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(di Marco Guenzi)

Nel corso dell’ultimo articolo si è analizzata la domanda di arte contemporanea, mettendo in rilievo come il mercato sia segmentato in diversi settori sulla base del livello dei prezzi. In questo articolo si comincerà ad analizzare l’offerta, studiando quei fattori che creano il valore di un’opera d’arte, che non comprendono semplicemente il processo produttivo vero e proprio, ma un insieme di attività organizzative svolte da artisti e dagli intermediari finalizzate alla creazione prima e alla vendita poi dei lavori artistici.

I fattori produttivi e la curva di offerta del mercato primario

Secondo la microeconomia, come si avrà modo di vedere nel prossimo articolo, la curva di offerta viene a coincidere con la sommatoria di tutte le curve di costo marginali delle singole imprese, in questo caso gli artisti, presenti sul mercato.[1] Tale curva esprime una misura di quanto aumentano i costi (di produzione, promozione e commercializzazione) sostenuti dagli artisti al variare della produzione offerta sul mercato.

La curva dei costi marginali individuali a sua volta viene a dipendere dalla conformazione dei costi sostenuti dagli artisti, che deriva a sua volta dalle scelte di impiego dei fattori produttivi. Le imprese tenderanno a scegliere il mix di input in base al loro processo di produzione (tecnologia) e ai costi degli input stessi.

L’impiego di fattori produttivi tuttavia differisce nel breve e nel lungo periodo. Nel breve periodo solo alcuni fattori produttivi sono in grado di cambiare, cioè quelli che variano direttamente con il variare della produzione (andando a costituire i cosiddetti costi variabili), mentre altri (come ad esempio i macchinari) si ritengono invariabili (da cui l’appellativo costi fissi), perché non sono modificabili nell’immediato e servono per la produzione congiunta di più unità di output. Nel lungo periodo invece tutti gli input sono in grado di cambiare. L’artista quindi si trova nella condizione di dover decidere strategicamente su quali fattori produttivi basare il suo lavoro.

Nel corso dei passati articoli si è visto che i costi di produzione in senso stretto, cioè sia materiali che il tempo impiegati dall’artista durante l’esecuzione di un’opera, non sono input determinanti nella costruzione del suo valore.[2] Essi possono considerarsi tuttavia significativi in quanto costituiscono un vincolo di tipo economico, per cui il prezzo di vendita deve remunerare tutti i costi sostenuti per i fattori produttivi, tra cui i materiali e la manodopera, in modo che la produzione non sia in perdita (in che misura la manodopera debba essere remunerata viene a poi a dipendere dalle aspettative economiche dell’artista).[3]

Si è invece messo in evidenza che i fattori che più determinano il valore economico delle opere di un artista nel corso della sua carriera siano da una parte il grado di visibilità che questi ha acquisito all’interno del sistema che fa capo in gran parte alla strategia di promozione, e dall’altra il valore culturale (in altri termini definibile come talento, valore simbolico, capacità creativa, qualità o merito artistico, o semplicemente estro) che è indice direttamente della ricerca artistica effettuata.[4] Come si vedrà, mentre l’utilizzo della promozione crea un valore economico di breve periodo, che sortisce i suoi effetti per un determinato periodo di tempo e che deve essere costantemente riproposto per avere efficacia sul pubblico (come appunto avviene per le campagne pubblicitarie), l’utilizzo della ricerca artistica crea un valore culturale che tende a trasformarsi nel lungo periodo in valore economico.

La promozione

L’attività di promozione in genere fa capo direttamente all’artista solo nelle primissime fasi della sua carriera quando egli non ha ancora trovato rappresentanza. In queste fasi tale attività risulta in genere essere ridotta e raramente strategica, in relazione al fatto che l’artista non ha le competenze economiche e organizzative necessarie per farsi conoscere nel sistema e soprattutto è ignaro dei suoi meccanismi di funzionamento. Il suo problema in questa fase è innanzitutto come finanziare i costi di produzione che deve sostenere; poi avviare una ricerca artistica che lo porti ad uno stile personale riconoscibile e nello stesso tempo trovare una qualche galleria che lo inizi alla carriera.

Qualora l’artista trovasse spazio nel circuito delle gallerie (di scoperta), l’attività di promozione, una volta concordata, verrebbe portata avanti da queste ultime per conto dell’artista, sia in termini operativi che economici e strategici. L’attività delle gallerie in queste fasi consiste soprattutto nel rassicurare i collezionisti sull’effettiva qualità del prodotto venduto tramite piccoli investimenti (come l’organizzazione di una mostra o l’ottenimento di una recensione su una rivista). L’intento è quello di creare per induzione una domanda per l’artista, sostenuta anche attraverso una politica crescente dei prezzi, secondo l’effetto qualità di Stiglitz presentato nell’ultimo numero.

Tuttavia, come evidenziato da Santagata, nelle fasi iniziali della carriera sussiste un conflitto di interessi tra le parti che fa nascere il rischio di comportamenti opportunistici e conseguentemente la messa a rischio del sistema.[5]

Nella fase successiva sono le gallerie tradizionali che cercano di portare gli artisti verso la fama e il successo. Studiando la conformazione della curva di domanda, che si riduce considerevolmente nel settore degli artisti affermati, le gallerie sono in grado di vendere le opere a prezzi maggiori solo a patto che effettuino investimenti cospicui (soprattutto in termini di costruire un capitale relazionale che ne sostenga le iniziative) in modo da far fare un salto all’artista sulla platea internazionale: l’organizzazione di mostre in spazi istituzionali di rilievo, recensioni e saggi critici su riviste importanti, la partecipazione alle maggiori fiere del circuito, il sostegno verso l’ottenimento di premi riconosciuti, la partecipazione a biennali, la vendita sul mercato secondario attraverso contrattazioni private e la messa all’asta delle opere.[6]

Nel caso gli artisti riescano a superare con successo tutti gli step previsti per la loro affermazione, essi verranno a far parte del gotha del sistema dell’arte, ovvero di quel ristretto gruppo di persone in grado di condizionare grazie alla loro influenza e alle loro relazioni l’evoluzione del gusto, con buone probabilità anche di entrare a far parte dei libri di storia dell’arte. Questi artisti, già denominati arti-star, costituiscono delle vere e proprie celebrità ricercate in massa dal pubblico e dai collezionisti, nonché conosciute anche dai non addetti ai lavori.

Gli arti-star hanno come obbiettivo di carriera la loro consacrazione (sia culturale che economica) attraverso mostre personali retrospettive presso i maggiori musei mondiali e una lievitazione delle loro quotazioni a livelli fuori mercato. Quest’ultimo tassello potrà essere raggiunto solo attraverso una campagna di marketing a livello internazionale molto articolata, guidata direttamente dallo staff dell’artista in concomitanza degli altri maggiori stake-holder (cioè le gallerie e le case d’asta che lo promuovono e i mercanti d’arte e i collezionisti che ne detengono le opere in portafoglio). Gli stake-holder inoltre svolgono in queste fasi della carriera dell’artista l’importante compito di sostenere la domanda intervenendo in sostegno dei prezzi battuti all’asta: tutte operazioni molto dispendiose che presumono investimenti molto importanti.

Si è quindi visto che l’attività e i costi di promozione (se si escludono le primissime fasi della carriera) non vengono direttamente sostenuti dagli artisti, ma piuttosto dalle gallerie che offrono un’attività di intermediazione sul mercato. In cambio del loro operato le gallerie sono in genere solite richiedere una percentuale (mark-up) sul prezzo finale di vendita che varia in funzione del valore aggiunto che queste offrono in termini di attività promozionale; del potere contrattuale dell’artista nei loro confronti, legato al grado di fama precedentemente acquisito da quest’ultimo; infine della presenza di un moral hazard che fa aumentare costi e rischi dell’intermediazione. E’ possibile quindi ipotizzare, e i riscontri empirici confermano i presupposti teorici, che le commissioni di intermediazione sul mercato primario tendano a scendere in termini percentuali (seppur non in termini assoluti) via via che l’artista riesce ad affermarsi nel sistema.[7]

E’ interessante infine notare che l’artista, cambiando nel prosieguo della sua carriera diversi intermediari che lo sostengono, si porta con sé (come un bagaglio) gli effetti dell’attività di promozione portata avanti in passato dalle gallerie lasciate, di cui le nuove possono beneficiare in modo gratuito (fenomeno che gli economisti definiscono free-riding).

