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false comunicazioni sociali

(di Federico Tosone)

Mentre la commissione Giustizia del Senato procede con la votazione degli emendamenti al Disegno di Legge c.d. anti-corruzione prima del suo definitivo approdo in Aula, il Governo – nonostante le dichiarazioni di facciata – non ha ancora presentato l’annunciato (ulteriore) emendamento sulle disposizioni contenute in quest’ultimo Ddl sul tema del falso in bilancio, ovvero, sui reati di false comunicazioni sociali e false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei creditori, rispettivamente previsti e puniti agli artt. 2621 e 2622 C.c..

Quest’ultime norme rappresentano ancora oggi l’intervento più discusso e criticato del D. Lvo 11 aprile 2002, n. 61 – che, riformando integralmente la complessa disciplina dei reati societari (artt. 2621 e ss. C.c.) – ha radicalmente mutato la formulazione della fattispecie di false comunicazioni sociali ridimensionando notevolmente il precedente assetto sanzionatorio ritenuto sproporzionato rispetto al bene giuridico tutelato: la corretta informazione societaria nei confronti dei soci, dei creditori e dei terzi.

Infatti, la tutela offerta dalla precedente formulazione dell’abrogato art. 2621 C.c. – che puniva con la reclusione da uno a cinque anni la fraudolenta esposizione nelle relazioni o nei bilanci di fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche della società, ovvero, l’occultamento di fatti rilevanti circa le menzionate condizioni – era ritenuta da molti eccessivamente anticipatoria e inidonea alla protezione del suddetto bene giuridico tutelato.

Sicché, il legislatore del 2002 ha provveduto a riscrivere ex novo la fattispecie penalmente rilevante delle false comunicazioni sociali attraverso una biforcazione dell’incriminazione in due ipotesi, una contravvenzionale di mero pericolo, prevista all’art. 2621 C.c., che non prevede la necessaria sussistenza di un danno al patrimonio dei soci o dei creditori, e l’altra, delittuosa di evento, contemplata al successivo art. 2622 C.c., in cui il danno ai soci ed ai creditori, derivante dalle suddette false comunicazioni, rientra tra il novero degli elementi costitutivi di fattispecie.

In particolare, il tutt’ora vigente testo dell’art. 2621 C.c. prevede la pena dell’arresto fino a due anni per gli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, sindaci e liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico ed al fine di perseguire un ingiusto profitto, espongono nei bilanci e nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali obbligatorie ex lege fatti materiali mendaci, ovvero, omettono informazioni sulla condizione economica o finanziaria della società.

La diversa fattispecie contemplata dall’art. 2622 C.c., realizzando una fattispecie delittuosa strutturata secondo le forme del reato di evento, punisce invece con la reclusione da sei mesi a tre anni i soggetti in posizione apicale, indicati all’art. 2621 C.c., i quali, ponendo in essere le stesse condotte tipiche descritte in quest’ultima norma, cagionino un danno alla società, ai soci o ai creditori.

Tuttavia, il delitto di cui all’art. 2622 C.c. non si differenzia dall’ipotesi contravvenzionale ex art. 2621 C.c. per la sola sussistenza di un danno quale essenziale elemento costituivo della fattispecie, bensì, anche per il diverso regime di procedibilità del reato.

Infatti, se le false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 C.c. sono di per sé rilevanti penalmente ed il reato è procedibile d’ufficio, l’ipotesi più grave prevista al successivo art. 2622 C.c. è procedibile esclusivamente a querela della persona offesa – salvo si tratti di società quotate per le quali si procede in ogni caso d’ufficio e la pena per la medesima condotta va da uno a quattro anni o da due a sei anni ove il fatto cagioni un nocumento grave ai risparmiatori (art. 2622, III-IV comma, C.c.) -.

Inoltre, il secondo comma dell’art. 2622 C.c. precisa che la procedibilità a querela sussiste anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, a meno che il delitto in questione sia stato commesso nei confronti dello Stato, di enti pubblici o delle Comunità europee.

L’introduzione della procedibilità a querela per l’ipotesi più grave di cui all’art. 2622 C.c. – la cui ratio sottesa è da individuarsi nell’opportunità legislativa di traslare la tutela penale sul piano privatistico – rappresenta uno dei punti più controversi della novella del 2002.

L’aspetto maggiormente problematico di tale scelta di politica legislativa consiste nella complessa individuazione dei soggetti legittimati a proporre querela – vista l’evidente natura pluriofffensiva del reato in questione e, soprattutto, la non necessaria coincidenza tra i destinatari delle false comunicazioni sociali effetto dell’intento ingannatorio dell’agente ed i soggetti in capo ai quali può prodursi il danno rilevante ai sensi dell’art. 2622 C.c. -.

Inoltre, è tutt’ora controverso se nell’ipotesi di false comunicazioni sociali con danno – rilevanti ex art. 2622 C.c. – il difetto di querela o la successiva rimessione della stessa rendano comunque applicabile la meno grave fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 2621 C.c. – procedibile d’ufficio -.

