L’economia è una scienza?
La scienza economica è stata definita dalle scienze pure (matematica, fisica e chimica) come la “ scienza triste ed inutile ” poiché non pone, come cuore della sua analisi, il metodo scientifico.
Scienze pure, come la matematica e la fisica, attenendosi e basandosi sulla scientificità ed oggettività del metodo scientifico, permettono, dopo ricerche e studi, di formulare, partendo da dati ipotesi e assiomi iniziali, conclusioni e teoremi finali.
La bontà, e validità, del metodo scientifico è legata al fatto di saper abilmente, partendo da determinate condizioni, riprodurre un dato risultato finale universalmente valido e verificato.
Il metodo scientifico, sostanzialmente, si fonda su postulati e dogmi accettati dalla comunità scientifica. Questo insieme di principi prende, tipicamente, il nome di paradigma. Un paradigma, dunque, è l’insieme di teorie, ipotesi, credenze che modellano e plasmano un certo ambito del sapere.
Qualora, per varie ed innumerevoli ragioni, la comunità scientifica dovesse riscontrare frizioni ed ostacoli nello spiegare un determinato fenomeno, servendosi dei vecchi paradigmi scientifici, ci ritroveremmo in presenza di una rivoluzione scientifica.
Una rivoluzione scientifica, come suggerisce il termine rivoluzione stessa, indica una sovversione e cambiamento radicale e drastico dell’ordine, e delle consuetudini scientifiche, precedentemente assunti ed accettati.
La ricerca economica, infatti, ponendo il suo centro di analisi sulle relazioni umane e sociali, e su come e da cosa esse avvengano e siano determinate, ha maturato, nel corso dei secoli, la necessità di creare modelli esemplificativi della realtà che tentassero, seppur con la presenza di un certo errore statistico distorsivo, di descrivere il funzionamento della società e delle relazioni tra i vari agenti economici.
La teoria economica, cercando di avvicinarsi alla purezza e bellezza delle scienze pure, necessitava di oggettività e pragmaticità.
La scienza economica, ufficiale, nacque nel XVIII grazie ad Adam Smith, un filosofo scozzese che pubblicò un libro dal titolo “ The Wealth of Nations ”, ovvero “ La ricchezza delle Nazioni ” in cui lui stesso, introducendo i concetti di liberismo economico, provò a descrivere il funzionamento del mercato e l’organizzazione economica di una società.
L’economia, particolarmente, era essenzialmente una materia filosofica, dal momento che prevedeva confronti, visioni e posizioni, anche diametralmente opposti, a seconda ovviamente della scuola di pensiero, su quali fossero gli interventi da compiere ed attuare per raggiungere determinati risultati di politica economica.
Affinché la scienza economica potesse acquisire la purezza, il fascino e il rigore, delle scienze pure necessitava di modelli matematici che provassero a razionalizzare, rendendo scientifico, il ragionamento filosofico sottostante.
Nella costruzione di un modello economico, ovvero un insieme di teorie, assiomi e leggi, che tenti di spiegare il funzionamento del sistema economico, è necessario definire ipotesi di partenza circa i componenti, ovvero gli attori, del sistema stesso.
L’essere umano, oggetto di studio della scienza economica nei suoi processi decisionali, non è omogeneo e sostituibile da un punto di vista cognitivo-intellettuale.
A differenza della chimica, ad esempio, che studiando la natura delle particelle subatomiche riesce a formulare conclusioni scientificamente ed universalmente valide, e riproducibili sotto le stesse condizioni, l’economia deve scontrarsi con l’eterogeneità del suo oggetto d’indagine: l’uomo .
Gli uomini, seppur identici, tralasciando ovviamente casistiche particolari di natura medico-genetica, da un punto di vista fisico-biologico, hanno strutture cognitive, ovvero strutture di pensiero ed elaborazione delle informazioni ed input provenienti dall’esterno, sensibilmente differenti.
Alcuni uomini possono soffrire di disturbi di personalità che, inevitabilmente, inficiano la qualità del loro processo decisionale e, inoltre, individui più colti e istruiti disporranno di informazioni, nozioni e conoscenze superiori rispetto a soggetti poco istruiti; tutto questo comporta una distorsione, bias utilizzando la letteratura economica, e inefficienza che colpisce gli uomini nei loro processi di scelta.
La politica è l’esempio lampante della diversa capacità, ed abilità, del sistema cognitivo e cerebrale umano di ricevere, valutare ed analizzare correttamente ed accuratamente le informazioni, e stimoli, provenienti dal mondo esterno.
Partiti politici differenti, sostanzialmente, riflettono ideali diversi e se gli uomini dispongono, tutti, delle stesse capacità cognitive e mentali, probabilmente, non parteciperemo a questa frammentazione politica, caratterizzata da una costante successione di partiti, ma prevarrebbe una visione politica univoca e dominante.
