in qualche modo si è già avuta esperienza e solo raramente va nella direzione di ricercare qualcosa di nuovo (secondo la teoria del learning by consuming il pubblico potrà allargare i propri orizzonti culturali solo se si imbatterà casualmente in nuovi artisti di suo gradimento). Si può quindi concludere che la domanda di art service viene a basarsi più sull’offerta di servizi culturali esistenti che non il contrario.

Infine la domanda di art service, essendo sottoposta ad un vincolo di bilancio (sia in termini monetari che di tempo libero), viene a dipendere non solo dall’offerta culturale esistente ma anche dalla sua distribuzione sul territorio[2], vale a dire dai tempi e costi di trasporto, dal prezzo del biglietto di entrata e dalla convenienza dell’evento rispetto ad altre attività ricreative alternative a portata di mano.

Oltre al pubblico, gli altri fruitori di art service sono i collezionisti, cioè coloro che comprano un opera d’arte per averne un consumo esclusivo. I collezionisti abbinano il loro bisogno di consumo di arte con quello di proprietà per cui la loro domanda di art service non può essere distinta dalla domanda di art stock, che si analizzerà a breve.

La domanda di art service non solo viene a dipendere dalla tipologia di soggetti che la richiede, ma fa capo a variabili macroeconomiche come il livello del reddito e dell’istruzione.

Sulla base delle considerazioni fatte finora si può constatare che la domanda di art service è particolarmente intensa, rigida e di tipo globale (sono disposto ad andare a New York per vedere una mostra) per quei pochi artisti che sono considerati di qualità, sono molto originali e che hanno raggiunto una notevole fama. Poiché la domanda richiede esclusivamente di vedere le loro opere, questi artisti risultano essere unici nel loro valore simbolico e non sono quindi sostituibili. Il pubblico è disposto a pagare un prezzo più alto per vedere le loro mostre di grande richiamo.

Gli artisti invece che non sono particolarmente bravi né si distinguono da tutti gli altri o che non sono conosciuti non hanno un grande appeal sul pubblico e risultano quindi facilmente sostituibili. La loro domanda risulta essere molto elastica e per essi il pubblico non è disposto a pagare nessun biglietto di ingresso[3] (semmai potrebbe essere attratto da bonus collaterali come la possibilità di incontrare persone o godere del rinfresco all’inaugurazione).

Si analizzi ora la conformazione della curva di domanda di art service in relazione al suo prezzo. Innanzitutto va rilevato che la relazione tra domanda di art service (Dasvc) e il relativo prezzo di vendita (Pasvc) risulta essere poco indicativa per la presente analisi, in quanto le istituzioni che offrono art service attuano politiche di prezzo complesse. Il prezzo dei servizi culturali non viene a dipendere tanto dalla domanda ma dalla tipologia, dalle politiche, dalle risorse e dai costi sostenuti dalle organizzazioni che li offrono, quali musei, spazi istituzionali no profit, gallerie o fiere. Mentre i musei e le fiere tendono a far pagare un biglietto di ingresso per la loro offerta culturale, organizzazioni no profit e gallerie in genere offrono i loro servizi gratuitamente. Per quanto riguarda il prezzo dell’art service sostenuto dai collezionisti, esso invece tende a relazionarsi direttamente con quello dell’art stock, in quanto godimento e possesso vengono a coincidere in capo allo stesso soggetto[4].

Se inoltre si considera che fattore che più incide sulla domanda di art service è la visibilità acquisita da un artista e che quest’ultima viene a dipendere, oltre che dalla qualità e originalità delle sue opere (grazie all’effetto passaparola), soprattutto dal percorso di carriera e dai supporti commerciali avuti da parte del circuito delle gallerie, in altre parole dal capitale relazionale accumulato e dalla capacità di attuare strategie di marketing vincenti, allora la migliore variabile (endogena) cui relazionare nel modello la domanda di art service è il livello dei prezzi raggiunti dalle sue opere, ovvero il prezzo dell’art stock[5].

E’ possibile quindi esprimere la domanda di art service (Dasvc) al variare del prezzo dell’art stock (Past) (si veda la figura 1).

figura1

La domanda di art service tende a ridursi fortemente al diminuire del prezzo perché si perde l’interesse culturale per le opere di minor valore, per poi assumere nel segmento più basso del mercato una configurazione simile domanda di art stock (che si esaminerà a breve), in quanto il desiderio di godere un’opera dal punto di vista estetico e culturale tende a coincidere con il desiderio di possederla. Dalla figura 1 si può notare che essa viene a dipendere da quattro parametri “K”, “A”, “M” e “B”.

