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2024: brevi considerazioni circa l’attualità della Costituzione. Auspici normativi per il mondo del lavoro, la condizione occupazionale femminile e il futuro dell’Unione Europea

1. La Costituzione: l’unica Stella Polare da seguire
Per iniziare, suggerisco di focalizzare l’attenzione alla Costituzione richiamando le parole del Presidente della Repubblica Mattarella dal consueto discorso alla Nazione di fine anno del 31 dicembre 2022: […] «La Costituzione resta la nostra bussola, il suo rispetto il nostro primario dovere; anche il mio».
Troviamo innanzitutto un caloroso invito a percorrere una strada che seppur sia inevitabilmente tortuosa e di difficile percorso, risulta essere l’unica e sola percorribile. Infatti, senza la Costituzione a fungere da bussola, ci perderemmo in vie che apparentemente potranno risultare maggiormente semplici e convenienti, ma che a lungo andare si rivelerebbero ingannevoli e nocive. Percorrere una strada avendo tra le mani una bussola diversa dalla Costituzione ci condurrebbe a destinazioni caratterizzate da illegalità, disparità economico-sociali ancor più marcate di quelle attuali ed opportunismo. L’osservanza attenta e meditata della nostra Carta fondamentale – e di concerto anche dei Trattati europei – non deve tradursi nella basica lettura di belle parole alle quali addossare astratte e talvolta superficiali buone intenzioni: al contrario, il suo rispetto deve incarnarsi attraverso azioni concrete atte a plasmare il quotidiano di ciascuno, il tutto in piena aderenza alle rispettive responsabilità e capacità di ogni cittadino. Gli articoli della Costituzione da una parte prevalgono su ogni cittadino e potere e dell’altra, garantiscono intensamente ognuno [1]. Ciascun articolo della Costituzione richiede indubbiamente un’analisi approfondita. Tuttavia, nel presente saggio, mi limiterò ad affrontare esclusivamente alcune tematiche che ritengo rilevanti e che mi stanno particolarmente a cuore: per tale motivo, auspico che tali questioni possano ricevere un’attenta ed oculata considerazione nel corso del nuovo anno, con la consapevolezza che i cambiamenti non avvengono tramite rapidi mutamenti, da una notte all’alba successiva.

2. L’ importanza del lavoro attribuita dalla Costituzione e nuovi paradigmi occupazionali
Un tema che infiamma l’opinione pubblica oltre che politica è sicuramente quello del lavoro: il primo articolo della Costituzione infatti, afferma che «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Già da tale enunciato si può comprendere l’importanza attribuita alla dimensione lavorativa, dello scopo che questa dovrebbe raggiungere, ovverosia il «progresso materiale o spirituale della società» e di come tale dimensione venga riconosciuta come diritto dalla stessa Repubblica, dove quest’ultima ha contemporaneamente il dovere di promuovere il lavoro in «condizioni che rendano effettivo tale diritto» (articolo 4 Cost.). Il diritto al lavoro genera, a cascata, un diritto ad «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36 Cost.).
Osservando l’attuale scenario socio-economico, ritengo imprescindibile approfondire la riflessione, focalizzandosi in particolare sul mondo del lavoro giovanile e sulla concezione che gli stessi giovani attribuiscono ad esso: per loro il lavoro non è solamente una fonte di reddito, ma anche una fonte di identità e di creazione di legami sociali [2].
Aldilà del dato tristemente noto dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile nel nostro Paese (tale tasso secondo i dati Istat di settembre 2023 è pari al 23.1%, terzo solo a Spagna e Grecia, rispettivamente con un tasso del 27,4 e 23,6%), occorre chiedersi quale valore oggi venga attribuito al lavoro dai giovani. In una recente ricerca effettuata quest’anno dal Centro Luigi Bobbio dell’Università di Torino, risulta come una parte dei giovani sia più orientato alla qualità del lavoro rispetto al reddito percepito: emergono maggiormente rilevanti fattori quali gli aspetti inerenti il tempo libero e la vita privata, al fine di consentire al giovane lavoratore di conciliare il lavoro con gli impegni familiari [3]. Si badi bene che anche gli adulti stanno, seppur con qualche difficoltà e in misura minore ai giovani, abbracciando questo punto di vista. [4] Persiste dunque l’interesse alla dimensione lavorativa, a patto che essa sia soddisfacente e di qualità.
Già più di duemila anni fa, Aristotele comprese che oltre ad essere un diritto, il lavoro è soprattutto un bisogno avvertito da ogni persona non solo per trasformare la realtà nella quale egli esiste, ma anche per edificare sé stesso. Ne consegue che l’affermazione “il lavoro è un bisogno” è più forte dell’affermazione “il lavoro è un diritto” poiché un diritto può essere sospeso o nei casi più estremi negato, il bisogno, se fondamentale, no. Accettando tale prospettiva, è possibile sostenere che il lavoro giusto non assicura solamente una giusta remunerazione, ma soddisfa anche il bisogno di autorealizzazione del lavoratore, consentendogli da una parte di sviluppare appieno le sue capacità e dall’altra di poter dedicare il giusto tempo alla sfera extra-lavorativa [4]. Le imprese dunque, al fine di poter assumere giovani lavoratori, dovrebbero – naturalmente, al meglio delle loro capacità e dimensioni/necessità organizzative – offrire a quest’ultimi un nuovo paradigma d’approccio al lavoro, cercando di ottimizzare la c.d. work-life balance: questo obiettivo può essere raggiunto solo se vi è un serio impegno e comune d’intenti tra politica, organizzazioni sindacali e ovviamente, imprese. Spero si presti adeguata attenzione a questo aspetto nel corso del prossimo anno. Tuttavia, se il raggiungimento da parte delle imprese del massimo profitto possibile a qualsiasi condizione è patologico, lo è anche l’esatto opposto, vale a dire il suo declassamento a favore di altri scopi e ciò avviene quando l’impresa si focalizza eccessivamente in iniziative che non sono utili per rispondere alla domanda del mercato, causando in certi casi il fallimento dell’impresa stessa (innescando disoccupazione) oppure il suo mantenimento da parte dei poteri pubblici (creando in tal modo un danno alle casse dell’erario). Il profitto deve essere visto come un elemento essenziale e non come l’unico scopo da raggiungere o per converso come un elemento accessorio: esso deve trovare la giusta collocazione all’interno di un più ampio insieme virtuoso di mezzi e obiettivi, tenendo a mente che dimensione economica e dimensione sociale non possono essere considerate disgiuntamente [5].

