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(di Sonia Cecchini)

La sorveglianza sanitaria[1] è l’insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, come definito all’art. 2, lettera m del D.Lgs.81/08.

Obiettivo primario della sorveglianza sanitaria e la tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso:

– Valutazione della compatibilità tra condizioni di salute e compiti lavorativi.

– Individuazione degli stati di ipersuscettibilità individuale ai rischi lavorativi.

– Verifica dell’efficacia delle misure di prevenzione dei rischi attuate in azienda.

La sorveglianza sanitaria in azienda si attua attraverso la cartella sanitaria e di rischio (art. 25, comma 1 lettera b, lettera m D.Lgs. 81/08).

Per ogni lavoratore viene istituita e periodicamente aggiornata una cartella sanitaria dove sono riportate le sue condizioni psicofisiche, i risultati degli accertamenti strumentali, di laboratorio e specialistici eseguiti, eventuali livelli di esposizione professionale individuali forniti dal Servizio di prevenzione e protezione (come suggerito all’allegato n 3A), nonché il giudizio di idoneità alla mansione specifica. vedi pagina dedicata

Accertamenti sanitari specialistici (art. 25, comma 1 lettera b, lettera m D.Lgs. 81/08).

Gli accertamenti sanitari specialistici previsti per i lavoratori sono riportati all’interno del protocollo sanitario definito dal medico competente in funzione dei rischi specifici presenti in azienda e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati (art. 25, comma 1 lettera b D.Lgs. 81/08). Il protocollo sanitario va considerato parte integrante dello stesso documento di valutazione dei rischi: gli accertamenti sanitari devono essere sempre e comunque mirati al rischio specifico e il meno invasivi possibile, secondo i già citati principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH).

Inoltre, ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria, il medico competente partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori (indagini ambientali e di monitoraggio biologico).

Gli accertamenti sanitari effettuati dal medico competente sono finalizzati ad esprimere un giudizio di idoneità alla mansione specifica.

Si ricorda che per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria in materia di lavoro notturno, gravidanza, disabili e minori si continua a far riferimento alle normative specifiche.

Le visite mediche o qualunque altro accertamento sanitario non possono essere effettuate:

   – per accertare stati di gravidanza;

   – in altri casi vietati dalla normativa vigente: accertamento dello stato di sieropositività per HIV (Legge 135 del 05.06.1990, art. 6), esami che espongano essi stessi a fattori di rischio (radiografie o esami invasivi) se non esiste precisa indicazione clinica o esami finalizzati a verificare il possesso di particolari requisiti e non correlati ai rischi cui il lavoratore è esposto.

Il monitoraggio biologico è obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali è stato fissato un valore limite biologico (attualmente soltanto per la piombemia come riportato all’allegato XXXIX del D.Lgs.81/08). Il monitoraggio biologico risulta inoltre utile per la valutazione dello stato di salute dei lavoratori nel caso di esposizione a sostanze chimiche laddove sono consolidati i valori limite di esposizione fissati dalle maggiori agenzie internazionali (es: nickel, cromo, ac ippurico, metilippurico urinari…).

Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il lavoratore interessato. Come riportato all’art. 229 comma 3 del D.Lgs.81/08, i risultati di tale monitoraggio, in forma anonima, vengono allegati al documento di valutazione dei rischi e comunicati ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori.

Gli adempimenti relativi alla sorveglianza sanitaria vengono demandati al datore di lavoro (art. 2, comma 1, lettera b) del D.Lgs.81/08) che viene identificato come il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o il soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa, come individuato del documento di valutazione dei rischi.

Pertanto in tutte quelle situazioni che potremmo definire di “lavoro atipico” in quanto il titolare del rapporto di lavoro non coincide con il datore di lavoro dell’azienda in cui il lavoratore presterà la sua opera, gli obblighi previsti dal D.Lgs.81/08 sono generalmente ripartiti fra il “fornitore” (obblighi generici) e l’utilizzatore (obblighi specifici). La sorveglianza sanitaria in quanto atto medico inscindibile dai rischi specifici presenti nell’azienda in cui il lavoratore opera, è un obbligo demandato all’utilizzatore.