Il parametro “K” (livello massimo esogeno della domanda di art service) esprime la quantità di saturazione della domanda di art service sul mercato (che avviene in corrispondenza delle opere storicizzate i cui prezzi hanno raggiunto valori massimi) ed è determinata da variabili esogene di tipo macroeconomico quali il livello culturale sociale, il livello del reddito e la popolazione.

Il parametro “A” (livello discriminatorio dei prezzi dell’arte) indica invece il livello minimo dei prezzi per cui un’opera d’arte viene ritenuta tale e quindi susciti interesse. Sotto questo livello la domanda di art service è marginale ed è relegata alla curiosità di scoprire talenti nascosti. Il parametro “M” rappresenta la linea di demarcazione tra artisti di avanguardia e artisti ormai affermati. Il parametro “B” infine è il punto di discriminazione tra artisti riconosciuti e celebrati ormai a livello globale e artisti sempre affermati, ma il cui interesse è più di nicchia e riservato agli addetti ai lavori.

Questi tre parametri vengono a dipendere dalle diverse fasi del ciclo economico dell’arte contemporanea. Come meglio si vedrà in presenza di bolle speculative “A”, “B” e “M” tendono a crescere e ciò significa una concentrazione dell’interesse del pubblico verso la fascia più alta del mercato, mentre nei momenti di contrazione del mercato l’interesse del pubblico si indirizza verso le fasce più basse del mercato rappresentate dalle avanguardie.

La domanda di art stock

Analizzando la domanda di art stock (cioè l’intenzione di acquistare opere di arte contemporanea) si rileva che essa si divide innanzitutto in due distinti segmenti: quello istituzionale e quello privato.

La componente istituzionale

La componente istituzionale fa capo ai musei pubblici e alle grandi collezioni private che hanno una sede espositiva. Essa si basa sulla scelta di detenere opere d’arte per offrirle in visione ad un pubblico per ragioni prettamente culturali (secondo una logica no-profit). Ciò significa che l’acquisto di un’opera è valutato in base alle scelte dei direttori di museo, ai pareri degli advisors e alle richieste e a i gusti del pubblico.

Ma le scelte dei musei come sono guidate? E’ possibile affermare che esse rispondano alla domanda di art service, cioè dall’impatto che il nome di un determinato artista ha sul pubblico. Ma come fa un nome ad avere impatto? Deve in genere essere già entrato nel circuito museale. Sono quindi le scelte del pubblico a dipendere da quelle dei musei e non viceversa. Il successo degli artisti quindi non viene determinato dal basso ma piuttosto dall’alto.

Le scelte dei direttori di museo fanno capo alla reputazione dell’artista, cioè al suo valore culturale, nonché alla sua fama, che (come già visto) in ultima analisi viene a dipendere, oltre che naturalmente dalla sua qualità, anche dal capitale relazionale e dalle strategie di marketing dell’artista e delle gallerie che lo supportano. Il prezzo di mercato raggiunto dalle sue opere, rappresentando un valore di sintesi dell’appetibilità di un artista al pubblico, diviene ottimo indicatore del possibile interesse dei musei nei suoi confronti. L’utilità marginale di un’opera d’arte acquisita da un museo tende quindi generalmente ad aumentare col crescere del prezzo.

Sebbene l’utilità marginale al variare del prezzo sia crescente, va tuttavia considerato che il budget delle istituzioni è limitato[6], per cui la curva di domanda istituzionale avrà nel suo complesso un’inclinazione negativa, in quanto, pur essendo sempre richiesti i capolavori perché hanno un impatto diretto sull’immagine dei musei[7], il numero di opere d’arte richieste diminuisce in relazione all’aumentare del prezzo (Past). Questa affermazione tuttavia vale per i soli segmenti superiori del mercato, quelli degli artisti già affermati. I musei risultano invece meno interessati ad opere di artisti poco conosciuti sebbene le loro quotazioni siano più convenienti[8]. La domanda quindi sotto ad un certo livello dei prezzi comincerà a scendere, assumendo un’inclinazione positiva. Per gli artisti fuori mercato e emarginati dal sistema la domanda dei musei diventa addirittura pressoché nulla (ciò è comprensibile se si considera il loro ruolo attuale di storicizzazione e non di talent scouting).