A tal riguardo, nonostante la prassi giudiziaria volga in senso opposto, gli interpreti hanno individuato nella clausola di riserva “salvo quanto previsto dall’art. 2622 C.c.“, posta come incipit all’art. 2621 C.c., il criterio di riferimento per escludere l’applicabilità di quest’ultima norma nell’ipotesi in cui le false comunicazioni sociali abbiano prodotto un danno ma manchi il requisito di procedibilità della querela.

Prescindendo ora dall’analisi della rilevante disputa esegetica sul punto, giova volgere l’esame sull’elemento più incisivo della novella legislativa apportata con il D. Lvo 61/2002 in materia di falso in bilancio: le soglie di punibilità introdotte tanto nell’art. 2621 C.c. quanto nel successivo art. 2622 C.c. in ottemperanza al principio della necessaria offensività del fatto e sussidiarietà della tutela penale.

Tali soglie di punibilità sono state oggetto di aspre critiche in quanto ritenute espressione di un ingiustificato intento riduzionistico della rilevanza penale del falso in bilancio – tale da rendere, a parere dei commentatori più critici, una forma surrettizia di depenalizzazione di fatto della suddetta fattispecie criminosa.

In particolare, il legislatore ha stabilito l’esclusione della punibilità nel caso in cui le falsità o omissioni non siano tali da alterare in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società (art. 2621, III comma, C.c. e art. 2622, VII comma, C.c.).

Tale clausola generale di esclusione della punibilità è altresì affiancata da un complesso sistema di soglie di non punibilità di tipo quantitativo, espresse in termini percentuali, che escludono la rilevanza penale delle false comunicazioni che abbiano determinato una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%, ovvero, nel caso in cui il fatto sia conseguenza di un’erronea valutazione, che tali errori estimativi non differiscano in misura superiore al 10% dalla stima corretta (art. 2621, III-IV comma, C.c. e art. 2622, VII-VIII comma, C.c.).

La curiosa commistione tra soglie qualitative (l’alterazione sensibile della rappresentazione della situazione economico finanziaria e patrimoniale della società) – che estendono in modo pressoché indeterminato la discrezionalità del giudice – e le oggettive soglie quantitative (5% del risultato economico ed 1% di variazione del patrimonio netto), ha fatto sorgere molteplici dubbi sulla corretta applicazione delle stesse oltre che sulla loro efficacia in termini di politica criminale.

Infatti, si è reso necessario stabilire in che modo operi il requisito dell’alterazione sensibile rispetto alle soglie espresse in termini percentuali.

A tal proposito, si rileva che un minoritario orientamento ritiene che il parametro generale dell’alterazione sensibile sia applicabile solo in via residuale nei soli casi in cui non siano applicabili le sogli quantitative.

A tale orientamento si contrappone un diverso indirizzo interpretativo maggioritario volto nel senso del necessario concorso, ossia, che le due tipologie di soglie debbano operare congiuntamente.

Pertanto, secondo quest’ultima interpretazione, un falso che produca lo sforamento delle soglie numeriche non sarebbe penalmente rilevante ove non abbia anche causato un’alterazione sensibile.

Sicché – tornando all’attualità – sebbene la precedente versione del Ddl c.d. “Grasso” prevedesse l’abbattimento delle suddette soglie quantitative, il Governo, nonostante i proclami circa il paventato inasprimento del trattamento sanzionatorio delle false comunicazioni sociali (ipotizzata una cornice edittale da due ai sei anni), non ha ancora chiarito l’intenzione di un’eventuale eliminazione delle vigenti soglie quantitative – ancora presenti nell’emendamento al Ddl in questione depositato dal Governo in Commissione Giustizia al Senato in data 8 gennaio 2015 -.

Probabilmente, verrà introdotto un doppio binario sanzionatorio parametrato al volume d’affari dell’impresa la cui soglia di riferimento dovrebbe fissarsi in Euro 600.000 di ricavi lordi.

Infatti, la cornice edittale dovrebbe essere da due a sei anni per le imprese che superino la suddetta soglia di fatturato, mentre, per quelle di minori dimensioni, la pena dovrebbe essere contenuta tra uno e tre anni.

L’intento sotteso al doppio binario sanzionatorio è quello di prevedere un regime diversificato e più favorevole alle imprese di piccole dimensioni maggiormente esposte ad errori.

Infine, dovrebbe eliminarsi la procedibilità a querela del reato di false comunicazioni sociali con danno – attualmente prevista ai sensi dell’art. art. 2622 C.c. per le società non quotate -.

Pertanto, in attesa di conoscere il testo definitivo della norma – o delle norme – sul falso in bilancio giova rilevare come – a parere di chi scrive – molti dei condivisibili propositi di riforma possano essere soddisfatti esclusivamente attraverso una riformulazione ex novo, in un’unica disposizione normativa, del reato di false comunicazione sociali tale da prevedere un trattamento sanzionatorio parametrato all’effettivo danno cagionato e descrivere in modo più nitido la condotta tipica – e, soprattutto, l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice -.

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