La ricerca artistica

Il talento (in altri termini il valore culturale) di un artista è strettamente legato alla sua attività di ricerca. La ricerca artistica non corrisponde alla produzione, durante la quale l’opera è creata “fisicamente” e in cui incorrono i fattori produttivi “materiale” (capitale) e “manodopera”, ma si riferisce ai frutti dell’ingegno, cioè alle doti naturali, al tempo, alle energie e alle conoscenze accumulate necessarie per la sua ideazione intellettuale. Si può considerare inoltre come capitale accumulato in ricerca artistica il tempo dedicato all’affinamento della tecnica e alla creazione di uno stile personale. La creazione intellettuale comporta per l’artista (e successivamente per 50 anni ai suoi eredi) tutta una serie di diritti, di valenza economica e non, genericamente definiti diritto d’autore (o IP, Intellectual Property).

L’efficacia che il talento artistico ha come fattore produttivo nei termini della creazione di valore economico non è tuttavia costante nel corso della carriera dell’artista. Come si è visto, durante la sua formazione egli investe prevalentemente tutte le sue energie in ricerca artistica. Poi, agli inizi di carriera e cioè quando si trova nella condizione di vendere le proprie opere e di fare l’artista di professione, l’investimento in attività promozionale risulta essere sempre più strategico e funzionale alla crescita delle sue quotazioni rispetto a quello di continuare con la ricerca artistica.

L’importanza dell’attività creativa subentra di nuovo successivamente, quando ormai l’artista si è affermato. Nella fase del consolidamento e in quella successiva del successo, in cui la curva di domanda assume un’inclinazione negativa e quindi in cui egli dovrà conquistare i collezionisti e convincerli dell’effettivo valore delle sue opere, la ricerca artistica diventa un fattore produttivo strategico, conditio sine qua non per andare avanti.[8]

In generale, a prescindere dalla fase di carriera (o dalle inclinazioni dell’artista), l’attività di ricerca artistica è caratterizzata dall’assenza di economie di scala ed è soggetta ad un vincolo di tempo, che si traduce in un limite della capacità ideativa dell’autore: fattori che rendono i rendimenti marginali della ricerca decrescenti. Ciò significa che, in un breve lasso temporale, produrre una nuova opera è, in termini di tempo di ideazione, più dispendioso della precedente.

Un’altra rilevante caratteristica della ricerca artistica, messo in evidenza da Baumol e Bowen in un loro noto saggio[9], è che essa è soggetta a un fenomeno chiamato patologia del costo (cost desease). Secondo Baumol e Bowen (riferendosi alle arti performative, ma il discorso è valido anche per la ricerca artistica), il lavoro artistico non utilizza alcuna tecnologia rilevante e quindi non può godere i frutti dell’introduzione dell’automazione, di Internet e più in generale dell’Information and Communication Technology in termini di maggiore produttività del lavoro, di cui possono beneficiare invece gli altri settori dell’economia, tra cui quello della comunicazione e della promozione di cui si è parlato in precedenza. Ciò produce l’effetto di rendere la ricerca artistica sempre meno efficiente rispetto alla promozione (productivity lag), determinando un cambiamento del mix produttivo ottimale nella direzione di un maggior utilizzo di quest’ultima.

Sulla base delle considerazioni di Baumol e Bowen, si può infine concludere che il valore di mercato delle opere d’arte tenderà a salire nel tempo. Infatti se da una parte la ridistribuzione degli input tenderà a non far salire i costi totali della produzione artistica, dall’altra il crescere dell’economia e del reddito determinerà una maggiore domanda culturale e un conseguente aumento tendenziale del livello dei prezzi delle opere d’arte.

Sviluppo della carriera e fattori critici di successo

Si è visto finora che la combinazione ottimale di fattori produttivi varia nel corso della carriera di un artista. E’ possibile rappresentare quanto evidenziato per mezzo del modello della produzione della teoria microeconomica, rivisto ad hoc.[10]

Si definisca un isoquanto quella curva che esprime le diverse combinazioni di input con le quali l’artista effettua la produzione di una opera standard. Si definisca come funzione di produzione quella equazione parametrica (di cui gli isoquanti sono una rappresentazione dei diversi livelli) che trasforma gli input utilizzati in valore economico. Si definisca inoltre come isocosto quell’insieme di rette che indicano il livello di costi di produzione (in senso lato) dell’opera sulla base dei prezzi di acquisto w1 e w2 dei fattori produttivi R (ricerca artistica) e P (promozione). Si definisca infine la combinazione ottimale da un punto di vista produttivo per un artista quel punto sulla curva di produzione per cui il saggio marginale di sostituzione tecnica (MRTS), ovvero la possibilità di cambiare un fattore produttivo con un altro senza alterare il valore dell’opera, sia pari al rapporto tra i prezzi w1 e w2 dei fattori produttivi. Si può dimostrare che nel punto di ottimo il costo marginale dell’opera e il suo ricavo marginale (cioè il valore suo economico) vengono a coincidere.

Nel periodo di formazione gli artisti investono prevalentemente in ricerca artistica, poi ad inizio carriera (cioè quando approdano al mercato) il mix ottimale di fattori produttivi per riuscire a vendere si sposta verso l’impiego preferenziale dell’attività di promozione; in seguito nelle ultime fasi di consolidamento e successo la ricerca artistica diventa fattore critico di successo. Poiché si è visto che gli investimenti in attività di promozione tendono comunque ad aumentare nel corso della carriera, ciò significa che, per produrre un output soddisfacente, l’attività di ricerca dovrà aumentare in maniera più che proporzionale (tenuto anche conto dei rendimenti marginali decrescenti di tale attività). Rappresentando per mezzo della teoria della produzione questo concetto nella figura 1, è possibile vedere che l’isoquanto si sposta nel tempo dalla posizione A alla posizione B, che corrisponde alla consacrazione dell’artista.[11] La curva passante tra A e B costituisce il percorso ottimale di carriera, cioè il sentiero di aggiustamento del valore dell’opera basato sulla combinazione ottimale di fattori produttivi.[12] E’ possibile constatare che il valore economico delle opere prodotte dagli artisti tenderà a crescere col progredire della loro carriera. E’ infine interessante notare che, con il passare del tempo (o meglio con lo sviluppo della tecnologia), a causa del productivity lag ipotizzato da Baumol e Bowen, la curva tenderà a spostarsi verso destra e verso l’alto (linea tratteggiata della figura 1), in ragione del fatto (ahimè) che la promozione acquista sempre più peso nel determinare il valore di mercato delle opere rispetto alle qualità intrinseche degli artisti.

Figura14-1

Combinazioni di input e generi di artisti

Si è appena evidenziato che la combinazione con cui vengono utilizzati i due principali fattori produttivi, cioè la ricerca artistica e la strategia di promozione, dipende dai diversi livelli di valore assunti dalle opere o dalle diverse fasi della carriera di un artista. E’ altrettanto vero tuttavia che essa viene anche influenzata dalle motivazioni che spingono l’artista a produrre opere d’arte. Si è in precedenza evidenziato nel modello rappresentativo il processo di selezione degli artisti,[13] che possono essere raggruppati in tre grandi categorie: quelli d’avanguardia, che, andando nella direzione di produrre lavori originali, fanno della ricerca artistica il loro punto di forza; quelli di mercato, che privilegiano un lavoro seriale di facile apprezzamento, tralasciando la ricerca a favore della promozione; infine quelli sensazionalistici che cercano il proprio punto di forza nel fornire un prodotto che colpisca per la sua eccentricità (anche se ciò non significa necessariamente che sia di qualità) per mezzo di una strategia promozionale aggressiva che gli permette più facili guadagni nel sistema.