Al contrario, per i soci lavoratori di cooperative e per i lavoratori volontari tutti gli obblighi previsti dal D. Lgs 81/08 sono a carico del datore di lavoro delle stesse cooperative o associazione di volontariato anche se i lavoratori prestano la loro opera presso una ditta utilizzatrice.

All’art. 3, comma 2, si precisa che nei riguardi delle organizzazioni di volontariato (di cui alla legge 1 agosto 1991, n. 266), le disposizioni del presente decreto sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, individuate entro e non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi ell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle riforme.

Vanno considerati come lavoratori autonomi per esempio: padroncini, coltivatori diretti, libero professionisti.

In tal caso è facoltà del lavoratore, anche se occorrerebbe promuovere questa facoltà soprattutto nei settori a maggior rischio come agricoltura ed edilizia, sottoporsi o meno a sorveglianza sanitaria a proprie spese, ma l’utilizzatore del servizio può, e in alcuni casi deve (per le mansioni per le quali è previsto l’obbligo di accertamento di assenza di condizioni di alcol dipendenza o di assunzione di sostanze psicotrope o stupefacenti), richiedere il certificato di idoneità alla mansione specifica rilasciato da un medico competente.

Accertamenti medici preventivi

   – Eseguito prima o dopo l’assunzione e prima di adibire il lavoratore alla mansione

   – Scopo degli accertamenti medici preventivi è:

           – Constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di

             valutare la sua idoneità alla mansione specifica.

           – Verificare la compatibilità della mansione affidata, con specifiche condizioni di salute del

             soggetto in indagine.

Accertamenti medici periodici

   – Eseguiti con periodicità stabilita per legge in funzione della mansione specifica (di norma

     annualmente).

   – Scopo degli accertamenti medici periodici è:

                 – Controllare nel tempo lo stato di salute dei lavoratori.

                 – Controllare l’insorgenza di eventuali modificazioni precoci dello stato di salute causati

             dall’esposizione a fattori specifici di rischio professionale.

                 – Esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

                 – Verificare l’efficienza delle misure di prevenzione e protezione dei rischi.

Accertamenti medici eseguiti su richiesta del lavoratore:

       – Eseguiti su richiesta dal lavoratore, qualora il Medico Competente li ritenga correlati ai rischi professionali o alle condizioni di salute del lavoratore suscettibili di peggioramento a causa dell’attivià lavorativa svolta.

– Scopo degli accertamenti richiesti:

           – Rivalutare l’idoneità alla mansione specifica svolta dal lavoratore.

Accertamenti medici alla cessazione del rapporto di lavoro

– Eseguiti in caso di esposizione a rischio chimico, rischio biologico (Gr. III e IV), rischio da

esposizione a cancerogeni e mutageni.

– Scopo degli accertamenti medici alla cessazione del rapporto di lavoro è:

     – Valutare lo stato di salute dei lavoratore.

           – Fornire eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare.

           – Fornire eventuali indicazioni sull’opportunità di sottoporsi a successivi accertamenti anche dopo

       la cessazione dell’esposizione.

Accertamenti medici in occasione del cambio della mansione

– Eseguiti prima di adibire il lavoratore a nuovo profilo di rischio.

– Scopo degli accertamenti medici in occasione del cambio della mansione è:

– Valutare l’idoneità alla nuova mansione svolta dal lavoratore.

Inoltre, anche se non previsto all’art 41 del D.Lgs81/08, l’effettuazione di accertamenti medici al rientro dal lavoro dopo prolungato periodo di assenza dovuto a malattia comune, malattia professionale, infortunio sul lavoro o grave incidente, al fine di verificare il mantenimento dell’idoneità alla mansione specifica o per ricollocare il lavoratore in una eventuale nuova mansione. Tali accertamenti potranno comunque essere svolti su richiesta del lavoratore.

Accertamenti medici su richiesta del datore di lavoro per controllare l’idoneità fisica o le assenze per infermità del lavoratore possono essere effettuati soltanto attraverso le Commissioni medicolegali attivate ai sensi dell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori, presso ogni ULSS ed i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti per territorio.

Per quanto riguarda gli accertamenti medici periodici, l’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente, come stabilito all’art. 41, comma 2, lettera b).

La relazione sanitaria annuale sui risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria deve essere prodotta in forma scritta e presentata nell’ambito della riunione periodica (art. 25, comma 1, lettera i).