La componente privata

La componente privata della domanda di art stock fa capo principalmente ai collezionisti (tra essi si annoverano anche le aziende che investono in arte). E’ possibile classificare i collezionisti secondo diverse tipologie, sulla base delle differenti motivazioni sottostanti la decisione di acquistare un’opera. Se si considera come marginale la nobile finalità della filantropia (sebbene di essa rimanga forte la presenza “di facciata”), il collezionismo, come spiega il termine stesso, si basa in primis sulla motivazione a raccogliere oggetti rari e dello stesso tipo in serie, come avviene ad esempio con francobolli e monete. La domanda di “collezionismo puro” dipende principalmente dallo stock in precedenza accumulato (cioè dalla consistenza della collezione). In corrispondenza di collezioni più cospicue il beneficio marginale al consumo del bene arte risulta essere più elevato. Tuttavia, poiché sussistono per il collezionismo vincoli di risorse disponibili, non è detto che questo si trasformi in una maggiore domanda.

Il collezionismo può poi immancabilmente far perno su una finalità di tipo estetico, intellettuale ed emotivo, legato ad un diretto apprezzamento dell’opera. In questo caso si può vedere il collezionista alla stregua di un talent-scout, che scommette con fiducia sul suo gusto personale, sulla sua competenza culturale e sulle sue capacità di scoprire nuovi artisti di successo. Questa componente della domanda va di pari passo a quella di consumo di art service e dipende sempre dall’utilità del collezionista derivante dall’acquisto di un’opera d’arte.

Una terza motivazione all’acquisto di opere d’arte è quella segnaletica (di tipo sociale), in cui il possesso dell’opera diventa uno status symbol da mostrare agli altri, al pari di altri beni di lusso. Questa categoria di domanda viene quindi a dipendere dalle caratteristiche dell’opera in termini di riconoscibilità (brand) ed esclusività (prezzo). Il segmento cui si fa riferimento per la domanda di status symbol è quello più alto del mercato. In questo segmento la domanda si fa particolarmente rigida perché i beni da comprare si differenziano fortemente da tutti gli altri.

Infine sussiste spesso dietro gli acquisti di opere d’arte una finalità di tipo economico, in cui esse sono visti nell’ottica dell’investimento e presuppongono che il collezionista sia introdotto e conosca bene le logiche del sistema[9]. Da questo punto di vista l’acquisto di un’opera dipende dal suo rendimento atteso (pari all’attualizzazione dei capital gain al netto delle uscite legate ai costi di conservazione e ai redditi legati allo sfruttamento dell’opera), nonché dal suo rischio di volatilità dei prezzi e di liquidità, il tutto in relazione ai rendimenti alternativi del mercato degli investimenti. La finalità puramente speculativa della domanda di art stock si concentra quindi nei segmenti superiori del mercato, in cui le opere godono di una quotazione e di un mercato secondario.

La correlazione tra prezzo e domanda

E’ a questo punto interessante domandarsi quale sia la relazione tra la domanda e il prezzo dell’art stock[10]. Analizzando le diverse motivazioni sottostanti la domanda di art stock si è evidenziato che questa può fare capo a motivazioni di natura psicologica, estetica e culturale legati (sia per la componente istituzionale che privata) alla qualità dell’opera d’arte.

Il problema di valutazione della qualità di un bene, come si è visto, è legato alla presenza di asimmetrie informative che impediscono al consumatore una reale valutazione ex-ante (oltre che un sincero apprezzamento ex-post). Ciò porta il rischio di meccanismi di selezione avversa e di conseguente collasso del mercato.

L’incidenza della qualità sui prezzi è stata studiata da Stiglitz[11]. Stiglitz mette in evidenza come in mancanza di efficienza informativa il prezzo diviene indicatore della qualità e quindi ha una correlazione positiva con la domanda (effetto qualità), che si contrappone alla minor appetibilità del bene rispetto agli altri (effetto convenienza). Per Stiglitz l’effetto qualità diventa sempre più importante in corrispondenza di prezzi più bassi, fino a superare l’effetto convenienza e fare assumere alla curva di domanda una inclinazione positiva. Applicando la teoria di Stiglitz al mercato dell’arte si può dire che i collezionisti quando il prezzo delle opere d’arte scende troppo diventano dubbiosi sull’effettiva qualità dell’opera per cui la domanda scenderà. Inversamente, superata una certa soglia, ci sarà sempre meno richiesta di arte in ragione del fatto che essa costa troppo.