Sulla base delle considerazioni portate nel citato modello è possibile rilevare che gli artisti d’avanguardia preferiscono basare la loro attività sulla ricerca artistica, per cui l’utilizzo di questo fattore produttivo risulta essere particolarmente efficace nell’ottenimento di opere di qualità, da cui risulta che il suo costo (w1) è per loro più basso che per le altre categorie. Per contro gli artisti sensazionalistici utilizzano una combinazione di fattori produttivi più spostata verso la promozione, anche in considerazione del fatto che essi (grazie a grandi doti di relazione, capacità comunicative, nonché competenze di marketing) hanno un miglior utilizzo del fattore produttivo P e quindi un suo minor costo w2. Gli artisti di mercato invece utilizzano una combinazione di fattori produttivi uguale agli artisti sensazionalistici ma mancano di attitudini particolari. Il valore di w1 e w2 risulta essere quindi quello di mercato.

Per i diversi generi di artisti la funzione di costo complessiva dipenderà dalla quantità di fattori produttivi impiegata e dal loro costo. E’ possibile affermare che gli artisti sensazionalistici posseggono nelle prime fasi della carriera un vantaggio competitivo, perché, come si è visto, agli esordi sono necessari forti investimenti in marketing (P), input di cui essi fanno amplio utilizzo e che pagano meno rispetto ai concorrenti. In questa fase anche gli artisti di mercato tendono a prevalere su quelli di avanguardia in relazione del fatto che essi investono comunque naturalmente più in P che questi ultimi. Gli artisti di mercato però a parità di budget possono acquistare meno fattori produttivi rispetto alle altre categorie (perché gli costano di più) e quindi avranno un output di minor valore complessivo. Gli artisti di avanguardia invece devono essere in grado di supplire alla carenza di P con il talento R: solo una forte dose di creatività, gli permetterà di essere comunque apprezzati e selezionati da una galleria. Una volta entrati nel circuito la loro carriera sarà in discesa, poiché saranno le gallerie a dover investire quanto necessario in P, e loro potranno dedicarsi quasi interamente alla sperimentazione artistica.[14]

Se gli artisti di avanguardia subiscono una forte selezione nella fase iniziale della loro carriera, e gran parte di essi non riescono ad approdare al circuito delle gallerie per la loro bassa inclinazione alla promozione, tuttavia, in relazione alla loro propensione verso ricerca, il loro mix produttivo risulta ottimale nel lungo periodo e questi artisti non dovranno quindi intervenire per cambiarlo. Facendo scarso uso degli strumenti del marketing, essi avranno un percorso di carriera con tempi di maturazione particolarmente lunghi e a volte raggiungeranno il successo solo post-mortem (l’esempio di Van Gogh è eclatante). Essi tuttavia sono il genere di artisti che produce il maggior surplus in corrispondenza dell’apice della carriera (il punto B della figura 1), in ragione della più alta efficienza produttiva e del maggiore valore culturale (che poi si trasformerà in valore economico). Gli artisti d’avanguardia vengono quindi a costituire a lungo andare l’investimento più remunerativo: come la tartaruga di Zenone che va più lontano del piè veloce di Achille sensazionalista, o il vino buono che invecchiando migliora.

Gli artisti di mercato per contro devono, per affermarsi, cambiare rapidamente il loro mix produttivo, passando da un maggiore investimento promozionale a una maggiore ricerca artistica. Le tempistiche che seguono sono infatti abbastanza veloci, almeno nelle fasi iniziali (sebbene non quanto quelle degli artisti sensazionalistici) e i costi di produzione sono particolarmente elevati in rapporto al valore dell’output. In considerazione delle loro risorse limitate da investire nel processo produttivo, del costo marginale crescente del fattore ricerca artistica, e della loro scarsa attitudine verso quest’ultima, essi tenderanno a mantenere inalterato il mix di input. Ciò avrà effetti diretti sulla loro carriera, che potrà continuare proficuamente solo fino a quando i loro costi marginali (gli investimenti da sostenere) saranno uguali al beneficio marginale (il valore dell’opera).[15]

Gli artisti sensazionalistici (almeno i migliori) hanno un’ascensione verso il successo molto rapida, poiché investono enormemente in campagne promozionali. Durante il breve (ma proficuo) evolversi della loro carriera essi pure, per avere maggiori chance di successo, devono cambiare costantemente il loro mix produttivo, passando da una forte promozione ad una forte ricerca artistica. Tuttavia, se manca (come per gli artisti di mercato) una predisposizione naturale verso quest’ultima, essi tenderanno soprattutto a spingere l’attività promozionale in modo da sostenere il loro nome e le loro quotazioni, finché ciò risulterà economicamente conveniente o possibile, visti i notevoli costi da sostenere. Senza ulteriori investimenti, dopo un certo lasso temporale la domanda però comincerà inesorabilmente a calare e inizierà quindi un lento declino[16]. Si arriverà ad un punto in cui la loro discutibile qualità artistica sortirà i suoi effetti determinando la disaffezione del pubblico, una perdita di immagine, il calo della domanda e infine il ribasso dei prezzi dell’artista sensazionalista: un circolo vizioso che ne comprometterà la carriera e lascerà i collezionisti con un cerino acceso in mano.

L’evoluzione della società e lo sviluppo tecnologico sono tuttavia in grado di modificare il quadro fin qui delineato. A causa infatti del productivity lag teorizzato da Baumol e Bowen, le campagne di marketing stanno diventando un fattore sempre più determinante nella determinazione del valore economico delle opere ai danni della sperimentazione artistica. Probabilmente questo è il motivo per cui al giorno d’oggi si ritrova un numero sempre più consistente di artisti sensazionalisti in vetta alle classifiche delle più alte aggiudicazioni all’asta. E’ bene ricordarsi tuttavia che pubblicità e marketing producono un effetto di breve-medio periodo. Non sarà quindi per essi possibile comprarsi un posto permanente nei libri di storia dell’arte.

Conclusioni

Sulla base di quanto esposto in questa sede sarà possibile, a partire dal prossimo numero, costruire la funzione di costo del singolo artista e del settore, e di conseguenza la curva di offerta individuale e di mercato; vedere se gli artisti siano price-takers o price-makers sulla base dell’analisi della concorrenza; studiare l’equilibrio nei diversi segmenti del mercato, evidenziandone il livello dei prezzi e della produzione, l’ammontare del surplus e la sua distribuzione; mettere infine in evidenza i meccanismi di aggiustamento del mercato e le determinanti economiche dei cambiamenti culturali e dei cicli del mercato dell’arte.

Note

[1] Varian H. R. (2007), Microeconomia, Cafoscarina, Venezia.

[2] Ciò non era così nel quattrocento in Italia in cui il valore dell’opera dipendeva direttamente dai materiali utilizzati e dal tempo impiegato per realizzarla (ovvero i colori usati, il soggetto, il numero di persone riprodotte). In Francia nel 1500 il valore dipendeva prevalentemente dalla scelta del soggetto rappresentato. Dalla fine del XIX secolo la proprietà più rilevante per il valore di un’opera è diventata la firma dell’artista ( Mourot N. – Sagot-Duvaurot P. (2010), Le Marché de l’Art Contemporain, La Découverte, Paris).

[3] Va notato che nelle fasce più basse del mercato, dove gli artisti producono per motivazioni di tipo personale e non economico, tale considerazione non trova riscontro empirico: diventando l’attività artistica più una passione che una professione, la produzione infatti viene fatta in perdita. In questa fase dunque i costi di produzione tendono ad essere esigui. Successivamente, con l’avanzare della carriera, gli artisti possono permettersi costi di produzione maggiori in quanto hanno maggiori disponibilità e riescono a vendere le loro opere ad un prezzo più alto.