Inoltre l’art. 40, comma 1, del D.Lgs. 81/08 introduce un nuovo obbligo: “entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B”.

Note

[1] http://www.safety81.it/medicina_lavoro/sorveglianza_sanitaria_medicina_lavoro.html#.U9C6yleP1yI

 

(di Ivana Colombo)

1. Nuove opportunità professionali

L’outplacement nell’ambito delle risorse umane è quell’attività che si occupa di accompagnare le persone in uscita lavorativa da un’azienda nella ricerca di nuove opportunità professionali.

Con il termine outplacement si intende un programma di ricollocazione professionale che un datore di lavoro decide di prevedere quando si trova a dover ridurre l’organico.

Si tratta di un’attività ad hoc in cui consulenti specializzati aiutano le persone a utilizzare tutti gli strumenti possibili per trovare un altro lavoro, dalla stesura del curriculum alla preparazione del colloquio, all’individuazione delle aziende cui mandare la propria candidatura.

Se l’azienda decide di contattare una società specializzata in outplacement (non è obbligata a farlo) i dipendenti entreranno in un percorso della durata di circa 8 mesi, durante i quali apprenderanno a valorizzare le proprie potenzialità, ma soprattutto a superare il traumatico impatto del licenziamento.

Il servizio di outplacement in Italia è regolato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali quale attività di supporto alla ricollocazione professionale. L’attività è effettuata su specifico incarico dell’azienda presso cui la persona è assunta e dalla quale sta per essere licenziata o posta in cassa integrazione o in mobilità ed è finalizzata alla ricollocazione di lavoratori nel mercato del lavoro.

Outplacement è un termine di derivazione inglese importato dagli Stati Uniti dove è stato coniato intorno agli anni ‘60. Questo istituto è approdato in Italia verso la metà degli anni ‘80, per trovare in seguito codificazione ufficiale nel D.Lgs. n. 276/2003, come “attività di supporto alla ricollocazione professionale”. Nello stesso provvedimento legislativo hanno trovato codificazione le Società di Outplacement, identificate come Agenzie per il Lavoro secondo la tipologia d) del suddetto decreto legislativo.

In Italia, a differenza del resto d’Europa, l’outplacement è visto ancora come un fenomeno “innovativo”, ma in crescente diffusione: ad aiutare l’espansione di questo istituto ha contribuito la crisi economica globale, che ha costretto molte aziende ad effettuare tagli al personale. Il ricorso a società di outplacement per favorire la riqualificazione professionale ha determinato un aumento del fatturato del settore di circa il 30%.

2. Per le aziende: alcuni importanti vantaggi

Questa soluzione potrà essere prevista in aggiunta al pacchetto delle condizioni d’uscita già concordato con il dipendente, fatto che potrebbe risultare essere una valida alternativa ai costi che deriverebbero dalla monetizzazione degli accordi di separazione, il cui processo consensuale, tra datore di lavoro e dipendente in uscita, rende più semplice e positivo il distacco, attenuando almeno in parte le reazioni emotive del personale che rimane in azienda, con conseguenti vantaggi per anche sul piano dell’immagine aziendale.

Non da ultimo la soluzione outplacement consente all’azienda di separarsi al momento opportuno dal dipendente, evitando per quanto possibile il diffondersi di ulteriore negatività, sempre costosa e nociva all’immagine aziendale (1) e all’ambiente di lavoro. Analogamente l’outplacement collettivo (2) consente all’azienda di progettare i processi organizzativi, permettendo agli eventuali esuberi di personale di andare verso il mercato, favorendone la ricollocazione.

3. Per le risorse umane in uscita: rilanciare la propria collocazione lavorativa

Le risorse umane sono gioco forza coinvolte nell’evoluzione in atto durante una crisi che pretende, prima di tutto un cambiamento culturale nel pensare alla ricerca/conservazione del posto di lavoro.

L’outplacement si propone come soluzione concreta, per arrivare a proporsi in modo positivo al mercato del lavoro in un momento difficile sia personalmente sia sul mercato del lavoro. Questo processo aiuta a cambiare ottica sul proprio obiettivo: ci si allontanerà dall’idea di posto fisso, per iniziare a vedere la mobilità come strumento attraverso il quale migliorare la propria posizione professionale (3).