L’effetto della qualità (cioè del talento) sulla domanda di beni culturali è stato studiato anche da Rosen[12], che ha studiato il fenomeno delle celebrità attorno a cui si concentra la richiesta delle masse. Egli ha messo in evidenza come questa tenda a concentrarsi sui beni di più alta qualità in relazione alla un’utilità marginale crescente del consumo (cioè il consumatore più diventa esperto più cerca di consumare il meglio). Adler[13] ha rivisto quest’approccio alla luce del problema dell’inefficienza informativa che induce il consumatore a dirigersi verso quelle superstar che, sfruttando il fenomeno delle esternalità di rete, hanno acquisito una notorietà tale da non avere costi di raccolta di informazioni aggiuntive. Questa teoria ben si adatta alla realtà dei collezionisti, soprattutto quelli che hanno poco tempo a loro disposizione per formarsi una cultura sulla materia.

Gli studi di Rosen e Adler mettono in evidenza che la domanda risulta molto concentrata su un esiguo numero di artisti in corrispondenza del settore più alto del mercato, dove i prezzi assumono valori fuori dalla norma.

Si è inoltre visto che domanda è influenzata oltre che dalla qualità anche dalla capacità di un’opera di essere facilmente riconoscibile, così da poter soddisfare il bisogno di status dei collezionisti. Ciò è vero naturalmente sempre per i segmenti più alti del mercato, dove la notorietà, oltre a essere un fattore di risparmio di costi informativi (come evidenziato da Adler) risulta essere alla base degli effetti “snob” (io posseggo un’opera importante che tutti mi invidieranno) e “band-wagon” (se il mio vicino possiede un’opera importante anch’io devo assolutamente averla per non essere da meno) evidenziati da Liebenstein per i beni di lusso[14]. E’ quindi possibile concludere che un prezzo alto assume una correlazione positiva con la domanda (se si prescinde dal fatto che per i collezionisti vi è un limite nelle risorse disponibili).

Da un punto di vista dell’investimento inoltre un prezzo elevato risulta essere per diversi motivi una garanzia. Esso infatti è garante da una parte di qualità; e in quanto la bellezza non ha prezzo ed è merce rara, un bene di qualità è sempre richiesto dal mercato. D’altra parte un prezzo importante è sinonimo inoltre di riconoscibilità e quindi di appetibilità per i collezionisti. Va considerato poi che se il prezzo di un’opera per assume livelli elevati significa che esso è salito in maniera più o meno continuativa nel tempo[15] e quindi si presume che anche in futuro possa salire. Ma soprattutto, poiché gli artisti affermati sono più vendibili e in genere hanno un mercato secondario, bisogna rilevare che un prezzo alto è sinonimo di liquidità sul mercato (e quindi di basso rischio dell’investimento), facendo venir meno il più grande spauracchio del collezionista-investitore: quello di non potersi liberare di un’opera nel caso abbia bisogno di venderla.

Il settore più basso del mercato risulta invece essere meno appetibile in un’ottica di mero investimento, in quanto meno commercializzabile e infinitamente più rischioso. Esso corrisponde prevalentemente alla domanda basata su motivazioni di tipo psicologico, estetico e culturale.

La segmentazione del mercato dell’art stock

In base a quanto rilevato si può ipotizzare che la curva di domanda privata assuma la stessa conformazione della domanda istituzionale, sebbene per motivazioni differenti. Essa tenderà a concentrarsi su pochi artisti nella fascia superiore determinandone quotazioni stellari, poi comincerà a crescere al di sotto di una certa soglia per poi diminuire e infine scomparire a causa dell’effetto qualità. La curva di domanda complessiva di art stock assume quindi la forma di una vela gonfia nella sua estremità inferiore (si veda la figura 2).

figura2

Sulla base della conformazione della domanda si può procedere alla segmentazione del mercato in quattro parti. Partendo dal segmento dove i prezzi sono più elevati, si trova un comparto caratterizzato dalla presenza di pochi artisti-celebrità per i quali la domanda è determinata da dinamiche del tutto particolari peculiari dello star-system secondo quanto evidenziato dagli studi di Rosen e Adler[16] (segmento arti-star o top). In questo settore la curva di domanda risulta essere molto inclinata (come un’iperbole vicino all’asse delle ordinate) e l’elasticità della domanda tende ad essere costante e negativa (cioè se diminuisco il prezzo, qualunque esso sia, la mia domanda crescerà proporzionalmente).