[4] Sacco P. (2005), “La selezione dei giovani artisti nei mercati delle arti visive”, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 42-75.acco P. (2005),

[5] Il moral hazard si concretizza specialmente nella possibilità per l’artista di passare, una volta ottenuto il successo grazie all’attività promozionale della galleria d’avanguardia, ad una galleria più importante (tradizionale), facendo venir meno il ritorno all’investimento effettuato. Le gallerie di scoperta si cautelano contro questo rischio in due modi: da una parte chiedono commissioni più alte, con il rischio di un meccanismo di selezione avversa per cui vengono scelti gli aspiranti non in base alle loro motivazioni artistiche ma alla loro accondiscendenza economica. Dall’altro esse comprano a prezzi di favore un gran quantitativo di opere dell’artista emergente, in modo tale che se questi dovesse avere successo e conseguentemente i suoi prezzi dovessero salire, la galleria otterrebbe un profitto dalla capitalizzazione del proprio portafoglio opere. Naturalmente anche quest’ultima strategia non è tuttavia esente da rischi. Cfr. Santagata W. (2005), Beni d’arte, modelli di scambio, istituzioni di mercato, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 15-42. Esiste anche un moral hazard da parte delle gallerie che consiste nell’affermare di aver venduto un’opera con uno sconto quando invece la si è venduta a prezzo pieno, così ottenere commissioni più alte. Una soluzione del problema può venire dalla stipula del corrispettivo per l’artista in percentuale sul prezzo di listino e non su quello di vendita.

[6] Come si vedrà l’ammontare di tali investimenti viene a dipendere anche dalla natura dell’artista.

[7] Per gli artisti molto affermati si è recentemente aperta una nuova frontiera sul mercato primario, e cioè quella di farsi promuovere e vendere direttamente all’asta i propri lavori by-passando le gallerie di brand. In questo modo è possibile spuntare prezzi generalmente più alti e pagare commissioni minori.

[8] C’è da notare che nella fase del successo la domanda continua ad essere sostenuta anche in corrispondenza di un declino della creatività dell’artista in relazione all’effetto dei passati investimenti (Zorloni A. (2011), L’economia dell’arte contemporanea, Mercati, strategie e star system, Franco De Angeli, Milano).

[9] Baumol W.J. – Bowen W. G. (1966), Performing Arts, the Economic Dilemma, The Twentieth Century Fund, New York.

[10] Per una rassegna dei modelli di produzione applicati alla cultura, cfr. Taalas M. (2011), “Cost of production”, in (a cura di) Towse R. (2011), A Handbook of Cultural Economics, Edward Elgar, Cheltenham.

[11] Originariamente durante la formazione l’isoquanto si trova nel punto O, per poi passare ad A nel momento in cui l’artista si pone sul mercato.

[12] La curva di aggiustamento del valore non assume una forma lineare , ma tenderà prima a spostarsi verso destra per poi adattarsi lentamente verso il punto B di arrivo della carriera (linea blu nella figura 1). Tale conformazione è dovuta alla presenza di asimmetrie informative sul mercato che determinano la necessità dei collezionisti di essere rassicurati sull’effettiva qualità delle opere di artisti emergenti per mezzo di ingenti investimenti in promozione.

[13] Guenzi (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea/2: il problema della selezione avversa degli artisti e delle gallerie”, Economia e Diritto, n. 11.

[14] Il tasso di investimento in P dipende quindi non solo dal genere di artista ma anche, come si è visto, dal genere di galleria (appassionati, speculatori o strategici, cfr. Guenzi (2014), op. cit.). Per semplicità del modello omettiamo di prendere in considerazione questo aspetto, tenuto anche conto che nella gran parte dei casi l’artista sceglierà un gallerista che abbia un modello morale e comportamentale simile al proprio e che quindi opererà delle scelte in linea con le sue.

[15] La carriera degli artisti di mercato, oltre a poter finire l’impossibilità di variazione del mix di produzione, talvolta (come meglio si vedrà) può terminare in relazione a uno shock dell’offerta che ne azzererebbe la domanda, ovvero a un cambiamento nel paradigma del gusto, determinato dalla ciclicità economica e culturale del mercato dell’arte contemporanea.

[16] Talvolta gli artisti sensazionalistici fanno uso di uno stratagemma in modo da cambiare il mix produttivo e evitare un inevitabile declino: quello di appropriarsi del lavoro e della ricerca artistica di altri vendendolo poi come proprio. Ciò avviene sia attraverso vere e proprie operazioni di plagio (ad esempio gli artisti Jeff Koons e Damien Hirst sono stati recentemente citati in giudizio per tale reato; Picasso d’altro canto affermava che: “i cattivi artisti copiano, quelli buoni rubano” e ancora: “copiare gli altri è necessario ma copiare se stessi è patetico”), sia tramite l’assunzione di creativi (ghost-artist) cui affidare l’attività ideativa, da far poi produrre ad artigiani specializzati per infine apporre la propria firma. Anche questa seconda via risulta difficilmente praticabile in quanto vi sono ben pochi artisti di valore contenti di “vendersi”, facendo diventare famoso qualcun altro con il loro talento.

(di Marco Guenzi)

Nello scorso articolo, analizzando la questione delle asimmetrie informative, si è potuto vedere come queste diano origine a un meccanismo di selezione avversa sul mercato, cioè comportino che i beni di maggiore qualità non possano essere distinti da quelli scadenti (e quindi valorizzati come dovuto), con la conseguenza che il mercato viene a comporsi di quei soli prodotti “bidone” e rischi di non trovare più domanda. In questo articolo esamineremo nel dettaglio il meccanismo di selezione avversa applicato alla selezione di artisti e gallerie, evidenziando come esso determini il fatto che gli artisti migliori spesso non trovino posto nel sistema dell’arte e che le opere messe in commercio siano quelle in genere di minore qualità; nello stesso tempo si vedrà che i galleristi di maggior successo non sono quelli caratterizzati da più alta professionalità e competenza in ambito artistico, ma bensì quelli che possiedono migliori doti di marketing, con l’effetto di un minor valore aggiunto culturale che si riflette in termini di sviluppo sul sistema socio-economico.

Il problema della promozione

Gli artisti, specie quando sono alle prime armi, si trovano di fronte al problema di promuovere la loro produzione, affinché essa sia notata e segnalata come qualcosa di pregevole all’interno del sistema dell’arte. La promozione costituisce una fase delicatissima agli inizi della carriera di ogni artista, poiché da essa dipende la possibilità fare di quest’attività una vera e propria professione e in ultima analisi l’opportunità costruire un avvenire di successo nel mondo dell’arte.

L’attività di promozione può tuttavia essere svolta con modalità diverse, che presuppongono innanzitutto la scelta del canale attraverso cui espletare la propria attività. In tal senso è possibile identificare tre diverse alternative[1]: da una parte la strada della committenza diretta da parte del collezionista, in auge nel passato, ma ora non più praticabile (se si escludono i rari casi di mecenatismo di stampo moderno); dall’altra quella del mercato, che prevede la commercializzazione diretta (autopromozione) o attraverso il circuito delle gallerie; infine la strada attraverso i legami istituzionali, cioè l’attività curatoriale di musei e istituzioni pubbliche (che purtroppo risulta essere fortemente carente in molti contesti istituzionali).

Per la forma e la struttura stessa in cui si è conformato oggi il sistema dell’arte[2], allo stato attuale è il mercato, e più precisamente la vendita attraverso i canale delle gallerie (e successivamente delle case d’asta) a rappresentare la strategia dominante, se non l’unica, che può assicurare all’artista prospettive di successo.

Infatti, se l’autopromozione diviene una scelta obbligata per chi è escluso dal circuito delle gallerie, essa tuttavia costituisce una scelta fortemente penalizzante per l’artista (perché distoglie energie utili al lavoro) e di difficile attuazione (perché in genere chi possiede capacità artistiche risulta spesso alquanto impacciato nell’autopromuoversi).

Sul mercato dell’arte infatti si è in presenza di asimmetrie informative che impediscono che i collezionisti possano apprezzare il valore delle opere senza l’intervento di gallerie che selezionino e facciano uno screening degli artisti. In mancanza dell’attività di intermediazione delle gallerie ci si troverebbe in una situazione in cui i migliori artisti deciderebbero di non mettere le loro opere sul mercato, consci del fatto che i propri lavori non verrebbero valutati quello che effettivamente valgono, senza peraltro la possibilità (se li vendessero) di goderne in futuro i capital gain[3]. Sarebbero invece più incentivati a cedere le proprie opere gli artisti di minore qualità, con conseguente abbassamento della qualità generale dell’offerta e contrazione della domanda.