Abilità e competenze sono gli elementi che contribuiscono a motivare e a consolidare il rapporto di collaborazione con l’azienda. Orientamento ai risultati e flessibilità al cambiamento sono fattori determinanti per la propria crescita professionale. Attraverso l’esperienza dell’outplacement sarà possibile arrivare alla professione più adatta alla propria personalità ed esperienza: questo perché il percorso svolto presso le società di outplacement è impostato al fine di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità e aspirazioni professionali e personali. L’elaborazione di un nuovo progetto professionale permetterà di riproporsi al mercato in modo realistico e mirato, anche grazie ad un percorso di riqualificazione professionale che potrà anche essere portato a termine con l’obiettivo di colmare le eventuali lacune tecnico-professionali individuate, o ampliando di quanto basta le competenze specifiche del soggetto per renderle fruibili in più aziende.

Avvalendosi delle conoscenze acquisite tramite una specifica formazione relativa alla propria presentazione e autopromozione sul mercato del lavoro; il candidato dovrà personalmente attivarsi per individuare l’attività e la professione che più gli si addicono, arrivando alla progettazione e allo svolgimento di una vera e propria azione auto-propagandistica (4).

L’intervento dei professionisti della ricollocazione propone innanzitutto un cambiamento culturale, ponendo il problema in un’ottica e positiva e costruttiva, attraverso la quale il dipendente arriva a valutare il proprio valore, prendendo in esame non tanto il suo attuale impiego, ma la sua prossima impiegabilità sul mercato del lavoro. L’obiettivo finale è la riallocazione della risorsa umana, attraverso il sostegno e l’accompagnamento nel progetto professionale.

Le società di outplacement non partecipano alla fase della estromissione del dipendente dall’Azienda e nemmeno al suo collocamento in un’altra azienda. Forniscono al candidato loro affidato un’ampia consulenza, svolgendo al suo fianco un lavoro approfondito di analisi, aiutandolo a individuare le proprie aree di riqualificazione e fornendo tutte le informazioni utili a consentirgli un reinserimento nel mondo del lavoro.

Lo schema base su cui si fonda l’intervento prevede in pratica di:

1. affidare al dipendente un ruolo attivo (non lasciare una risorsa inutilizzata e ferma, ma fare in modo che si orienti verso sbocchi di mercato attinenti alle sue caratteristiche e aspirazioni)

2. supportare la sua azione con aiuti finalizzati (supporti logistici, metodologici, psicologici, ecc.) a carico dell’azienda, tramite organizzazioni specializzate.

La ricollocazione professionale rappresenta una soluzione utile per tutte le componenti del sistema:

1. per la persona, che si ricolloca partecipando attivamente all’operazione

2. per l’azienda, che chiude un rapporto in modo più disteso, costi compresi

3. la comunità, che non sostiene costi di assistenza, ma si ritrova una risorsa nuovamente disponibile.

L’outplacement o ricollocamento può essere un valido strumento, un istituto che potrebbe avere degli sviluppi interessanti in un prossimo futuro, a patto di farlo conoscere meglio e di spingere soprattutto le aziende ad adottarlo. Gli effetti potrebbero essere positivi per tutti gli attori coinvolti: lavoratori, imprenditori, sindacati e politici. È necessario evidentemente un cambio di mentalità e una nuova cultura del lavoro che potrebbe col tempo portare anche allo sviluppo di una nuova etica.

Il posto fisso nel tempo non esisterà praticamente più, a detta dei maggiori esperti del lavoro. Ci saranno sempre più persone che offriranno la propria professionalità e le proprie competenze a diversi committenti.

L’outplacement potrebbe diventare il primo passo per cambiare, lo strumento ideale per accompagnare i dipendenti in esubero verso il mercato del lavoro, per ritrovare stimoli e soprattutto spendibilità e dignità professionale, operazione sempre più difficile in tempi di crisi, superata la quale in ogni caso il lavoro (e il suo mercato) non sarà mai più lo stesso.

Note

(1) Per ulteriori approfondimenti si veda www.aiso-outplacement.it.