Se si va ad esaminare la fascia di mercato sottostante si può individuare un segmento in cui troviamo gli artisti affermati, un settore dove la domanda cresce in maniera considerevole in termini assoluti (sebbene risulti essere meno elastica). Ciò significa che in questa fascia un aumento di prezzo si riflette considerevolmente sulla domanda, per cui gli artisti affermati si trovano in un momento delicato della loro carriera in cui dovranno attuare politiche di vendita oculate.

Se ci si sposta ancora sotto si ha un mercato che sconta l’effetto qualità di Stiglitz e in cui la curva di domanda assume un’inclinazione positiva. Questo segmento, dove si trovano gli artisti emergenti, ha quindi la peculiarità che aumentando il prezzo di vendita paradossalmente aumenta anche la domanda. In questo settore il bene arte si comporta come un bene di Giffen[17].

Infine nella parte inferiore si trova un segmento “senza mercato”, composto da tutti quegli artisti che non riescono a vendere e a trovare una galleria che li promuova, le cui quotazioni risultano quindi essere in maniera indefinita inferiori ad una soglia limite. In questo comparto, a causa della mancanza di intermediazione in grado di colmare le asimmetrie informative e di un conseguente fenomeno di adverse selection, la domanda diventa marginale e incapace di incontrare l’offerta. In questo settore quindi non viene a crearsi un prezzo di riferimento[18].

Dal grafico rappresentato (si veda sempre la figura 2) si evidenzia la presenza di quattro parametri interessanti: la domanda massima di art stock “H”, il prezzo di discriminazione tra mercato e fuori mercato “A”, il prezzo di discriminazione tra artisti emergenti e artisti affermati “M” e il prezzo di discriminazione tra artisti affermati e artisti superstar “B”. Tali parametri, se escludiamo il caso di “H” (comunque relazionato a “K”), vengono a coincidere con quelli del mercato dell’art service.

“H”, la domanda massima di art stock, è un parametro che fa capo a variabili macroeconomiche quali la popolazione, il reddito pro-capite, la distribuzione del reddito e il grado di acculturazione della popolazione nei riguardi delle arti visive. Esso si relaziona a “K”, la domanda massima di art service, ma è più basso perché per comprare un’opera d’arte (non essendoci in generale un finanziamento sottostante) è necessario accumulare del capitale, mentre acquistare un biglietto in un museo è nelle disponibilità di buona parte della popolazione.

“A” rappresenta il prezzo al di sotto del quale non vi è mercato. In corrispondenza di questo punto (come si vedrà nel prossimo articolo) la domanda di art stock e quella di art service coincidono e tendono allo zero. “A” viene a dipendere da variabili legate all’andamento del mercato, quali politiche di marketing e le strategie di prezzo attuate dalle diverse categorie di gallerie e quindi dalla distribuzione del surplus tra i diversi segmenti di mercato.

“M” è un parametro che esprime il prezzo discriminante della qualità, in corrispondenza del quale la domanda di art stock è massima. Esso si relaziona al valore di “H” (secondo la funzione di domanda inversa) e dipende quindi dalle variabili che influenzano il livello della domanda.

“B” indica quel livello dei prezzi a partire dal quale le quotazioni degli artisti cominciano a salire esponenzialmente. Ciò, come meglio si vedrà, dipende dal livello di concentrazione della domanda che caratterizza le diverse fasi di mercato.