Il grande dilemma, dunque, della teoria economica risulta essere questa persistenza eterogeneità, insiste negli uomini, a livello cognitivo e cerebrale, che li porta a comportarsi, ea rispondere a certi stati del modo, in maniere anche molto diverse e discordanti tra loro.
Affinché si possa creare un modello economico, valido ed accettato, risulta perciò doveroso introdurre ipotesi ed assiomi che semplificano la complessità, e l’astrazione, della realtà.
Un’ipotesi chiave e ridondante in quasi tutti i modelli economici è la piena razionalità di tutti gli agenti economici. Così facendo, sostanzialmente, si tende a standardizzare gli uomini che diventano pedine omogenee, e perfettamente interscambiabili e sostituibili, all’interno del sistema economico.
La piena razionalità, ovvero l’assunzione forte che considera gli uomini dotati di uguali conoscenze, informazioni nel processo decisionale, permette di poter creare modelli economici che, nonostante molte frizioni e sensibilità, permette di avvicinare la disciplina alla severità e metodologia rigida logica delle scienze naturali .
In economia, nella creazione di un modello, si utilizza spesso la locuzione latina ceteris paribus , ovvero “ una parità di tutte le altre condizioni ”; in quanto la creazione di un modello economico, data la complessità della realtà, permette, servendosi di ipotesi stringenti, di semplificarla.
In matematica potresti dire che un modello economico cerca di “ approssimare ” la realtà.
In questo modo si riesce, nonostante le limitazioni insite nel modello, a conferire verità scientifica ed oggettiva all’economia poiché, in presenza di determinate circostanze, ovvero le ipotesi-assiomi di base del modello, a fronte di determinati shock , espressione utilizzata nella scienza economico per indicare deviazioni dalla condizione di equilibrio di un modello, si otterranno determinati risultati ( output ) finali.
La struttura del metodo scientifico, infatti, risponde alla logica Osservazione – Ipotesi – Tesi e deve fornire, servendosi delle assunzioni alla base del ragionamento, sempre gli stessi risultati.
Un ragionamento, o meglio un esperimento/ricerca, è scientifico se, per definizione, consente di replicare lo stesso fenomeno, in ogni contesto e luogo, servendosi delle assunzioni e dei postulati alla base.
Dalla scienza fisica, ad esempio, sappiamo che ogni corpo, indipendentemente dalla sua massa e dalle sue proprietà chimico-fisiche, risponde a determinate leggi, quali la legge di gravità, le leggi della dinamica, ecc.
In economia ciò non è possibile poiché ogni uomo, a differenza delle particelle atomiche, è profondamente diverso l’uno dall’altro e, ricordiamo, il tentativo di razionalizzare e standardizzare i comportamenti umani, altro non è che una “ forzatura metodologica ” per provare a creare modelli descrittivi di politica economica, utilizzati dai decisori politici, i cosiddetti policy makers.
I modelli economici, dunque, servono da guida ai decisori politici per conoscere e comprendere quali potrebbero essere le conseguenze, e gli effetti, di una certa misura di politica economica. Come abbiamo visto, infatti, i modelli economici permettono di descrivere il funzionamento di un certo sistema economico, o mercato, sotto condizioni stringenti e particolarmente vincolanti.
E’ dunque difficile, e sufficientemente ottimistico, pensare che i risultati elargiti dal modello siano universalmente validi ed accettati ma, ribadiamolo, è bene trattare il modello con la giusta umiltà, essendo esso uno strumento principalmente informativo, di indirizzo guida, e non un dogma inattaccabile.
Una branca in ascesa, ultimamente, della scienza economica è l’economia comportamentale, in inglese Behavioral Economics, che studia come le decisioni ei processi di scelta degli individui siano, sostanzialmente, frutto di processi emotivi che, spesso, conducono ad errori decisionali, deviando dallo status quo di razionalità.
L’uomo è, infatti, soggetto a numerosi bias, ovvero distorsioni ed errori decisionali, e conoscerli può essere importante per effettuare scelte più ponderate e meno irrazionali, frutto di pulsioni emotive e non dettate da alcuna logica.
Ad esempio, la ricerca ha dimostrato come, frutto di emotività, gli uomini tendono ad essere particolarmente propensi al rischio qualora abbiano registrato una perdita, per recuperare la cifra persa, ed avversità al rischio in circostanze normali. Si evince, dunque, come gli uomini, provino maggior dolore legato ad una data perdita, in termini economico-monetari, di quanto non provino gioia e felicità per una vincita di uguale importanza.
L’economia, dunque, non è una scienza pura, e dunque universalmente riproducibile e scientificamente oggettiva, poiché presenta al suo interno una componente filosofico-psicologica molto importante, ma fa ampio uso del rigore delle scienze naturali, e dunque ricorrendo alla statistica e alla modellizzazione matematica, per conferire credibilità scientifica ai risultati della ricerca.