(2) È in uscita in questi giorni per Libri Este editore, Milano il volume dal titolo L’Outplacement Collettivo in Italia. Il libro affronta l’argomento dell’Outplacement Collettivo in Italia, sul quale si è scritto fino ad oggi molto poco. Gli autori Teresa Maggiore (laica, è tra i consulenti italiani che per primi hanno sviluppato il servizio di Outplacement in Italia (1986) e la sua professionalità è certificata dall’Institute of Career Certification International (ICCI) come “Career Management Fellow”) e Maurizio Carucci (cattolico, è giornalista economico dell’Avvenite), sviluppano il tema in tre parti:

1° Parte – La storia dell’Outplacement Collettivo in Italia – In questa parte vengono ricordati grossi progetti privati e affrontati nel dettaglio i casi delle chiusure degli stabilimenti dell’Italsider di Genova Campi e dell’Italsider di Napoli Bagnoli (1988/1990), corredati dalle interviste a testimoni dell’epoca: Angelo Massa (Segretario Generale UIL Liguria), Massimo Consolini (Direttore Centrale Risorse Umane Italsider/ILVA), Crescenzio Sepe (Arcivescovo di Napoli) e Mons. Molinari (responsabile dei cappellani del lavoro genovesi).

2° Parte – La Metodologia – In questa parte viene illustrato il servizio di Outplacement Collettivo con il dettaglio tecnico delle tre macro-fasi: la fase di costruzione del Progetto, la fase di attivazione del Progetto e la fase di lancio dell’Attività.

3° Parte – Il supporto alla ricollocazione professionale nel Pubblico – Nella 1° e 2° Parte si dimostra che nel privato la metodologia dell’Outplacement Collettivo, se applicata correttamente, porta a risultati di ricollocazione vicini al 80%. In questa parte si cerca di dimostrare che, quando nei capitolati dei Bandi è riconosciuta economicamente la fase dello scouting e viene incentivata con bonus la ricollocazione numerica dei disoccupati in carico, e quando a svolgere l’attività sono prevalentemente Agenzie per il Lavoro autorizzate dal Ministero all’Attività di Supporto alla Ricollocazione Professionale, le percentuali di ricollocazione di alzano quasi al livello delle attività di Outplacement Collettivo nel privato. Vengono così riportati stralci dei documenti conclusivi di tre progetti piuttosto diversi fra loro che coprono una periodo che va dal 2002 al 2008. I progetti scelti si svolsero in tre province di regioni diverse (Liguria, Toscana e Piemonte) ed erano mirati a tipologie eterogenee di popolazione assistita. In ognuno dei progetti, durante il periodo previsto dal singolo Bando, furono ricollocati oltre il 60% delle persone assistite. Anche in questa parte l’illustrazione dei progetti è corredata dalle interviste ai tre Assessori provinciali alle Politiche del lavoro (Donatella Ramello, Anna Romei e Domenico Priora) che approvarono i Progetti nella logica di supportare le crisi occupazionali dei territori che amministra.

(3) Carucci M., Cazzola G., Tiraboschi M.(2010), L’outplacement. Cambiare per ricominciare, Collana HRCommunity, Franco Angeli, Milano.

(4) Boccato A., Serra A., Boerchi D., Chersul D., Lusvarghi G., (2010) Outplacement. Psicosociologia della riqualificazione e del ricollocamento professionale, Piccin, Padova.

 

 

 (di Sonia Cecchini)

La valutazione del rischio prevede l’applicazione delle misure di protezione per la sicurezza dei lavoratori e l’art. 41, comma 1, lettera a del D.Lgs 81/08, modificato dal D.Lgs 106/09, stabilisce quando debba essere attivata la sorveglianza sanitaria, quali sono i rischi e quelli da indicare nella cartelle sanitarie al fine di stabilire l’idoneità alla mansione specifica. La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente.

[1]La Commissione Consultiva non ha ancora emanato alcuna indicazione sulla necessità della sorveglianza sanitaria in casi non previsti dalla normativa. pertanto, allo stato attuale, l’obbligo di attivarla sussiste solo in alcuni casi.

Quali sono questi casi?