2.1 La situazione femminile nella dimensione lavorativa
Desidero riportare un’ultima frase del già citato discorso di fine anno del Presidente Mattarella il quale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, affermò che «rimuovere gli ostacoli è un impegno da condividere, che richiede unità di intenti, coesione, forza morale». Restando in tema occupazionale, se c’è un’ostacolo spregevole ed intollerabile ancora troppo presente nel nostro Paese, è quello relativo ai notevoli e complessi problemi che le donne incontrano nel mondo lavorativo. Tali difficoltà si traducono in sfide significative nel percorso di avanzamento professionale e differenze salariali volte al ribasso se confrontate con quelle dei colleghi di genere maschile nell’assolvimento di mansioni equivalenti. In un periodo come quello attuale in cui si parla a gran voce di violenza contro le donne, credo che gli ostacoli appena menzionati siano anch’essi inammissibili forme di violenza. Se è pur vero che l’articolo 37 della Costituzione stabilisce che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore» e che «le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione» è pur vero che la realtà dei fatti è ben diversa. Le ragioni di questa problematica sono tante, frammentate, caratterizzate da progressi e regressioni ed è difficile ricostruirle in modo uniforme [6].
Concordo con la professoressa Orsetta Giolo, docente di Filosofia del Diritto dell’ Università di Ferrara, la quale afferma che espressioni quali «l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro» è fuorviante, in quanto le donne hanno sempre fatto parte della dimensione lavorativa anche se in modo assai differenziato rispetto agli uomini. In passato, la maggior parte delle donne si vedevano costrette ed essere escluse da impieghi e professioni in quanto l’unica o principale mansione alla quale esse venivano “confinate” era quello concernente la sfera domestica. A differenza di quello maschile, il lavoro femminile che non si traducesse nella cura degli affetti, veniva visto nella realtà concreta – e per certi versi purtroppo, viene visto anche oggi – in termini eventuali e marginali: le donne potevano o meno lavorare e se lavoravano, potevano farlo anche solo per breve periodo della loro vita. Questa invisibilità delle donne nel contesto lavorativo che esula dall’ambiente affettivo deve essere correlata anche in termini politici: la cura delle attività domestiche non è normalmente ricondotta alla concezione classica di lavoro e quindi, non avendo ricadute concrete sulla società, tale tipologia di mansione risulta come un “fatto privato”, non ricevendo interesse – o ricevendone in modo assai limitato – da parte della classe politica.
In merito all’annoso problema del lavoro femminile, da qualsiasi prospettiva esso venga analizzato, auspico che coloro che i quali detengano responsabilità politiche possano intervenire in maniera concreta ed intelligente a partire dai prossimi dodici mesi.

