Intelligenza artificiale: rischi e benefici della rivoluzione economica del XXI secolo
L’intelligenza artificiale, e lo sviluppo delle nuove tecnologie, stanno progressivamente delineando un sentiero economico nuovo in cui l’automazione e l’apprendimento automatico rivestiranno un ruolo chiave, se non dominante, per la società futura.
L’economia, o meglio lo sviluppo e la crescita economica, procede per sentieri di efficienza.
L’efficienza, in ambito prettamente economico e matematico, altro non è che un semplice rapporto tra ciò che gli economisti ci producono output, ovvero il prodotto finale realizzato, e gli input ovvero i fattori produttivi (umani e tecnologici) impiegati nel processo produttivo.
Essere efficienti vuol dire, essenzialmente, provare a limare e contenere le distorsioni e gli sprechi di risorse, cercando di ottenere gli stessi risultati socio-economici impiegando un ammontare inferiore di risorse.
Lionel Robbins, per definire la scienza economica, ha dato una definizione che ancora oggi è universalmente accettata a livello accademico.
Secondo Robbins:
L’economia è la scienza che studia la condotta umana nel momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi.
Dalla suddetta definizione emerge, chiaramente, come il cuore dell’indagine della scienza economica sia la scarsità delle risorse.
L’uomo, al fine di soddisfare i propri bisogni, necessita di risorse, ovvero fattori produttivi primari, che trasformati consentono di realizzare determinati obiettivi precedentemente pianificati e stabiliti.
La chiave di tutto è dunque la scarsità. Se vivessimo in un mondo caratterizzato da risorse inesauribili, l’economia non esisterebbe ma la finitezza del pianeta Terra, nell’elargire risorse all’uomo, fa si che la scienza economica sia fondamentale, se non addirittura vitale, per la stessa sopravvivenza dell’uomo.
Karl Marx, nella sua opera capolavoro “Il Capitale”, ribadì come la storia dell’uomo fosse, da sempre, caratterizzata da bisogni e necessità che trovano, nel lavoro, un vero e proprio connubio. Il lavoro, in qualsiasi sistema economico, è il mezzo attravero il quale si realizza la trasformazione economica, ciò che in ambito accademico potremmo definire con la terminologia di funzione di produzione, da bisogni a necessità. I bisogni e le necessità, ovviamente, cambiano nel corso della storia e, contestualmente, il lavoro deve adeguarsi a questi cambiamenti.
L’uomo preistorico, ad esempio, aveva bisogni molto semplici, se confrontati ai nostri, in quanto per provvedere ai bisogni di protezione e sicurezza realizzava, impiegando il suo lavoro, capanne e palafitte.
Il sistema economico moderno, soprattutto nei paesi Occidentali economicamente sviluppati, ha ampiamente sopperito ai bisogni primari di protezione, sicurezza ed alimentazione. In un contesto simile, ovvero di sistemi economici ad alto reddito, l’attenzione si è dunque spostata verso un altro oggetto d’analisi: adesso che abbiamo salvaguardato le nostre necessità primarie, possiamo migliorare la qualità della nostra esistenza?
L’uomo primitivo, ovviamente, non aveva interesse nel migliorare la sua qualità di vita poichè l’attenzione primaria era finalizzata alla sussistenza e alla mera sopravvivenza.
Il voler progredire è una questione intrinsecamente legata al miglioramento delle condizioni di vita di una collettività ed è, necessariamente condizionato, all’abilità che la stessa ha nell’essere efficiente nella gestione e nell’organizzazione della sue risorse economiche e finanziarie.
L’intelligenza artificiale, nell’ottica di un’analisi meramente di efficienza, sta mostrando risultati sensazionali e senza precedenti, ed il tutto fa presagire a una nuova Rivoluzione economica di portata analoga a quella industriale di metà Ottocento.
Oltre ai benefici, evidenti, dell’intelligenza artificiale che permettono di replicare operazioni e procedure in modo sistematico, abbattendone costi operativi, gestionali e logistici legati al processo di produzione industriale, vi sono anche importanti rischi: quale sarà il futuro dell’umanità?