–  movimentazione manuale di carichi e movimenti ripetuti degli arti superiori (ove la valutazione dei rischi abbia evidenziato un rischio effettivo)

–  attività a unità videoterminale (ove la valutazione dei rischi abbia evidenziato un’attività complessiva settimanale di 20 ore)

–  esposizione ad agenti fisici (rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, microclima, atmosfere iperbariche: in tutti i caso in cui sia rilevata un’esposizione tale da supporre possibili conseguenze sulla salute)

–  sostanze pericolose: chimiche, cancerogene, mutagene, sensibilizzanti (attenzione alla classificazione di queste sostanze come rischio irrilevante per la salute)

–  agenti biologici

–  lavoro in ambiente confinato (Decreto Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177)

–  lavori su impianti elettrici ad alta tensione (Decreto Interministeriale del 4 febbraio 2011)

–  verifica dei requisiti psico-fisici a cura del medico competente del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico (Decreto 15 giugno 2012 “Modifica al decreto 6 ottobre 2009”)

–  esclusione dell’assunzione di sostanze stupefacenti nelle categorie previste dall’Intesa Stato Regione del 30 ottobre 2007

–  addetti settore sanità esposti a rischio infortunistico ferite da taglio e da punta (Decreto Legislativo 19 febbraio 2014, n. 19 Attuazione della direttiva 2010/32/UE che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM e FSEP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario).

Sono a parte i controlli alcolimetrici, nelle categorie previste dall’Intesa Stato Regione 16 marzo 2006, a cura del medico competente, per escludere l’assunzione di alcol durante l’orario di lavoro (ma ciò non implica la sorveglianza sanitaria).

Inoltre occorre far riferimento anche alle norme regionali particolari, come ad esempio per i criteri psico-fisici per l’utilizzo di scale portatili in cantieri temporanei e mobili (Decreto Direzione Generale Salute n. 1819 del 05/03/2014).

In tutti gli altri casi non è possibile effettuare la sorveglianza sanitaria, istituire la cartella sanitaria e di rischio, rilasciare il giudizio di idoneità alla mansione. Mi riferisco ai rischi quali: posture incongrue, lavoro in altezza (eccetto in Lombardia limitatamente all’utilizzo di scale portatili in cantieri temporanei e mobili), condizioni climatiche esterne (che è diverso da microclima), stress lavorativo, ecc.

Non solo non è prevista in questi casi ma, allo stato attuale, sarebbe un abuso e una violazione dello statuto dei lavoratori.

E’ vero che l’art. 28, comma 1 prevede che il datore di lavoro valuti tutti i rischi per la sicurezza e per la salute tuttavia ciò non significa che la sorveglianza sanitaria possa poi essere estesa a tutti i rischi in quanto il citato art. 41 specifica poi i casi previsti.

E’ possibile invece impostare un protocollo sanitario mirato a questi rischi “non normati” sulla base di quanto previsto dall’art. 25, comma 1, lettera a: “il medico competente…..collabora alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute, secondo i principi della responsabilità sociale”. L’adesione a questi programmi non può che essere su base volontaria e non può comportare il rilascio del giudizio di idoneità.

Pertanto ad es. il “lavoro in altezza” non può giustificare una sorveglianza sanitaria obbligatoria, può giustificare i controlli alcolimetri ma non comporta un giudizio di idoneità alla mansione. E’ un rischio di tipo infortunistico per il quale il legislatore non ha previsto l’obbligo dell’idoneità alla mansione specifica da parte del medico competente. Così pure le “posture incongrue” non possono essere oggetto di sorveglianza sanitaria obbligatoria in quanto si tratta di un fattore di rischio per il quale la nostra normativa non prevede tale obbligo.

Il problema sorge quando il medico competente riscontra problematiche di salute che in qualche modo possano controindicare in parte o in assoluto la mansione svolta.

In questo caso, non potendo rilasciare il giudizio di idoneità alla mansione specifica, l’unica strada percorribile è quella di seguire quanto previsto dall’art. 5 della Legge 300/70 in cui si prevede che il datore di lavoro può richiedere una visita di idoneità presso un istituto pubblico e quindi il lavoratore sarà avviato all’apposita commissione valutativa. Per far ciò tuttavia il medico competente deve ricevere il consenso del lavoratore di informare, in modo generico, il datore di lavoro su possibili controindicazioni alla mansioni derivate dallo stato di salute. Se il lavoratore non fosse d’accordo tuttavia, il medico competente non potrebbe avviare questa pratica in quanto violerebbe il segreto professionale.