3. Il futuro dell’Unione Europea
Credo sia doveroso, infine, uscire dall’ambito nazionale e focalizzare l’attenzione all’Unione Europea. Cito una delle frasi più celebri di Robert Schuman, padre fondatore dell’Unione: «l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
In questi anni, l’Unione Europea ha ricevuto numerose ed accentuante critiche e credo di non cadere in errore se affermo che i mittenti di tali giudizi negativi derivino da tutte le forze politiche, non solo italiane.
Tuttavia, si può sottolineare come Schuman abbia dimostrato un acume predittivo non comune, in quanto il processo di integrazione europea non può essere un percorso euclideo e scevro da ostacoli. Come uno scultore che con martello e scalpello incide il marmo in modo paziente e meticoloso al fine di ottenere la migliore opera possibile, coloro che hanno responsabilità nelle varie Istituzioni dell’Unione sono chiamati a contribuire al raggiungimento delle «realizzazioni concrete» invocate da Schuman.
Al contrario dell’opera d’arte però, la quale vede il suo aspetto immutato nel corso del tempo, l’Unione Europea è chiamata ad effettuare un costante rinnovamento degli obiettivi, adattandosi in tal modo ai cambiamenti sociali e della sensibilità collettiva e il tutto deve avvenire nel rispetto scrupoloso dei Trattati, i quali debbono rimanere il caposaldo a cui occorre ancorarsi. Soltanto se l’Unione avrà il coraggio di essere un “cantiere sempre aperto” si potrà – a mio avviso – affinare quel processo di integrazione europea volto a garantire una proficua convivenza tra gli Stati che hanno aderito all’Unione e sui valori dove quest’ultima si fonda. Sono due i temi che hanno ricevuto una scrupolosa attenzione da parte dell’Unione Europea in quest’ultimo quinquennio e data la loro importanza, riceveranno senz’altro il medesimo grado di considerazione nella prossima legislatura: i temi in questione sono la transizione tecnologica e la transizione verde.
Per quanto riguarda la transizione tecnologica, sono diversi gli atti adottati in questi cinque anni di Commissione Europea a guida von der Leyen, basti pensare a tutto ciò che concerne la regolamentazione della finanza tecnologica (meglio conosciuta con il più famoso acronimo “FinTech”).
Inoltre, è di questi giorni l’accordo tra il Parlamento Europeo e il Consiglio [7] al fine di dotare l’Unione di una regolamentazione concernente l’Intelligenza Artificiale (di seguito, IA) permettendo all’Unione stessa di divenire il primo spazio giuridico a regolare questo fenomeno sempre più presente nelle nostre vite.
La regolamentazione dell’IA si è resa necessaria non solo per tutelare ed approfondire numerosi aspetti etici, ma anche per porre una regolamentazione uniforme di questo fenomeno che ha già iniziato ad essere presente nelle vite di ognuno di noi. Tale accordo – per alcuni si tratta già di un fatto storico – vuole promuovere sia l’innovazione dell’IA garantendo, allo stesso tempo, il pieno rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione. Anche per quanto riguarda la transizione verde, sono stati numerosi gli atti adottati dall’Unione Europea e la maggior parte di essi sono assai recenti e rivolte a tutte le società, escluse le micro-imprese.
Sia per la transizione tecnologica quanto per quella verde, è ancora prematuro dare un giudizio positivo o negativo circa la normativa adottata dall’Unione. D’altra parte, occorre sottolineare che attraverso l’adozione di questi atti normativi, l’Unione vuole salvaguardare e proteggere quell’insieme di valori che costituiscono le sue fondamenta e che coinvolgono ognuno di noi in quanto cittadini dell’Unione: mi riferisco in particolar modo agli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione Europea. Senza una normativa meditata, rigorosa e ove necessario flessibile volta a disciplinare questa duplice transizione, non si avrà un pieno rispetto dei valori quali la «dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani», non si potrà garantire una società basata «sul pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini» ed infine, non vi sarà un’Unione Europea in grado di «promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli».

4. Conclusione
La qualità sia del nostro futuro ma anche di chi verrà dopo di noi dipende solo o in maggior parte da come rispondiamo al presente: sono convinto che se rispondiamo avendo ben ancorati dentro noi i valori della Costituzione e dei Trattati europei, potremmo sicuramente migliorare il mondo del lavoro, le dinamiche di genere e creare un’Unione Europea sempre più vicina ai suoi cittadini e deve essere un nostro imperativo morale e professionale fare si che la nostra generazione adotti un approccio ponderato e sostenibile.
Auspico che il 2024 possa offrirci l’opportunità di coltivare la visione di una società in cui la Costituzione continui a fungere da pilastro irrinunciabile della nostra convivenza.

 

 

NOTE
[1] Sbrescia V.M (2010), I valori della Costituzione repubblicana, Rivista giuridica del Mezzogiorno, n. 1, pp. 243.

[2] Bertolini S., Goglio V. (2023), Giovani e senso del lavoro, il Mulino, Rivista trimestrale di cultura e di politica, n.4. pp 86-94

[3] Bertolini S., Goglio V. (2023), Giovani e senso del lavoro, il Mulino, Rivista trimestrale di cultura e di politica, n.4. pp 91

[4] Zamagni S.(2019), Responsabili. Come civilizzare il mercato. Il Mulino.

[5] A. Ablela, J. Capizzi, Etica e business, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016, p. 13.

[6] Orsetta Giolo, L’invisibilità (giuridica?) del lavoro delle donne. Esclusione, protezione, confinamento ed espropriazione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Fascicolo 1, 2023.

[7] https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2023/12/09/artificial-intelligence-act-council-and-parliament-strike-a-deal-on-the-first-worldwide-rules-for-ai/

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