Se quindi la rappresentanza di una galleria è il percorso utile, privilegiato e quasi obbligato per gli artisti, soprattutto i più meritevoli, nel farsi strada nel mondo dell’arte, le gallerie sono davvero interessate ai lavori di questi ultimi e più in generale sono in grado di garantire loro un giusto successo nel sistema?

Un modello interpretativo

Il circuito delle gallerie (ma si può in questo caso dire l’intero sistema dell’arte, perché con esse lavorano critici, curatori, direttori di musei, collezionisti) deve procedere nel difficile compito di selezionare gli artisti da rappresentare e successivamente di fare entrare un ristretto numero di essi negli annali della storia dell’arte.

A prima vista l’unico sensato criterio di valutazione nel percorso di selezione degli artisti risulterebbe essere il merito artistico. Secondo Sacco[4] il valore artistico si misura sulla base della loro capacità di generare “processi di senso”, ovvero portare una ricerca innovativa in termini di linguaggio dell’arte. Il linguaggio dell’arte fa riferimento alle categorie mentali di una piccola élite di specialisti che decidono chi ha meriti in questo campo.

Tuttavia le gallerie nel loro processo di selezione iniziale tendono in genere ad usare altri parametri, sia in relazione alle difficoltà e all’alto grado di soggettività nel processo di formazione di un giudizio di valore, sia perché preferiscono utilizzare elementi oggettivi di più facile valutazione (e soprattutto di più alto valore segnaletico) quali gli studi effettuati, le relazioni interpersonali comuni, e soprattutto le motivazioni sottostanti e la tipologia di arte prodotta[5].

Prendendo spunto dal lavoro portato avanti da Sacco[6] si cercherà ora di capire, per mezzo di un modello interpretativo sviluppato ad hoc, il processo di selezione degli artisti da parte delle gallerie.

Si riconducano tutte le variegate tipologie di artisti a soli tre generi: gli artisti “d’avanguardia”, “di mercato” e “sensazionalistici”. Gli artisti d’avanguardia (o “puri”) sono coloro che hanno come obbiettivo primario l’investimento sulla loro ricerca artistica e non investono, come dice appunto Sacco, in capitale relazionale. Ciò naturalmente costituisce un problema, poiché tendono a non curare abbastanza l’attività di promozione. Essi sono artisti dotati di grandi capacità innovative e in grado di produrre opere di elevato valore artistico, che tuttavia essendo appunto d’avanguardia e di nicchia, non vengono in genere apprezzate dal grande pubblico.

Gli artisti di mercato privilegiano invece la problematica del proprio sostentamento, anche al costo di perdere in qualità artistica. La loro produzione tende quindi a incontrare i gusti del pubblico e a conformarsi con il gusto corrente, senza essere quindi particolarmente innovativa (in genere essa è sulla falsariga di stili già affermati nel mondo dell’arte). Essi destinano buona parte del proprio tempo al conseguimento di un certo capitale relazionale, che gli serve per entrare nel mercato.

Gli artisti sensazionalistici invece tendono soprattutto a conseguire l’obbiettivo della notorietà, sia attraverso l’investimento in capitale relazionale, sia per mezzo di astute manovre di marketing. Il loro prodotto artistico e la loro condotta individuale divengono quindi funzionali al loro successo, cioè assumono tratti provocatori e in linea con una strategia di comunicazione che si basa sul far parlare di sé[7].

Gli artisti ai loro esordi per vendere cercano di interfacciare con le gallerie di scoperta (o commerciali), cioè quelle (in genere piccole) gallerie che si occupano di scoprire nuovi talenti e di dar loro rappresentanza. Le gallerie di scoperta hanno il compito di garantire ai collezionisti la qualità delle opere che vendono (screening) attraverso l’elargizione di informazioni e segnali di valore (signaling), tra cui in primis il prezzo. La loro attività risulta fondamentale in quanto esse ricoprono il ruolo di gatekeeper nel mercato dell’arte, cioè fungono da garanti dell’ingresso degli artisti nel fulcro del sistema.

Se si sono potuti distinguere gli artisti riconducendoli a tre categorie, lo stesso è possibile fare con i galleristi, che possono essere classificati in “appassionati”, “speculatori” e “strategici”. I galleristi appassionati svolgono la loro professione principalmente per passione. Non hanno grandi ambizioni di carriera e il loro intento è soprattutto la promozione della qualità e del merito dal punto di vista artistico. I galleristi speculatori sono interessati soprattutto al guadagno immediato. Il loro fine è quindi massimizzare nel breve periodo i profitti. Essi quindi tendono, qualora si presentasse l’occasione (cioè quando si fosse in presenza di un moral hazard), ad assumere comportamenti opportunistici. I galleristi strategici invece hanno l’ambizione di salire i gradini del sistema dell’arte. Il loro orizzonte è quindi di lungo periodo e i loro comportamenti sono assoggettati all’obbiettivo di ottenere potere e notorietà.

I fattori critici di successo

Nel primo step nel processo di selezione gli artisti si presentano alle gallerie di scoperta fornendo segnali delle loro qualità: in particolare l’accademia in cui hanno studiato (importante più che per il livello della formazione per il capitale relazionale accumulato[8]); le piccole mostre, sia personali che collettive, cui hanno partecipato (anch’esso indicatore più del capitale relazionale che della bravura); last but not least la “tipologia di prodotto” offerta, cioè l’appartenenza più o meno a qualche corrente artistica, i medium utilizzati, le tematiche affrontate.

Il secondo passo è quello in cui le gallerie procedono nel loro processo valutativo. Naturalmente nelle loro scelte esse dovranno tener conto di diversi fattori: delle loro inclinazioni, di quelle dell’artista e soprattutto delle probabilità di successo di quest’ultimo. Ma cosa è che rende l’artista di successo diverso rispetto agli altri? Quali sono i fattori che determinano il suo essere “speciale”?

Il successo artistico è stato studiato da alcuni economisti, che ne hanno dato la loro interpretazione.

Secondo Rosen[9] viene premiato il talento. Rosen afferma che il talento è una risorsa rara e che, poiché l’utilità marginale dei collezionisti è crescente con l’aumentare della qualità, i consumatori tendono a concentrare le proprie preferenze nei confronti degli artisti più bravi, come risulta chiaro per esempio dal caso dei cantanti. Nel caso del mercato dell’arte contemporanea, ciò significa che i collezionisti tenderebbero a orientarsi verso gli artisti d’avanguardia, ovvero quelli con maggiori capacità artistiche. Tuttavia si è visto che sul mercato dell’arte si è in presenza di asimmetrie informative e il talento artistico per emergere ha bisogno dell’attività di screening e signaling delle gallerie. Le stesse gallerie, soprattutto se agiscono in un’ottica speculativa o strategica, sono assoggettate ad un moral hazard che rende probabili che attraverso mirate manovre di marketing alcuni galleristi e critici possono far passare come artista di valore chi effettivamente non lo è. Il talento artistico non risulta essere quindi la prima discriminante secondo cui i galleristi selezionano gli artisti: in ultima analisi ciò significa che il modello di Rosen mal si applica al mercato dell’arte.

Un’interpretazione più centrata in questo caso risulta essere quella di Adler[10]. Adler ha un’idea diversa: viene premiata la capacità di farsi notare. Poiché la scelta degli artisti in presenza di asimmetrie informative è difficile, le scelte dei collezionisti tendono a concentrarsi su coloro sui quali hanno più facilmente informazioni. Essi per scegliere i “loro” artisti si affidano ai “segnali del mercato” cioè il grado successo raggiunto, che può essere desunto dalla galleria che li rappresenta, il livello di prezzo conseguito, le mostre fatte, le biennali a cui hanno partecipato: indicatori che vengono (erroneamente) proclamati come indici sintetici della qualità. Da questo punto di vista le scelte dei collezionisti tenderanno a premiare le opere e gli artisti sensazionalistici, perché essi comportano minori costi iniziali di reperimento delle informazioni e quindi (a parità di prezzo di partenza) un minor costo pieno. La scelta iniziale da parte dei collezionisti di comprare un artista sensazionalista fa sì che, ceteris paribus, sia vantaggioso per le gallerie rappresentare questo genere di artisti, ai danni di quelli d’avanguardia, magari di maggiore qualità, ma per i quali ci sono alti costi di reperimento delle informazioni e quindi minor domanda. Gli artisti d’avanguardia hanno inoltre un livello di rischio maggiore rispetto a quelli di mercato o sensazionalistici, le cui opere sono infatti più facilmente apprezzabili dai collezionisti (sia da un punto di vista dell’investimento che del gusto). Per capire l’avanguardia infatti bisogna essere aggiornati, il che richiede dedizione e competenze che solo pochi collezionisti hanno.