Attenzione quindi: sottoporre un lavoratore a sorveglianza sanitaria potrebbe configurare un reato di violazione dell’art. 5 della Legge 300/70 e dell’art. 32 della Costituzione Italiana che prevede che “Nessun trattamento sanitario obbligatorio può essere stabilito se non per legge”.

Quindi, il medico competente o il datore di lavoro, non possono, arbitrariamente sottoporre i lavoratori alla sorveglianza sanitaria se non nei casi strettamente previsti dalla normativa.

 

[1] Cristiano Ravalli, Medico Competente ai sensi del D.Lgs 81/08

(di Sonia Cecchini)

L’articolo 12 del D.Lgs. n. 38/2000, ha dettato la disciplina in tema di indennizzo dell’infortunio in itinere, riportando nel testo legislativo i principi di diritto rilevanti in argomento.
La tutela dell’infortunio in itinere ha origini nel diritto pretorio, secondo il quale la copertura assicurativa è stata estesa ad una attività estranea a quella lavorativa,
La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 38/2000 ha, infatti, sempre affermato che, affinché si verificasse l’estensione della copertura assicurativa, occorreva che il comportamento del lavoratore fosse giustificato da un’esigenza funzionale alla prestazione lavorativa, tale da legarla indissolubilmente all’attività di locomozione, posto che il suddetto infortunio meritava tutela nei limiti in cui l’assicurato non avesse aggravato, per suoi particolari motivi o esigenze personali, i rischi propri della condotta extra lavorativa connessa alla prestazione per ragioni di tempo e di luogo, interrompendo così il collegamento che giustificava la copertura assicurativa.
L’infortunio in itinere è, per legge, indennizzabile quando verificatosi lungo il normale tragitto che collega il luogo di abitazione con quello di lavoro, percorso a piedi o con mezzo pubblico di trasporto; la copertura assicurativa è garantita anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato; l’indennizzo è escluso in caso di interruzioni o deviazioni non necessitate.
Occorre attribuire il corretto significato al termine “abitazione” e definirne i confini spaziali.
Per luogo di abitazione non si intende soltanto quello di residenza anagrafica o di personale dimora del lavoratore, ma soprattutto il luogo in cui si svolge la personalità dell’individuo, coincidente, di norma, con l’ambito della comunità familiare. E’ stato, pertanto, ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso durante il percorso tra il luogo di lavoro e quello di residenza della famiglia, diverso da quello di dimora temporanea del lavoratore (Cassazione civile sez. lav., 8 novembre 2000, n.14508). Tenuto conto della possibilità di soggiornare in luogo diverso dalla propria abitazione, purché la distanza tra tali luoghi sia ragionevole, la Corte di Cassazione ha ritenuto indennizzabile l’evento occorso ad un lavoratore lungo il percorso verso la propria dimora, presso la fidanzata, più vicina al luogo di lavoro rispetto a quello della propria residenza anagrafica (Cassazione civile sez. lav., 18 aprile 2000, n. 5063).
Una volta individuato il luogo al quale può riferirsi il termine “abitazione” occorre definirne i confini spaziali; occorre, cioè, stabilire quale sia la linea di demarcazione superata la quale si può ritenere che il lavoratore abbia abbandonato l’abitazione ed abbia, perciò, iniziato il percorso tutelato.
Al riguardo la Corte di Cassazione ha affermato che la configurabilità di un infortunio ” in itinere” comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque, non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale ed i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali ” (Cassazione civile sez. lav., 16 luglio 2007, n . 15777).
Con riferimento al percorso, appare opportuno precisare che, in base al disposto dell’articolo 12, si configura l’infortunio in itinere, quando l’evento lesivo si verifichi nel tragitto tra due luoghi di lavoro, ma soltanto quando la pluralità dei predetti luoghi di lavoro è collegata ad una pluralità di rapporti di lavoro. Quando, invece, lo spostamento tra due luoghi presso i quali deve essere prestata l’attività si inquadra nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro, l’eventuale infortunio è da considerare in attualità di lavoro e non già in itinere.
Anche il concetto di “interruzione” ha richiesto un precisazione di natura interpretativa. Il criterio
teleologico ha imposto di distinguere tra la “breve sosta” e l’interruzione vera e propria.