Molte professioni, già oggi, sono minacciate dall’intelligenza artificiale e, in futuro, molti impieghi verranno, irrimediabilmente, travolti dall’onda d’urto dell’automazione.
Assisteremo a ciò che Schumpeter definì, nelle sue teorie dell’economia dell’innovazione, a una distruzione creatrice? L’innovazione viene presentata da Schumpeter come forza economica e sociale che distrugge credenze, paradigmi passati innescando però una spinta creatrice verso un nuovo mondo che si basi su nuove fondamenta e certezze.
Innovare vuol dire cambiare, essendo abili, a fronte di determinati shock e situazioni avverse esogene, a trasmutare pelle mantenendo le stesse funzioni vitali. L’innovazione è alla base della crescita economica di un Paese e, potremmo dire, dell’agire umano.
Sarà importante mantenere un approccio cooperativo con le nuove tecnologie in cui le competenze e l’intelletto umano dovranno, inevitabilmente, sopperire all’apatia, freddezza ed impulsività dell’azione tecnica. In una visione di questo tipo, ovvero un sistema economico in cui le nuove tecnologie e la robotica coadiuveranno l’agire umano, bisognerà essere abili nel migliorare ed adeguare le competenze della forza lavoro alle nuove richieste derivanti dal mercato del lavoro.
Analizziamo, adesso, brevemente quali potrebbero essere le conseguenze e gli effetti derivanti dalla transizione digitale nel mercato del lavoro.
La teoria economica sottolinea come, la remunerazione dei lavoratori, sia legata alla produttività del loro lavoro. In termini matematici possiamo analiticamente affermare che vale la seguente relazione:
S = MPL
In cui:
S = Salario
MPL = Produttività marginale del lavoro
In economia, per produttività marginale si intende la variazione della produzione totale per unità di lavoro aggiuntiva. In termini semplicemente pragmatici potremmo dire che, la produttività marginale del lavoro, è pari al prodotto (output) aggiuntivo realizzato impiegando, nel processo produttivo, un’ora di lavoro aggiuntiva.
Nonostante la terminologia e il lessico matematico, il ragionamento sottostante è facilmente intuibile: Il mercato del lavoro, come tutti i mercati presenti in un’economia, è costituito da una domanda e da un’offerta.
Le imprese domandano lavoro poiché, per poter avviare il loro processo produttivo, necessitano di capitale fisico (tecnologie e impianti produttivi) e capitale umano (forza lavoro, conoscenze e competenze dei lavoratori).
I lavoratori, contrariamente, offriranno lavoro in cambio della corresponsione, da parte delle imprese, di un salario. Il mercato del lavoro, affinché raggiunga una condizione di equilibrio e stazionarietà, necessita che la domanda di lavoro, ovvero il numero di lavoratori che le imprese desiderano assumere, combaci con l’offerta di lavoro, ovvero i lavoratori che effettivamente sono disponibili ad entrare attivamente nel mercato del lavoro, cedendo ore di tempo libero in cambio di una remunerazione economica.
Le decisioni, riguardo l’assunzione di un lavoratore per le imprese o la scelta, nel caso del lavoratore, di voler offrire lavoro sono legate ad una valutazione di carattere matematico ed economico.
Proviamo a ragionare in termini logici e intuitivi:
Un’impresa sarà favorevole ad assumere un lavoratore solamente se, la produttività marginale oraria del lavoratore sarà superiore alla retribuzione offerta per la mansione svolta. I lavoratori, invece, saranno propensi ad offrire il loro lavoro per salari crescenti e superiori alla loro produttività oraria. Come ogni mercato, l’equilibrio ottimale si verificherà nel punto in cui i benefici ed i costi di ogni agente economico convergeranno sino ad eguagliarsi.
Si tratta, ovviamente, di un’analisi costi-benefici; qualora i benefici fossero superiori ai costi, una data decisione sarebbe economicamente vantaggiosa e profittevole ma, in presenza di una dualità di mercato, è inevitabile che i benefici ed i costi, sopportati da ognuno di essi, debbano compensarsi reciprocamente.