Ma risulta qui interessante approfondire questa chiave interpretativa. Un altro motivo perché la domanda si concentra sugli artisti più noti (e si badi bene non più validi) è data dalla loro componente di esclusività. Un nome quanto più è noto tanto più ha un appeal sulle masse (basti pensare ai cachet dei divi del Grande Fratello che non hanno alcun talento, ma solo notorietà). Avere un’opera conosciuta in casa significa avere un brand distintivo da mostrare agli amici. Se l’autore non fosse conosciuto (e di conseguenza costasse poco) il suo grado di esclusività sarebbe, a parità di condizioni, minore. Il successo risulta avere quindi un appeal osmotico, per cui fa sentire importante chi ha vicino qualcuno, o qualcosa che riguarda qualcuno, che ha acquisito notorietà (si pensi ad esempio al caso dei cimeli di personaggi famosi acquisiti a prezzi fuori mercato). Si applica in questo caso il concetto di esternalità di rete, per cui la notorietà crea successo e il successo crea notorietà, in modo da instaurare dei circoli virtuosi che portano alla ribalta gli artisti, con la conseguenza che in poco tempo essi divengono superstar (o meglio arti-star) e le loro quotazioni divengono fuori mercato. Una volta raggiunto un certo livello di notorietà, essi riescono a vivere di rendite di posizione. La propria fama infatti viene a costituire una forma di barriera all’entrata, grazie alla quale essi tendono a escludere dall’ingresso nel gotha dell’arte i possibili concorrenti, magari anche più talentuosi.

Le logiche delle gallerie

Nel suo processo decisionale selettivo la galleria di scoperta non deve valutare soltanto le possibilità di vendita. Certo, se l’artista non vende, la galleria si trova con un investimento improduttivo; deve interrompere il rapporto, e i costi sostenuti per lanciarli divengono sunk cost. Tuttavia anche se l’artista è molto di successo si pone un problema: quello della credibilità[11]. Santagata spiega che, qualora l’artista abbia forti riconoscimenti dal sistema, egli può decidere di abbandonare la galleria e farsi rappresentare da una galleria più importante, cioè una galleria tradizionale. Viene quindi a crearsi un moral hazard che ugualmente comporta che i costi sostenuti per la promozione non divengano più recuperabili.

Le gallerie di scoperta quindi cercano di cautelarsi di fronte a questo rischio, sia chiedendo alte cifre per l’intermediazione (questo spiega il livello molto elevato dei costi di transazione per i giovani artisti) sia comprando o prendendo in conto vendita un grande quantitativo di opere dell’artista a bassissimo prezzo. Questa operazione di “stoccaggio” infatti, in previsione che le quotazioni dell’artista salgano fortemente, permette alla galleria di non essere esclusa dalla partecipazione dei profitti aggiuntivi.

Da questo punto di vista quindi i migliori artisti (o meglio i meno rischiosi) per le gallerie di scoperta sono quelli di mercato, perché da una parte vendono più di quelli d’avanguardia, dall’altra è difficile che ti lascino perché è improbabile che ottengano un successo tale da abbandonare la galleria (come può più facilmente avvenire per quelli sensazionalistici).

Al di là di queste considerazioni generali bisogna tenere conto che le gallerie seguono nel processo di selezione le proprie inclinazioni personali. Si può quindi dire che, in condizioni normali, le scelte delle gallerie appassionate ricadranno principalmente sugli artisti d’avanguardia; quelle speculative sceglieranno soprattutto artisti di mercato; le gallerie strategiche infine tenderanno a privilegiare gli artisti sensazionalistici. Il tutto in un ottica naturalmente di diversificazione del portafoglio. Alla fine queste scelte, che comportano diverse prospettive di crescita, avranno conseguenze dirette sulla loro attività.

L’attività di investimento in avanguardia comporta infatti di base un grande rischio intrinseco in quanto risulta molto difficile per le gallerie dare segnali dell’effettiva qualità di un’opera, così da poterla vendere ad un prezzo più alto[12]. Le opere d’avanguardia non sono quindi apprezzate dalla grande maggioranza dei collezionisti (se si escludono quelli “di tendenza”), in quanto ciò comporterebbe un processo di affinamento culturale e di raccolta di informazioni che richiede notevole tempo nonché grandi energie. La loro domanda risulta quindi essere di nicchia.

Per quanto riguarda le opere di mercato esse invece vanno incontro al gusto di gran parte dei collezionisti e nello stesso tempo risultano essere sia relativamente facili da contestualizzare da un punto di vista culturale, sia poco rischiose dal punto di vista dell’investimento.

Le opere sensazionalistiche, anche se non conquistano il gusto del pubblico e risultano in genere di dubbio valore artistico, hanno il pregio di far parlare di sé, e quindi di accrescere la notorietà e le quotazioni dell’artista. Tale forma di investimento è quindi ottimale per una galleria in un rapporto di medio-lungo periodo, ma ciò in realtà è poco plausibile perché gli artisti sensazionalistici tendono a passere alla prima occasione ad una galleria più importante che li rappresenti.

Il processo di selezione agli esordi

Agli inizi tutti gli artisti partono sulla stessa linea di partenza. Il prezzo di partenza, al di là del talento artistico, in genere tende ad essere simile, non essendoci ancora elementi chiari su cui attuare una strategia dei prezzi; le gallerie fissano per gli artisti ai loro esordi delle quotazioni standard: né troppo basse (ciò toglierebbe valore all’artista e indirettamente alla galleria), né troppo alte (iniziare con una quotazione alta significherebbe diminuire le prospettive di crescita dell’artista e in altri termini la sua appetibilità come investimento).

Successivamente sono molti i fattori che determineranno la crescita nella carriera e nelle quotazioni di un artista. Se, una volta entrato nel mercato, il suo talento da una parte può essere di aiuto, in quanto permette di ricevere apprezzamenti all’interno del sistema, tuttavia ancora più importanti risultano essere le strategie commerciali messe in atto (oltre che da lui stesso) dalle gallerie che lo rappresentano.

Le gallerie infatti cercano attraverso la loro attività promozionale di farsi garanti della qualità delle opere che vendono. Al di là delle qualità intrinseche del prodotto, importa, come d’altronde in qualsiasi attività di commercializzazione, cosa il venditore è in grado di far percepire al compratore riguardo a ciò che vende. La galleria quindi non è tanto interessata a vendere cose di qualità, ma a vendere piuttosto cose che sembrano essere di qualità. A tal fine essa cerca di far di tutto per camuffare il proprio prodotto nel migliore dei modi, in modo da poterlo vendere al massimo prezzo.

Per far ciò farà perno sulle leve del marketing che avrà a disposizione: la qualità (l’originalità) percepita dell’opera, laddove sarà in grado di giustificarla; il suo prezzo, che dipende direttamente da questa prima e indirettamente serve da fattore di rinforzo (si ricorda che il prezzo delle opere d’arte assume un valore simbolico della qualità)[13]; le selling-out situation, che giustificano una sua maggiore appetibilità in quanto fanno presumere una crescita dell’artista in termini di quotazioni.

Da questi punti di vista gli artisti d’avanguardia risulteranno essere appetibili solo qualora passi il messaggio della loro espressività o capacità di innovare; la promozione degli artisti di mercato si baserà soprattutto sulle capacità tecniche; mentre gli artisti sensazionalistici venderanno sulla base di quanto è conosciuto il proprio nome.