Una breve sosta, che non alteri le condizioni di rischio per l’assicurato, non integra, infatti, l’ipotesi
normativamente prevista dell'”interruzione”, la quale ultima ricorre soltanto quando l’interruzione, per la sua durata, valutata anche in relazione alla durata del percorso ed alle variazioni delle condizioni climatiche e di traffico, determini l’insorgenza di una situazione di rischio diversa da quella occasionata dallo svolgimento delle mansioni lavorative (Corte costituzionale , 11 gennaio 2005, n. 1).
In caso di deviazione, non è indennizzabile l’evento che si verifichi in conseguenza di un rischio causato dalla deviazione stessa (ad esempio deviazione consistente nell’attraversamento della strada ed investimento del pedone durante l’attraversamento stesso). L’infortunio che si verifichi dopo che, terminata la deviazione, sia stato ripreso il normale percorso sarà indennizzabile, sempre che la deviazione, per la sua durata, non determini condizioni di rischio che altrimenti non si sarebbero verificate.
L’interruzione o la deviazione non sono, però, cause di esclusione dell’indennizzo quando necessitate, cioè quando imposte da cause di forza maggiore, da esigenze essenziali ed improrogabili o dall’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. Esse, cioè, devono essere imposte da circostanze di tempo e di luogo che prescindono dalla volontà di scelta del lavoratore, per tali dovendo intendersi non soltanto fattori esterni che condizionano i comportamenti (guasti meccanici, ostruzioni della strada, ecc.) o cogenti impulsi e stimoli fisiologici, ma anche obblighi di carattere giuridico, oltre che morale, quale è quello di prestare soccorso alle vittime di un incidente stradale, ai sensi dell’art. 593 c.p. (Cassazione civile sez. lav., 12 maggio 1990, n. 4076).
Un aspetto particolare meritevole di trattazione riguarda la situazione di alcuni docenti che non sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro e non lo sanno neppure, anche moltissimi dirigenti ed impiegati delle scuole non sono a conoscenza della realtà (2).
Solo poche categorie di docenti sono assicurate presso l’INAIL; la circolare INAIL n. 28 del 23 aprile 2003 fornisce indicazioni sull’assicurabilità dei docenti; infatti gli insegnanti non sono genericamente tutelati dall’assicurazione INAIL, ma solamente nel caso svolgano compiti e mansioni ai quali l’ente attribuisce un fattore di rischio fra cui:
• Quelli che per la loro attività fanno uso, in modo non occasionale, di macchine elettriche, elettroniche o computer, o frequentano laboratori in cui sono presenti le suddette macchine;
• Quelli che sono adibiti ad esperienze “tecnico scientifiche”;
• Esercitazioni pratiche
• Esercitazioni di lavoro e viaggi di istruzione (purché rientranti nella programmazione del POF);
• Educazione fisica e motoria ed attività di sostegno.
Tutti i docenti adibiti nei campi di attività di cui sopra sono integralmente coperti dall’assicurazione INAIL, anche per gli infortuni in itinere.
Da ciò si evince che la stragrande maggioranza degli insegnanti rimanga esclusa. Nonostante la Costituzione (articolo 38) preveda l’obbligo, per i datori di lavoro, di assicurare i dipendenti dagli infortuni, lo Stato, per una parte non piccola dei propri dipendenti, fornisce ancora una volta un pessimo esempio.
Inoltre risulta assicurato chi è impegnato in esercitazioni pratiche, specificando che vanno considerate tali anche le attività ludico motorie praticate nella scuola elementare e materna.
Tale orientamento è stato ribadito con la sentenza della Corte di Cassazione 17334/2005, secondo cui l’assicurazione deve essere estesa non a tutti gli insegnanti, giacché non possono essere compresi coloro che impartiscono agli alunni nozioni esclusivamente teoriche, ma solo a quegli insegnanti che sono soggetti, per la natura manuale della loro attività, a un rischio, non generico ma specifico, di infortunio sul lavoro.
Tutti gli altri insegnanti sono tutelati, in caso di incidente in servizio, ancora dalle antiche norme sull’ “equo indennizzo” e, nei casi gravi, di “pensione privilegiata”. Devono, nel temine perentorio di sei mesi, denunciare l’incidente ed essere poi sottoposti a visita presso la Commissione medica di verifica.

Note

(1) www.inail.it

(2) http://www.samnotizie.it/old/pagcollrubriche/autodifesa/infortuni.htm

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