In conclusione è quindi possibile mettere in relazione le due curve di domanda (si veda la figura 3), rilevando che mentre esse tendono ad essere speculari nei segmenti più alti del mercato, invece tendono a coincidere nella fascia degli artisti meno noti. Se infatti è possibile affermare che nei diversi segmenti del mercato la domanda sia di art service che di art stock segua logiche e dinamiche specifiche, diviene interessante notare come i due mercati siano in realtà interrelati l’uno con l’altro. Si analizzerà meglio la questione a partire dal prossimo articolo.

figura3

Note

[1] Queste teorie si dividono in teorie delle preferenze esogene, quando i gusti non sono influenzati dal consumo, ma solo dal quantitativo di bene consumato (Becker G.S., Stigler G. (1977), “De gustibus non est disputandum”, American Economic Review, Vol. 67, pp. 76-90), e teorie delle preferenze endogene, quando il consumo viene a influenzare anche il gusto (cfr. Candela G. – Scorcu A. (2004), Economia delle arti, Zanichelli, Bologna). Interessante inoltre è l’approccio intermedio del learning by consuming di Lévy-Garboua e Montmarquette che prevede la scoperta dei gusti nel tempo attraverso l’esposizione al consumo (Lévy -Garboua L., Montmarquette C. (1996), “A microeconometric study of theatre demand”, Journal of Cultural Economics, Vol. 20, pp. 25-50).

[2] La domanda di art service è quindi locale nella quotidianità. Essa diviene globale durante le ferie, quando si associa al turismo; anzi può essere anche la determinante di quest’ultimo: il cosiddetto turismo d’arte.

[3] Se si escludono le fiere per cui, sebbene l’offerta di art service non sia di qualità, il costo di ingresso è talvolta maggiore rispetto a quello dei musei, in relazione al fatto che la domanda di art service si combina con quella di art stock.

[4] La teoria degli investimenti presuppone che sussista nel lungo periodo una relazione (R) tra variabili di flusso (legate all’utilità del bene) e variabili di stock (legate al suo valore di mercato): il valore di stock tende a fluttuare intorno ad un valore (attuale e atteso) di flusso, come nel mercato immobiliare il valore di un immobile è relazionato al prezzo cui è possibile affittarlo (al netto di spese e tasse) o nel mercato azionario il valore di un titolo fa riferimento agli utili netti prodotti, secondo il cosiddetto P/E ratio. Tuttavia questa relazione non è così evidente nel mercato dell’arte, dove semmai è possibile dedurre la relazione opposta (1/R), cioè che dal valore di stock deduciamo quello di flusso, ovvero il prezzo dell’art service (Pasvc) al netto dei costi di gestione, deprezzamento e manutenzione (u) più eventuali entrate legate allo sfruttamento dell’opera (e), secondo la relazione Pasvc-u+e=1/R*Past.

[5] Il prezzo dell’art stock (Past) fa capo al prezzo di vendita delle opere, che a sua volta viene a dipendere in primis dall’artista che le ha prodotte (oltre che da parametri relativi all’opera come la tecnica adottata, le dimensioni e il numero di riproduzioni), cfr. Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton. Se si prescinde quindi dalle differenze di valore tra le diverse opere di un artista, il Past si riferisce alla quotazione che quest’ultimo ha sul mercato. Le quotazioni degli artisti possono essere ottenute attraverso la teoria dei prezzi edonici, studiando la correlazione tra prezzo di vendita delle opere di uno stesso autore e le loro caratteristiche esteriori. Indici sintetici del valore di un opera d’arte si ritrovano su www.artprice.com.

[6] I musei hanno inoltre come alternativa all’acquisto sul mercato l’ottenimento di opere attraverso prestiti da altri musei e da collezionisti e gallerie, nonché da lasciti da collezionisti. L’appeal del museo viene a dipendere direttamente dall’importanza dello stesso, che fa capo a sua volta al suo capitale relazionale nonché dall’importanza della sua collezione. Queste ultime due componenti inoltre determinano la capacità del museo di muoversi sul mercato arrivando all’acquisto di opere importanti alle migliori condizioni.

[7] Musei e grandi collezioni è difficile in genere che, una volta acquistate le opere, le rivendano sul mercato secondario. La loro presenza sul mercato ha l’effetto è di spingere i collezionisti (la componente privata) a incrementare le proprie offerte onde riuscire a strappare loro le opere, sapendo che si tratta in fondo di un’ultima chance per acquisirle. Thompson D. (2009), Lo Squalo Da 12 Milioni Di Dollari: La Bizzarra E Sorprendente Economia Dell’arte Contemporanea, Mondadori, Milano

[8] L’attività di reperimento di artisti di avanguardia da parte dei musei è legata più all’interesse ad accontentare le aspettative di gallerie e collezionisti nei confronti degli artisti emergenti in cambio di prestiti e condizioni favorevoli di vendita per quanto riguarda opere di artisti storicizzati (che rappresentano invece merce rara), che ad un vero e proprio interesse culturale nei confronti di questa categoria di artisti.