Quali artisti emergeranno? Probabilmente coloro che riusciranno a concentrare su di sé tutte le diverse qualità, così da poter fronteggiare i diversi movimenti del gusto e del mercato[14].

Il risultato complessivo è che gli artisti di mercato costituiranno la maggioranza di quelli selezionati, benché ci sarà comunque una piccola rappresentanza di quelli sensazionalistici (per definizione chi riesce a far sensazione non può essere che un numero ristretto di individui) e d’avanguardia (in quanto non apprezzati per la loro rischiosità dalle gallerie)[15].

La via verso il successo

La promozione degli artisti nella fase iniziale è rappresentata dall’organizzazione di mostre personali e collettive nello spazio della galleria, nell’ottenimento qualche recensione sulle riviste d’arte minori e nella presentazione dell’artista nelle fiere nazionali. Lo step successivo nella carriera d’artista è quello di essere rappresentato da una galleria tradizionale.

Le gallerie tradizionali risultano essere di un gradino superiore nella gerarchia del sistema dell’arte. Esse, composte dai galleristi di scoperta che hanno fatto carriera, in genere operano anche sul mercato secondario come mercanti d’arte e tendono ad includere nel loro portafoglio oltre ai migliori artisti di mercato, anche gli artisti d’avanguardia e gli artisti sensazionalisti che si sono affermati. Inoltre esse acquisiscono un profilo internazionale rappresentando anche artisti stranieri. La loro promozione in questo step viene attuata attraverso l’organizzazione di mostre in spazi istituzionali, recensioni e saggi critici su riviste importanti, la partecipazione a fiere internazionali, il sostegno verso l’ottenimento dei maggiori premi nazionali, la partecipazione a biennali, la vendita sul mercato secondario attraverso contrattazioni private e la messa all’asta delle opere. A questo punto solo coloro che riescono a superare tutte le prove previste dalla strategia commerciale, cioè i migliori artisti d’avanguardia e sensazionalisti, possono ambire ad essere rappresentati dalle gallerie di punta.

Le gallerie di punta (che sempre svolgono parallelamente una attività di compravendita e sono anche quindi mercanti) cercano di lanciare i pochi partecipanti in una corsa verso il traguardo di entrare nel gotha dell’arte. Esse supportano attivamente, grazie alla loro rete di contatti, gli artisti nella loro attività, cercando di far ottenere loro mostre nei musei più importanti in modo da storicizzarli. Inoltre sostengono le quotazioni degli artisti, in cordata con i collezionisti che ne detengono le opere, intervenendo in base d’asta grazie alle enormi risorse finanziarie di cui dispongono. In questa corsa naturalmente gli artisti sensazionalisti partono avvantaggiati, poiché possiedono tutte le armi del mestiere del marketing manager. Questi artisti riescono a produrre opere facilmente riconoscibili (secondo il principio del branding) e in grande quantità (non si occupano loro direttamente della produzione, che avviene attraverso una catena di montaggio, ma devono semplicemente supervisionare il tutto). Essi sono poi in grado di smerciarle sul mercato poiché sono in grado di attuare strategie di differenziazione del prodotto (e dei prezzi) in modo da attingere alle diverse fasce di mercato. I più audaci addirittura, visto il potere commerciale del proprio brand, possono decidere di bypassare il sistema delle gallerie e vendere direttamente le opere prodotte all’asta, così da avere minori costi di intermediazione e spuntare un prezzo più alto[16]; oppure possono decidere di organizzare direttamente, in accordo con i direttori dei grandi musei, grandi mostre antologiche.

Gli artisti d’avanguardia invece faranno molta più fatica ad affermarsi e solo una piccolissima parte di essi riuscirà a scalare le vette del sistema. Gli artisti di mercato, invece, avranno maggiori facilità ad entrare nel mercato, ma difficilmente riusciranno a farsi strada.

Nello stesso modo, per quanto riguarda le gallerie, sono i galleristi strategici, che, avendo un’ottica di medio-lungo periodo (al contrario di quelli speculativi) e conoscendo bene le leve del marketing (al contrario di quelli appassionati), a riuscire ad avere maggiori probabilità di scalare le vette del mondo dell’arte[17].

L’intervento pubblico

Le accurate campagne di marketing delle gallerie e degli artisti di punta permettono a questi di ottenere enormi margini e profitti, ai danni dei loro fratelli minori che, seppur meritevoli, rimangono esclusi dalle risorse economiche messe a disposizione dal mercato. Di fronte ad un fenomeno che ha l’effetto perverso di obnubilare al pubblico gran parte della sperimentazione artistica in atto, facendo invece brillare poche stelle (che con ogni probabilità si riveleranno essere comete), urge un intervento riparatore da parte delle istituzioni pubbliche.

Un intervento pubblico dovrà andare in direzione di rendere evidenti i meriti degli artisti esclusi dal mercato attraverso l’attività di screening da parte di critici e curatori indipendenti, legati ad realtà istituzionali no profit, che svolgano la loro attività proprio in direzione di segnalare i casi di artisti di valore che non trovano visibilità.

Inoltre dovrebbe essere incentivata, attraverso l’erogazione di fondi pubblici, l’istituzione di organizzazioni che si occupano di promuovere esclusivamente l’attività di questi artisti attraverso l’organizzazione di mostre e premi indipendenti[18]. Gli stessi musei, compresi i maggiori, dovrebbero essere obbligati a dedicare parte della loro attività espositiva ad artisti senza galleria, con il vincolo, da inserirsi a livello statutario, che una certa percentuale della loro collezione permanente fosse composta dai lavori di questi ultimi, alla stessa stregua delle cosiddette “quote rosa”, che cercano anch’esse di garantire, seppur in altro ambito, il principio delle pari opportunità.

Infine è auspicabile un sostegno pubblico nella direzione di fornire, utilizzando il canale web, degli art hub che siano in grado di mostrare le offerte più interessanti dell’arte alternativa e che riescano ad operare un crowdfunding (cioè il finanziamento dal basso di progetti artistici di valore da parte di privati in cambio di un qualche riconoscimento del sostegno dell’opera).

Conclusioni

E’ possibile quindi evincere che allo stato attuale il sistema dell’arte è fortemente gerarchizzato, poco permeabile alla qualità artistica, e che al suo interno i meccanismi di selezione e di remunerazione di artisti e gallerie (almeno da un punto di vista culturale, non manageriale) non si basano su criteri strettamente meritocratici. La conseguenza è che gran parte del surplus del sistema, e cioè della profittabilità che incentiva gli artisti a produrre e le gallerie a promuovere i loro lavori, diventi appannaggio di pochi privilegiati, per cui chi sta in alto nella piramide guadagna da solo tanto quanto buona parte di coloro che ne sono in basso, togliendo così a questi i mezzi di sostentamento per la loro produzione[19].

I diversi modelli comportamentali di artisti e gallerie sottopongono purtroppo il sistema dell’arte a una selezione naturale di stampo darwiniano, dove solo i più forti sopravvivono e i più deboli sono destinati a soccombere. Questo fenomeno di selezione è inoltre rinforzato da un meccanismo emulativo-adattivo del genere lamarquiano: poiché nelle diverse fasi storiche esistono modelli comportamentali più di successo rispetto ad altri, è più probabile che artisti e gallerie tendano a seguirli al fine di colmare il gap competitivo. L’inevitabile dell’instaurarsi di questi meccanismi non è però tanto nei termini di una perdita di profitto sul mercato (la domanda infatti, come si avrà modo di vedere, risulta essere poco elastica alla qualità delle opere offerte), ma quella di abbassare (con danno per la collettività) la qualità media dell’offerta culturale.