I lavoratori vorranno salari crescenti mentre le imprese, dal momento che le retribuzioni caratterizzano una voce importante delle passività e dei costi di gestione della stessa, vorranno contenerli il più possibile, pertanto l’unico equilibrio di mercato sarà quello in cui i salari si stabilizzeranno al valore della produttività oraria dei lavoratori.
Se la produttività oraria dei lavoratori fosse superiore al salario offerto dall’azienda, i lavoratori non avrebbero convenienza nell’offrire lavoro, e se l’impresa volesse assumere quei dati lavoratori, dovrà adeguatamente remunerare le loro competenze e capacità per poter essere competitiva sul mercato.
L’ardua e remota eventualità in cui la produttività oraria sia inferiore al salario proposto dalle aziende ha, intuitivamente, poca rilevanza logica. Nessuna impresa vorrebbe remunerare dei lavoratori compensandoli con salari e stipendi superiori alle loro effettive competenze.
Chiarito questo importante passaggio è bene, adesso, ribadire come l’intelligenza artificiale richiederà lavoratori ad alta formazione e valore aggiunto, il che comporterà per gli essi stipendi adeguati in virtù delle loro abilità.
Gli scenari, che in un futuro prossimo potrebbero verificarsi a causa dell’automazione, sono essenzialmente due:
– Riduzione della forza lavoro;
– Trasformazione sociale ed economica dell’intero sistema produttivo.
Nel primo scenario, altamente plausibile, l’automazione distruggerà inevitabilmente posti di lavoro, causando anche importanti cambiamenti sociali e culturali. Assisteremo sicuramente all’emergere di nuove figure professionali, altamente specializzate, formate, e inevitabilmente adeguatamente retribuite, che dovranno monitorare le operazioni e l’operato delle nuove tecnologie a fronte delle quali, le imprese, potrebbero decidere di ridurre intenzionalmente il personale assumendo esclusivamente lavoratori altamente formati e produttivi compensandoli con retribuzioni crescenti.
Allo stesso tempo molte professioni verranno rimpiazzate dalle nuove tecnologie e cosa ne sarà di quei lavoratori che, alla luce della nuova trasformazione economica e digitale, perderanno il loro impiego e così la loro fonte primaria di reddito?
La formazione, l’istruzione e un’adeguata competenza universitaria diventeranno fondamentali per gli studenti che si affacceranno in un mercato del lavoro caratterizzato da un’evoluzione e da un dinamismo impressionante e dirompente, senza tralasciare che le competenze e le conoscenze, in un mondo così fortemente energico, dovrà consolidarsi e rafforzarsi nel tempo.
Qualora l’automazione non venisse adeguatamente normata e regolata, queste nuove tecnologie potrebbero sensibilmente minare l’apparato economico e sociale di un Paese, dunque sarà bene imparare a cooperare con la tecnologia e impedisce che essa sostituisca l’agire e l’intelletto umano. Molti economisti sostengono che l’intelligenza artificiale, in un futuro prossimo, causerà un vero e proprio fenomeno di “disoccupazione di massa”, cui i governi dovranno far fronte con politiche fiscali di sostegno attivo al reddito, con strumenti anche definiti come “reddito universale di base”.
L’idea sottostante è che il progresso delle nuove tecnologie comporterà, da un lato, stipendi elevati per lavoratori occupati in settori ad alta tecnologia, ma anche molta povertà dovuta alla distruzione di milioni di posti di lavoro. Dinanzi a questa possibilità bisognerà agire o con una tassazione crescente sui redditi medio-alti per finanziare il reddito universale di base, altrimenti si dovrà ricorrere all’indebitamento pubblico, per non appesantire le tasche dei contribuenti. Quanto è realistica una simile strategia in un contesto, soprattutto per i Paesi europei, di elevati debiti pubblici ed azioni di manovra correttiva inevitabilmente ridotte?
Si dovrà ricorrere ad una mutualizzazione dei debiti pubblici come assistita durante la crisi pandemica da CoVid-19?
I rischi sono tanti, i benefici altrettanti: la sfida del XXI secolo è alle porte, saremo abili nel farci cogliere pronti?