[9] Uno studio della Barclays Bank a livello internazionale sulle motivazioni che spingono i collezionisti ad investire in arte evidenzia che raramente questo rappresenta un puro investimento (10% degli intervistati), mentre la motivazione principale sembra essere il fatto di potere godere di questi beni (75%). Barclays Bank, Wealth Insights. Profit or Pleasure? Exploring the Motivations Behind Treasure Trends, in “Wealth and Investment Management”, 15, 2012.

[10] La teoria microeconomica del consumatore ha evidenziato come praticamente per quasi tutti i beni (denominati “ordinari”) la relazione classica tra domanda e prezzo sia negativa: al diminuire del prezzo cresce la domanda. Slutsky ha studiato come l’effetto totale di una variazione del prezzo possa sulla domanda scomporsi in un effetto di sostituzione (negativo) dovuto ad una diversa appetibilità del bene rispetto agli altri e un effetto reddito legato a una maggiore o minore disponibilità di reddito da spendere. L’effetto reddito risulta essere negativo per i beni normali (cioè quelli per cui aumenta il consumo all’aumentare del reddito) e positivo per i beni inferiori (cioè quelli per cui all’aumentare del reddito diminuisce il consumo). Per i beni inferiori tuttavia c’è la possibilità che l’effetto reddito non solo sia contrario, ma anche preponderante sul’effetto sostituzione, così che viene a determinarsi una relazione positiva tra prezzo e domanda. In questo ultimo caso si parla di “beni di Giffen”. La distinzione tra beni ordinari e beni di Giffen viene a mancare tuttavia, come si vedrà a breve, per l’arte contemporanea, poiché la relazione tra domanda e prezzo di art stock risulta essere complessa e articolata. Cfr. Varian H. R. (2007), Microeconomia, Cafoscarina, Venezia.

[11] Stiglitz J. (1987), “The causes and consequences of the dependence of quality on price”, Journal of Economic Literature, Vol. 25, N. 1 , pp. 1-48

[12] Rosen (1981), “The Economics of Superstars”, American Economic Review, Vol. 71, pp. 845-858.

[13] Adler (1985), “Stardom and Talent”, American Economic Review, Vol. 75, pp. 208-212

[14] Leibenstein H. (1950), “Bandwagon, Snob, and Veblen Effects in the Theory of Consumers’ Demand”, Quarterly Journal of Economics, Vol. 64 N.2, pp. 183–207.

[15] Le strategie di mercato delle gallerie illustrate in precedenza determinano che in genere i prezzi degli artisti crescano in maniera continuativa senza mai scendere.

[16] Rif. Rosen (1981), Op. Cit. e Adler (1985), Op. Cit.. E’ interessante notare che è possibile creare un collegamento tra i quattro segmenti di mercato e la teoria del ciclo di vita dei prodotti applicati all’artista (cfr. Zorloni A. (2011), L’economia dell’arte contemporanea, Mercati, strategie e star system, Franco De Angeli, Milano). Questa teoria prevede che l’artista di successo (dopo un primo periodo di incubazione e preparazione) vada incontro a quattro differenti stadi della sua carriera (introduzione, crescita, maturità e declino). E’ da notare che nel periodo di declino, a fronte di una capacità creativa che decresce in maniera inesorabile, la domanda per l’artista può continuare ad essere viva. Un interessante riscontro della carriera di un artista è rappresentata dal suo ranking di Artfacts.net, che costruisce una graduatoria di tutti gli artisti contemporanei, tenendo conto di parametri quali le quotazioni, le mostre personali in gallerie, musei ed altri luoghi pubblici, le presenze nelle collezioni istituzionali (cfr. www.artfacts.net).

[17] Si veda la nota 10.

[18] In realtà in questo segmento vengono a crearsi forme espositive e di vendita alternative al mercato, quali i legami con realtà istituzionali minori e la committenza (cfr. Santagata W. (2005), Beni d’arte, modelli di scambio, istituzioni di mercato, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 15-42).

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