Che misure si possono prendere allora per ovviare al problema della selezione avversa degli artisti? Purtroppo non esiste la possibilità di istituire una corsia preferenziale (cioè un percorso di carriera diverso) per quegli artisti che abbiano come obbiettivi primari l’autenticità, l’originalità e la ricerca artistica. L’unica soluzione indiretta è rappresentata dalla creazione (grazie ad un intervento pubblico) di canali alternativi attraverso questi artisti, nel caso fossero esclusi dal sistema, possano comunque avere delle chance di venire apprezzati da un pubblico più o meno vasto e venire segnalati alle gallerie. Tutto ciò tuttavia non avrà effetti rilevanti se non inserito all’interno di un pacchetto più ampio di interventi mirati a revisionare il sistema dell’arte nel suo complesso, nella direzione di una maggior efficienza e un minor intreccio di interessi all’interno del mercato.

Note

[1] Santagata W. (2005), Beni d’arte, modelli di scambio, istituzioni di mercato, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 15-42.

[2] Cfr Guenzi M. (2014), “Il sistema dell’arte”, Economia e diritto, n. 3-6.

[3] Se si escludono meccanismi di ricompensa, marginali rispetto all’ammontare totale dei capital gain, come il Diritto di Seguito.

[4] Sacco P. (2005), “La selezione dei giovani artisti nei mercati delle arti visive”, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 42-75.

[5] Cfr. Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea /1: le asimmetrie informative nella contrattazione di opere d’arte”, Economia e Diritto, no. 10.

[6] Sacco P. (2005), Op. Cit..

[7] Gli artisti sensazionalistici trovano come capostipite la figura di Andy Wharol, che fu il primo ad utilizzare lo strumento dei mass media per dar eco delle sue gesta, e, come precursori, artisti eccentrici come Dalì: “[Nel 1941] Dalì faceva fatica a sopravvivere. Cercava chi gli commissionasse ritratti, ma con scarsi risultati. Mio padre [Wildestein, mercante d’arte a Parigi e New York] un giorno lo convocò e disse: «Così non puoi più andare avanti. Bisogna che tu faccia un numero, che ti metta veramente in evidenza. Inventa qualcosa che faccia scalpore!» Così una sera, invitato dai Whitney – grandi collezionisti che facevano parte dell’ambiente più snob d’America – si presentò a casa loro in pigiama, portando una capra al guinzaglio, dopo aver mandato in frantumi una vetrina di Tiffany con una grossa pietra. Ecco il colpo che aveva escogitato. E funzionò.” Da Wildestein D. – Stavridès Y. (2001), Merchands d’art, Artema, Torino, p. 72, cfr. Candela G. – Scorcu A. (2012), Economia delle arti, Zanichelli, Bologna. Si cita inoltre come esempio di strategia di comunicazione moderna l’esempio di Maurizio Cattelan che ad esempio nel 2004 appese nei giardini di Porta Ticinese di Milano delle riproduzioni di bambini impiccati (subito rimossi) o nel 2010 (sempre a Milano) espose, questa volta con il benestare del Comune, un dito medio di dimensioni monumentali innalzato davanti alla sede della Borsa.

[8] Ad esempio gli artisti della Young British Generation (YBG), che hanno ormai acquisito un successo internazionale (tra cui ricordiamo, per fare un nome, Damien Hirst), hanno tutti frequentato il Goldsmith College di Londra negli anni ottanta e sono stati lanciati insieme. Thornton S. (2008), Il giro del mondo dell’arte in sette giorni, Feltrinelli, Milano.

[9] Rosen (1981), “The Economics of Superstars”, American Economic Review, Vol. 71, pp. 845-858.

[10] Adler (1985), “Stardom and Talent”, American Economic Review, Vol. 75, pp. 208-212.

[11] Santagata (2005), Op. Cit., p. 37. Si tenga conto che tra artista e galleria il rapporto di rappresentanza raramente assume la forma di una contrattazione scritta. Molto più spesso esso risulta da un accordo orale tra le parti, che può essere facilmente rescisso qualora venisse meno la comunanza di interessi su cui esso si basa (Candela G. – Scorcu A. (2012), Op. Cit.).

[12] Gli elementi più discriminatori come indicatori di qualità delle opere sono il prezzo e le selling-out situation (cioè l’accadimento di eventi che potrebbero influenzarne l’andamento nel futuro). Purtroppo, come meglio si vedrà nel prossimo articolo, il prezzo effettivo di vendita delle opere non viene rivelato dalle gallerie. Il prezzo quindi che viene dichiarato, cioè quello di offerta, è solo indicativo nel processo di contrattazione con il collezionista; esso quindi può essere deliberatamente tenuto alto per dimostrare l’alto valore dell’opera. Allo stesso modo le selling-out situation, come si è visto in precedenza, sono facilmente pilotabili dalle gallerie (tanto più quanto è maggiore la loro influenza nel mondo dell’arte) e quindi neppure sono effettivamente significative del valore dell’artista. Last but not least, lo stesso gusto del grande pubblico risulta, come pure avviene nel mondo della moda, fortemente influenzabile “dall’alto” in direzione quindi della produzione che si ritiene essere “più conveniente”: le manovre di lancio e di sostegno di nuovi correnti artistiche (trattasi al giorno d’oggi vere e proprie campagne di marketing) vengono camuffate dalle gallerie come qualcosa che trae origine dal merito artistico e attuato per mano di importanti critici che, proclamatisi indipendenti (e invece prezzolati dalle gallerie), creano ad hoc “forti giustificazioni culturali” in sostegno di questo o quel movimento.

[13] Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton.

[14] Si può dire che il mercato, come meglio si avrà occasione di vedere, tende a privilegiare, attraverso l’evoluzione del gusto, gli artisti d’avanguardia nei brevi momenti di scoppio delle bolle speculative, per poi progressivamente dirigersi verso quelli di mercato e infine verso quelli sensazionalistici per tutta la durata della sua fase di crescita.

[15] Secondo Cellini e Cuccia il mercato ha bisogno oltre che degli artisti d’avanguardia (innovativi) anche degli artisti di mercato (ripetitivi) poiché questi, essendo più remunerativi, attraggono gli investimenti privati. In questo senso, se gli artisti d’avanguardia fossero troppo numerosi, urgerebbe un intervento pubblico a sostegno del settore. Inoltre poiché l’investimento in arte dipende dal livello dei rendimenti degli investimenti alternativi è più probabile che in periodi floridi ci si trovi in presenza di un “consolidamento del gusto”, mentre in periodi recessivi ci sia spazio per emergere per le avanguardie, sostenute dalle politiche economiche dello Stato. (Cellini R., Cuccia T. (2003), “Incomplete Information and Experimentation in the Arts: A Game Theory Approach”, Economia Politica, Il Mulino, Bologna, No.1 p. 21-34).

[16] Così come fece l’artista Damien Hirst nel 2008 quando vendette per mezzo di Sotheby’s direttamente al pubblico le sue opere, riuscendo a piazzare (a detta dell’artista) 223 lavori per un controvalore di 111 milioni di sterline inglesi. Lewis B. (2009), The Great Contemporary Art Bubble, BBC (DVD), Londra.

[17] I galleristi appassionati invece legheranno le loro possibilità di successo (oltre al loro capitale relazionale) alla capacità di scoprire nuove tendenze e nuovi talenti, mentre quelli speculativi si affideranno soprattutto alla loro capacità di vendere e comprare le opere ai prezzi per loro più vantaggiosi.

[18] Si pensi ad esempio in campo musicale la rilevanza di manifestazioni come i talent show, che utilizzando (associata al merito) la logica della notorietà per lanciare gli artisti, hanno cambiato le regole attraverso cui i cantanti possono emergere.

[19] L’artista e scrittrice Rosler (Rosler M. (1997), “Money, Power, Contemporary Art”, Art Bulletin, No. 79) vede il mondo dell’arte, in analogia con la teoria informatica delle reti (sociali), come un insieme di cerchi concentrici concatenati che rappresentano il sistema di relazioni che si vengono a creare al suo interno: alcuni cerchi, veri e propri nodi vitali del sistema, sono centrali e per questo più importanti; altri sono più periferici e quindi marginali. Per una classifica dei personaggi più influenti del mondo dell’arte si veda la Power 100 di Art Review: http://www.artreview100.com. Per gli artisti più affermati si veda invece la classifica di kunstkompass della rivista tedesca Capital.

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